di Giorgio Mannacio
Il linguaggio giuridico specialistico che Mannacio usa in questo articolo per ragionare sul tema della prescrizione, che è attualmente dibattuto in modi tormentati e confusi, non ha nulla a che fare – c’è bisogno di precisarlo? – col latinorum o col “burocratese”. Richiede (e merita) solo lettori più attenti. [E. A.]
1. L’oggetto
Il mio intervento riguarda la prescrizione dei reati, uno dei tanti argomenti di scontro tra maggioranza e opposizione. Incredibile a dirsi ma su tale argomento è già stata approvata una legge che si cerca immediatamente di modificare. Ciò prova lo stato confusionale dell’attività che caratterizza la situazione politica italiana in questo momento.
2. Il titolo
Il titolo allude a due aspetti del problema prescrizione. Il primo ( teoria ) intende sottolineare quali sono i presupposti legali della prescrizione e il loro fondamento razionale. In questa fase cercherà di essere il meno tecnico possibile di modo che tutti o quasi tutti ne possano comprendere il significato. Il secondo ( pratica ) allude al modo secondo il quale l’istituto legale della prescrizione viene utilizzato nella prassi politica.
3. La teoria.
Il Tempo fisico ha una importanza notevole nelle legislazioni e nel Diritto in generale. Relativamente alla prescrizione esso funziona come misura della durate di certi diritti che è poi la durata della possibilità di farli valere. Il dibattito politico attuale si è concentrato esclusivamente nel campo penale della commissione e punizione dei reati . E’ una limitazione non opportuna. Questo istituto è previsto anche nella materia civile con principi i principi certamente dotati di coerenza e razionalità.
L’ordinamento giuridico nella sue grandi linee ( quelle che interessano ai nostri fini ) distingue interessi strettamente individuali e interessi di rilevanza collettiva. E’ una scelta di politica legislativa che diventa quadro di riferimento per ogni discussione sul sistema giustizia. Un esempio chiaro è dato da una vicenda banale come il danneggiamento della mia autovettura da parte di un investitore, danneggiamento che NON ha coinvolto alcuna persona. Il diritto al risarcimento appartiene a quei diritti strettamente personali cui ho accennato. Consegue – coerentemente – che solo il danneggiato può chiedere il risarcimento. Nessun Pubblico Ministero, per zelante che sia , può chiederlo né può essere obbligato a chiederlo. Anche il diritto al risarcimento si estingue – PER PRESCRIZIONE – se il danneggiato non ne chiede il risarcimento ENTRO IL PERIODO DI TEMPO INDICATO DALLA LEGGE. Altrettanto coerentemente si deve precisare che è il danneggiato e solo lui che gestisce tale tempo. Può esercitare il suo diritto oppure no; una volta iniziato il processo il diritto resta vivo e vegeto per tutta la durata del procedimento. Tale coerenza si fonda sul rilievo che, essendo il diritto al risarcimento esclusivamente del danneggiato, l’Ordinamento statale s si interessa solo di predisporre misure di tutela ma non si interessa se esse vengano usate o no. Vi sono anche altre ragioni pratiche ma non vi accenno perché non voglio complicare il discorso più del necessario.
Riprendendo l’esempio dell’autovettura ipotizziamo ora che al danno al veicolo si aggiunga una lesione grave a danno di una persona. Questo specifico evento viene considerato – a seguito di una scelta di politica legislativa “ a monte “ – oggetto di un interesse della collettività non lasciata alle opzioni individuali di tutela. Con coerenza il processo penale per la condanna dell’investitore NON VIENE INIZIATO DAL PRIVATO, CHE POTREBBE ANCHE “ PERDONARE “ CHI HA CAGIONATO LA LESIONE, ma da un organo pubblico: il Pubblico Ministero. Si deve aggiungere, per completare il quadro normativo, che il P.M. DEVE iniziare il processo perché lo dice la Costituzione. L’AZIONE PENALE E’ OBBLIGATORIA.
Ho fatto l’esempio delle lesioni, ma ci sono interessi egualmente considerati collettivi e come tali appartenenti alle norme penali ( falso in atto pubblico, corruzione, evasione fiscale, associazione per delinquere ….e e chi più ne ha più ne metta ) in cui viene messo in primo piano l’interesse di una intera collettività.
La domanda che tale quadro impone è questa. E’ mai possibile dire che l’inerzia del singolo per quanto riguarda l’interesse alla punizione del colpevole possa essere assunto come dimostrazione di un DISINTERESSE, disinteresse che – invece – è assunto come fondamento della prescrizione civile ( vedi sopra il danneggiamento della sola vettura ) ? Evidentemente NO. La scelta di politica legislativa è stata quella di assumere il fatto –reato tra quelli di interesse generale e ed ha stabilito che l’inizio del procedimento è obbligatorio. In questo schema generale NON CI DOVREBBE ESSERE LA POSSIBILITA’ DELLA PRESCRIZIONE COME MANIFESTAZIONE DI UN DISINTERESSE CHE NON E’ SIN DALL’INIZIO (vedi scelta di politica legislativa) INTERESSE INDIVIDUALE MA COLLETTIVO.
4. Alla ricerca di un interesse generale che giustifichi la prescrizione di interessi dichiarati collettivi.
Restringendo questo campo di ricerca a quello della materia penale in senso stretto ( fatti puniti con una pena, cioè i delitti ) si osserva che l’abolizione della prescrizione – consentendo “ l’eternità” del processo – urta contro il principio costituzionale della giusta durata del processo aggravata, tale violazione , dal principio della presunzione di innocenza dell’imputato.
Queste giustificazioni sono da considerare con attenzione e da non sottovalutare perché l’ordinamento giuridico ha le proprie contraddizioni che rendono a volte necessarie mediazione tra scelte estreme. Se la prescrizione tende a ricondurre il processo “ ad una durata giusta “ e se questa è da modulare, quale è la “ giusta durata “? Si coglie in questo non secondario interrogativo la superficialità con la quale si è voluto “ costituzionalizzare “- per pura demagogia – il principio della giusta durata del processo. Se l’affermazione secondo cui la prescrizione tende a realizzare un gusto processo è corretta perché non si dovrebbe fissare il termine in tempi brevissimi, magari di due mesi ? Ecco trovata la panacea per risolvere il problema della lunga durate dei processi !
Il primo e inalienabile fine del processo è la realizzazione della Giustizia che si realizza solo con il suo risultato. La presunzione di innocenza fino alla sentenza definitiva è un sacrosanto principio legale ma non di Giustizia. La Giustizia si realizza punendo il responsabile.
Ma – in una materia così gravida di lacrime e sangue – non bisogna attestarsi rigidamente sui principi teorici sopra delineati. L’ottimismo di maniera che si esprime nell’affermazione secondo cui l’innocente non ha nulla da temere è cinica. Non tiene conto dell’usura psicologica che si determina in attesa del giudizio. Non tiene conto dell’inciviltà delle comunicazioni di massa che – per i più disparati fini ( spesso ignobili ) – trasforma il fin troppo famoso avviso di garanzia in una “ presunzione di colpevolezza “. Va aggiunto poi che il tempo finisce per incidere anche sulla prova dei fatti ( deterioramento delle prove materiali; diluizione della memoria dei testimoni; morte degli stessi; pericolo di inquinamento delle prove da parte di soggetti interessati ad un certo esito del processo )
Ma – e torno alla sostanziale razionalità della prescrizione civile di fronte ad una indiscriminata applicazione della prescrizione alla materia penale – si deve osservare che di regola ( il Diritto si modula secondo regole di esperienza e dati statisticamente significativi ) la violazione delle regole di diritto privato consentono di identificare subito chi le vìola: si sa chi è mio debitore, chi ha danneggiato la mia vettura; chi mi ha licenziato ingiustamente etc…. Le statistiche giudiziarie penali indicano che un alto numero di procedimenti in corso si estingue per prescrizione nella fase istruttoria e cioè in uno stato in cui un vero e proprio processo non è ancora istaurato : esso quindi muore prima di nascere.
5. La pratica della prescrizione penale ( conclusione provvisoria )
L’esame dei principi e l’osservazione dei fatti mostra che sul problema della prescrizione penale si “ scaricano “ – a volte in buona fede ed a volte in malafede – l’incapacità o la volontà di non ricercare le reali cause della durata dei processi penali. Questa cause non risiedono – come ciascuno può capire con un minimo di buona fede concettuale – nella permanenza e meno della prescrizione e nella sua durata ma “ a monte “. Ed è proprio questa origine che non si vuole indagare a fondo e correggere.
E siccome le parole rivelano la sostanza delle cose si dovrebbe riflettere quanto sia ambiguo l’uso dispregiativo del termine “ giustizialismo “ . Cosa dovrebbero fare i giudici di uno stato civile se non raggiungere un esito di giustizia ? A volte questo coincide con la legalità, a volte no. Permettere che un colpevole scampi dalla conseguenze della sue malefatte per il solo passare del tempo appartiene alla seconda eventualità. Una mediazione ragionevole è necessaria.
febbraio 2020
Credo di comprendere abbastanza il linguaggio giuridico e ho una discreta esperienza di lettura di testi di diritto, devo però dire che non ho capito – anzi, mi sembra che non ci sia – quale sia l’opinione di Mannacio sul tema trattato. L’articolo si suddivide in cinque paragrafi, di cui quattro dedicati alla parte teorica e solo l’ultimo alla parte pratica, che si conclude con l’invito ad una «mediazione ragionevole [che] è necessaria». Ma sul carattere di questa mediazione e i suoi termini pratici, traducibili in legge positiva, non si dice nulla. Non si risponde, poi, alla domanda politica e anche tecnica di questo tipo: le innovazioni della nuova legge voluta dal M5S è un progresso o un regresso nell’amministrazione della giustizia? Detto brutalmente: la legge è un orrore, o un errore, o un giusto provvedimento?
Le premesse teoriche e il cenno critico alla Costituzione, riferito all’articolo 111, comma 1, che recita: «La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata», non sono sufficienti a individuare una soluzione relativa ai due attributi del processo: “giusto” nel suo svolgimento e “ragionevole” nella sua durata.
Se difficile è stabilire le regole di un “giusto” processo, ancora più difficile è stabilire la “ragionevolezza” della sua durata. Ad esempio, se due processi per analoghe imputazioni durano entrambi sei anni, ma il primo si risolve con l’assoluzione piena dell’imputato per non aver commesso il fatto e il secondo con una condanna piena perché si è dimostrato che il fatto è stato commesso, certamente si potrà dire che i sei anni, per l’innocente, non sono ragionevoli, mentre per il colpevole, se è reo di un delitto che comporta una pena molto superiore ai sei anni, la durata del processo potrebbe considerarsi ragionevole.
Già oggi la durata dei processi è esageratamente lunga sia per gli innocenti, che di fatto subendo il processo subiscono comunque una dura pena che a volte porta anche al suicidio o alla rovina economica e familiare; sia per i colpevoli, che troppo spesso riescono ad uscirne senza condanna per la prescrizione dei termini.
Quindi, che fare? A mio parere la mancanza di termini prescrittivi è una barbarie, stante il processo nella situazione normativa attuale, mentre l’esistenza dei termini prescrittivi promuove tutta una serie di manovre legali dilatorie per arrivare alla prescrizione e quindi alla non conclusione dei processi penali.
Ma il perché i processi durano troppo è un problema “a monte”, come dice giustamente Mannacio, che però poi non esamina che cosa voglia dire in termini pratici e in questo caso l’espressione “a monte”. A monte può voler dire diverse cose: 1) insufficiente volontà politica e interesse dei legislatori a migliorare l’efficienza della magistratura e snellire i processi; 2) insufficiente volontà e interesse da parte della magistratura di portare avanti con celerità i processi, per i troppi incroci fra magistrati inquirenti, magistrati giudicanti e avvocati (e anche con gli stessi imputati, più volte); 3) mancanze di previsioni e provvedimenti nell’ambito dei codici di procedura penale (e anche civile per certi tipi di processi), che andrebbero riformati; 4) manovre dilatorie condotte in perfetta malafede da avvocati difensori penalisti quando hanno interesse alla scadenza dei termini di prescrizione; 5) troppa tolleranza da parte dei magistrati delle manovre dilatorie degli avvocato; 6) regolamentazione processuale troppo complessa che si presta a ogni tipo di manovra dilatoria; 7) fannullaggine di un discreto numero di magistrati che impiegano mesi e mesi per concludere atti dovuti, come interrogatori (si può lasciare un imputato anche per un anno intero senza sentirlo?) o deposito di sentenze, o altro.
L’errore di Alfonso Bonafede e del M5S è – a mio parere – quello di essere partito dalla riforma della prescrizione anziché da quelle, più urgenti e determinanti, dell’amministrazione della giustizia e della durata dei processi.
Intendo dire:
1) Separazione delle carriere della magistratura inquirente e di quella giudicante.
2) Porre fine all’ipocrita e assurda disposizione sull’azione penale obbligatoria. Perché di fatto non è così. Di fronte a migliaia e migliaia di denunce e di constatazione di reati i magistrati aprono un fascicolo e conducono indagini solo nei casi da loro scelti, lasciando perdere gli altri, con un comportamento arbitrario che non serve ad amministrare meglio la giustizia.
3) Oggi il magistrato inquirente che sceglie di proprio arbitrio i casi da trattare e quelli da abbandonare di fatto non è responsabile delle sue scelte e non è previsto nessun controllo e giudizio su di esse.
4) È pertanto necessario che il magistrato inquirente diventi responsabile delle sue scelte e che per esse sia possibile anche sanzionarlo, o con l’elezione, trasformando la carica di procuratore a carica elettiva, o con altri sistemi. Perché se il magistrato giudicante deve essere indipendente dagli altro poteri dello Stato, la stessa ragione non vale per il magistrato inquirente, che non può non dare un indirizzo inerente alla politica giudiziaria alle proprie scelte.
5) La riforma della magistratura e del processo, teso a renderlo più snello, dovrebbero portare a prevedere tempi certi di durata, oltre i quali i magistrati non possono andare, pena provvedimenti disciplinari a loro carico. I termini di prescrizione, pertanto, potrebbero e dovrebbero coincidere con i termini di durata massima del processo predeterminati per legge.
6) Nel caso di processi molto complicati i termini, ovviamente, saranno più lunghi, ma sempre entro una previsione massima prefissata dalla legge.
7) Sarà compito dei magistrati inquirenti non iniziare processi incerti senza prima avere raccolto sufficiente elementi per portare gli imputati a processo e concluderlo entro i termini. Oggi, in Italia, molti processi sono un vero azzardo perché, iniziati con indizi o prove minime che non reggono al dibattito in aula, finiscono con assoluzioni che fanno perdere tempo e soldi a tutti, a partire dai contribuenti. Le statistiche dicono che per certi reati le assoluzioni, anche senza prescrizione, arrivano o superano il 50%. Con quale leggerezza, o con quale mancanza di mezzi e di adeguate leggi, si possono trascinare a lungo migliaia di processi contro imputati destinati ad essere assolti? Non è meglio concentrarsi sui casi in cui l’eventuale condanna è più certa e questi sbrigarli alla svelta?
Dovrei proseguire perché il discorso è qui appena abbozzato, ma il mio tempo è ormai “prescritto” e devo fare altro. Quindi, in conclusione: la riforma Bonafede risponde a un’esigenza dell’amministrazione della giustizia, ma se non viene accompagnata in fretta dalla riduzione del tempo di durata dei processi, si tradurrà in una vera e propria barbarie sia contro gli innocenti trascinati in processi lunghissimi, sia contro i colpevoli di reati di minor rilievo che potrebbero nella lunghezza del processo dover subire una penalizzazione superiore alla eventuale condanna stessa.
Inoltre, vigente l’arbitrio della magistratura inquirente sulla scelta dei casi da trattare, l’allungamento o l’annullamento della prescrizione diventa uno strumento di persecuzione in mano al magistrato che agisca in malafede o per abuso di potere o per falsità ideologica, per ottenere fini estranei alla giustizia. Questo potrebbe essere il caso di uomini politici stroncati, anche se innocenti, da processi lunghi; ma anche il caso di tanti altri processi, specialmente quando vi sia connivenza fra magistrati e malavita organizzata (e sappiamo che capita spesso), per eliminare concorrenti, obbligare imputati a fare atti di compravendita sfavorevoli ecc. ecc.
La giustizia, se male amministrata, diventa obbligatoriamente ingiustizia.
E temo che la riforma Malafede, se non sarà accompagnata rapidamente da altre riforme necessarie a essa collegate, causerà entro pochi anni un aumento di ingiustizia.
@ Aguzzi
Ringrazio vivamente Aguzzi per l’attenzione dedicata al mio testo e soprattutto per le osservazioni critiche che mi aiutano a chiarire qualche passaggio del mio pensiero.. E’ vero: su certi punti sono stato laconico o addirittura reticente. E’ vero anche che in un certo passo ho usata l’espressione
“ a monte “ ( che non mi piace e che – come A. afferma, vuole dire tutto o niente.)
Riassumendo e completando il mio quanto già scritto sottolineo alcuni punti .
1.
Ho parlato di teoria della prescrizione perché ho tentato di dare a questo istituto giuridico – presente anche in campo civile , come A. sa – un fondamento razionale. Ho creduto di poter dividere l’ordinamento in due grandi settori ( norme di diritto privato e norne di diritto pubblico ) Nelle prime ho sostenuto implicitamente – ma spero chiaramente – che la prescrizione di diritto pribato è gestita dallo stesso interessato e può – al limite – essere semi eterna purchè alla scadenza dei vari periodi si rinnovi la messa in mora. E’ curioso – a mio giudizio, certamente contestabile – che nel settore privato che interessa solo “due parti “ si permetta un processo di durata indeterminata e ciò invece non si vuole permettere nel campo penale che – in via di principio – ha dimensioni collettive (che si identificano nella massa dei cittadini ). Per dirla in maniera banale l’estinzione di un processo penale può essere gradita a n persone ed essere sgradita ad altrettante n persone. Tale situazione è scolpita nella figura del P.M nella quale sottolineo il carattere PUBBLICO.
In questo quadro – che , ripeto, può essere messo certamente in discussione – la prescrizione assomiglia ad una sorta di “ condono “ e il suo esito finale – è certamente legale ( in quanto previsto da una legge ) ma INGIUSTO ( si “ si assolve “ l’evasore )
In linea teorica – dunque – sono contrario alla prescrizione in tutti i casi in cui sia emergente un interesse collettivo intenso e comune a tutti i consociati.
2.
Ad A. – nella sua approfondita analisi – non può essere sfuggito certamente come io accenni alla
“ contraddizioni “ che segnano ogni ordinamento giuridico , contraddizioni che impongono mediazioni tra principi teorici e soluzioni pratiche. Non gli sarà sfuggito che ho indicato in modo
abbastanza esplicito le ragioni che “ giustificano “ il ricorso alla prescrizione. Il quadro teorico che ho costruito su di essa mi serve per modulare la impossibilità di giustificare la prescrizione e la necessità di prevederla a seconda della gravità del reato e delle sue caratteristiche reali. Non possono sfuggire- ad esempio – le differenze tra un omicidio ( per quanto efferato ) e un processo contro organizzazioni criminali.
3.
L’avvicinamento specifico dei politici al problema della prescrizione è errato – a mio giudizio –
In radice perché non è sostenuto da un impianto argomentativo e dunque non mi interessa dire se la legge Bonafede sia un errore o un orrore. Cerco – nei limiti delle mie capacità – di indicare un metodo che porti a conclusioni ragionevoli . La Legge Bonafede – se non altro – indica una data dalla quale la prescrizione si arresta , soluzione discutibile ma che individua uno dei punti del problema.
Ho già detto a chiare lettere come sia discutibile l’inserimento nella Costituzione dei principi del giusto processo e della ragionevole durata di esso se non si indicano prima i criteri che definiscano i due termini. Comunque non potrebbe mai essere la Corte costituzionale e fissare tali criteri posto che si tratta di determinazioni normative che non spettano ad essa.
4.
Faccio mie tutte le indicazioni di Aguzzi relative alle “ cause a monte “ del disservizio della Giustizia A. ne indica 7 ma io ne propongo un’altra che metterei in testa: l’incompetenza legislativa che si manifesta in regole ambigue e tra loro contraddittore. Il massiccio ricorso al giudice, la litigiosità che ci viene imputata derivano in buona parte da essa.
5.
Mi pare di scorgere nello scritto di A. una certa diffidenza circa la costituzionalizzazione dell’obbligatorietà dell’azione penale. E’ un punto cruciale del nostro sistema. Personalmente ritengo che essa debba restare. Tale principio, infatti , definisce i doveri di un organo dello Stato e fissa un quadro di responsabilità che non possono essere solo politiche. Mi spaventa l’idea di un P.M scelto dal “ popolo “ . Quale “ popolo “ ? Non c’è “ il mio popolo “ ma ” tutto il popolo “ che non può essere rappresentato se non da “ un organo intermedio “.
6.
Il dibattito sulla prescrizione è esemplare del modello di dibattito politico italiano. La realizzazione del processo giusto e rapido ( una volta ammessa la definibilità di tali concetti ) non è assicurata certo dalla ( sola ) prescrizione ma da riforme strutturali del sistema giustizia, ma intanto questo si incancrenisce e allora il cane si morde la coda ( E’ quasi irrisolvibile l’interrogativo: cosa facciamo prima ? ) E il problema prescrizione finisce per essere utilizzato ad altri fini ( mantenimento del potere, riacquisto di visibilità politica, strumento per aprire una crisi…e chi ne ha più ne metta ).
Sugli effetti paradossali di attribuire alla ( sola ) prescrizione effetti salvifici sulla giustizia italiana ho già detto e non mi ripeto.
G.M
Da cittadino che non ne sa di tecnicismi, io come credo anche la maggioranza della popolazione, mi pongo innanzi tutto la questione: a chi possa interessare il mantenimento della prescrizione, dato che questa è stata utilizzata come escamotage per farla franca, eccetera?
Trovo quindi interessante il fatto che si possa stabilire “a monte” la qualità del reato, se riguardante la collettività o il caso singolo; almeno per quanto inerente alla “gravità” del fatto. Quali sono i distinguo presi in esame dalla proposta del ministro Bonafede? Corruzione, concussione e simili, inerenti alla cosa pubblica, così almeno mi è parso di capire.
Però una cosa l’ho capita: che questo governo si è dato una mossa, finalmente. Altrimenti saremmo ancora qui a lagnarci, e chissà per quanto tempo ancora.
@ Mannacio
Nella situazione italiana attuale (tanto diversa da quella che mi piacerebbe avere) concordo con diverse osservazioni di Mannacio, ma non su alcuni punti che però riguardano più l’insieme dell’ordinamento giuridico che il problema specifico della prescrizione.
Quindi, non in polemica ma con l’intento di approfondire alcuni aspetti del discorso, aggiungo le osservazioni e le opinioni seguenti.
1) Tecnicamente, la prescrizione di diritto privato ha una struttura ben diversa da quella prevista nel diritto penale. Non è proprio vero che «la prescrizione di diritto privato è gestita dallo stesso interessato e può – al limite – essere semi eterna purché alla scadenza dei vari periodi si rinnovi la messa in mora». La prescrizione è comunque prevista dalla legge e il privato può liberamente decidere solo se promuovere o no, entro la data di scadenza della prescrizione, un’azione legale per vedere riconosciuto il proprio diritto, presunto o reale che sia. E può prolungare la prescrizione rinnovando la messa in mora prima della sua scadenza, come giustamente dice Mannacio. Ma una volta iniziato il processo civile i termini seguono il processo e nelle more del processo non vi è prescrizione. Vi sono processi civili durati oltre tre generazioni. Quindi il vero problema, anche nel caso del processo civile (come in quello del processo amministrativo di fronte agli organi di giustizia amministrativa) non è la prescrizione ma la durata del processo. Un processo che rende giustizia, quando la rende, ai nipoti del soggetto che ha promosso, o subito, la vertenza, non è un processo giusto.
2) Nel processo penale la prescrizione ha una struttura teorica diversa perché non ha come finalità la difesa di chi è titolare di un diritto soggettivo in base al quale promuove l’azione legale, ma è prevista a garanzia dell’imputato, affinché la durata del processo non sia di per sé una pena tale da annullare ogni diritto personale del presunto colpevole. Altri elementi di garanzia, oltre alla prescrizione, sono la previsione di legge del periodo in cui un presunto colpevole può essere trattenuto in stato di fermo o in stato di carcerazione preventiva. In mancanza di queste garanzie un presunto colpevole potrebbe essere incarcerato a vita senza mai venire processato.
Quindi la prescrizione è a difesa dell’imputato, prevista nel suo interesse per la salvaguardia dei suoi diritti costituzionali e legali di cittadino, e per limitare il potere dello Stato (e gli abusi di potere dello Stato), che agisce tramite i suoi organi, in questo caso il sistema di amministrazione della giustizia. Se lo Stato non riesce a concludere l’iter processuale entro i termini della prescrizione è colpa sua, non dell’imputato. Quindi, un allungamento o un annullamento della prescrizione aumentano i poteri repressivi dello Stato, ma non certo la virtuosità dei suoi comportamenti. Del resto, l’attuale ordinamento prevede già periodi di prescrizione diversi per reati di gravità diversa. Per il reato di strage, ad esempio, non esiste la prescrizione e questi reati possono essere perseguiti finché i colpevoli sono in vita. Solo la morte prescrive davvero l’azione legale penale nel caso di reati di strage. Per gli altri reati è prevista una prescrizione più vicina.
Lo Stato ha di fronte a sé due vie da seguire: una, quella che a me pare migliore e l’unica rispettosa dei diritti dei cittadini, è di abbreviare i tempi dei processi in modo che la garanzia pro reo della prescrizione non scatti mai e non diventi mai mancanza di giustizia. La seconda è quella di allungare o abolire la prescrizione, che è la via che mette in mano allo Stato altri strumenti di potere e di abuso di potere e riduce i diritti dei cittadini.
3) Mannacio ha ragione nel dire che vi è una contraddizione fra l’interesse collettivo e la prescrizione dei reati, quando questa permette al colpevole di evitare la giusta punizione. Ma questa contraddizione andrebbe risolta a favore del potere dello Stato solo se effettivamente lo Stato rappresentasse sempre l’interesse collettivo, il che non avviene. Nei numerosi casi di azioni legali contro innocenti, l’interesse collettivo non può stare dalla parte dello Stato ma deve necessariamente stare dalla parte degli innocenti. Quindi, sono necessarie delle garanzie a favore degli imputati, e la prescrizione è una di queste. La durata certa dei processi sarebbe, a mio parere, una garanzia migliore che diminuirebbe la contraddizione, mai del tutto sopprimibile, fra interesse pubblico e interesse privato. In mancanza di durata certa del processo, sopprimere o allungare la prescrizione è un provvedimento proprio da Stato autoritario e non democratico.
4) È verissimo che molte lungaggini processuali sono causate dalla difesa per evitare che l’imputato venga condannato, preferendo il “condono” della prescrizione. Ma a questo si deve ovviare con le necessarie riforme del procedimento penale, dello snellimento dei processi e dell’abbreviazione della loro durata, non con l’allungamento o la soppressione della prescrizione (ceteris paribus, come recita il massimario del latino giuridico).
A mio parere si può intervenire sulla durata della prescrizione, ma solo se ciò serve a garantire un processo più veloce ed equo, e non a tappare i buchi delle troppe lungaggini attuali. Quindi la prescrizione dovrebbe sempre comunque essere legata alla durata del processo. Intervenire con nuove leggi solo sulla prescrizione è un provvedimento sbagliato e contrario al vero interesse collettivo che è quello di avere processi rapidi e giusti. Per questo ho sostenuto che sarebbe stato meglio intervenire modificando la durata dei processi, prima di toccare i termini della prescrizione.
5) «Mi pare di scorgere nello scritto di Aguzzi una certa diffidenza circa la costituzionalizzazione dell’obbligatorietà dell’azione penale. E’ un punto cruciale del nostro sistema. Personalmente ritengo che essa debba restare. Tale principio, infatti, definisce i doveri di un organo dello Stato e fissa un quadro di responsabilità che non possono essere solo politiche“».
Qui il mio disaccordo con Mannacio è evidente. Disaccordo in linea generale, in quanto io preferirei un sistema sul modello anglosassone, della “common law”, anziché quello di tradizione romanistica imperante in Italia e altri Paesi europei.
In Italia la pubblica accusa rappresenta lo Stato e nel corso del processo ha maggiore potere della difesa, soprattutto se l’imputato è un povero che non ha soldi per pagarsi il fior fiore degli avvocati. Accusa e difesa, al contrario, dovrebbero essere perlomeno alla pari. Se poi, come in Italia, non c’è separazione di ruoli e carriere fra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti, il difetto si aggrava. Oggi, lo stesso magistrato può rappresentare l’accusa in un processo e, magari anche solo pochi mesi dopo, trovarsi a svolgere una funzione giudicante in un altro. Mi pare che sia evidente il conflitto di interessi, o comunque il turbamento del giusto processo che una situazione simile arreca.
Ma oltre a questo disaccordo di principio e in linea generale, sono in disaccordo con l’obbligatorietà dell’azione penale anche per un motivo del tutto pratico. Che è questo: l’impossibilità pratica, per mancanza di risorse umane e materiali, di applicarla. Lo dimostra il fatto che la maggior parte delle denunce di reati finiscono archiviate in cantina senza che nessuna procura apra un fascicolo e tantomeno inizi indagini. Quindi, già oggi, in Italia, la costituzione materiale, realmente vigente, così diversa dalla Costituzione scritta, ha abolito l’obbligatorietà dell’azione penale. Che resta come arbitrio che si può dimenticare per gli amici e tirar fuori per i nemici. Questa è, a parere mio, una situazione intollerabile e che fa dello Stato italiano uno Stato che è fuori dal concetto di “Stato di diritto”. In realtà lo Stato italiano è ampiamento uno “Stato dell’arbitrio” e il feticcio dell’obbligatorietà dell’azione penale ne è una componente importante.
Vi è tutta una tradizione illuministica europea e occidentale in genere, alla quale l’Italia ha dato un grosso contributo con Cesare Beccaria, Pietro Verri e altri, che attribuisce un valore alla massima: «Meglio dieci colpevoli liberi che un innocente in galera». Ma pare proprio che il M5S e tanti altri, a sinistra, al centro e a destra, preferiscano la massima opposta: «Meglio dieci innocenti in galera che un colpevole libero». Ciò è proprio degli Stati autoritari e, nei casi estremi, totalitari.
Certo, il meglio è avere tutti i colpevoli in galera e tutti gli innocenti liberi (e senza il fastidio di doversi difendere da false accuse), ma questo è proprio il compito principale che dovrebbe assolvere lo Stato e che è l’unica vera ragione per cui lo Stato, nella maggior parte delle dottrine politiche e giuridiche, giustifica la propria esistenza. Ma sembra, al contrario, che non riesca proprio ad assolvere questo compito, mentre ha allargato, anzi alluvionato, i compiti che si è assunto, riducendo la società civile ora a un parco giochi, ora a un parco di sudditi senza diritti.
6) «Mi spaventa l’idea di un P.M scelto dal “popolo“. Quale “popolo“? Non c’è “il mio popolo“ ma ”tutto il popolo“ che non può essere rappresentato se non da “un organo intermedio”». Ma se il popolo può scegliere i consigli e i sindaci dei comuni, i consigli e i governatori delle regioni, i deputati, i senatori, e indirettamente anche il presidente della Repubblica, perché non potrebbe e non dovrebbe scegliere anche i P.M.? Visto che da sempre, e non solo da Mani Pulite, i P.M. svolgono un ruolo così influente sugli andamenti delle cose politiche? Il sistema elettorale per eleggere i P.M. potrebbe essere diretto o indiretto, ma certamente “il popolo” dovrebbe avere l’autorità e il diritto di eleggerli, in un Paese che si riempie quotidianamente la bocca con la parola “democrazia”.
Sono d’accordo con l’affermazione di Mannacio: «Quale “popolo“? Non c’è “il mio popolo“ ma ”tutto il popolo“ che non può essere rappresentato se non da “un organo intermedio”». Ma non ne capisco bene il senso a proposito della nostra discussione. È evidente che nel nostro caso “il popolo” è costituito dai cittadini con diritto di voto, ed è anche evidente che un P.M., che sia elettivo o no, è sempre e comunque un “organo intermedio”.
Non sarà impertinente, infine, osservare che i P.M. di nomina statale e non elettivi non hanno mai rappresentato un ostacolo ai regimi dittatoriali: né nell’Italia fascista, né nella Germania nazista, né in nessun altro caso. Abbastanza “pieghevoli” e “piegati” sono anche i P.M. elettivi, ad esempio negli U.S.A., tuttavia qualche caso di “eroismo” in più lo si registra proprio fra gli elettivi. Ma sta nella natura dello Stato e nell’effettiva indipendenza della magistratura giudicante il vero nocciolo del problema.
7) «E il problema prescrizione finisce per essere utilizzato ad altri fini (mantenimento del potere, riacquisto di visibilità politica, strumento per aprire una crisi…e chi ne ha più ne metta )». È verissimo. Ma non è l’allungamento o l’abolizione della prescrizione che risolve il problema. Anzi, questo potrebbe aggravarlo. Ci vogliono ben altre riforme relative alla struttura dello Stato e dei suoi poteri per diminuire (nel tentativo di eliminare) la corruzione delle funzioni politiche e amministrative così largamente diffusa in Italia (e non solo).
8) @ Lucio Tosi
Tosi si pone «innanzi tutto la questione: a chi possa interessare il mantenimento della prescrizione, dato che questa è stata utilizzata come escamotage per farla franca, eccetera?». Beh, ad esempio, può interessare ai tanti che dopo anni e anni di processo, carriere politiche (ma anche amministrative, da imprenditori industriali, da manager, o semplicemente da semplici lavoratori – perché anche di questo si tratta) stroncate ecc. si sono visti assolti con formula piena. Quando un sistema di amministrazione della giustizia, come avviene in Italia, garantisce così poco la giustizia, diminuire le garanzie a favore degli imputati non può che portare a un peggioramento.
Cosa importa della prescrizione agli autori dell’80% circa di delitti di mafia rimasti del tutto oscuri e impuniti? Cosa importa al 98% circa di autori dei cosiddetti reati minori (piccolo spaccio, furti in appartamenti, borseggio, truffe di vario tipo ecc.) rimasti impuniti, oppure processati, condannati e subito liberati perché le carceri sono già troppo piene (e si hanno anche casi di persone con decine e decine di condanne alle spalle che però non hanno mai fatto un giorno di galera)?
A me, cittadino qualunque, la prescrizione importa molto, perché vorrei evitare di trovarmi nella condizione di quel cittadino milanese di cui tutti i giornali hanno parlato qualche anno fa perché, arrestato per un banale scambio di persona, è stato riconosciuto del tutto innocente solo dopo aver fatto 17 mesi di carcere. E chi l’ha arrestato e chi l’ha trattenuto, compreso il giudice che ha rimandato l’interrogatorio perché il giorno dopo dell’arresto è partito per le vacanze estive con tanto di ferie in tasca, non hanno subito nessun danno, nessun provvedimento disciplinare, niente di niente. E i pochi soldi a risarcimento del danno sono stati pagati dallo Stato con i fondi derivanti dal fisco, cioè dalle tasche dei cittadini, comprese le mie.
Per la cronaca: quel cittadino ha avuto la vita rovinata. Accusato di spaccio e traffico di stupefacenti, ha perso il lavoro, la moglie lo ha lasciato ecc. Si tratta di un caso estremo? No, le statistiche ci dicono che non si tratta di casi estremi, anche se non sempre, come il caso Tortora, fanno tanto chiasso mediatico.
9) A conclusione, ribadisco: il sistema dell’amministrazione della giustizia in Italia è da riformare radicalmente. Ma partire proprio dalla prescrizione, istituto di garanzia dei diritti dei cittadini, non va nella direzione giusta, ma, a mio parere, in quella sbagliatissima dell’aumento dell’autoritarismo statale e della diminuzione degli spazi democratici.
Si tratta, in fondo, di una questione di sensibilità politica sul versante giustizia e libertà. Ciò che mi sembra mancare alla classe politica italiana, M5S compreso.
PRESCRIZIONE 2
@Aguzzi e altri.
1.
Sono piacevolmente sorpreso dell’interesse manifestatosi intorno alla prescrizione che sembrava un tema molto specialistico. Agganciato alla vicende politiche ha acquistato valore generale.
Dopo lo scambio di idee con Aguzzi e l’intervento di M.Tosi penso che l’argomento specifico debba intendersi chiuso . Aggiungo qualche osservazione integrativa dopo l’ultimo scritto di A.
2.
Avrei preferito che il problema prescrizione fosse affrontato partendo dalle “ cause del ritardo della Giustizia ma sono abbastanza razionale per capire che ad esse non si arriverà mai o troppo tardi e che il discorso sulla prescrizione è ineludibile.
Nella prassi politica attuale trovo conferma che la prescrizione è un falso scopo che maschera interessi diversi
3.
Ho chiarito anche di essere sostanzialmente d’accordo con A. sulle 7 ragioni della deprecata lentezza. Ho proposto un’ottava causa ed anche su tale punto ho detto qualcosa.
4.
A. ha proposto incidentalmente un discorso sulla necessità di distinguere nettamente ( penso: sia come struttura burocratica sia come specialità delle funzioni ) la carriera dei Giudici giudicanti da quella dei Requirenti (Pubblici Ministeri). E’ un tema diverso – evidentemente – da quello sulla prescrizione. Non sono pregiudizialmente contrario e sarei l’ultimo a scagliarmi contro l’autore della proposta. Mi sfugge, parzialmente , il rapporto tra questa innovazione e il fine del giusto e rapido processo.
5.
Mi trova fortemente perplesso e quindi contrario ad essa la proposta di A. – se tale è – di togliere l’obbligatorietà dell’azione penale a fronte di una affermata “ superiorità “ su tale punto dei sistemi di common law. Non li conosco affatto e quindi non ho alcuna possibilità di un confronto tra il nostro e quello. Ho operato in un sistema tutto affatto diverso e a questo mi devo attenere e questo debbo difendere. Lo ritengo infatti coerente con i principi del nostro ordinamento. Questo prevede una serie di fatti vietati ed assegna ad un organo dello Stato l’iniziativa di accertare la esistenza del fatto lesivo e punirlo indipendentemente da ogni iniziativa del singolo danneggiato. Questa caratteristica è coerente con la qualità collettiva dell’interesse protetto ( ovvio che è una scelta politica quella relativa alla qualificazione dell’interesse ). La costituzionalizzazione dell’obbligatorietà dell’azione penale individua e determina una responsabilità dell’organo che DEVE procede alla tutela dell’interesse protetto. A parte i casi – patologici – di violazione di tale dovere, il fatto che molte volte l’esercizio dell’ azione penale venga di fatto intralciata trova la sua causa deriva dal fatto che i delitti sono troppi e qui si ritorna alla CAUSE di tale situazione. La costituzionalizzazione evita il pericolo insito nella proposta della scelta del P.M. attraverso elezioni (questo sembra il punto auspicato da alcuni politici) che l’eletto finisca per perseguire solo i fatti commessi da quella FRAZIONE DI POPOLO che non l’ha votato . Con buona pace sulla necessità dell’esistenza di organi di garanzia NON ELETTIVI che è uno dei punti essenziali della democrazie rappresentative di stampo occidentale. In queste – nonostante tutto – credo ancora.
E’ proprio tutto oro quello che luce in America, ad esempio, o in Stati con sistemi differenti ?
G.M : 12 febbraio 2020.