di Ennio Abate
Può un vecchio – intellettuale periferico che ancora s’occupa di Marx e di comunismo, poeta sconosciuto – polemizzare con una «poetessa, drammaturga, performer, organizzatrice culturale, autrice e conduttrice di programmi culturali per RAI Radio 3, critica letteraria per il quotidiano “il manifesto” », che considero anche brava e che ha quasi l’età della mia prima figlia? Sì, mi dico, se non vogliamo crepare di accondiscendenza ipocrita alle mode e non vogliamo seppellire la ricerca critica sotto le buone maniere.
In questo scambio improvvisato sulla pagina Facebook della Poetessa, ho voluto difendere una concezione della poesia che non può lasciarsi – secondo me – fagocitare dal sistema dei mass media e della società dello spettacolo. Lo spunto? Una minuzia, un cliché: una sua affermazione che apriva il post: «La poesia non è per specialisti né per eletti, non è per sognatori e anime belle. La poesia va difesa come un bene comune, senza il quale vivremmo tutti peggio. Tutti. Anche chi non la legge». L’ ho trovato demagogica, qualunquista, consolatoria. E non a caso ha innescato commenti plaudenti dello stesso tenore da parte dei seguaci. Li trascrivo (lasciandoli anonimi):
1. Perfettamente d’accordo! 2. ….anche chi non la legge... 3…..si, perché siamo tutti IMMERSI nella poesia 4. La storia delle civiltà è sempre stata accompagnata dallo studio e dalla composizione della poesia. Impegno civile, impegno letterario. E la poesia stessa è un impegno civile anche quando parla di temi esistenziali. 5. La poesia è nell’anima. Poi chi la sa esplicitare in parole e chi in altro… 6. chi non la legge vorrebbe ma senza lettura non si può scrivere E’ torre eburnea e borgo globale. La De Stael la raccomandava in traduzioni 7. Sei Poesia. Grazie.🌷❤ 8. Porto su Attacco Poetico. Grazie 🍀 9. poesia è anche la mia. Grazie per l’inclusione dei non poeti. 10 Giustissimo. Giovedi a G. inizio un corso di letture. 11. Bene comune ! quanti rovesciamenti mentalità comune vanno fatti per viverlo tutti. 12. Come non condividere? 13. La Poesia è di tutti ed è dentro ciascuno di noi. 13. Questa ‘raffinata qualità’ di Essere Interiore però, è percepita e vissuta a livelli, intensità differenti. 14. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Che faccio? Intervengo o no? Alla fine ho deciso di buttare questo sasso ( di semplice realismo) nello stagno:
Ennio Abate Se c’è gente che non legge poesia vuol dire che la poesia Non È di tutti.
Se poi “siamo tutti immersi nella poesia” che bisogno c’è di leggerla?
Mettetevi d’accordo…
E’ iniziato allora questo duello (polemico certamente da parte mia; e risentito da parte della Poetessa, mentre i commentatori hanno taciuto) :
Poetessa sappiamo che la poesia non è un teorema, sappiamo che in questa pagina ognuno può esprimersi liberamente e dunque viga pure il disaccordo. in questo caso credo che chi scrive che siamo immersi nella poesia non ci immagina tuffati nei libri come Paperon de’ Paperoni nei dollari, ma intende che siamo immersi nella bellezza, o nello stato di coscienza che ci rende sensibili alla bellezza (o al suo rovescio) e che, come scrive G., alcuni traducono in parole, altri no.
Ennio Abate ” intende che siamo immersi nella bellezza, o nello stato di coscienza che ci rende sensibili alla bellezza (o al suo rovescio)”
Con la scusa che”la poesia non è un teorema” sparate affermazioni che hanno riscontro solo nella vostra testa. Siamo immersi nella bellezza? Chi? Quanti possono dire una cosa del genere? Quanti vivono “nello stato di coscienza che ci rende sensibili alla bellezza”? Ma scendete dal pero- Che non è quello della poesia, ma di una certa concezione (ipersoggettivistica) della poesia! Non parlate solo ai poeti o agli aspiranti poeti.
Poetessa il rovescio della bellezza è l’orrore. se l’obiezione di fondo è che non tutti leggono poesia e dunque non è vero che siamo tutti immersi nella poesia (che, da sempre, è bellezza e orrore), è talmente ovvio che non c’è neanche bisogno di scriverlo. ma la mia politica esistenziale, e dunque la mia poetica, è puntare lo sguardo oltre quello che pure vedo. dunque credo che, se al mondo ci sono ancora i poeti, nonostante tutto, il mondo gira meglio. ma queste non sono appunto cose che si possano dimostrare come teoremi matematici, si possono “solo” “sentire” e intuire. le auguro una buona giornata.
Ennio Abate Appunto, anche per me “il rovescio della bellezza è l’orrore”. Storico, aggiungo. Nella vita dei singoli e delle società bellezza ed orrore sono mescolate e si presentano in proporzioni continuamente variabili. Ma in poesia? L’orrore (specie oggi quello “politico”) fatica ad entrare in poesia ed è quasi sempre esorcizzato. Secondo me, anche dai poeti così detti “civili”. Per antica consuetudine di classe, la poesia pende troppo dalla parte dei Potenti di turno (anche “democratici”). Che la vogliono Bella (e Scema). E tra poeti e poetesse pochissimi/e oggi puntano lo sguardo oltre l’ovatta della Bellezza Occidentale. Né mi pare “sentano” o “intuiscano” che quello che scrivono o tentano di scrivere non è solo «documento di cultura» ma sempre « nello stesso tempo, documento di barbarie» (Benjamin). Solo per ricordare che “il mondo [NON] gira meglio” con poeti lotofagi sono intervenuto a “disturbare” il vostro idilliaco “fessbucchare”. Buona giornata.
Poetessa no, guardi, ha proprio sbagliato bacheca, mi creda. non so cosa l’abbia attratto qui, visto che – con ogni evidenza – non mi conosce. ove lo gradisca, si informi (Qui link su un giornale di affari economici con una intervista fattale sulla sua ultima raccolta poetica)
Ennio Abate Chi non la conosce? Lei è visibilissima. Perciò, senza “attrazione”, mi sono permesso di intervenire nel suo cenacolo fessbucchiano. Ma ora smammo. Le dive non devono giustamente essere disturbate. Buona giornata.
Poetessa Come vede non do affatto per scontato di essere conosciuta. Ma, se mi legge, perché mi accusa di non fare quel che sa che faccio? Per fortuna però, siccome a questo punto siamo scivolati in un film di Alberto Sordi, siamo autorizzati a ridere.
Ennio Abate
E chi l’accusa? Pensavo di discutere dello stato della poesia oggi, non di lei.
Poetessa “scendete dal pero” non è un buon esordio per un dialogo critico. in ogni caso, la mia battaglia personale, se ben capisco, è la sua: che la poesia manifesti la propria vicinanza a quella cosa che, per capirci, chiamiamo realtà. storica, sociale, politica
Ennio Abate “scendete dal pero” non è un buon esordio per un dialogo critico.”
Beh, si rilegga i primi commenti. C’è quel tono da discorso “inter nos” (tra poeti che la sanno lunga) che non sopporto. E qualche scossone da qualcuno esterno al giro vi spaventa? Ma se è tutto un parlare “democratico” di accoglienza dell’Altro, etc? Comunque, non voglio esagerare. Quanto avevo da dire in quest’occasione l’ho detto. Buona giornata a tutti/e.
Conclusione provvisoria. Proprio perché sul fenomeno dei moltinpoesia ho cercato di sviluppare un discorso aperto e critico, penso sia da contrastare lo stile televisivo, fessbucchiano, festivaliero e apparentemente “civile”, che oggi ha finito per prevalere tra quanti praticano e s’interessano ancora di poesia.
P.s.
Sia chiaro che qui non sfioro la produzione e la poetica della Poetessa in questione. Questa polemichetta sa di contingenza, ma anch’essa ha la sua importanza.
Mi pare evidente che Maria Grazia Calandrone e Ennio Abate parlino di cose diverse, in ambiti diversi e rivolgendosi a persone diverse, usando parole ed espressioni equivoche, che assumono significati diversi nei due ambiti di discorso, entro i quali ognuno ha la sua ragione e la polemica è un pretesto per invadere e/o criticare l’ambito dell’interlocutore. E in questo modo la critica non riguarda più la “poesia” ma il modo di vederla e viverla di certe persone. Ennio discute della poesia, ma molto di più e direttamente (al di là di ciò che sostiene) critica il modo di fare della poetessa M.G. Calandrone e del modo di vivere la poesia che lei rappresenta.
Ma quando le parole usate sono generiche si può avere ragione e torto insieme, ciò dipende da come chi legge scioglie il generico in uno dei suoi significati possibili.
Faccio due esempi:
1) La “poetessa” scrive: «La poesia non è per specialisti né per eletti, non è per sognatori e anime belle. La poesia va difesa come un bene comune, senza il quale vivremmo tutti peggio. Tutti. Anche chi non la legge». Ha perfettamente ragione, perché qui per “poesia” si intende sia una certa attività sia dei valori che hanno significato anche per chi non svolge quell’attività. Possiamo riscrivere la frase sostituendo altre cose al termine “poesia” e la frase conserva identico significato. Esempio: «La stampa periodica non è per specialisti né per eletti, non è per sognatori e anime belle. La stampa periodica va difesa come un bene comune, senza il quale vivremmo tutti peggio. Tutti. Anche chi non la legge». Nulla da eccepire.
2) Un commento afferma: «si, perché siamo tutti IMMERSI nella poesia». È evidente che qui per poesia non si intende una specifica attività e nemmeno un valore specifico, ma un carattere tendenzialmente oggettivo della realtà, una qualità della realtà: la “poesia” di un bel paesaggio (o di un brutto paesaggio, perché anche il brutto può avere la sua “poesia”); la poesia di un sorriso; la poesia di un modo di comportarsi; la poesia di un’opera d’arte, ecc. ecc.
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Il termine “poesia”, pertanto, ora è usato per indicare il carattere “poetico” di qualcosa, ora per indicare la sensibilità soggettiva nei confronti di quel carattere e di quel qualcosa; ora per indicare un particolare contenuto o tenore o registro di scrittura di un testo scritto in prosa o in versi; ora per indicare una specifica forma di scrittura in versi e la sua riuscita (più o meno riuscita), cioè il suo presentarsi a un certo livello qualitativo (di forma e di contenuto); ora per indicare la stessa specifica forma di scrittura in versi a prescindere dalla sua riuscita, cioè in relazione solo al suo presentarsi formalmente come appartenente, almeno come tentativo, a quella forma.
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Se non ci si muove nello stesso ambito di discorso il dialogo è inutile, perché crea solo incomprensione e obbligatoriamente non viene percepito come dialogo ma come scontro, come contrapposizione, come polemica, come negazione di ciò che si sta facendo e della persona che lo sta facendo (almeno del suo modo di farlo).
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Chi ha ragione? Tutti e due, ognuno nel suo ambito. Poi, chi legge, può scegliere in quale ambito collocarsi, il che vuol dire quale ambito considera migliore o comunque più adatto a lui (o più positivo, più efficace, più politicamente indovinato ecc.).
Per Maria Grazia Calandrone l’ambito della poesia è quello della promozione della bellezza, dei buoni sentimenti ecc.? Per Ennio Abate è invece quello della presa di coscienza della tragica situazione della storia e dell’impegno a favore di chi ha ragione? Forse. E comunque sono entrambi modi particolari e generici, perché poi in pratica, da sempre, la “poesia” ha mille volti diversi e non necessariamente dialoganti fra loro, come, del resto, qualsiasi attività umana.
Aggiunta:
E capita spesso che la stessa persona, in momenti e circostanze diverse, svolga ruoli diversi, non necessariamente in contrasto, ma che altri possono vederli in contrasto, o che effettivamente siano svolti con modalità contrastanti.
Calandrone poetessa, drammaturga, giornalista, artista visiva, autrice e conduttrice per Rai Radio 3 italiana adotta necessariamente stili diversi in queste sue diverse attività professionali. E magari, talvolta, il filo della coerenza si spezza.
“Ogni generazione ha il suo compito e non ha bisogno di tormentarsi per voler essere tutto, per le generazioni che la precedettero e per quelle che la seguiranno” (dalla Prefazione a “Il concetto dell’angoscia”, di Kierkegaard.
A me stupisce che ci si stupisca, sia dei commenti su FB perchè FB è questo, non altro, e pensare di cambiarne la natura mi pare costituisca una delle ultime utopie contemporanee (per questo ho sempre ritenuto un ossimoro che su FB ci sia una pagina di Poliscritture); sia del merito della disputa: i lettori di poesia non esistono più e chi ancora la legge nella maggior parte dei casi si sente parte di una comunità, setta, fede nella quale il pensiero anche solo velatamente critico è bandito e la discussione fra posizioni diverse finisce sempre con il salomonico che, in “nome” della poesia, tutti hanno ragione…
Attendiamo allora il crollo di Facebook , magari assieme a quello del capitalismo!
La pagina di Poliscritture su FB non si propone di “cambiarne la natura” ma, non cedendo alle lusinghe e ai condizionamenti narcisistici tipici del mezzo, sfrutta la possibilità che esso offre per far circolare “messaggi di critica in bottiglia” non dissimili da quelli del sito. Ed ogni tanto qualche riscontro positivo mi arriva.
Ho appena parlato della “caccia all’ideologico quotidiano” di Accame e Oliva (https://www.poliscritture.it/2019/10/24/quando-cera-la-caccia-allideologico-quotidiano/). Ecco questo è ancora un possibile modello d’intervento. Se ce ne fossero di migliori, qualcuno li indichi.
Il medesimo ragionamento vale per la poesia. Proprio perché ridotta a campo di battaglia per piccole tribù settarie, che temono il pensiero critico e il confronto, ci sono tre scelte possibili: rassegnarsi e deplorare, accodarsi o arruolarsi, criticare tutti gli idola tribus.
E, più in generale, questo vale anche per la politica tout court.
Ciascuno faccia la sua scelta.