di Samizdat
MIO COMMENTO A “PREGHIERE ESAUDITE. SAVIANO E L’ABDICAZIONE DELLA LETTERATURA”
di Walter Siti
http://www.leparoleelecose.it/?p=36624&unapproved=420918&moderation-hash=6691c67ff1781d180bf9d740294d5fde#comment-420918
Ennio Abate3 OTTOBRE 2019 ALLE 09:27
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Da quali nemici e falsi amici si devono guardare i poeti (esodanti) [ 3 ottobre 2019:… e gli scrittori di romanzi; e i letterati]
Stralcio:
Essere capaci di attenzione verso la forma di una poesia è solo uno dei passi, necessari ma non sufficienti per intenderla davvero. Altri passi indispensabili riguardano anche il contenuto e il rapporto che in quel testo si stabilisce tra contenuto e forma. Voglio dire con questo, in contrasto con certe letture dominanti ancora oggi soprattutto negli ambienti universitari, che la squalifica o la diffidenza da parte degli “esperti” nei confronti di poesie, nelle quali il contenuto appare più in vista e la forma pare vicinissima al linguaggio comune o alla prosa (mettiamo per questo blog la mia Cronaca di performer che ha suscitato l’indignazione di Terzo o alcune di Eugenio Grandinetti) è al minimo sospetta. Altrettanto prevenute e discutibili sono molte critiche verso le letture del testo dichiarate “ingenue”, “rozze”, “contenutistiche” e di solito censurate per far diventare canoniche, obbligatorie, “migliori” quelle formalistiche (più o meno esclusivamente attente alla forma). Direi dunque che per me i primi passi per intendere una poesia debbano essere fatti sia in direzione della forma che in direzione del contenuto. Non si può avanzare con un piede soltanto. Fatto, dunque, il primo passo, che permette al lettore di distinguere una poesia da un articolo di giornale, accordata (senza esagerare come fanno i formalisti) la giusta attenzione alla forma, si fa anche l’altro per intendere bene il contenuto. Subito dopo ci si addentra in un terreno pieno di spinosi problemi e di possibili interpretazioni del testo e di come gli artisti o i poeti hanno trasformato o “trasfigurato” quei «materiali che appartengono a tutti gli altri campi della realtà umana» (Terzo). E il discorso porterà anche lontano, ma esso va condotto con pazienza e coraggio. Non ci sono ricette. Abbiamo spesso concordato anche sul fatto che oggi non ci sono – bene o male che sia – canoni. La discussione dovrebbe essere perciò senza paletti e senza “scomuniche”.
(https://moltinpoesia.blogspot.com/2011/02/ennio-abate-da-quali-nemici-e-falsi.html#more )
P.s.
“ Martedì 1 settembre 2009 – Luperini insiste: Saviano non è un letterato, è un « intellettuale ». Ed esattamente per questo lo approva, approva quello che fa. Luperini, si sa, non ama la letteratura: « 11 novembre 1992 – “ La letteratura non si salva con la letteratura “, scriveva nel 1988 Romano Luperini dando del “ solariano “ al Calvino delle Lezioni. Ma allora con che cosa si salva? Forse non si salva, ecco. ». (Barra)
E infatti, per salvarla =non tenerla bloccata , il Luperini sessantottino e marxista dei bei tempi pensava, come tanti, a una rivoluzione comunista. Non è stata – ancora una volta – possibile. Perciò abbiamo “le parole” da una parte e “le cose” dall’altra. Ovvero il solito braccio di ferro tra letterati apocalittici – oggi – alla Saviano e letterati integrati – oggi – alla Siti. E in giro troppi comunisti pentiti (anche letterati) che sanno solo difendere in blocco la letteratura, tutta la letteratura. Come se essa miracolosamente producesse ogni anno chissà quanti Kafka, Austen e Proust e sempre si dimostrasse « un modo di conoscere la realtà non surrogabile da altri tipi di conoscenza».
“Come se essa miracolosamente producesse ogni anno chissà quanti Kafka, Austen e Proust e sempre si dimostrasse « un modo di conoscere la realtà non surrogabile da altri tipi di conoscenza».”
1) Non è che si deve dimostrare. O è quello, o lascio perdere e vado al cinema.
Che senso ha, se non è « un modo di conoscere la realtà non surrogabile da altri tipi di conoscenza»? Di fare (male) quello che la saggistica fa bene? Di far passare il tempo? Di edificare? Di far riflettere su questo o quel problema politico o sociale? Lo fa anche un buon servizio televisivo. Di corrispondere alle aspettative estetiche del ceto medio? Dimmi tu.
2) Non produrrà tutti gli anni “chissà quanti Kafka, Austen e Proust “, non li ha mai prodotti tutti gli anni, ma questo cosa vuol dire? Che siamo autorizzati a adulterarla con i D’Avenia? E poi non è necessario essere Kafka o Proust, l’importante è essere onesti.
La distinzione fra forma e contenuto non regge. Se no – e proprio in poesia! – potremmo evitare di romperci la testa con testi difficili e passare direttamente al contenuto liofilizzato in bustina. Poi è chiaro che si può esagerare con l’analisi formale, e in ogni caso l’analisi formale non è più di uno strumento e a livello accademico ha senso solo se arriva a conclusioni non accademiche; ed è chiaro che bisogna capire “cosa dice il poeta”, ma il cosa dice non è distinguibile dal come lo dice; se no, ribadisco, poteva dirlo anche più semplice. A me sembra che tu esageri l’importanza attribuita alla forma, artificialmente separata dal contenuto, per costruirti un feticcio con cui prendertela. Se la poesia non ha un’autonomia cos’è? Un canale come un altro per veicolare contenuti? Ma allora sarà ben meglio utilizzare canali più semplici, non letterari, così siamo sicuri che i contenuti arrivano.
E non è che se uno difende l’autonomia della letteratura (perché c’è, se no?) diventa automaticamente un decadente o un accademico. ‘Bellezza’, detto così, non vuol dir niente.
“Cronaca di performer”. La poesia ha una fonte: una notizia diffusa dai media (io l’avevo letta, credo, su un giornale). Cosa aggiunge la poesia rispetto alla fonte? Quasi nulla. Stabilisce un confronto/contrasto con una certa immagine complessiva della Tunisia e un altro con una performance di Marina Abramovic. Che è un po’ come confrontare le mele con le pere. Per il resto, sul fatto, la poesia non aggiunge né toglie nulla a quello che aveva suscitato in me la notizia. Poesia scarsa, per me, benché onesta. Non sono le puffarolate di D’Avenia, questo è certo (presa da scrupolo per via delle maestre ho letto un po’, e ho passato una pessima giornata).
“A me sembra che tu esageri l’importanza attribuita alla forma, artificialmente separata dal contenuto, per costruirti un feticcio con cui prendertela. Se la poesia non ha un’autonomia cos’è? Un canale come un altro per veicolare contenuti? Ma allora sarà ben meglio utilizzare canali più semplici, non letterari, così siamo sicuri che i contenuti arrivano.” (Grammann)
Non ho bisogno di un feticcio su cui scaricare le mie frustrazioni . Ma sia il formalismo che il contenutismo come “refugium peccatorum”, difesa corporativa, ideologia di copertura, esistono. E a me non vanno.
Io pure sono convinto che forma e contenuto non sono separabili. ( Vedi soprattutto qui, dove credo di essermi spiegato meglio: https://moltinpoesia.blogspot.com/2011/02/ennio-abate-da-quali-nemici-e-falsi.html#more).
Quanto poi agli esempi concreti (“Cronaca di un performer” o altri) se ne può discutere. Io non l’avevo presentata come una grande poesia.
Insomma, io non vedo il fenomeno dei D’Avenia (o dei “moltinpoesia”, su cui ho più riflettuto) soltanto o soprattutto come “adulterazione” della Letteratura (o della Poesia). E non mi sento di difendere la Letteratura (come fa Siti in modo, per me, corporativo) contro i “barbari”. Mi interrogo sul perché la Letteratura non mi basti. E pur non essendo più del tutto “barbaro”, mi chiedo se, oltre a danneggiare, i “barbari” non pongano questioni irrisolte ( e che magari non sanno neppure risolvere). E perciò, nel testo linkato avevo scritto:
1. “Perché mi sento più vicino alla posizione di Fortini? Per varie ragioni: Fortini non si limita a un discorso puramente o esclusivamente estetico su quel complesso “oggetto” che è una poesia o un’opera d’arte; è più attento a indagare l’”impasto” ambiguo di storia, ideologia, immaginario, che forma una poesia; non sottrae al lettore comune (che non sempre è “fesso”, “ingenuo”, “profano”, ma a certe condizioni spontaneamente critico e indagatore curioso) l’interpretazione di un testo per consegnarla ai reali o supposti “specialisti della forma”, dai quali il lettore dovrebbe dipendere; non concede al poeta o all’artista un “lasciapassare”, una sorta non dico di impunità, ma di irresponsabilità etico-politica-conoscitiva” .
2.
“E allora preferisco chi, come Fortini, mi mette la pulce nell’orecchio. In maniera decisa egli insisteva sul fatto che la forma – anche quando è o proprio perché è forma (e quindi efficace, coerente con il contenuto, magari anche “bella”) – non smette mai di avere a che fare con un universo ideologico e storico pervaso dal conflitto; è comunque essa stessa impregnata di tale conflitto; e, proprio perché vi può alludere comunque solo in modo ambiguo, suscita reazioni diverse e prevede letture diverse, tutte da considerare e valutare. Per questo diffido soprattutto dei “formalisti puri” (Terzo non mi pare che lo sia davvero) così propensi ad autonomizzare in assoluto la forma (la poesia o addirittura la Poesia) dal resto, da ciò che forma non è, da ciò che non raggiunge la forma, da ciò che va messo da parte o cancellato o rimosso o dimenticato perché ci sia forma. Fortini diceva con chiarezza estrema sia che la forma è ambigua sia che, di conseguenza (e non solo per processi soggettivi del lettore) essa suscita due modi di riceverla, di leggerla che egli giudicava entrambi «fondamentali e antagonisti» e che, mutuando i termini da Hegel, chiamava signorile e servile. Il primo, diceva Fortini, legittima l’esistenza formale (fa della forma l’elemento centrale). Il secondo, quando non la nega del tutto (nei casi più “ingenui” o “rozzi”, quando si fa confusione tra arte e vita, politica e poesia), chiede soprattutto «messaggi e non forme». Perciò i lettori della poesia, quelli “ingenui” e quelli “raffinati”, hanno per lui – ripeto – due atteggiamenti entrambi significativi («fondamentali») e non facilmente conciliabili («antagonisti»): c’è chi bada al contenuto (o di più al contenuto) e chi «contempla il gioco della superficie verbale» (o soprattutto questo). E questo dissidio fondamentale e antagonista lo vivono, credo, gli stessi poeti.”
“Non ho bisogno di un feticcio su cui scaricare le mie frustrazioni”
Io non ho parlato di frustrazioni. Ma dell’abitudine diffusa e forse necessaria di “caricare” e ingrandire l’avversario oltre le sue reali dimensioni per farne veramente quell’avversario che probabilmente non sarebbe – e magari riuscire così a non vedere il vero antagonista.
Non capisco – veramente non capisco – perché non appena si introduce la necessità di una valutazione, di una selezione e separazione si debba subito essere bollati come formalisti. Ma cosa c’entra! Fra l’altro il discorso di Siti nell’ultimo saggio non è in realtà un discorso formalista (della “superficie verbale”). E’ un discorso strutturale, abbastanza complesso, ben informato su certe (diffuse) tendenze attuali e, senza essere una tesi di dottorato, in generale ben documentato.
E un’altra cosa che non capisco – troppo poco accademica per capirla – è cosa voglia dire, parlando di letteratura, “il gioco della superficie verbale” – come dire il gioco delle linee e dei colori in pittura.
Se ai “barbari” piace D’Avenia, l’unica cosa che ne deduco è che la letteratura non è per i barbari – cosa che i barbari stessi ammetterebbero più che volentieri e che non gli sarebbe di alcun pregiudizio, non ci fossero D’Avenia & co. a menarli per il naso fornendogli l’accesso facile facile alla (simil)letteratura a forma di cuore (mi piacerebbe vedere, fra i lettori di D’Avenia, quanti maschi e quante femmine).
Fra l’altro, una narrativa non necessariamente per introdotti ma di qualità esisterebbe, a dir la verità. Solo che non farebbe le vendite da invasioni barbariche di D’Avenia o di Carofiglio, presenti in tutti gli autogrill d’Italia insieme ai Tuc e alla Coca Cola. E allora non interessa l’editoria. Paradossalmente, tu non difendi una letteratura per i “barbari”, ma l’ulteriore imbarbarimento dei “barbari” ad opera dell’industria editoriale.
Cosa vorrebbe dire che Siti difende la letteratura in modo corporativo? Perché è stato professore universitario? O perché ne fa qualcosa di diverso da altre cose scritte?
(Occhio a identificare la gente col suo ruolo. Qui siamo quasi tutti ex insegnanti, eventualmente ex presidi – cioè gente che, a propriamente parlare, di letteratura non dovrebbe capire niente).
“così propensi ad autonomizzare in assoluto la forma (la poesia o addirittura la Poesia) dal resto, da ciò che forma non è, da ciò che non raggiunge la forma, da ciò che va messo da parte o cancellato o rimosso o dimenticato perché ci sia forma.”
Ma chi lo dice, che “va messo da parte o cancellato o rimosso o dimenticato perché ci sia forma”? Chi dice che, perché ci sia forma, sia necessario escludere qualcosa? Certo non posso infilare dentro tutto contemporaneamente, ma a tutto l’autore può dare forma, se è veramente la sua cosa. Però non è che a prenderlo e sbatterlo sulla pagina con delle moine da redentore del mondo hai già fatto.
“Mi interrogo sul perché la Letteratura non mi basti”.
Non so. Non so neanche perché dovrebbe bastare, non è mica Dio. Questo però non vuol dire che sia la qualunque.
E devi ancora dirmi cos’è, per te, letteratura.
“E devi ancora dirmi cos’è, per te, la letteratura” (Grammann)
Dovrei avere il tempo che avevano Sartre o Fortini per farlo! Quel poco che so dire sta nei link che ho segnalato e in questi commenti. Appena posso rileggerò il tuo articolo su Siti e cercherò di precisare di più. Buona domenica.
P.s.
E di Siti…