Fortini- Rossanda: “due comunismi” (c’erano)

a cura di E. A.

Stralci:

1.

Cara Rossana, ti ho vista iersera in TV.
Che tua è la vita, dicevi, e nessuno
per te può disporne. Lucente l’errore
in fronte ti splendeva. Ero ammirato e triste.

Due comunismi ci sono. Tu l’uno l’hai vissuto, che vuole
per ognuno e per tutti coscienza di sé.
L’altro è più mio: che negli altri si crei
la nostra figura né mai se ne veda la fine.

Questa la mia religione. Che tutto sia segno
e si converta in altro. La foglia si adempia
ma sia il bosco a parlare per ognuna
se al cielo vuoto di dèi vada il vento.

2.

i dodici versi della lettera del 5 maggio 1988. I toni sono pacati, quasi completamente dimessi a causa delle ultime decisive sconfitte subite da chi è «sempre stato comunista», oltre che per la senilità ormai sopraggiunta. Qui Fortini può finalmente riconoscere la legittimità e la ragion d’essere di un comunismo diverso dal suo, quello dell’amica di lunga data: «Due comunismi ci sono», provando poi a illustrarne le differenze. Le definizioni che poeticamente prova a dare di questi «due comunismi» sembrano, inoltre, per la prima volta tradire il profilo unicamente teorico o “dottrinale”, sul quale avevano avuto modo di discutere a lungo, per provare a darne invece una definizione basata più su di un atteggiamento, sul modo di vivere il comunismo. Della Rossanda, dunque, evidenzia e riconosce l’impegno, la militanza e le battaglie politiche combattute anche all’interno del Partito, «che vuole/ per ognuno e per tutti coscienza di sé»; di sé invece, forse per la prima volta con l’amica, ammette la propensione, a tratti prevaricatoria, «che negli altri si crei / la nostra figura né mai se ne veda la fine», ma che chiaramente non è mai, in alcun caso, per un fine strettamente personale, bensì sempre collettivo. E la quartina finale della poesia si concentra proprio su questo, sul tentativo di spiegare, con un articolata analogia sulle figure delle foglie e del bosco, le ragioni della propria indole: «Questa è la mia religione. Che tutto sia segno / e si converta in altro. La foglia si adempia / ma sia il bosco a parlare per ognuna / se al cielo vuoto di dèi vada il vento». Più che due comunismi, dunque, due modi di vivere il comunismo. E a questo proposito, qualche anno dopo, nel 1989, sulle pagine dell’inserto satirico «Cuore» della tanto avversata «l’Unità», Fortini provò a dare «in quaranta righe» la propria definizione di comunismo; un passaggio in particolare pare una sorta di mise en prose delle ultime due quartine di Cara Rossana, ti ho vista iersera in tv:

Il combattimento per il comunismo è già il comunismo. È la possibilità […] che il maggior numero di esseri umani – e, in prospettiva, la loro totalità – pervenga a vivere in una contraddizione diversa da quella oggi dominante. Unico progresso, ma reale, è e sarà il raggiungimento di un luogo più alto, visibile e veggente, dove sia possibile promuovere i poteri e la qualità di ogni singola esistenza. […] Il comunismo in cammino (un altro non esiste) è dunque un percorso che passa anche attraverso errori e violenze, tanto più avvertiti come intollerabili quanto più chiara si faccia la consapevolezza di che cosa gli altri siano, di che cosa noi si sia e di quanta parte di noi costituisca anche gli altri; e viceversa. Il comunismo in cammino comporta che uomini siano usati come mezzi per un fine che nulla garantisce invece che, come oggi avviene, per un fine che non è mai la loro vita.30

La poesia, per concludere, sembra essere l’ennesima, affascinante, fotografia scattata da uno dei due amici ad un rapporto andato avanti, tra tanti alti e tanti altri bassi, per più di quarant’anni. Un rapporto fatto di affetto e scontri ideologici, stima e lotte politiche; non poteva essere altrimenti, per Franco Fortini, l’«ospite ingrato», «letterato per i politici, ideologo per i letterati»,31 e Rossana Rossanda, la «ragazza del secolo scorso» che aveva fatto della «politica» la propria «educazione sentimentale».32

( Da «Cara Rossana, ti ho vista iersera in TV» . Una poesia inedita di Franco Fortini
di Giuseppe Ferrulli
17 FEBBRAIO 2020 (http://www.ospiteingrato.unisi.it/cara-rossanati-ho-vista-iersera-in-tvuna-poesia-inedita-di-franco-fortinigiuseppe-ferrulli/ )

4 pensieri su “Fortini- Rossanda: “due comunismi” (c’erano)

  1. Effetti del “tutti a casa”: Non conoscevo la definizione che Fortini ha dato su “Cuore” del “comunismo”. E (oggi senz’altro, ieri non saprei) la trovo acuta, profonda, valida. “Il comunismo in cammino”… peccato sia stato azzoppato.

  2. SEGNALAZIONE

    Massimo Raffaeli
    Una feconda amicizia con note dissonanti
    il manifesto, 12 marzo 2025

    Arrivederci tra dieci anni? Il carteggio Fortini-Rossanda (1951-1993) (Firenze University Press-USiena Press, pp. 146, euro 21.85, ma scaricabile gratuitamente in pdf), con un saggio di Monica Marchi, nella puntuale curatela di Giuseppe Ferrulli.

    … Fortini e Rossanda si incontrano nell’immediato dopoguerra quando l’uno, ex partigiano e appena reduce dal Politecnico, iscritto al Psi, è consigliere della Casa della Cultura a Milano, mentre l’altra, storica dell’arte entrata nella Resistenza da allieva di Antonio Banfi, giovanissima dirigente del Pci, la dirige.

    L’esordio del rapporto, o meglio il primo punto di frizione, è una disputa all’interno della Casa della Cultura (diretta fino al ‘63 da Rossanda con risolutezza e aperture impensabili in anni di Guerra fredda e zdanovismo) che si conclude nel dicembre del ’51 con le dimissioni di Fortini dal consiglio direttivo della Casa, quando in una lettera accusa i militanti del Pci (e dunque, di riflesso, la direttrice medesima) di essere dei «comunisti piccoli», agenti di un mediocre machiavellismo nei confronti dei compagni e soprattutto dei socialisti.

    LA NATURA, la postura stessa del rapporto tra Fortini e Rossanda, qui sono dati una volta per sempre: di solito Fortini porta l’affondo ironico ovvero aggressivo, additando gli spettri di una umanità ferita e irredenta, ridotta allo stato di perenne parzialità, sia pure ritrovata nel pensiero poetico, in immagini la cui drammatica scomposizione lascia tuttavia intravedere un possibile riscatto, il disegno utopico della totalità e, pertanto, di un’umanità risarcita. (A una simile oltranza dell’immaginario, corrisponde il riflesso psicologico di un carattere ombroso, insofferente e refrattario a gesti di conciliazione: la sua interlocutrice un giorno lo definirà di carattere «infiammabile», un altro citerà le parole di don Abbondio a proposito del cardinal Federigo: «Oh che sant’uomo! ma che tormento!»).

    ROSSANDA HA PROFILO e carattere antipodi, in lei ogni gesto istintivo coincide con l’incipit di una riflessione e così la sua ricerca di una mediazione non è mai rifiuto del conflitto ma un rilancio del discorso su un piano ulteriore, più largo e magnanimo: la scrittura le somiglia, ha un passo lungo e avvolgente prima di approdare alla fermezza di una conclusione.

    L’uno in una celebre poesia (Il Comunismo, nella raccolta Una volta per sempre, 1963) dovrà ammettere la difficoltà di vivere l’eguaglianza con i propri compagni nella comune negazione dell’esistente («Non si può essere comunista speciale./ Pensarlo vuol dire non esserlo»), l’altra in una lettera ormai tarda, del gennaio 1981, gli si rivolgerà nella sgomenta convinzione che il comunismo non è il traguardo ma la via, terribilmente accidentata, per raggiungerlo: «La mia identità è di essere comunista, e non lo sono; non me ne importa di niente altro, per rapporto a quel che ho capito un giorno del ’43 e rispetto al quale ho collezionato soltanto cammini faticosi approdati in vicoli ciechi».

    SONO DINAMICHE riavviate ad ogni passaggio di fase del loro rapporto, scandito dalla storia grande del secondo Novecento e dall’avvicendarsi dei gruppi intellettuali e politici che lo costellano. Prima c’è l’indimenticabile ’56 (con una sfuriata di Fortini contro la Casa della Cultura, rea di ignorare il rapporto Krusciov e di ridurre – con una conferenza dello psicoanalista Cesare Musatti – la critica dello stalinismo ad una eterna lotta col padre), poi gli anni del Miracolo economico e la lunga stagione delle lotte che culmina nel ’68-’69 e apre il decennio antagonista, con la radiazione dal Pci del gruppo del manifesto e la successiva fondazione, nel 1971, del quotidiano.

    Fortini ne sarà una prima firma (i suoi articoli sono ora nei due volumi di Disobbedienze, manifestolibri 1997-’98) ma con aspri dissensi prima sulla scelta di inglobare il quotidiano nel Pdup poi, dagli anni ottanta, sulla progressiva ai suoi occhi «americanizzazione» nei gusti, nello stile e nel linguaggio del giornale che egli vorrebbe, scrive nella lettera del 18 dicembre ’74, concentrato sulla critica «che smonta e spiega il processo produttivo della cultura circostante e cerca di farci capire come funziona e non soltanto quale ideologia indossi e propagandi».

    Ma il contrasto diventa frattura irreparabile quando nel ‘79, recensendo il Doppio diario postumo di Giaime Pintor, Fortini estrapola la figura dello scrittore e martire antifascista per farne un caso di ceto privilegiato e di classe, la stessa che a cadenza rifornisce lo Stato dei suoi Grand Commis: l’articolo non esce e Rossanda, sdegnata, si schiera immediatamente dalla parte di Luigi Pintor, offeso nel profondo. Ci vorranno anni per ripristinare la collaborazione di Fortini al giornale e un qualche rapporto con la sua interlocutrice ma prevarranno d’ora in poi il senso di stanchezza per la vecchiaia incipiente, i silenzi, e le reciproche omissioni.

    ANCHE NEI TESTIMONI terminali del carteggio la postura rimane immutata e, rileva Monica Marchi, «da una parte c’è Fortini che orgogliosamente rivendica il suo isolamento dall’altra parte, invece, c’è Rossanda che al contrario difende il suo essere parte di qualcosa». In altri termini, con gli stereotipi che ogni tanto il carteggio rilancia, da una parte c’è il poeta scismatico e comunista «speciale», dall’altra l’intellettuale prediletta da Palmiro Togliatti e Jean-Paul Sartre, la compagna dell’indimenticabile K. S. Karol.

    Quegli ultimi documenti sono gesti di omaggio che l’antico discidium, retrospettivamente, carica di senso e destino. Rossanda scrive in occasione del pensionamento di Fortini dall’Università di Siena lo stupendo saggio (anche autobiografico) che si intitola Le capre ostinate mentre il poeta le conferma una definitiva adesione nell’epigramma Per Rossana R. (in Poesie inedite, a cura di Pier Vincenzo Mengaldo, Einaudi 1997): «Gente, la rima non ripaga/ corta è la vita lunga la piaga./ Finché un’ora più vera non viene/ la Rossana a me va bene».

    (Da https://machiave.blogspot.com/2025/03/la-rossana-me-va-bene.html?fbclid=IwY2xjawJL3fZleHRuA2FlbQIxMQABHYBr-E5y-H-y9sEgj65cCOYXG3bK9VWNJ5aZ_1kO_wsZ7x3_kWGgWslZwQ_aem_TUGKnNEhItaHAQRNTlwnGg)

  3. Se si assume come referente materiale di un giudizio sulla funzione della Rossanda quello che una volta si usava definire il “popolo di sinistra”, in sostanza un’area politico-culturale caratterizzata da particolari tratti antropologici, è difficile contestare che Pietro Ingrao sia stato a lungo il ‘gran sacerdote’ di quest’area. Altrettanto indubbio è che la sacerdotessa femminile, non a caso soprannominata ‘basilissa’, sia stata la Rossanda, una sorta di distillato dell’ingraismo infuso in una sola persona. Orbene, ritengo di non essere lontano dal vero quando affermo che il tratto saliente di tale area è stato quello della prevalenza della retorica sulla dialettica, cioè del discorso metaforico e letterario sul rigore della teoria e dell’elaborazione intellettuale. Altrettanto innegabile mi sembra la constatazione di un dato di fatto, e cioè che alla fine di una simile liturgia retorica, durata decenni e riprodotta, mimata e riproposta ancor oggi dal giornale “il manifesto”, è svanita la stessa capacità razionale di utilizzare un metodo critico-scientifico per la comprensione delle strutture socio-economiche nazionali ed internazionali e il vuoto è stato riempito da una versione ‘radical-chic’, peraltro sempre più pacchiana e tautologica, dell’ideologia borghese. Ma vi è di più, poiché un significativo risvolto di quel comportamento retorico-metaforico, ricco di suggestione quanto povero di contenuto, è stato – e non poteva non essere – la ‘conventio ad excludendum’, sottaciuta e sistematica, verso una critica come quella di Franco Fortini giocata, per l’appunto, sui due fronti: contro l’ideologia del capitalismo imperialista e contro le sue varianti revisioniste, riformiste e trasformiste. Esemplare è stata, sotto questo profilo, la ‘fin de non-recevoir’ nei confronti dell’opera saggistica di Fortini, un’opera certo conosciuta ed anche apprezzata da alcuni, ma nell’insieme scandalosamente sottostimata rispetto al suo valore, che è di prima grandezza. Questo tipo di saggistica era per le ‘anime belle’ del “manifesto” e dintorni sostanzialmente irricevibile, perché metteva in discussione le oblique ipocrisie dell’élitismo di sinistra. E’ successo pertanto che Fortini abbia dovuto sopportare anatemi ed esclusioni da parte di chi gli era infinitamente inferiore in cultura ed in intelligenza, il che è stato in un certo senso inevitabile se si tiene conto del fatto che egli ha incarnato al massimo livello il grande principio della inseparabilità della critica radicale del capitalismo dalla critica di quella forma di “autorealizzazione amministrata” che si esprime nella cultura della borghesia di sinistra. Una cultura, quest’ultima, a cui invece Rossana Rossanda è stata, in forza della sua matrice togliattiana e delle sue tendenze ‘occidentaliste’, pienamente e coerentemente organica, il che spiega, anche se non giustifica, la trenodia che ha accompagnato la sua scomparsa. Una cosa è certa: la posizione di chi, come la Rossanda, ha sostenuto l’aggressione imperialistica alla Libia e il linciaggio di Gheddafi non ha nulla a che fare con il comunismo.

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