di Annamaria Locatelli
Una umana varietà di «lingue, idiomi e culture», vitale e dolente, s’agita attorno a una piazza-mostro dominata da un «ponte stralunato». Attorno all’obbobrio di una modernità interrottasi, acrobati, giocolieri e mendicanti orgogliosi si sono costruiti le loro tane. «Anime multietniche» abitano un periferia che è mondo rovesciato rispetto a quello tracotante e leccato del centro città. Che rapporto stabilire con esse? Proprio ieri, leggevo di alcuni grandi filosofi tedeschi del primo Novecento. Si chiedevano come parlare delle nuove forme di vita associata che si stavano producendo nei grandi agglomerati urbani d’Europa degli anni Trenta:«È possibile mettere il mondo in prospettiva per poterlo osservare dalla distanza – cosa questa che ha fatto sempre la ‘critica’– quando le esperienze sensoriali della metropoli, la densità abitativa, la verticalità degli edifici, le folle che si spostano in un movimento frenetico e continuo non consentono più quella “giusta distanza”? (qui). Una risposta semplice e che sfugge alle grandi teorie la danno le poesie di Annamaria: procurarsi uno sguardo amoroso, di simpatia stupefatta. Per riattivare il fiabesco e il cosmico che a un tempo la piazza a lei cara oggi contiene. E le piaghe insanabili delle periferie? Gli «incontri-scontri»? La risposta resta simile: accogliere e attendere senza paura le trasformazioni. Anche «in una inquieta Pangea ritrovata» «combaciano,/ amanti,/mano nella mano». [E. A.]
Una piazza del mondo Nel breve spazio centrale calici rosa di un filare di magnolie e pilastri istoriati si elevano a sostenere, quali possenti braccia gentili, il surreale ponte ombrello, mitico custode del Corvetto… E tutt’intorno una raggiera di strade, poi frecce verso il cuore della città. Cittadini del mondo transitano sugli ampi marciapiedi e ai semafori, apostrofati da clacson assordanti, volteggiano acrobatici giocolieri e sostano mendicanti. Tra suk variopinti di frutta e di legumi, bigiotterie e cineserie, In assenza di panchine, per rendez-vous cittadini e cosmopoliti, ci si siede sugli squadrati muretti del metro… E’ una piazza di periferia una vera piazza del mondo, grembo dall’orecchio grande… La Storia per una volta tace, vi passa in punta di piedi, senza colpo sparare…
Corvetto Ti riconosco lembo di Milano sud, il mio Corvetto, e ti amo, con quel ponte stralunato a pender sulle teste e quel piazzale, variopinto girovagare di anime multietniche, una giostra di chi scende e di chi sale metrò e scale, vetture in corsa e in trasparenza ad amoreggiare con luci verdi e chiare che s’accendono e poi spengono sulle tante vite intermittenti innamorate, sofferenti, affannate… Per molti l’ ombelico di un mondo decentrato Periferie In queste periferie dove il rumoreggiare del mondo cresce a dismisura e lingue, idiomi e culture cozzano ad esplodere come lame duellanti si propaga lunga eco di un mare burrascoso… Da piccole navi alla deriva, risuonano grida contrastanti e senza volto: “Si salvi chi può… ognuno si affidi al suo destino!” “All’arrembaggio, i feroci pirati!” Nella notte tenebrosa solo un antico marinaio si sporge e ondeggia una debole lanterna, non parla, segnala ove raccogliersi senza approdo Le tracce Seguo le tue tracce e tu le mie orma su orma In quel labirinto di passi che è il selciato di piazzale Corvetto, piedi in cammino come piccole vetture mosse da cervelli rombanti: per collisioni probabili, incontri-scontri di Paesi e culture affluenze di acque oceaniche e fluviali di paure e sogni ancestrali… Il travaso è in un Gange impetuoso di vita e di cenere Crocevia Attingiamo il fiato dallo stesso polmone d’aria di un Corvetto assolato, serbatoio inesauribile di respiri nelle afose estati, quando non basta l’aereo ponte a ombreggiare né il ricordo di lontani palmizi… Ci sfioriamo con gli sguardi smarriti di persone che hanno perso la strada e attendono segnali nel crocevia di una piazza a cui siamo pervenuti per terre e per mari remoti Piazze vecchie e nuove Un’amica mi disse: “ ma il piazzale Corvetto non è davvero una piazza.. In quella del mio paese, una cittadina abruzzese, stazionano su scricchiolanti panchine vecchi a crocchi a ciarlare fitto fitto di eventi lontani e a fare la conta a ritroso degli assenti del loro turno in attesa raccomandandosi agli amici… I giovani, parimenti, nel bar più vicino vociano intrecciando risate e freschi amori ad amare riflessioni sui progetti negati…” “Eppure – rispondo- ogni mondo è paese, e al Corvetto si saldano, abbattuti i confini, mondi e paesi in movimento, in una inquieta Pangea ritrovata, macché comodi sedili!” Dieci sotto lo zero… Sono un senzatetto quando fa notte dimoro nel bancomat di banca intesa corvetto, la luce artificiosa e lo spazio stretto fanculo corvetto… Accidenti alla beghina che ha chiamato il 112, arriva il volontario mi prende sottobraccio per togliermi dall’addiaccio, ma io la strattono mi basta il mio pastrano non voglio finire in una pia associazione datemi piuttosto la pensione o domani farò ancora l’accattone a smistare rifiuti dal bidone… Sempre meglio il bancomat corvetto anche se poco più in là il ponte-spione mi controlla in continuazione da lì non se move il coglione! Preferisco lui, come me innocuo perditempo, dal secondino in prigione! Maledizione! Non si può neanche dormire in santa pace con tanti santi in circolazione! Ancora… Lo sguardo sprezzante, la voce nazista: lo stramaledetto trabocchetto ancestrale!… La vittima che c’era in lei si risvegliava, in pozzi e pozzi senza fine sprofondava, supina accettava di essere maltrattata calpestata di perdere dignità. Ricordava i campi e la calura del sud insetti, cotone, tabacco, pomodori, le ginocchia grattugiate, prostrata davanti al gigante dalle sette fruste… Ora trascina le sue catene in città la persona schiava, si specchia nei segni traditi della modernità metro in corsa, invisibili recinti spinati s’impantana in paludi e sabbie mobili, scantona, sbanda all’angolo dei marciapiedi nella polis che per molti ancora non c’è… C’è una roggia di periferia… dove combaciano, amanti, mano nella mano, sghembi palazzi e campagne sofferenti… L’anello è la roggia fluente l’acqua poco trasparente i capelli di alghe verdi nel tracciato della corrente e plastiche affioranti… Un corteo di libellule coronò la sua stagione d’amore ora non più…brilla di mestizia. Ma ruscellando s’affanna a crederci ancora… L’acqua è fedele
Brava Annamaria Locatelli!
Poesie che quasi rallegrano nella confusione della città e nelle emarginazione delle periferie, ma la triste sensazione di incomprensione che divide la gente si sente eccome! Un paesaggio urbano che incombe è diventa quasi piacevole nello sguardo bello.di Annamaria, uno sguardo che non vuole arrendersi, la sua umanità prevale sullo stupore e ci regala un abbraccio di speranza. Grazie!
“…e ci regala un abbraccio di speranza” grazie, Emilia, era nel mio desiderio. Anche se questo poi non vuol dire che ne abbia così tanta…
La poesia che Annamaria dedica al suo quartiere esprime amore e sofferenza insieme per un mondo a lei caro,speculare ad altri ai margini di ogni grande città.
L’osservazione ,fatta con gli strumenti della poesia e con un singolare, sincero sentimento di partecipazione, invita a riflettere sui cambiamenti avvenuti e ancora in atto in questo posto dove una società multietnica sembra sostituirsi alla precedente.I personaggi sono quelli che vediamo ogni giorno ai margini delle grandi arterie e nelle periferie.La denuncia sociale è sottintesa, non urla, ma sommessa suggerisce e Annamaria, a volte illumina la sua poesia con immagini confortanti e fiabesche:”calici rosa di un filare di magnolie”,
” piazza.. grembo del mondo”
” ponte stralunato..”C’è amore in queste poesie per il quartiere e la gente che vi abita, altri hanno paura, esprimono fastidio e rifiuto, elaborano teorie di difesa o vanno altrove.
Annamaria cerca di capire il nuovo del suo quartiere e di conviverci.
” eppure ogni mondo è paese”
e “al Corvetto si saldano abbattuti confini..
paesi in movimento”.Certo la resa in poesia di una realtà così difficile è problematica, non può essere retorica e edulcorata e Annamaria lo sa bene.
Ci vengono incontro personaggi ” spinosi” anche nel linguaggio.
L’uomo rifiuta la carità ” pelosa” di chi lo vuole privare della libertà , unico bene rimastogli.”Non si può neanche dormire in santa pace…con tanti santi intorno..”
E la donna ” con le ginocchia grattugiate vive la voluttà di perdersi nella polis che non c’è.Nonostante questo Annamaria conclude il suo gruppo di poesie
con “C’è una roggia di periferia”, dove l’acqua è poco trasparente,la plastica affiorante”..ma le libellule brillano di mestizia e l’acqua corre fedele e ancora crede nel suo compito.
…grazie Maria Maddalena, penso che tu abbia colto in pieno quanto volevo dire con le mie poesie e sei andata anche oltre…Sì non ignoro i disagi della gente che vive nel mio quartiere, soprattutto quelli dei “nuovi” arrivati, anche se molti di loro vi risiedono da alcuni decenni. Come me che arrivando dalla provincia quarantacinque anni fa con un fardello di problemi mi sono sentita “straniera” per cominciare ma poi mi sono riflessa nella situazione di molti e ho preso ad amare le persone intorno a me e anche i luoghi nel loro essere teneramente provocatori, diremmo salutari “pugni negli occhi”…Purtroppo nei nostri quartieri di periferia c’è chi ha fomentato la guerra dei penultimi contro gli ultimi con misure non appropriate di convivenza “forzata”, per esempio nelle case popolari, dove le povertà si confrontano quotidianamente…Ma negli ultimi anni qualcosa di molto importante si è mosso attraverso l’impegno di molte associazioni in una gara non competitiva per trasformare positivamente un quartiere piuttosto emarginato, favorendo la reciproca conoscenza e partecipazione…molti giovani vi sono impegnati. Non solo però. Da qui un certo mio ottimismo
“Il travaso è in un Gange/impetuoso/ di vita e di cenere”: paradosso delle città cosmopolite, come le rive di un fiume tra i più grandi e abitati del mondo.
Attraverso piazzale Corvetto al mattino presto, quando prendo l’autostrada per tornare a casa, 700 chilometri dopo. Poco oltre, Rogoredo e i problemi di tossicomania, poco prima in corso Lodi le violente bande dei latinos che si combattono.
Lo sguardo doloroso nei confronti del senzatetto nella nicchia del bancomat, o della vittima “prostrata davanti al gigante/dalle sette fruste”, “persona schiava” che “scantona, sbanda/all’angolo dei marciapiedi” dicono che non c’è un fiume che scorre, invece una “polis che per molti ancora non c’è… ” e, con meste libellule e rogge poco trasparenti, non ci sarà.