Editore Tarka 2019
di Marisa Salabelle
Segnalo volentieri il nuovo romanzo di Marisa Salabelle che esce a tre anni circa dal precedente, “L’estate che ammazzarono Efisia Caddozzu”. (qui) [E.A.]
- Incipit
Non fu la morte di Romolo Santi, ai primi di gennaio del 1999, a preoccupare i tettaioli. Gli abitanti di quel borgo dimenticato da Dio che risponde al nome di Tetti, un paesino minuscolo su un versante poco popolato dell’Appennino tosco-emiliano, erano abituati a fare ogni anno la conta dei vecchi che non superavano l’inverno, e quell’inverno non aveva fatto eccezione. A febbraio era morto Terenzio Bartoli, tanto per dire, e a marzo la vecchia Sidonia, di novantotto anni, per non parlare di Angela, la sorella scema di Svaldo, che però tanto vecchia non era, a dir la verità. Vero che Romolo non era morto né di vecchiaia né di malattia: una sera era uscito per portar fuori la spazzatura, aveva fatto uno scivolone brutto sul ghiaccio e aveva battuto la testa. Il buio, il ghiaccio, le sue gambe un po’ malferme, chi poteva sapere. L’avevano trovato il giorno dopo, freddo come il marmo.
E nemmeno l’incidente capitato ad Alvaro, il fratello di Romolo, che la mattina del 10 luglio era cascato da un’impalcatura, li aveva sorpresi più di tanto. Che questi vecchi di Tetti ce l’avevano di vizio, di mettersi in situazioni non adatte alla loro età, si sentivano ancora dei giovanotti, salivano sugli alberi, montavano sui tetti e poi… L’unica che ci era rimasta veramente male era stata la sua vicina, Nora, che se l’era visto piovere dal cielo proprio davanti all’uscio di casa, si era presa uno spavento, povera donna.
Ma quando, il 29 luglio, si era sparsa la notizia che anche Ermanno, il più giovane dei tre fratelli Santi, era morto, allora sì che la gente, a Tetti e nelle frazioni vicine, aveva cominciato a mormorare.
Erano le undici del mattino di un giovedì apparentemente tranquillo. In piazza i paesani si scaldavano al sole mentre le donne iniziavano già a preparare da mangiare. Quando, all’improvviso, arrivò sparato il furgoncino di Mohamed, il marocchino, che tutta l’estate faceva il giro dei paesi della montagna col suo assortimento di jeans e magliette a poco prezzo, pantaloni finto militare, biancheria, tovaglie. Il furgone inchiodò stridendo e Mohamed saltò fuori spiritato. Alle donne che già si accalcavano per vedere la sua mercanzia urlò:
«Incidente, incidente, bisogna subito chiamare la Misericordia.»
«Incidente? Cosa?»
«Che è successo?»
«Trovato macchina lungo la strada… schiantata contro un albero! Signor Ermanno, dentro! Lui morto! Bisogna chiamare l’ambulanza!»
«Ermanno, dici? Ma come!»
«Via! O se ‘un ci posso credere! L’ho visto quando, un’ora fa… Andava a Pistoia in tutta fretta, era nero come un cappello: l’avevano chiamato dalla banca per il conto del su’ fratello, non so quante volte ci aveva fatto su e giù, almeno così ha detto!»
«Gliel’avevo detto, io che quella macchina non era a posto. Faceva un rumore strano…»
«E così, anche l’ultimo dei Santi se n’è andato. Mi chiedo se non ci sia qualcosa dietro queste morti!».
2.
Subito dopo la guerra Tetti avrà avuto quanto, cinquecento abitanti. Più altri cento sparsi per le varie borgate. In piazza c’era la bottega di alimentari, che vendeva tutti i generi necessari, la pasta sfusa, che si prendeva con una paletta e si metteva in un foglio di carta gialla, la farina, il riso, lo zucchero, che invece la carta ce l’aveva azzurra e nessuno sapeva perché, e il sapone in polvere, le saponette Palmolive, il sale e le sigarette, che la bottega aveva l’insegna dei Sali e Tabacchi. Frutta, verdura, uova, tutte queste cose gli abitanti di Tetti non avevano bisogno di comprarle all’alimentari, visto che tutti avevano l’orto e le galline, e chi non l’aveva andava direttamente dal produttore. Anche se quasi tutti facevano il pane in casa, aprì bottega un fornaio, e pian piano si fece la sua clientela, perché molti trovarono comodo di poterlo comprare, il pane. C’era una merceria, che teneva mutande da uomo e da donna, calze di tutti i generi, lunghe e corte, grosse per l’inverno e fini per andare in città, robine per bambini, tovaglie, strofinacci, un po’ di cartoleria, qualche giocattolo: per necessità più specifiche il marito della merciaia prendeva l’ordine direttamente dal cliente e quando tornava dai suoi giri presso i fornitori riportava camicie da notte, camicette da donna, libri e riviste: scarpe no, per le scarpe dovevi andare a Porretta, il giorno di mercato, comunque in paese c’era un ciabattino che faceva le riparazioni. C’era il bar trattoria, dove gli uomini andavano a giocare a carte, la sera, e dove la domenica si poteva pranzare, su prenotazione. La scuola elementare aveva due classi: prima-seconda e terza-quarta-quinta: questo fino alla fine degli anni Sessanta, poi la classe fu una sola, e infine, nei primi anni Settanta, la scuola fu chiusa perché non c’erano quasi più bambini, in paese. Di tutto questo si parlava in continuazione, ricordando i vecchi tempi, paragonando la Tetti di una volta a quella d’ora, tra le donne sedute davanti alle case e tra gli uomini in piazza, e tanto più da quando s’era sparsa la voce che il comitato aveva intenzione di allestire, per il mese di agosto, una mostra sulla storia di Tetti, con pannelli che avrebbero illustrato le sorti del paese nei diversi periodi storici ma soprattutto negli ultimi cinquant’anni, e i pannelli sarebbero stati corredati di fotografie che gli abitanti stessi avrebbero fornito: così ognuno aveva frugato nelle scatole di scarpe dove si conservavano le vecchie foto e adesso tutti tiravano fuori quei cartoncini ingialliti e ricurvi agli angoli e se li mostravano l’un l’altro e ricordavano tanti episodi che parevano dimenticati, tante persone ormai morte o andate via, tanti momenti belli e brutti della vita di Tetti che tornavano alla luce tra esclamazioni sorprese, nostalgiche, incredule.
QUARTA DI COPERTINA
“Non fu la morte di Romolo Santi, e nemmeno l’incidente capitato ad Alvaro. Ma quando si sparse la notizia che anche Ermanno, il più giovane dei tre fratelli Santi, era morto, allora sì che la gente, a Tetti e nelle frazioni vicine, aveva cominciato a mormorare.”
Chi ha ucciso i tre fratelli Santi, abitanti del minuscolo borgo di Tetti sull’Appennino tosco-emiliano? Ragioni economiche, storie d’amore ormai lontane nel tempo, oscuri segreti di famiglia si intrecciano nel caso su cui indagano i carabinieri di Porretta e Saverio Giorgianni, giornalista, alle prese a sua volta con una vicenda familiare piuttosto intricata. Tra confidenze, pettegolezzi e un mucchio di vecchie foto giungerà alla soluzione: sullo sfondo, un Appennino sospeso tra passato e presente, coi suoi pochi bizzarri abitanti, i villeggianti estivi, e la comunità degli Elfi poco distante.
Grazie a Ennio Abate per aver accettato di pubblicare uno stralcio del mio nuovo romanzo. Ci tengo molto a precisare che il romanzo inaugura una collana intitolata Appenninica, curata da Paolo Ciampi e Marino Magliani, che ospiterà non solo romanzi ambientati sull’Appennino ma anche saggi, reportage e altri scritti. Il tutto con lo scopo di puntare l’attenzione su questa “spina dorsale dell’Italia” che rischia la sua stessa sopravvivenza a causa di catastrofi naturali, danni provocati dall’attività umana, abbandono…
Per chi fosse interessato, posto il link dell’editore Tarka: tarka.it