traduzione di Angela D’Ambra
Quarta poesia di Glen Sorestad dedicata a Ernest Hemingway. Le precedenti qui, qui e qui . [E. A.]
Two Old Boys of Cojimar [1] When the two old fellows saw us approaching they snapped to like wind-gusted flags. The little fishing village just east of Havana is best known as home of Santiago, Hemingway’s heroic protagonist,who spent two days and two nights adrift far out on the Gulf, bound, will to will, to a magnificent and gigantic marlin[2], until he subdued the great fish, only to lose it to marauding sharks before he could bring his once-in-a-lifetime catch home to the village as tangible proof.
As we stroll along the seawall we see a white statue raised on its plinth, a quiet space set off the road, close enough to the sea that were Hemingway’s likeness to come alive, he could imagine himself fishing, imagine the movement of the Gulf stream; even imagine Santiago, tied to that huge fish -- imagine again the inextricable, the unfathomable bond between man and marlin he forged into myth. The aged duo launches a musically bereft but spirited rendition of what they believe every tourist wants to hear – “Guantanamera”. This enterprising twosome appear as though they could have been Santiago’s neighbours, hands more suited to hauling fishing lines than performing recognizable music. When we stroll past without a glance, the entertainment sputters to a halt, Hemingway impassive throughout. Due vecchi di Cojimar[3] Quando i due vecchi ci videro arrivare scattarono come vessilli sferzati dal vento. Il paesino di pescatori appena a est di L’Avana è meglio noto come casa di Santiago, l’eroico protagonista di Hemingway, il quale passò due giorni e due notti alla deriva, al largo nel Golfo, legato, scontro di volontà, a un maestoso e gigantesco marlino, finché soggiogò il gran pesce, ma solo per perderlo contro squali voraci prima che gli riuscisse di portarsi la sua presa da una volta nella vita, a casa, al villaggio come prova tangibile. Mentre passeggiamo lungo l’argine scorgiamo una statua bianca alta su un basamento, un quieto spiazzo appartato dalla strada, alquanto vicino a quel mare che era, per Hemingway, figura di risveglio, dove poteva immaginarsi a pesca, immaginare il moto della corrente del Golfo; immaginare persino Santiago, avvinto al pesce enorme – immaginare ancora l’inestricabile, insondabile vincolo tra uomo e marlino che egli forgiò in mito. L’attempato duo si lancia in una musicalmente carente, ma briosa resa di ciò che credono ogni turista voglia ascoltare– “Guantanamera”. Questo intraprendente duo sembra quasi aver vissuto porta a porta con Santiago, mani più adatte a tirare lenze da pesca che a eseguire musica decente. Quando proseguiamo senza uno sguardo, l’esibizione sfrigola in arresto – Hemingway, per l’intera durata, impassibile. [1] New version of the poem (edited by the Author after 2014) [2] Marlino: pesce del genere Makaira o Tetrapturus. [3] Traduzione basata sulla nuova versione della poesia (post-2014).
…mi manca la lettura dell’ultima poesia di G. Solestad, ma già sembra a me chiaro l’intento del poeta di parlare del mito, anzi di più miti messi in qualche modo a confronto o in gerarchia…Il mito del grande narratore E. Hemingway da parte di scrittori e letterati, come da parte di lettori comuni, poi divenuti partecipi di un turismo culturale di massa, curiosi in qualche modo di conoscere la dimensione quotidiana del grande scrittore: la stanza dell’hotel dove viveva e scriveva, le sue abitudini, la sua creatività, ma anche banalizzando, quasi dissacrando, sembra dirci il poeta, la grandezza e il mistero dello scrittore… …Quest’ultima poesia parla di un mito che a sua volta E.H. coltivava, cioè quello del rapporto dell’uomo con la natura, a volte avversaria ma mai nemica e cui riconoscere pari dignità, come nella narrazione della lotta del vecchio pescatore Santiago con il grande pesce: “…l’inestricabile insondabile/ vincolo tra uomo e marlino che egli forgiò in mito”
Colgo a volo la richiesta di Annamaria Locatelli e anticipo la pubblicazione dell’ultimo post di Glen Sorestad. E’ bene che si avvi una riflessione generale dell’intero poemetto.