di Arnaldo Éderle
Questo, che ha per tema un’accorata meditazione sui “poveri figli della droga e di altri disumani/piaceri”, è l’ultimo poemetto inviatomi prima della sua morte dall’amico Éderle che dovevo pubblicare. Molti sono i testi che in questi anni, a partire dalla morte di Gianmario Lucini, egli ha voluto mandare a Poliscritture. Non so quanto condividesse la mia scelta di metterli nella rubrica ibrida di “Poesia/moltinpoesia”, come faccio del resto con tutti i poeti che chiedono ospitalità su questo sito. So soltanto che ora tocca ai lettori – quelli che s’imbatteranno per la prima volta nei suoi versi e quelli che vorranno rileggerli – riflettere su questo lascito poetico. Per intenderlo più a fondo, al di là delle contingenze e delle distrazioni che ci assillano, nelle sue luci e nelle sue ombre. [E. A.]
Oh, quanto amore quanto amore!
E noi qui sotto, come pulcini infreddoliti
a guardare in su e con gli occhi chiedere
amore mentre ci rotoliamo in questo
molle fango con le mani giunte.
Preghiamo l’Angela nostra di soccorrerci
e toglierci da questo tristissimo imbarazzo.
Non sappiamo quando avrai il tempo
di curarti di noi non lo sappiamo.
Ma intanto le nostre piaghe crescono
e ci raschiano le ossa
dei talloni e ci fanno soffrire.
Ah, chissà quando arriverai nelle nostre
strade nei nostri vicoli a sistemare
i nostri affanni, non lo sappiamo, e intanto
continuiamo a grattarci
le piaghe.
Carissima Angela, noi ti aspettiamo
fremendo nella nostra impazienza
e continuiamo a pregare la tua alterità,
ultimo viatico per la nostra salvezza,
ultimo astro del nostro tormentato mondo.
Siamo qui impauriti senza alcuna speranza
se non il tuo ausilio,
la tua innamorata cura della nostra pelle
e del nostro spirito ritorto nelle spirali
dell’esistenza.
Chi dovremmo pregare qui giù se non te,
tu hai già fatto i tuoi primi conti
con i giganti e i maiali, a chi tocca ora?
Tu lo sai, noi la conosciamo la tua sapienza
il tuo equilibrio nel giudicare
i nostri carnefici. E allora pronuncia
il tuo imprescindibile no e restituiscici
la nostra capacità di giudizio, la nostra
chiara condanna la nostra sempiterna
umanità e lasciaci correre sui nostri
prati, nelle nostre contrade
con i nostri imprescindibili diritti,
come animali intelligenti e pronti
nelle nostre umane mansioni.
Loro, i nostri eterni nemici, falliranno
nelle loro tristissime azioni
e impareranno a fermare le loro
infiammate armi i loro inqualificabili
orrori, e se occorre trapasseranno
fuggendo nelle loro sontuose
caverne come poveri animali feriti.
Sì, questo dico! E non sarò certo il primo
né l’ultimo a perorare la nostra causa,
tanti l’hanno fatto prima di me,
ma i nostri guai non si raddrizzano.
Poveri figli della droga e di altri disumani
piaceri, che muoiono come mosche
negli anfratti della miseria.
Poveri figli della sfortuna che quando
afferrano una siringa e si bucano
un braccio gli sembra di aver raggiunto
il paradiso, o l’inferno. E lì giù soggiornano
per qualche attimo e lì soggiornano
sperando in un nuovo buco che li
trasporti nello stesso paradiso nero
e traslucido come il fondo di un loro
mare burrascoso.
Che dire di questa carneficina che
ottunde le nostre capacità umane
i nostri sani perché, le nostre
speranze. Io credo in queste speranze,
credo nella santità del cervello che non
si smentisce, che corre diritto
verso la sanità, verso il cercare la luce
non la tenebra dei fossati
e delle false nuvole dei cieli ciechi
e dei deserti del buio.
Credo in questa teoria: che quando uno
cade nell’orribile buca, esce
dal miracolo della natura e dal piacere
della vita, dalla frescura del mattino
e dalla pace della notte. Ma loro
gli inconsapevoli succubi dell’irriducibile
veleno
se ne sbattono, per seguire il loro
desolante destino. Che fare?
Angela, Angela mia, forse tu ne saprai
qualcosa. Se le tue ali provocassero
il vento della rinascita, se il tuo fiato
inebriasse un po’ l’aria, forse questi
altri angeli caduti miseramente potrebbero
rigenerarsi?
Forse tu hai una bevanda magica o il tuo
tocco sulla spalla potrebbe generare il
miracolo: che ne dici?
O pensi che non ci sia alcunché che possa
salvarli? Spero davvero che non sia così.
Altrimenti continuerebbe la carneficina, e noi
poveri uomini di questa terra non
sapremmo più che fare, dovremmo sopportare
per secoli questo putiferio di cadaveri
semi innocenti e piangere le loro tristissime
morti come un guaio irrimediabile.
Angela delle mie preghiere, spalanca
i tuoi rosei padiglioni e soccorri la nostra
terra piagata, falla tornare come prima
del disastro e donaci un’esistenza nuova,
se non priva di piaghe, toglici
almeno una di queste cicatrici e dona
all’umanità una vita uguale alla prima,
priva di questo infaustissimo disturbo
e del suo impensabile delitto.
Toccante, e accorato.
Come giudicare l’etica di Arnaldo Ederle quale risulta per esempio ma con chiarezza da questa poesia sui drogati? (E le drogate, la dipendenza da sostanze inebrianti o stuporose non colpisce differentemente i due sessi.)
Intanto si può segnare che Ederle riconosce come propria dell’umano la capacità di giudizio e di condanna:
“E allora pronuncia
il tuo imprescindibile no e restituiscici
la nostra capacità di giudizio, la nostra
chiara condanna la nostra sempiterna
umanità”.
Chi condanna, chi ha già condannato, l’Angela? “tu hai già fatto i tuoi primi conti/con i giganti e i maiali, a chi tocca ora?”. Occorre aggiungere che gli specificati giganti e maiali sono parte degli “eterni nemici”, “i nostri carnefici”, con le loro “tristissime azioni” e le “infiammate armi” e gli “inqualificabili orrori”. Sotto la soglia umana i nemici sono “poveri animali feriti” rintanati “nelle loro sontuose caverne”.
Invece noi umani siamo “animali intelligenti e pronti” evoluti e illuminati
“Io credo in queste speranze,
credo nella santità del cervello che non
si smentisce, che corre diritto
verso la sanità, verso il cercare la luce”.
E’ un’etica semplice, biologicamente fondata, non su antagonismi classisti né su cultura religiosa. L’Angela che Ederle prega è un’entità sconosciuta “e continuiamo a pregare la tua alterità,/ultimo viatico per la nostra salvezza”, contemporaneamente estranea e compassionevole in quanto femminile. Un’etica laica, che àncora all’irriducibile amore e speranza, che ci tengono insieme e in vita, una possibilità reale di trascendenza.
E’ tutto in questa prospettiva di senso della vita nel mondo: l’ottimismo circa l’evoluzione della specie, la fiducia nella volontà buona per incrementare la comune convivenza.
Si potrebbe anche dire che si tratta dell’etica di una persona perbene che, al sicuro nella sua vita civile, proietta sul mondo intero le conquiste culturali risultato della nostra storia crudele di distruzioni e morte.
E’ senz’altro così: è quindi un’etica non autocritica, non tormentata, che guarda con dispiacere ma senza partecipazione i drogati “angeli caduti miseramente”, “cadaveri semi innocenti” che sperano
“… in un nuovo buco che li
trasporti nello stesso paradiso nero
e traslucido come il fondo di un loro
mare burrascoso”.
Oppure è un’etica che ha lasciato indietro la critica e l’autotormento perché sarebbero la perversa continuazione di un grandioso protagonismo storico ormai concluso.
In questo caso i sentimenti di fiducia e benevolenza sono il massimo-minimo livello di impegno possibile per un anziano signore impotente a cambiare le cose oltre i suoi rapporti personali.
“i sentimenti di fiducia e benevolenza sono il massimo-minimo livello di impegno possibile per un anziano signore impotente a cambiare le cose oltre i suoi rapporti personali” (Fischer)
Lettura dell’umanesimo di Ederle sulla quale concordo. Non ritengo però trattarsi di impotenza dovuta ad “anzianità” ma piuttosto di una visione del mondo aconflittuale e immobile. Tra i “buoni” idealizzati (gli uomini “animali intelligenti e pronti”) e i “sommersi” ( i drogati “angeli caduti miseramente”, “cadaveri semi innocenti”) non si vede relazione (il “dispiacere ma senza partecipazione” ne è la prova…) perché le *responsabilità* delle rispettive situazioni non vengono messe in luce né indagate. Per sfuggire ad un inutile “autotormento”? Per giusta disillusione nei confronti di “un grandioso protagonismo storico ormai concluso”? Non credo. La ragione la cercherei proprio in una difesa “conservatrice” di una supposta “vita civile” che non ha saputo o voluto interrogarsi proprio sul tipo di conflitto che ha prodotto “e conquiste culturali risultato della nostra storia crudele di distruzioni e morte.”.
Ederle, credo, non fu mai toccato dal pensiero di un Marx o di un Benjamin. Purtroppo.
Niente so della cultura di Ederle, ma credo che Adorno e Benjamin non potessero mancargli, rientrando appunto in quell’inutile autotormento che tanto deve a un protagonismo storico terminato – e non pi forse ora agli sgoccioli. Se invece intendi che quella critica, anzi kritik, sia patrimonio di comune umanità… io non credo. Nel senso che il mio tempo è una durata più lasca e meno contenibile dallo schema/gli schemi marxiani.
I post che Visalli ha fatto sul suo blog tempofertile su Frank e gli altri che pensano il mondialismo ricorrono tutti -pare necessariamente- a tempi più ampi e “diffusi”, nel senso che la *struttura* non può determinare la *sovrastruttura*.
Aggiungo: quando tu Ennio stringi vita civile e conflitto, (“che ha prodotto” ecc), togli per principio possibilità di una vita buona a chi non conta nulla. Ora è propria della kritik la corresponsabilità -luterana?- di chi si estranea, cosa che NON è riuscita alla sinistra europea affogata sulla linea della complicità coi tedeschi.
Direi viva il cattolicesimo e la penitenza che salva in terra!
In effetti anche se anni fa ebbi uno scambio per mail con Ederle breve ma radicale, io gli chiedevo conto di una sua adesione al cattolicesimo -come mito, ma il mito non sono solo favole -cui lui rispose di non volersi impegnare ad analizzarsi ideologicamente-, continuo a pensare che il cattolicesimo sia la sua piattaforma naturale.
Per cui non direi che la sua sia “una difesa ‘conservatrice'” e neppure che quella sua (e di quanti altri?) sia una “supposta ‘vita civile'”, ma solo una vita sociale diffusa e senza colpe *apocalittiche*. Una vita che quindi non è che non abbia saputo e neppure voluto interrogarsi, ma che semplicemente non era “eroica”, cioè non unica e individualistica, non romantica, non… inutilmente sacrificata, ma concretamente (cattolicamente) impegnata nella sua breve sfera… senza comunque limiti fissi a priori.
Questo poemetto di Arnaldo Ederle rappresenta un grido di dolore e una drammatica richiesta di aiuto di un uomo che per tanti anni della propria vita ha sofferto nel sielnzio, testimone degli effetti devastanti della droga sulla persona che più amava, chiedendosi il perché di tanto scempio, brancolando nel buio, senza risposte certe; affidandosi, infine, come Walter Benjamin, a quel Messia (che lui omaggia al femminile per l’more che portava alla donna) che, solo, ha il potere di salvare l’umanità. Il vizio della droga era per Arnaldo la negazione dei valori nei quali egli credeva. Leggiamo questi versi con tanto rispetto, tutto si può criticare ma non il sentimento che nasce dal dolore; memori anche dell’invito di un grande poeta versxo la condivisione:” Esser uomo fra gli umani\no non v’è più grande cosa.
esser uomo fra gli umani\no non v’é più dolce cosa
Ora che Casati ha rivelato che era di una donna amata il terribile rapporto con la droga, mi spiego meglio il distacco, la non partecipazione al fatto di Ederle. Non sapeva poteva voleva entrare nella cosa. Era affare -totale- dell’altra, non suo. La più totale estraneità a un’esperienza di vita che non gli apparteneva. Tanto dolore.
Non era di una donna amata il rapporto con la droga, Arnaldo l’ha vissuto con tutta la partecipazione possibile. Non posso, per ovvia discrezione, rivelare la persona.
Non intendevo che fosse un amore sentimentale, avevo però inteso che si trattasse di una donna. Quanto alla “partecipazione”, è riservata, non espressa nella poesia.
Non è affatto vero che non sia espressa nella poesia, non capisco perché si ostini a sostenere questa tesi assurda. Per me il dialogo finisce qui.
Signor Casati, immagino lei non direbbe che “si ostini” un signore grande e grosso o molto celebre, infatti ostinato si dice di un bambino… o di una donna. Naturalmente potrei motivare stilisticamente il riserbo emotivo di Ederle nella poesia, ma neanche io sono interessata a questo dialogo.
Ho letto il suo sproloquio (alle 6:10 di mattina, forse, non era ancora del tutto sveglia). Farsi schermo di essere donna, nel 2019, non è intelligente né onesto. Ritorni con i piedi per terra…Se vuole fare della critica letteraria si sforzi di cogliere il senso profondo della poesia e non si limiti a un discorso formale.
Non cel’ho con lei, anzi, la trovo simpatica, nella sua spontanea ingenuità.
Lei ci ricasca: si ostini, sproloquio, non del tutto sveglia, mi faccio schermo ma non intelligente né onesto. Lei si sente di poter dire queste cose… a una donna, appunto, e non se ne rende neppure conto. Buon per lei.
The End
Of course!