di Annamaria Locatelli
CASO MAI… Le certezze lunghe più vite, ben protette dalla scorza di un tempo “organizzato”, ora sono fiori recisi nel deserto della paura… Eppure la Storia dice… Eppure per altre prove approntammo valide difese ma il crollo è stato repentino e crudele per il corpo a corpo con un nemico dalle armi invisibili, vigliacco! Noi lasciati soli e indifesi insieme con i nostri ridicoli arsenali… Così il tempo delle certezze si scolora in lutti e ombre. Da giorni, da settimane ormai, si invoca la chiara sorgente di vera intelligenza umana perché si faccia fiume, fertile di limo, ad inondare i nostri corpi aridi restituendo loro il soffio della vita, il respiro…. Virus, non sei tu un dio!
Caso mai un cieco esattore per un madornale debito-errore contratto dagli umani verso la natura che ci parve indifesa, calpestabile, da prevaricare... lei forte, resistente, che voleva solo esserci amica! Che dire di questo ingiusto giustiziere, tra umano e “divino”? AL BIVIO L’Essere smarrito, in un dedalo di stanze infinite e vuote, esce da una entra in un’altra… A tratti, varcando una soglia gli pare si allarghi il respiro di uno spazio familiare, di riconoscere una forma nota, invece no, ancora il vuoto… Prosegue per inerzia quel viaggio di porte aperte e chiuse di stanza in stanza… Fuori, si rammenta, la morte impazza al galoppo come ventosa famelica che ogni vita risucchia. Val continuare quel viaggio senza aspettarsi nulla più, o forse sì, solo per abitudine, per gesti automatici?… Fu varcando l’ennesima soglia, nell’alba scialba di un’incerta stagione, che si aprì verde e luminosa una luce sui rami di un pero frondoso, -sì proprio, non un melo- dai dolci frutti dorati e ce n’era per tutti… Così la Storia ricominciava dal fatidico bivio ma per la giusta direzione ABBONDIO CHE SONO IO Scardino tutto, furente mi scaglio sul fato piombato… Ma che vuoi fare tu vecchia molliccia? Neanche al ragno-ballerino che si è installato nella tua doccia fai paura: lo vedi salire, scendere e risalire sulla sua acrobatica altalena, quanto è serio! Ci crede davvero…o quanto è buffo? “Fuori è molto peggio” gli dico… E’ un bagno cieco quando entro si accendono ventola e luce. Quasi mi muro qui anch’io, lui, l’ospite, ha più spazio di resistenza di me mentre piango e perdo il filo della mia esistenza: sono solo molto triste non vorrei niente vedere e sapere del mondo di fuori…pace per la puzza ma, sbrighiamoci, sulla porta si è formata la coda! PROGETTI….PROPOSITI…FUTURO No…no…no… Mai avuti o relegati in altre vite… Ma almeno, vivendo alla giornata, si sceglieva il luogo riparato dove stendersi e trascorrervi la notte e la mensa dei poveri dove tirare a campare… Se ci alloggiate in un campeggio, senza riparo, tra strisce bianche ben distanziate anche il calore delle pulci ci rubate, persino il virus è più pietoso. Ma tremate anche voi “nelle vostre tiepide case”, le sorti si possono ribaltare tanto in fretta quanto i ghiacciai inondano di acque le terre il vento si tramuta in tempesta, al via i mulinelli disordinati di elementi… Noi tutti potenziali senzatetto, senzafiato senzapane senzasonno UNA GARA Ci manca la mite velocità della bicicletta, del treno lento e pacato -Non il TGV- persino di un vecchio tram sferragliante di periferia: quell’andare facendosi trasportare e cullare da ruote rispettose che danno alla vista, nonché agli altri sensi, una marcia in più, ma senza strafare alla maniera futurista… Il paesaggio sfila come in un concorso di bellezze, ma anche di sgorbi e di schifezze, senza corona né vanto, senza primo o ultimo arrivato per il puro piacere di farsi contemplare o anche denigrare… Sì, di quella velocità, che si sposa con la lentezza, abbiamo nostalgia ora che noi, e ancora tra i fortunati, stazioniamo immobili tra i mobili muti di un appartamento, la vista accesa solo di finzioni. Mentre fuori stra-corre un virus arrogante famelico che tutti divora nelle prime come nelle ultime fila. Lo vorremmo arrestare, non è umano… Eppure quanto lo emuliamo quel mostro non umano! a correre per traguardi, competizioni assurde e mortali sfide di potere… La gara di corsa con la morte -guarda gli intelligentoni!- C’È UN BAMBINO IN CASA dagli occhi spenti, per lui solo divieti. Per forza fuori circola la morte qui invece appassisce, statica, la vita: sospesa come un’ape ibernata tra fiori di vetro, come un piede frenato sul pallone rosso del pianeta rotante, o la voce zittita dell’uccello danzante tra i rami dell’albero nano. Non piove neanche più, la pioggia stessa s’è incarcerata dietro le sbarre di un finto cielo blu… Molti bambini piangono e agli occhi spuntano crisantemi per i nonni scomparsi per quelli lontani e murati per non rincorrere il vento C’È UNA PRIMA LINEA in camici bianchi ma anche arancioni, verdi e macchiati le mani in contatti contagiati tra respiratori umori e rantoli scusate scusate i molti disertori a girare l’angolo serrati in posti chiusi stretti in maschere paurose forzate scusate scusate siamo gli appesi fuori e dentro l’inferno e chi nella sala dei bottoni urla e tace Quante margherite quest’anno nei campi! Il bianco, ad occhio, prevale sul verde... Il mantello di un candido lutto dove ogni fiore è uno di noi che scompare Semplice fiore Sembra che siano discesi per annegamento come i migranti a cui non si è tesa la mano...
Grazie ennio. Mi sono emozionata.
sono poesie interessanti che fanno pensare, non prive anche di qualche spunto ironico e con molta tristezza dovuta a tanti fattori, tra i quali primeggia il nostro disastro quotidiano che la signora sa ben descrivere.
Un soffio di umanità dolente, come quello che accarezza gli accesi prati di una perduta primavera, con dignità, con pensosa rassegnazione.
…grazie ad ognuno di voi per i significativi commenti alle poesie, che, come ben dite, vorrebbero esprimere riflessioni ed emozioni davanti al “disastro quotidiano” che ci è toccato di vivere…
Cè il tentativo, coi versi, di entrare in certi ambienti mentali di chi è stato visitato malamente… ma altra storia invece, riuscita, è quella del pathos che la poetessa predilige, quasi ad avvicinarsi a un canto… il canto del rimorso e del conforo che poco possono agire: ci vuol altro! P.e. : >
> Sarebbe bene invece – e si farebbe giustizia umana , poichè quella divina la lasciamo agli sciocchi- colpire con versi appuntiti come stiletti e sibilanti come rasoi contro quei cerebri supponnenti, arroganti, presuntuosi, prepotenti e volgari che scesero dal Nord come vandali a rimettere la loro “giustizia al posto della romana… altra non meno colpevole, ma almeno quest’ultima raffinata e sottile!”… si proprio contro coloro che di ladroneria s’intendevano meglio essendo stati più mercantilizi… sarà questo morbo la loro tomba… ideologica!
Già i Tuoi versi qua e là alludono a questo, perchè vuoi da poetessa celebrare una “rrabbìa” e subito dopo un giro di boa verso una liberazione – ma quando? – ma ci siamo… forse alla fine di quest’anno la resa dei conti contro pagliacci, burattini e marionette… dicono tutti che non sarà più come prima, mbah… un poeta dice sarà peggio di prima ad essere ottuso pessimista…
…e ho scelto alcuni versi che mi dettano qualcosa poiché prossimi alla funebrità senza requie che regge anche la mia e che canto con più sicurtà daa 35 anni! – questo che viviamo non mi ha sorpreso affatto! , anzi perché non prima… si è presentato in ritardo come un attore di provincia!
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“Così il tempo delle certezze
si scolora in lutti e ombre.”
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e non t’accorgi che fai uso di cloro che scolora al posto del mutarsi in nero e penombra.
E poi questi altri versi che m’hanno fatto pensare al Ripellino barocco (” ma che vuoi fare tu vecchia molliccia”) degi suoi ultimi anni che conobbi fino alle viscere e che avvicinarono me all’orrore per affrontarlo… e detti infatti, AnnaMaria, di scardinamenti e di sradicamenti e penso anche ai “Medicamenta “di Patrizia e allo strazio di Ceronetti e alle crudeltà linguistiche di Emilio e tant’altri… non c’è posto per la poesia consolatoria, per quella triade scellerata (UQM), ma per i versi miei “mostruosi” di certo!
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Scardino tutto,
furente mi scaglio sul fato piombato…
Ma che vuoi fare tu vecchia molliccia?
Neanche al ragno-ballerino
che si è installato nella tua doccia….
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avrei voluto scriverli io…
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Dunque sei pacata a comporre, ma ci vuole violenza concreta- almeno una volta fra vita e morte!… contro quei mercanti-untori con quegli accenti che tu diresti “ma sono persone civili! e invece hanno anche la maschera del boia oltre al volto naturale! e che farfugliano vanamente che “tutto andrà bene”, per loro di certo, ma ditelo questo ai morti! che di eroico non hanno nemmeno un NULLA!
…grazie Antonio, trattengo come prezioso il tuo insegnamento e anche le note che mi rivolgi, esattissime…Si’ a volte nella scrittura mi nasce uno slancio di rabbia, furore, che aspira a spezzare le catene, a svelare quanto la paura o l’arroganza tengono strette…dentro di me, fuori di me. Ma, solitamente, segue il ripiegamento nello sconforto , nel dolore…Ho forte il senso del mio limite di potenza, di coraggio, di cultura, limite che corrisponde a mie esperienze pregresse, a tratti individuali invalicabili…Pero’ trovo anche importante testimoniare questo limite consapevole che è anche di molte altre persone, pertanto a volte persino con “orgoglio” lo ostento perchè non ci dovremmo vergognare di una certa fragilità, che, se dichiarata, puo’ già diventare forza….D’altra parte guardo con ammirazione chi si è liberato da tanti veti, si lancia in acrobatiche e sfrenate prove di coraggio e osa sfidare le aquile nei loro voli…Spesso mi sono sentita piu’ partecipe del destino delle vittime e, in qualche modo, nel dovere di dover dare a loro una voce, anche dolente…il nostro fine, pero’, e certo a livelli diversi di scrittura, potrebbe essere lo stesso. Ciao Annamaria
Grazie, Anna Maria, hai scritto sei poesie belle e commoventi che invitano a riflettere.
La prima (“CASO MAI”) mi pare colga bene la natura traumatica dell’evento epidemia-pandemia col crollo repentino e crudele delle nostre certezze e delle nostre quotidiane abitudini. Certe volte ce ne lamentiamo. Ci sembrano gabbie. Ma, quando crollano, ci appaiono “fiori recisi”…
Il passo successivo è quello di indicare chi è l’agente di questa nostra catastrofe. E qui scegli la metafora che più imperversa in questi giorni: quella della guerra. Il “nemico ha armi invisibili”. E l’offendi pure, gli dai del “vigliacco”, come se potesse sentire le tue ingiurie. A questo punto, descrivi un noi “lasciati soli e indifesi con i nostri ridicoli arsenali”. Certo, ognuno di noi è chiuso in casa (chi ce l’ha) solo o con la propria famiglia – che è già una forma di difesa -. Però ho l’impressione che i nostri arsenali non siano ridicoli. Ci sono decine di laboratori in tutto il mondo che lavorano a ritmo serrato per mettere a punto strumenti vari, fra cui terapie e vaccini, che frutteranno quantità di denaro rilevanti. Per carità, che inventino pure terapie e vaccini. Vogliamo vivere e non morire. Ma non abbiamo sotto gli occhi una comunità del tutto impotente e indifesa. Certo, faremo i conti alla fine. Non so se questa pandemia, che sta chiudendo in casa (sempre per chi ce l’ha) quasi tutte le popolazioni del globo, mieterà più vittime di altre epidemie.
Giustamente come recitano i tuoi versi: da giorni, da settimane si invoca “la chiara sorgente di vera intelligenza umana” che ci possa garantire “il soffio della vita, il respiro.”. Speriamo che inventino presto qualcosa.
Infine, chiudi il componimento con questi versi:
Virus, non sei tu un dio!
Caso mai un cieco esattore
per un madornale debito-errore
contratto dagli umani
verso la natura che ci parve
indifesa, calpestabile,
da prevaricare…
lei forte, resistente,
che voleva solo esserci amica!
Che dire di questo ingiusto
giustiziere, tra umano
e “divino”?
È un passaggio questo abbastanza discutibile. D’accordo, il virus non è un dio. Ma non è neanche un “esattore”. Se homo sapiens ha un debito-errore nei confronti della natura, dobbiamo capire bene qual è. A me sembra che sia quello di immaginarla e pensarla come una “collezione di cose” e di risorse da sfruttare a nostro esclusivo vantaggio. Noi non pensiamo che sia debole, indifesa, calpestabile. Noi pensiamo che sia forte e resistente, ma abbiamo mine per forare montagne, motoseghe per abbattere foreste, macchine perforatrici per tirare su il petrolio, ecc. ecc. In una parola, noi pensiamo di essere al centro del mondo e pensiamo – peccato di tracotanza! – di poter fare del mondo-natura ciò che vogliamo. Non so se il coronavirus sia un “ingiusto / giustiziere, tra umano / e divino” della natura. Per quanto antipatico e dannoso per i nostri polmoni, penso che sia soltanto un virus…Non nego, comunque, che si possa pensare ad una “ribellione” della natura-schiavizzata-prevaricata nei nostri confronti. Una natura che vorrebbe soltanto esserci “amica”.
2. Il tema della seconda poesia (AL BIVIO) è quello dello smarrimento dell’Essere che esce da una stanza ed entra in un altro, in un “dedalo di stanze infinite”. L’Essere oscilla tra la forma nota, familiare e il vuoto. Lo smarrimento è un po’ l’effetto dell’evento traumatico (cfr. la prima parte della prima poesia) un evento che si vorrebbe ricondurre a “una forma nota”, ma non sempre è possibile. Da qui la sensazione di “vuoto”. Occorre, secondo me, vivere in fondo questa sensazione di “vuoto”. L’evento produrrà cambiamenti che non riusciamo a prevedere.
Mentre l’Essere prosegue quasi per inerzia questo viaggio, fuori la morte impazza e risucchia ogni vita. A questo punto, si domanda: serve continuare il viaggio senza aspettarsi più nulla? Serve farlo automaticamente, solo per abitudine?…L’Essere è in crisi, al bivio. Ed è qui che si apre “verde e luminosa una luce sui rami di un pero frondoso”. È luce di speranza. È luce di “dolci frutti dorati” per tutti. La Storia ricominciava la sua giusta direzione. Speriamo!
3. Questa poesia (ABBONDIO CHE SONO IO) è più puntuale, concreta. Leggera. Il tema è quello del confronto fra l’Io poetante, un essere umano che fa venire in mente il famoso Don Abbondio, e un ragno che si è installato nel suo bagno cieco. L’Io piange ha perso il filo della sua esistenza (ancora il tema del trauma). Rimozione. C’è l’Io poetante che vorrebbe scardinare tutto, scagliarsi sul “fato piombato”…Ma non ce la fa. É soltanto “una vecchia molliccia”, neppure capace di impaurire il ragno-ballerino installatosi nella sua doccia. Non sa se è più serio o più buffo nella sua acrobatica altalena. Nel confronto fra l’Io e il ragno, l’ospite ha più “spazio di resistenza”. L’Io intanto piange. È molto triste. Non vorrebbe vedere né sapere niente del mondo fuori.
“ma, sbrighiamoci,
sulla porta si è formata la coda!”
La poesia si conclude con questi due versi scherzosi. Uno scatto di umorismo all’interno di una situazione drammatica.
4.- Nella quarta poesia (PROGETTI…PROPOSITI…FUTURO), con in mente le immagini dei clochards raccolti in un campeggio, “tra strisce bianche ben distanziate”, senza più neanche “il calore delle pulci”, la voce poetante ricorda i versi di Primo Levi e assume un tono profetico: le sorti si possono ribaltare per lo scioglimento dei ghiacciai e per i cambiamenti climatici che possono dar luogo a “mulinelli disordinati di elementi”. Noi tutti siamo dei potenziali “senzatetto, senzafiato senzapane senzasonno”.
Questo forse è un insegnamento del coronavirus: l’imprevisto è dietro l’angolo. Ciò che può succedere non lo sa nessuno. Perciò tremate anche voi “nelle vostre tiepide case”. Non possiamo disinteressarci dei clochards. O ci salviamo tutti o nessuno…
5.- La poesia (UNA GARA) prende avvio da un moto di nostalgia nei confronti della “mite velocità della bicicletta”, del “treno lento e pacato” che trasporta e culla. Permette di osservare un paesaggio fatto di bellezze, ma anche di schifezze…un paesaggio che sta lì per “il puro piacere” di farsi contemplare o anche denigrare. È nostalgia insomma di una velocità coniugata con la lentezza. Questo, mentre fuori “stra-corre un virus arrogante, famelico” che vorremmo fermare. Invece, nel suo stracorrere è molto simile a noi che lo emuliamo. Che intelligentoni che siamo! Con le nostre competizioni assurde e le nostre mortali sfide di potere. Spunti di critica ben orchestrati all’homo oeconomicus.
6.-Poesia molto bella nella sua dolente umanità. Il bambino ha gli occhi spenti, fuori circola la morte, la vita statica appassisce. Molto belle anche le similitudini: la vita “come un’ape ibernata tra i fiori di vetro” o “come un piede frenato sul pallone rosso del pianeta”. Oppure come “voce zittita dell’uccello danzante”. Tra l’altro non piove neanche e sembra che la pioggia stessa “sia incarcerata dietro le sbarre di un finto cielo blu”. Se il cielo non piange, piangono, invece, i bambini e sui loro “occhi spuntano crisantemi per i nonni scomparsi” o piangono per i nonni “lontani e murati per non rincorrere il vento” diventando cenere.
7. È una poesia-omaggio a chi sta in prima linea: medici e infermieri in camici bianchi, ma anche arancioni e verdi. Hanno le mani impegnate in contatti coi contagiati, tra ”respiratori umori e rantoli”… Poi ci sono anche “i molti disertori” e chi urla e tace “nella sala dei bottoni”.
Dopo l’omaggio, un’esclamazione: Quante margherite quest’anno nei campi!…Il bianco sembra prevalere sul verde. È il mantello di un candido lutto, dove ogni margherita è una persona che scompare. Scompare soffocata quasi come i migranti annegati a cui “non si è tesa la mano”.
Giustamente Annamaria chiama queste poesie anche riflessioni. In questo commento (troppo lungo!) ho voluto raccogliere soprattutto la parte riflessiva. Ma apprezzo tanto anche quella più strettamente poetica. Dal tessuto “ragionativo” emerge spesso uno straordinario tessuto musicale e di immagini abbastanza originale.
Grazie Annamaria delle tue riflessioni .- poesie.Ti ritrovo con la tua fragilità e forza, ma anche con una nuova consapevolezza espressiva.Ti ho ritrovata e mi sono ritrovata.