di Angelo Australi
Pubblicato per la prima volta nel 1976 da Einaudi il saggio storico di Carlo Ginzburg Il formaggio e i vermi, viene oggi riproposto da Adelphi arricchito di una postfazione dell’autore.
Nel libro si cerca di capire che personaggio fosse Domenico Scandella, detto Menocchio, contadino e mugnaio di Montereale Valcellina, analizzando i verbali del processo per eresia a cui il Sant’Uffizio friulano nel 1583 lo aveva sottoposto, in una tortura processuale che durerà ben quindici anni.
Anche se sapeva leggere e scrivere Menocchio non faceva parte del clero o della aristocrazia, veniva dalla vasta schiera del popolo, degli ultimi, di coloro che sono sempre stati dimenticati dalla storia. Dai verbali del processo recuperati da Carlo Ginzburg, in una metafora l’imputato espone la sua idea sul come il cosmo si sia formato da un caos primordiale dove i quattro elementi (acqua, aria, terra e fuoco) fusi insieme si condensano in una blocco come fa il latte quando diventa formaggio, e proprio come da quest’ultimo si formano i vermi, nascono gli angeli e Dio. Un’immagine della nascita della vita da qualcosa di non vivo, in netto contrasto con la visione di un’idea della creazione progettata da un essere superiore.
Una figura quella del mugnaio indubbiamente fuori dal comune, per questo percepita come strana, anomala, dai suoi concittadini, che Carlo Ginzburg cerca di analizzare nel rapporto sempre conflittuale tra cultura dominante e cultura popolare. Il tema alto/basso finisce per costituire il punto centrale dell’intero saggio, perché intorno ad esso si snoda la ricerca sul come può svilupparsi una cultura popolare tramandata oralmente per generazioni e generazioni, e quali siano i punti di contaminazione e/o di conflitto con un pensiero dominante, che costituisce la base di oggettive ripercussioni politiche e sociali nella società che li ha prodotti.
Sul libro è uscita in questa giorni un’interessante recensione di Claudio Piersanti (qui), che consiglierei di leggere.