20 febbraio
Che fine avrà fatto il vecchio M.? Tutto preso dal culto della moglie defunta. La sua Beatrice. Una leggera ostilità tra noi. Si è mantenuta intatta malgrado le attestazioni di stima e la cordialità dei momenti d’incontro. Un ricordo preciso: quando mi portò a pranzo in quella bettola di operai e muratori.
I rapporti sono raffreddati o rallentati. Ce li trasciniamo. Stentando. Senza convinzione. Smarrimento.
23 marzo
Penso a Fortini e a Majorino nel ‘68. Sembrava che parlassero proprio di noi giovani d’allora nelle loro scritture.
4 aprile
Quando [‘60-’61] leggevo Hemingway! A tornarci sopra sui libri letti da giovane senza schermi critici, scopri un senso diverso, ti dicono altro. Come tornare su luoghi in cui sei passato. Quello che ti hanno dato lo ripensi in altro modo.
19 maggio
Quel bidello coi baffetti. Nel nostro corridoio al liceo Tasso ci vendeva le brioches fresche. Si chiamava Mario.
Sono diventato vecchio e senza l’autorità che io da giovane riconoscevo ai vecchi.
6 giugno
Metti un tizzone del sud nelle nebbie di Milano e lo vedrai sfrIggere. (E smorzarsi).
19 giugno
Accaldati e di corsa a bere. La zia o la mamma che consigliavano di non bere subito l’acqua “con l’aria dentro” appena versata dal rubinetto nel bicchiere.
Le accortezze, gli sguardi vigili e preoccupati di quando entravo in casa di S. Portavo a suo padre, che me l’aveva chiesta, la mia piccola collezione di francobolli appena iniziata. Lui era sempre in pigiama e con un mantellone addosso. Poi capii. Un pedofilo sotto controllo da parte dei familiari. Allarme a volte di figli e moglie. Era uscito e non si sapeva dove fosse finito o cosa stesse “combinando”.
28 giugno
RIcredermi sulle possibilità di confronto con L. e D. Leggo Mengaldo su Satura e ritrovo le posizioni di L.: la poesia come vuoto, la balbuzie, etc. Dovevo aspettarmelo: ho pubblicato Bajni e L. ha sparato a zero. Sempre leggendo Mengaldo su Satura: Mazzoni sarebbe un epigono montaliano.
Non posso ritrovare adesso che sono vecchio lo scatto allo studio e alle letture intense che ebbi da giovane. O dopo la sconfitta politica ( ‘76 – ‘78). Negli anni ‘80 stavo consolidandomi con letture assidue, impossibili ai tempi della militanza. Volevo persino studiare il tedesco per capire meglio Marx e la letteratura tedesca.
A Luperini 2009: No, il ditino alzato era il mio non quello di Fortini. Tutta la mia esperienza di periferia dovrebbe farmi concludere più a favore di Luperini e Mazzoni che di Fortini. No, in me resta vivo quel minimo di esperienza “d’azzurro” fatta.
7 Luglio
Silenzio dopo il mio “affondo” sulla piccola borghesia sul blog Moltinpoesia. L. tace e sorvola. Lo stesso D. Provare a vedere se S. reagisce più del lentissimo ( e forse ambiguo, pur nella sua correttezza diplomatica) M. Su N., davvero non contare. È pieno di lodi di facciata e su aspetti marginali (i figli, etc.) ma sulle questioni teoriche e politiche (integrazione del discorso su Marx o sua problematizzazione, ma tenendo conto anche degli “eretici” La Grassa e Preve) non ci sta. E mancava M. Altrimenti il suo attacco nei miei confronti, solo per averli citati in quell’incontro, sarebbe stato più violento. In mezzo a loro sto con mezzo piede dentro (accettato come uditore, mai come collaboratore) e tutto il resto fuori. Errore: fidarmi troppo di quelli che mi paiono vicini, mentre in realtà non lo sono.
Fare del mio ‘io’ il luogo principale di sedimentazione della riflessione? Gli interlocutori non diventano automaticamente collaboratori. Sono io che desidero troppo promuoverli a questo ruolo. (Per una mia oscura esigenza?). Quasi sempre non ci stanno e io finisco per dedicare più tempo a criticare le loro posizioni che a sviluppare i temi a cui vorrei che collaborassero.
Il gruppo è qualcosa di instabile e oscilla tra io e noi. La soggettività teorica può essere ora più alta nell’io ora nel noi. Sotto sotto, però, ho la sensazione che di questi tempi sia più l’io a lavorare sodo e a cogliere più verità. (E in passato? Ad es. Lenin?). Tuttavia, l’io non riesce a fare a meno del noi. Anche il noi ha una sua intelligenza teorica. È in apparenza più torpida, ma esiste. (È più vicina a quella della “massa”, che La Grassa vede solo come “scomposta”, mentre io tendo a vederla attiva, sebbene con modi suoi difficili da capire).
23 luglio
A chi importò il colore roseo della sua pelle / mentre l’uccidevano…
16 agosto
Io/noi. C’è una parte di sensazioni, di pensieri, di impressioni che si affacciano solo nel contenitore approssimativo che chiamiamo ‘io’; e che, all’incirca, può essere indicato con la persona quando se ne sta da sola. Questo è il campo esplorato dalla poesia cosiddetta lirica. Da non svalutare ma neppure da rendere unico e assoluto. Eppure quasi sempre, quando questa produzione dell’io comincia a circolare nel campo del ‘noi’ (pubblico, politico), la si considera unica, assoluta, tipica dell’io (o della Poesia). Eppure è vero che io e noi si sviluppano su strade diverse. Raramente s’incrociano davvero. Spesso si scontrano. L’epica è forse una di queste. Vi prevale di più il noi. Il romanzo è un’altra e vi prevale l’io. (In buona parte accade lo stesso anche nella saggistica).
Se l’io passa dai suoi pensieri “liberi” alla lettura – basta l’articolo di un giornale politico – si ritrova sconcertato, intimidito, impaurito, pieno di dubbi.
1 settembre
La figura di mio padre [militare nella Prima e nella prima Seconda mondiale]: uno che aveva avuto a che fare con la morte più di mia madre. (Per questo lo temevodi più?).
14. settembre
Esplorando on line “Come donchisciotte”. Mi verrebbe in mente di ripetere quello che feci nel ’78-’79. Leggevo con ansia le notizie dei giornali e le facevo entrare come materia prima nella mia riflessione in poesia. (Ad es. in alcuni pezzi di «La polis che non c’è»). Ma perché ora quasi sempre me ne manca la voglia?
29 settembre
Andare per la propria strada. Lasciar perdere amici e compagni di una volta.
11 ottobre
Quando partisti da SA non pensasti che avresti penato tanto con la gente che poi hai conosciuto.
Conficcato in mezzo a discorsi di superficie ma tenendo sempre in mente qualche discorso di profondità, t’accorgi che quasi mai puoi riportarlo in superficie. E quelli che stanno a loro agio nei discorsi di superficie non vogliono proprio sentirli i discorsi di profondità.
12 ottobre
Fino a che punto immagino gli altri come ingenui a cui io dovrei spiegare le cose? Cosa arriva davvero a loro di quel che penso e dico? Se ciascuno in fondo va per la sua strada, perché affannarsi tanto a dialogare? Il dialogo è una forma di comunicazione tipica di gruppi ben aggregati e consolidatisi in istituzioni. Mentre io e spesso quasi tutti i miei interlocutori parliamo al di fuori di esse. E sempre da una posizione di svantaggio. (Proprio per esserne fuori?).
Quanta disperazione c’è nel tentare di dialogare coi più giovani dopo aver capito di aver fallito nel tentativo di dialogare coi più vecchi e con quelli della tua generazione.
Immaginare per un attimo di dover parlare di questi temi (sociali, politici, culturali) con i morti (con mia madre o mio padre o i parenti e la gente che conoscevo a SA quando ero ragazzo e giovane). Questo sì che sarebbe straniamento.
Sei nella logica del ficcanaso che s’intromette nei discorsi già avviati dagli altri per dire la sua?
L.: tentare di coinvolgerlo in una collaborazione a due (che sarebbe poi più un confronto-scontro in realtà…) o lasciargli spazio sul blog come faccio con altre posizioni che davvero non condivido e insistere da solo a definire la via di una poesia esodante?
Moltinpoesia è un baraccone. Che io ho messo su e tiro avanti da solo. Alcuni ci salgono sopra, ma quando vogliono o credono opportuno farlo. E appena, però, tiro fuori discorsi, che sarebbero più “teorici”, tacciono o scantonano. Quei discorsi restano miei, non fanno scuola. Ma allora questo io-noi è una mia illusione, una mia incertezza? Mi sento io-noi perché non mi decido ad essere io e basta?
27 novembre
Chiudere con l’esperienza del Laboratorio Moltinpoesia?
La polemica: lasciano anche Marco d’Eramo e Joseph Halevi. E l’ex Vauro. Rossanda sbatte la porta: «manifesto» irriconoscibile, addio. La fondatrice: «Direzione indisponibile al dialogo»
18 dicembre
A X a proposito di “piccolo borghese”. Sì, lo sei. In questi modi civettuoli. Più nell’immaginario che nel reale. E, perciò, fingi di non sapere di esserlo.
27 dicembre
C’è da fermarsi per risolvere l’intoppo che senti parlando di futurismo e di avanguardia. Sotto il problema della modernizzazione, c’è la questione delle rivoluzioni e di quello che esse hanno svelato (il fascismo, lo stalinismo…). Perciò sarebbe importante misurarsi anche col bilancio storico di La Grassa. Da condividere o da respingere o da meditare comunque. Sotto il rifiuto di farlo ci può essere il debole desiderio di prolungare il sogno rivoluzionario (meglio: il romanticismo di quel sogno) senza “pagare il dazio”. O di farne solo una coperta di Linus. Mentre c’è da prendere atto che il capitalismo è davvero mutato e che il “movimento operaio” è stato posto fuori gioco. E che non si sa come ripartire da zero senza svendersi. (Lo diceva alla fine dei suoi giorni anche Lukàcs. Anche Fortini. E tanti altri…).