di Federico Bock
-1- “Se si priva il mondo della bellezza, non c’è rimedio all’umiliazione. Ma è difficile che ci sia bellezza nel mondo senza solidarietà per gli umiliati”, (Zygmunt Bauman, Il disagio della postmodernità, Laterza, Bari-Roma 2018, 340).
-2- “E’ una certezza strana e insopportabile sapere che la bellezza monumentale presuppone sempre una schiavitù ed è tuttavia bellezza, e che non si può non volere la bellezza e non si può volere la schiavitù, la quale rimane comunque inaccettabile. Forse è per questo che io pongo al di sopra di tutto la bellezza di un paesaggio che non è pagata con nessuna ingiustizia e dove il mio cuore è libero” (Albert Camus, Taccuini 1951-59, Bompiani, Milano 1992, 138).
-3- Esiste anche la bellezza delle strutture tecniche, esiste anche la bellezza del prodotto tecnicamente riuscito. In esso si manifesta una funzionalità che fa avvertire una necessità naturale, come forma pura dell’opera umana, che si riconosce pure nella struttura dell’organismo di animali e piante. E’ la bellezza dell’oggetto funzionale, esempio di forme predeterminate ed eterne (Karl Jaspers, Origine e senso della storia, Mimesis 2014, 153.
-4- La bellezza è concretamente giovevole, considerazione utilitaristica – questa – ma non meno plausibile alla luce delle intuizioni dei grandi letterati, da Dostoevskij (“la bellezza salverà il mondo”) a Leopardi, che nello Zibaldone (1666) fa una affermazione a proposito della musica, ma subito vòlta in direzione del “bello” in genere: “…Tanto è vero che il di lei (della musica: n.d.r.) singolare effetto non deriva dall’armonia in quanto armonia, ma da cagioni estranee alla essenza dell’armonia, e quindi alla teoria della convenienza e del bello (sottolineatura d.r.).
Come dire, accostando “convenienza” e “bello”, che il bello è conveniente rispetto al non-bello, il bello è utilitaristico, dà giovamento, ciò che riprova la giustezza del pensiero di Jaspers sopra riportato.
-5- “Bellezza” è un termine universalmente usato per designare il corrispondente “concetto”. Ma la difficoltà sta nell’individuare l’essenza, l’ontologia, l’essere (e non il dover-essere e neppure l’“esserci”) della bellezza. Altrimenti, ci s’impantana nelle infinite applicazioni del concetto di bellezza, nel relativismo più sfrenato, tipo: “non è bello quel che è bello, è bello quel che piace”.
Invece bisogna andare oltre il concetto di bellezza, per esplorare il quale basta consultare un buon dizionario (qualità di ciò che è bello, valore estetico delle cose). No, io voglio conoscere cosa è la bellezza, non il concetto della bellezza nei suoi molteplici contenuti, non voglio correre il rischio di banalizzare la bellezza con il “bello” e con il “mi piace”: la bellezza non è il “bello” e non è il “mi piace”.
-6- Il problema si presenta per ogni terminologia, che abbia la pretesa di racchiudere il senso dell’operare umano: termini come “bellezza”, “libertà”, “verità”, ad esempio, sarebbe quindi ridicolo ridurli tautologicamente a “bello”, “libero”, “vero”, o a farne una indefinita e poco plausibile casistica. Io credo che ci sia una sola bellezza, come c’è una sola libertà, come c’è una sola verità. Dove e come scovarle?
-7- Scovare, dunque, la bellezza.
Plutarco dice che nel tempio dedicato a Iside, a Sais, in Egitto, c’è un’iscrizione di fronte alla quale si sono inchinati i grandi del pensiero (Goethe, Schiller, Kant, Novalis):
– “Quid fuit, est, erit, ego sum, peplumque meum nemo submovit” (“Io sono tutto ciò che fu, che è, che sarà, e nessun mortale ha mai sollevato il mio velo”).
Ma non è forse, questo, l’emblema della bellezza? Allora la bellezza diviene l’aspirazione a sollevare il velo di Iside, diviene lo “streben”, la curiosità a (cercare di) perseguirla, come non dissimilmente avviene per altri termini delineanti l’operare dell’uomo, quali – dicevamo – la giustizia, la verità, la libertà.
Bellezza, dunque, è già la curiosità della bellezza, curiosità inappagabile, irraggiungibile, inarrestabile.
-8- Ma la curiosità della bellezza, per conseguire il proprio risultato, cioè per (cercare di) scovare la bellezza, richiede studio, applicazione, richiede assuefazione, abitudine, tutti aspetti – questi – che poco hanno a che vedere con la fretta.
Viene in mente il motto latino festina lente (affrettati lentamente), che Svetonio mette in bocca ad Augusto, oppure il mio motto “chi ha fretta ha sempre torto, chi ha torto ha sempre fretta”.
C’è un poeta francese, Valery, che ha teorizzato l’elogio della lentezza, che teme la fretta e la concitazione, che aborrisce la frenesia conseguente alla perdita di sensibilità del moto senza tregua. Valery è atterrito, più che dal vuoto, dal movimento infinito e senza senso che incontra ad ogni piè sospinto, e fa suo il frammento di Blaise Pascal “il silenzio eterno di questo spazio infinito mi spaventa”.
Lasciarsi spaventare dall’infinito, questo è “bellezza”. Anche se lo stesso Leopardi, che pure all’infinito ha dedicato una composizione, dubita che l’infinito sia veramente infinito, o non piuttosto “finito” anch’esso, dubbio cui la scienza non ha saputo finora rispondere.
Valery ritiene il progresso e la morte inestricabilmente connessi.
Sembra anticipare Adorno, quando questi afferma, nei Minima Moralia, che l’atteggiamento a-storico nei confronti della velocità del cambiamento si accompagna alla consapevolezza della sicura caducità del mondo.
Ma la caducità del mondo non è forse ancora una volta ciò che è nascosto sotto il velo di Iside? La caducità del mondo non può essere, forse, l’esserci heideggeriano della bellezza, il cui velo nessuno mai è riuscito a sollevare, ma tutti fra i dotati di cuore cercano pervicacemente di fare?
-9- Cambiando civiltà, nella Cina imperiale del XVIII secolo, l’eminente monaco e pittore Shitao scrive, nei Discorsi sulla pittura (Jouvence, Milano 2014, 38), “…Trasformazione è vita, e vita è trasformazione. La pittura non fa altro che offrire allo sguardo questa verità, metterla in forma visibile, o meglio rilanciarla nel suo aspetto di visibilità. Ciò che è male, ciò che è da evitare, secondo questa linea interpretativa del reale, è la stasi, il blocco. Cercare di fissare il reale, pensare di volerlo rendere stabile, immutabile: questo è l’errore, e il carattere che rende morto, sterile un dipinto.”
Siamo ancora al velo di Iside, e si noti che in tutto il suo scritto non una volta Shitao menziona il termine “bellezza”, che pure muove tutta la sua arte in una curiosità e tensione (“streben”) che lui stesso ben teorizza.
-10- Bellezza è femmina.
La “bellezza” non è il “bello”, che è soltanto suo attributo.
Bellezza” (femminile) e “bello” (maschile). Schönheit (femminile) e Schöne (neutro). Beauté (femminile) e beau (maschile). Beauty (femminile) e beauty (maschile). Belleza (femminile) e hermoso (maschile). Beleza (femminile) e belo (maschile).
-11- Concludo con Baudalaire (Inno alla bellezza), che è andato molto vicino all’iscrizione di Iside:
“Vieni dal cielo profondo o esci dall’abisso Bellezza? Il tuo sguardo, divino e infernale, dispensa alla rinfusa il sollievo e il crimine, ed in questo puoi essere paragonata al vino”.
E più avanti:
“Esci dal nero baratro o discendi dagli astri? Il destino irretito segue la tua gonna come un cane; semini a caso gioia e disastri, e governi ogni cosa e di nulla rispondi.”
Direi che questa lirica è proprio paradigmatica dell’iscrizione di Iside a Sais: io fui, io sono, io sarò, nessun essere umano ha mai sollevato il mio velo.
(F.B., 7 ottobre 2019)
Grazie!
Di un certo aroma heideggeriano insinuatosi nelle considerazioni di Federico (Bock) io – a torto o a ragione – diffido. E gliel’ho detto.
Se ne potrebbe parlare.
E anche di questa sua affermazione: “Bellezza, dunque, è già la curiosità della bellezza, curiosità inappagabile, irraggiungibile, inarrestabile”.
Alla quale obietterei: Ma anche la curiosità resta nell’ambito della soggettività. E poi perché la curiosità dovrebbe essere sicuramente bella?…
Posso tranquillizzare Ennio: Heidegger mi sta antipatico, fra gli esistenzialisti preferisco Sartre o Jaspers. Dunque, si rimane sempre nel soggettivo, dice Ennio. E’ vero, ma io scorgo lo sforzo sofferente della curiosita’, della ricerca, della tensione, come indice di bellezza. Piu’ che il prodotto “finito”. A proposito: complimenti per la scelta dell’immagine introduttiva. Viene la voglia di alzare il…velo (di Iside?!).
…sì, interessante questa carrellata di pensieri “d’autore” sulla “bellezza. Un concetto molto soggettivo, secondo me, che varia da persona a persona, ma anche relativamente alle epoche. Tra i pensieri, quello di Albert Camus, piuttosto simile a una riflessione di Walter Benjamin, mi colpisce perchè inserisce una più ampia considerazione, di natura etica, che mette in crisi il concetto steso di bellezza, quando è opera dell’essere umano…A. C. afferma anche che il paesaggio si salva, nella sua bellezza, non è oggetto di ingiustizie… ma forse oggi aggiornerebbe la sua idea
Credo proprio di si, Annamaria, almeno a leggere, come sto facendo, gli “Iperoggetti” di Thimoty Morton, iperoggetti fra i quali spicca il ris caldamento globale, che ha sovvertito il rapporto uomo/natura.
Che la curiosità sia già bellezza ….vero!
La ricerca del reale , dico, è bellezza.
Per me che sono sempre stata sognatrice scopro la bellezza del reale , di ciò che oggi è un pensiero che sembra lontano ma di cui abbiamo bisogno. La bellezza del reale, un pensiero troppo puro , difficile è la ricerca, complicata…troppi orpelli da eliminare ma la bellezza sta proprio lì o là o qui , dentro l’ieri ed anche in questo nostro tempo abbandonato a se stesso.
Federico Bock mi fa sempre pensare, scavare, trovare. Grazie