di Ennio Abate
Ho pubblicato volentieri il post di cronaca di Marisa Salabelle su don Biancalani (qui) ma devo precisare che queste pur lodevoli e buone e necessarie provocazioni non bastano. Nel senso che tutto questo giocare di fioretto sul piano dei simboli e della comunicazione non permetterà mai di cambiare realmente i rapporti di forza oggi sfavorevolissimi tra – per abbreviare – “noi” e “loro”. Non credo di sottovalutare il peso di certi messaggi simbolici, ma i problemi reali vengono solo sfiorati. Resta il fatto che la società non si smuove. E semmai, sul piano simbolico, il colpetto che danno Biancalani o le sardine è sommerso dal cupo avanzare – lento, sotterraneo – di un malcontento che ha toni sempre più razzisti e qualunquisti-populisti. Non voglio fare il profeta di sventure, ma cosa succederà alle elezioni? E’ il movimento sottostante e preoccupante dell’insieme che ci sfugge, secondo me.
P.s. Stamattina ho letto un ragionamento di Roberto Fineschi sul populismo che dà senso a queste mie preoccupazioni e mostra quanto le cose da capire e fare siano più complesse. (E credo che rifletterci non significhi svalutare quello che fa don Biancalani o potrebbero fare le “sardine” da troppi frettolosamente snobbate).
L’ho segnalato così su POLISCRITTURE FB:
SEGNALAZIONE/ UN (BUON) RIPASSO DEL CONCETTO DI POPULISMO
Populismo, punti di partenza
di Roberto Fineschi
Stralci:
Questo popolo include anche le classi dominanti che però guardano alla sua componente bassa come un animale più o meno docile da domare attraverso gruppi aristocratici o, in casi estremi, una figura leaderistica che ne sappia comprendere ed incarnare le pulsioni; la comune appartenenza non cancella insomma una legittima gerarchia sociale.
2.
Siccome tutti gli aspetti positivi della modernità si sono sviluppati insieme agli aspetti negativi, allo stesso tempo e contraddittoriamente in seno e grazie al modo di produzione capitalistico stesso, l’anticapitalismo può, essenzialmente, svilupparsi in due direzioni completamente differenti: la rivolta anti-moderna che vuole tornare indietro, quindi respingere in blocco tutto ciò che si è sviluppato grazie al capitalismo perdendo tutte le acquisizioni storiche ottenute grazie a esso, inclusi i diritti sociali e civili, con la nostalgia di un mondo passato o il sogno astratto di un mondo completamente altro; oppure andare in avanti, vale a dire criticare la forma sociale del capitalismo ormai autodistruttiva e salvarne le acquisizioni epocali che sarebbe solo regressivo e conservatore voler perdere.
3.
Se non si comprende la natura contraddittoria del modo di produzione capitalistico che allo stesso tempo produce libertà e sfruttamento, ricchezza e povertà, l’uomo universale e la sua alienazione e via dicendo e si cerca di superarne in maniera progressiva la forma oramai inadeguata di riproduzione sociale, si ricade in un “prima” o “altro” che, per gli standard civili e sociali su cui si basa la nostra vita comune, significa semplicemente barbarie. Confondere la rivolta romantica anticapitalistica con la critica del modo di produzione capitalistico produce, alla fine della catena delle mediazioni, il fascismo. Il populismo è uno degli anelli di questa catena degenerativa.
4.
Il populismo corrente si può avvantaggiare di una nuova strumentazione tecnologica. Il canale diretto tra il leader e la massa è, come si fa notare da vari fronti, agevolato dall’emergere di nuovi mezzi di comunicazione che consentono di agire direttamente sul singolo a un livello di personalizzazione inimmaginabile fino a pochi giorni fa, captando, cavalcando ed incanalando le pulsioni più disparate. Ciò, tuttavia, non produce ideologia, vale a dire una visione del mondo in qualche modo coerente, ma meri ideologemi, singoli contenuti ai quali si dice sì o no, per poi lasciarsi convincere da chi un’ideologia vera e propria invece ce l’ha, o meglio da chi ha un preciso programma di classe ma del quale non fa cultura, bensì solo propaganda.
5.
L’incapacità di produrre cultura può essere la spia di una crisi di egemonia reale e di un passaggio a una fase dispotica tout court, dove il dominio passa attraverso l’instupidimento di massa e la circonvenzione di incapaci.
6.
Il primo punto nodale in senso critico che è emerso e continua a emergere nei vari dibattiti che si susseguono sul tema del populismo è spesso la mancanza di un elemento chiave, vale a dire niente meno che spiegare – o almeno tentare di spiegare – come questi processi si tengano insieme con la dinamica odierna del capitalismo. Non semplicemente del modo di produzione capitalistico di cui parlava Marx a un livello di astrazione altissimo, ma del capitalismo nella sua fase tarda, nel contesto più concreto della sua dinamica sistemica che include stati, livelli diversi di sviluppo, temporalità determinate e diversità subsistemiche.
7.
la paura di essere tacciati di determinismo economicistico sempre più ha portato a orientarsi verso un approccio culturalista, “sovrastrutturale” e via dicendo, in cui intenzionalmente si lascia[…] in secondo piano la questione cruciale del nesso sociale complessivo di produzione di cose e di idee, fino al paradosso che il tema [la dinamica storico-epocale del modo di produzione capitalistico] è scomparso. Considerazioni analoghe si potrebbero fare riguardo alla critica del Neoliberismo, talvolta condotta senza neanche nominare monsieur le capital.
8.
Per andare oltre la descrizione o la pur comprensibile condanna morale, si tratta di comprendere come l’ideologia populista sia concettualmente e realmente possibile nella dinamica tarda del modo di produzione capitalistico; quali elementi strutturali la rendano socialmente praticabile. Anche qui la confusione è tanta e forse vale la pena ripartire dalle basi, ricordando che con ideologia non si intende semplicemente il prevalere di questo o quel discorso, ma l’affermarsi di una concezione del mondo già esistente in una prassi sociale effettiva, che riannoda a sua volta a posizioni di classe precise. Quindi, finisce per avere carattere estremamente limitato e scarsamente efficace la critica “morale” dell’inumanità o dell’ingiustizia del plebiscitarismo, del razzismo, della crisi delle istituzioni democratiche che in genere si associano al populismo; esistono processi sociali obiettivi che rendono queste deprecabili idee socialmente appetibili, perché rispondono o danno voce a prassi sociali già obiettivamente in atto.
9.
Si tratta parallelamente di individuare obiettivamente gli effettivi soggetti storici nella loro configurazione complessa e mediata rispetto al vecchio schematismo binario operai-capitale. Questo però è possibile farlo solo attraverso Marx e una corretta ricostruzione della sua teoria delle classi a un livello di astrazione più basso di quella della teoria astratta del modo di produzione capitalistico [3].
Nota
[3] Tentativi in questo senso sono quelli di Alessandro Mazzone su “Proteo” di alcuni anni fa: 1. Le classi nel mondo moderno, 2) Le classi nel mondo moderno. La complessità del conflitto (Seconda parte), 3) Le classi nel mondo moderno (parte terza) Nuove frontiere della produzione e dello sfruttamento. Mi permetto di rimandare anche alla mia distinzione tra “forme” e “figure” sviluppata nella terza parte di Un nuovo Marx, Roma, Carocci, 2008 (una introduzione sintetica al tema la si può trovare in: Epoca, fasi storiche, Capitalismi).
Sono d’accordo con Ennio: certi gesti, certe azioni o testimonianze sono insufficienti, sebbene importanti. E trovo molto interessanti gli stralci dell’articolo di Fineschi che ha proposto alla nostra attenzione. Il fatto è che da molto tempo manca una vera alternativa alla realtà nella quale viviamo e della quale tutti conosciamo le ambiguità. In particolare, trovo particolarmente acuta la considerazione che la ricetta proposta dai populisti e dalle destre estreme non raffiguri altro che un auspicato ritorno a una presunta età dell’oro che mai è esistita. Seguo con interesse la mobilitazione pacifica di tanti giovani, e meno giovani, come le ormai famose sardine o i seguaci di Greta: non trovo che abbia ragione chi li incolpa di non avere “la soluzione” perché credo che non sia questo il loro compito. Però, in definitiva, qual è l’alternativa alla quale aspirano (mi riferisco in particolare al movimento delle sardine)? Da quel poco che ho capito mi pare che non mettano nemmeno in discussione il sistema economico-politico capitalistico. Quanto a Biancalani, lui si dichiara semplicemente un prete e non aspira a essere un leader politico; è disposto a battersi per l’accoglienza, ma non è portatore di un progetto politico.
Quello che io mi chiedo, senza essere definita “catastrofista”, è se esista, e quale sia al momento, una vera alternativa, e chi ci sia in giro disposto a perseguirla. Il nostro Paese poi, in maggioranza, si colloca politicamente a destra, non dimentichiamolo.
«Quello che io mi chiedo, senza essere definita “catastrofista”, è se esista, e quale sia al momento, una vera alternativa, e chi ci sia in giro disposto a perseguirla. Il nostro Paese poi, in maggioranza, si colloca politicamente a destra, non dimentichiamolo». (Marisa Salabelle)
Messa così la domanda, la cosa più semplice e onesta sarebbe rispondere: No, non esiste nessuna vera alternativa. Per stare al solo Novecento, da un bel po’ (dal ‘22? dal ‘45? dal ‘68-’69? dal ‘77?) anche quei fenomeni socio-politici che sono comparsi di tanto in tanto e vengono presentati come movimenti: la Pantera, i forconi, il movimento 5 stelle e, ora, le sardine, ma forse ne ho saltato qualcuno… sono effimeri, deludono, infiammano a stento gli animi della generazione (o di una sezione) da cui emergono. O presto “si fanno Stato”. Vedi Lega (Nord e salviniana). Vedi “grillini” o “pentastellati”. E, dunque, alternativa non sono più.
Di fronte alle “sardine” capisco la delusione di Marisa, quando
osserva: «Da quel poco che ho capito mi pare che non mettano nemmeno in discussione il sistema economico-politico capitalistico».
Allora – per me, per la generazione degli ex sessantottini, l’unica nella quale negli ultimi decenni (tanti “dieci inverni” di seguito, dico pensando a Fortini) ho trovato ancora possibili interlocutori – proporrei un altro tipo di domanda: che possiamo fare proprio noi (o stiamo già facendo?) che, nel caso si verificassero certe condizioni, aiuterebbe ad intravvederla questa «vera alternativa», che per ora proprio non si vede?
È l’idea su cui era sorta nel 2005 Poliscritture. E che faticosamente abbiamo/ho tenuta viva. Accorgendomi, del resto, che tanti altri – isolati più o meno quanto me – fanno cose simili: migliori, o peggiori, o più ambigue. Che si tratterebbe di REGISTRARE, STUDIARE, VERIFICARE, TRADURRE POSSIBILMENTE IN LINGUAGGI PIU’ ACCESSIBILI A QUANTI NON SI POSSONO PIU’ PERMETTERE O NON HANNO PIU’ LA MOTIVAZIONE SUFFICIENTE PER LEGGERE SAGGI O ARTICOLI LUNGHI E COMPLESSI.
Non faccio nomi. Ma molti in questi anni sono comparsi anche su Poliscritture. O si trovano su Facebook e su riviste on line. Se ciascuno di noi segnalasse o commentasse o criticasse il post o il saggio o il libro di Tizio o Caio che l’ha “colpito” o lo recensisse, faremmo già un ottimo lavoro di disboscamento, di potatura, ecc.
È sicuro che questo sforzo aiuterà – domani, dopodomani, chissà quando? – a intravvedere la «vera alternativa»? No. È soltanto una scommessa. Che per me è preferibile al silenzio, al mugugno, all’indifferenza, al non c’è nulla da fare, al gregarismo, al clientelismo, eccetera.
SEGNALAZIONE/ RAPPORTO CENSIS
Siamo a questo punto nella percezione dello “stato delle cose”:
” Oggi il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale è bloccata. Il 63% degli operai crede che in futuro resterà fermo nella condizione socio-economica attuale, perché è difficile salire nella scala sociale. Il 64% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata in basso. Infine, gli italiani hanno dovuto rinunciare perfino ai due pilastri storici della sicurezza familiare, il mattone e i Bot, di fronte a un mercato immobiliare senza più le garanzie di rivalutazione di una volta e a titoli di Stato dai rendimenti infinitesimali.”
E a questo punto rispetto al che fare o alle attese di soluzioni:
“Il rapporto Censis, nel capitolo sulle pulsioni autoritarie del Paese, interroga le responsabilità politica anche sotto altri profili. A cominciare dall’ossessione leaderista che tutti i partiti hanno coltivato nell’ultimo ventennio. È l’idea che sia sufficiente “il volto giusto” per domare i sondaggi, conquistare la vetta, fare la storia, e che il compito della politica sia appunto produrre questo tipo di Capo e lasciarlo sbizzarrire. Forza Italia, il partito personale per eccellenza, aprì a suo tempo la strada, ma su quel sentiero hanno camminato tutti, con maggiore o minor fortuna, in doppio petto o giubbotto, con la felpa o con lo zainetto. La rivoluzione alla fine non l’ha fatta nessuno e però la convinzione che il destino italiano sia affidato al karma salvifico di un qualche Uomo della Provvidenza si è diffusa e ha conquistato gli animi. Nessuno pensa più che il compito della politica sia produrre idee e farle avanzare nella società: si attende il messia che moltiplichi pani e pesci o ci insegni a camminare sulle acque”.
(da https://www.linkiesta.it/it/article/2019/12/07/censis-rapporto-italia-politica-fascismo/44666/?fbclid=IwAR0BCmQJ4K61AhXBZCPesGMUadIdJf_piDWrkDEgiftq2zuNeJeEUybvP3A)
…ci sarebbe lavoro da fare, lo so, modesto, ma meglio di niente, come dice Ennio. Solo che arriva un momento in cui ti arrendi un po’…vuoi la visione sconfortante della realtà, vuoi le scarse risorse personali.
Il rapporto Censis, per quello che ho capito, sottolinea nel Paese la presenza di due forze (apparentemente ?) contrapposte: da una parte le pulsioni autoritarie che aspirano a un leader che, fingendo di voler tutto cambiare, ristabilisca le dinamiche di potere per cui siamo arrivati a questo punto, e dall’altra una sorta di “furore individuale” che aspira al “si salvi chi e come può” sempre all’interno dei soliti rapporti di forza…E’ vero che i giovani dei movimenti come la sardine o i seguaci di Greta non hanno ancora maturato una loro visione complessiva, ma comunque vedono chiaramente e vivono, preoccupati del futuro, molte delle conseguenze nefaste del sistema capitalistico, agiscono per quel tanto o poco che possono…Si schierano contro i pregiudizi e le paure indotte nei confronti di chi è in qualche modo “diverso” ed eletto capro espiatorio, si fanno promotori di un cambiamento del sistema di sviluppo e di produzione, che rigeneri la Terra e annulli gli squilibri economici nelle aree del mondo…Mi sento di dare a loro fiducia, questi giovani imparano ad agire insieme, evitando individualismo e autoritarismo…Per quanto mi riguarda mi sento più osservatrice che altro, anche se qualcosa faccio…Davanti poi per molti all’emergenza sopravvivenza, vedi freddo e fame, tanto di cappello a don Biancalani…Mi resta la domanda aperta: come procede il pensiero per una soluzione più radicale dei problemi?