di Giuseppe Natale
La pandemia da coronavirus ha drammaticamente messo in evidenza l’inadeguatezza e l’insostenibilità della sanità gestita dalle regioni. Un sistema che è peggiorato da quando da nazionale e unitario si è differenziato , quasi frantumandosi, nella gestione diretta delle 20 regioni e delle due province autonome di Trento e Bolzano.
Nonostante la tenuta del sistema sanitario nazionale , che costituisce ancora una solida garanzia di tutela della salute per ciascuna persona e per tutti i cittadini, si è accentuato il processo di peggioramento da quando si è imposta l’ideologia del “mercato” e del “profitto” anche per i diritti fondamentali ed inalienabili come la salute, in contraddizione con l’art. 32/Cost. (“La repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività…”).
Si è incentivato lo sviluppo della sanità privata e, con lo strumento della convenzione , si erogano ingenti risorse pubbliche a cliniche e fondazioni a gestione privatistica. Nel giro degli ultimi vent’anni si è realizzata una forte espansione dei centri ospedalieri e di cura privati : dal 38,7% del 1998 al 48,2% del 2017 rispetto a quelli pubblici che sono scesi nello stesso periodo dal 61,3% al 51,8%. Ormai i due sistemi si equiparano e ci si trova di fronte alla situazione davvero insostenibile in cui la sanità privata fa profitti sulla salute delle persone attingendo soprattutto a finanziamenti pubblici.
La politica liberistica del dio mercato mira a smantellare lo stato sociale , a cominciare dalla riduzione delle risorse per i servizi fondamentali che ha portato anche a un drastico taglio dei fondi per la sanità: 37 miliardi in meno nell’arco dell’ultimo decennio. Impressionante il numero dei posti letto ridotti: da 530.000 del 1981 a 191.000 del 2017 (ultimi dati disponibili ). E si sono diminuite consistentemente le unità professionali di medici, infermieri ed operatori, di cui oggi, nell’occhio del ciclone dell’emergenza epidemica, si soffre la carenza.
Anche in ambito sanitario è prevalsa la politica dei grandi ospedali e della centralizzazione della cura sanitaria, seguendo il modello dominante delle grandi opere infrastrutturali e dei grandi sprechi e ruberie, ridimensionando drasticamente la medicina preventiva (che quasi non esiste più) e territoriale (compresa quella che una volta si chiamava medicina scolastica), i presidi sanitari locali, i pronto – interventi, ed emarginando colpevolmente i medici di famiglia, un patrimonio storico – professionale straordinario di cui oggi, nella tempesta pandemica, si avverte il valore e la funzione fondamentali.
L’altro pilastro della sanità, dopo l’ospedale, è costituito dalle Residenze sanitarie per anziani (Rsa): in Italia 2556 centri che ospitano 300.000 persone. Negli ultimi trent’anni le case per anziani si sono moltiplicate in maniera abnorme, così pure il business relativo. Domina un’ideologia devastante: gli anziani, a cominciare da quelli più fragili e malati, appena non “servono” più vengono segregati in luoghi di “cura” , isolati e tenuti in vita quello che basti per fare profitto. Si dovrebbe invece provare a non accettare la logica di dividere le generazioni , a rispettare i “vecchi” – un tempo considerati “saggi”- e a convivere con loro nei luoghi della loro vita, in famiglia e nei quartieri e , per quanto possibile, assistere i fragili e i malati a domicilio. Comunque occorre ripensare le Rsa per farle diventare anche residenze, miste, ad esempio ospitando studenti che potrebbero prestare la loro collaborazione e beneficiare entrambi , anziani e giovani, della convivenza solidale.
In questi tempi di epidemia, sono diventati focolai pericolosi, come gli ospedali stessi, le Rsa anche perché , ad es. in Lombardia , si è disposto di trasferire i convalescenti da coronavirus nelle residenze per anziani che sono diventati luoghi di infezione in cui si sta verificando una vera e propria strage sia tra gli ospiti che tra gli operatori sanitari. Caso emblematico il Pio Albergo Trivulzio, dove è nato anche un Comitato Verità e Giustizia: 200 morti su 1000 ospiti! Al Centro Girola a Niguarda su 105 ospiti sono morti 40. Nella bergamasca – secondo i sindacati confederali – su 6.400 ospiti di 53 centri (su 65), sono morti 1.500 persone: una strage. Ma non si conoscono tutti i dati. Lo SPI Cgil è riuscito ad avere i dati solo di 349 centri sul totale di 700: 4995 morti di cui 1.100 nel milanese! La strage continua.
Su 16 residenze indaga la magistratura. Il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana, non solo non ha il coraggio di riconoscere di aver sbagliato a fare un’ordinanza sul trasferimento nelle Rsa dei malati convalescenti covid-19, ma fa scaricabarile sui tecnici e con impudenza afferma che rifarebbe la stessa cosa in situazione analoga. Ma che classe dirigente è mai questa?
Che dire dell’ospedale in fiera , annunciato in pompa magna a due voci dal presidente Fontana e dall’assessore al welfare e alla sanità Giulio Gallera, con il ridicolo richiamo in servizio del famigerato Bertolaso: la cura della salute in fiera: non suona cacofonico? Molti milioni raccolti. Si dice 21, ma certamente sono di più. Per fare cosa? Creare posti di terapia intensiva , quando quest’ultima nel decorso dell’epidemia si riduce di numero? All’inizio si annunciano 600 posti, che scendono subito a 200 per arrivare ad ospitare non più di 15-20 malati. Quei milioni non potevano essere impiegati per l’acquisto di dispositivi di sicurezza e per gli interventi nel territorio e a domicilio? Niente da fare prevale l’idea della sanità da fare nei grandi centri ospedalieri. E si persevera nell’errore , che non è più tale ma diventa un atto diabolico.
Nel biennio 2015/2016, coerentemente con gli indirizzi nazionali del governo Renzi volti a favorire l’imprenditoria privata dappertutto, compresi i servizi essenziali, le politiche sanitarie regionali favoriscono le cliniche convenzionate e riorganizzano un modello tecnico – amministrativo ancor più marcatamente aziendalistico e burocratico . La Lombardia , con la legge n.23/2015, moltiplica il numero dei direttori generali: 39, di cui 31 delle Aziende ospedaliere ed Aziende socio – sanitarie territoriali, 8 del nuovo organismo chiamato Azienda territoriale sanitaria (Ats). La sedicente eccellenza lombarda si distingue per l’enfatizzazione dell’ambito amministrativo e burocratico, anche rispetto alle altre regioni : ad es. il numero dei direttori generali è molto inferiore in Toscana (8), in Emilia Romagna (15), in Lazio (17), in Piemonte e Sicilia (18).
Come sappiamo i dirigenti sono di nomina politica: la gestione della sanità diventa una specie di torta da dividere tra i partiti del governo regionale! E qui si aprono più facilmente le porte agli abusi di potere, alle clientele, ai favoritismi e alla corruzione . Secondo i dati raccolti dalla Organizzazione non governativa Transparency, gli sprechi di risorse finanziarie per corruzione e ruberie varie ammontano nella sanità italiana a 13 miliardi in media all’anno!
La Lombardia , come sappiamo, occupa i primi posti nella mala gestione della sanità. Basti ricordare che, dalle inchieste della magistratura , solo per il caso Formigoni / Fondazione Maugeri (con il coinvolgimento del San Raffaele) furono sottratti ben 70 milioni dalle casse pubbliche negli anni 1999/2011. Il presidente Formigoni, soprannominato “il celeste”, è stato condannato a 5 anni e 10 mesi , con sconti di pena per prescrizione e a pagare un risarcimento di 47 milioni alla regione.
Il servizio sanitario deve essere sottratto alle grinfie del capitale privato e alla gestione amministrativa diretta delle parti politico-partitiche che hanno pro tempore la responsabilità di governo. Alla politica tutta e ad ogni livello, rappresentata dalla maggioranza di governo e dalla minoranza di opposizione , deve essere affidato il compito di legiferare bene e di favorire le condizioni migliori e la partecipazione dei cittadini e, in primis, dei malati e dei loro familiari , delle associazioni di cittadinanza attiva e delle rappresentanze sociali e sindacali, per garantire a tutti il diritto alla salute Deve avere il compito di indirizzare e controllare ai fini dell’interesse generale l’organizzazione e la gestione quotidiana del complesso sistema sanitario da affidare all’autonomia dei medici , degli operatori e dei tecnici da assumere tramite concorsi che diano l’indispensabile garanzia di preparazione e competenza professionale.
Il sistema sanitario deve ritornare unitario nazionale pubblico e assolutamente universale e gratuito. Deve essere bandito il profitto: il nome e la cosa devono cambiare nel senso che la salute non è una merce da produrre in “aziende”, è un diritto primario fondamentale da tutelare come servizio alla persona. Si deve perseguire l’utopia che anche le industrie farmaceutiche non devono avere lo scopo di fare profitto, ma devono invece far parte dell’organismo dei servizi sanitari alla persona.
Si deve pensare a mettere riparo alla devastante riforma del titolo V della Costituzione che ha consentito di trasformare le Regioni in piccoli “ stati “, i cui bilanci vedono come prima voce i miliardi della sanità . Con i risultati che sappiamo. A mio modesto parere, il primo atto da compiere deve essere quello di togliere dalle mani regionali la gestione diretta della sanità pubblica, che, dentro un quadro legislativo e politico nazionale, deve essere di pertinenza degli enti territoriali e locali, privilegiando la prevenzione e gli strumenti e gli interventi pluridisciplinari diffusi nel territorio . Il secondo atto fondamentale dovrebbe essere quello di collocare la tutela della salute personale e collettiva nel contesto ambientale, nel rapporto tra salute e alimentazione, tra salute e condizioni di lavoro, tra salute e degrado ambientale e cambiamenti climatici. Altro che mastodontici centri ospedalieri e cattedrali nel deserto!…
Dopo le lettere dei medici dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo (la prima del 23 e la seconda del 27 marzo scorso) , due appelli drammatici e veri e propri atti d’accusa nei confronti della sanità lombarda e della sua gestione organizzativa e politica, altre due lettere degli Ordini dei medici ribadiscono con forza le carenze e gli errori della sanità regionale e nazionale, in modo particolare in riferimento alle condizioni di sicurezza dei medici ed operatori sanitari e dei luoghi di cura, e alla necessità di valorizzare la medicina territoriale.
La prima è indirizzata al presidente del Consiglio e a tutte le autorità sanitarie e della protezione civile del Paese a firma del dott. Filippo Anelli presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri ( FNOMCeO).
E’ un appello/richiesta, urgente e drammatico, a mettere in sicurezza i medici e tutti gli operatori sanitari, che hanno già pagato un tragico tributo nella lotta al Covid-19: su 17.730 positivi i “colpiti” erano ben 1674 al 6 aprile. Si chiedono i DPI (dispositivi di protezione individuali) e la somministrazione dei tamponi a tutti i medici ed operatori sanitari per individuare i positivi e quindi evitare che gli infettati diffondano il virus.
La lettera si chiude con questa considerazione semplice e sacrosanta: “ Sono le risorse umane da mettere in sicurezza per prime. Sono loro i primi destinatari di tutti i possibili sistemi di protezione”.
L’altra lettera autorevole firmata dai presidenti degli Ordini provinciali dei medici della Regione Lombardia, inviata il 5 aprile scorso alle Autorità politiche della regione Lombardia, mette nero su bianco, in termini tecnico- scientifici, gli “errori” gravissimi commessi nella gestione dell’epidemia e costituiscono un atto di accusa preciso, chiaro e forte dell’intera politica sanitaria lombarda.
In un paese civile e davvero democratico, chi ha funzioni pubbliche di tale importanza dovrebbe dimettersi per i gravi errori commessi o almeno chiedere scusa e approntare subito interventi riparatori. Invece…
In sintesi nella lettera si elencano carenze e deficienze e si mette in evidenza il disastro:
° mancanza di dati sull’esatta diffusione dell’epidemia
° incertezza nella chiusura di aree a rischio
° gestione a dir poco confusa delle Rsa
° mancata fornitura ai medici di dispositivi di protezione individuale
° assenza di attività d’igiene pubblica
° mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari territoriali
° mancato governo del territorio
° situazione disastrosa, attribuita in larga parte al fatto che “ la sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurati”.
Le proposte immediate e urgenti si incentrano soprattutto su “un’estesa effettuazione di test rapidi immunologici”. Sono le stesse richieste fatte dalla Federazione nazionale dei medici.
In testa a livello mondiale per il numero dei morti per/ con il coronavirus in rapporto alla popolazione, la Lombardia è il buco nero delle condizioni sanitarie e ambientali e si dimostra incapace a gestire e a contrastare efficacemente l’epidemia . Ecco perché è giusto e urgente mobilitarsi per cambiare subito rotta, a cominciare da misure straordinarie come il commissariamento dei vertici del governo regionale.
Milano, 21 aprile 2020
Gentile Natale,
esiste un nuovo, l’ultimo! non so in quale ordine di tempo, medicamento che fa miracoli, prodgi, ecc. e che si chiama “oroscuranavin”che uno stabilimento veneto (notare la desinenza in :”in”) ma forse è lombardo, di certo produce e vende ad un’ottimo prezzo, e cioè 50 euro a compressa, oppure liquido in fiale da iniettare come detergente nelle vene o arterie non so, secondo il cazzaro americano, e sono due! il primo è da noi, ma si dice che abbia i giorni contati… ma non si sa quale dei due scegliere per il museo delle cere.
Dunque questo medicamento dovrebbe agire nel cerebro dei “seghisti” e pare che abbia dato ottimi risultati nel caso del pescecanesega, che come è noto vive nei fondali padani.
Si dice che tale risultato è falsato, ma fatto sta che si pensava dapprima di essere di fronte a una moria di pesce, il padano è quello preferito dalla statistiche, per cui si spera che ad un prossimo attacco del padanovirus tutti i pesci di qualsiasi classe, genere e sesso prendano subito il miracoloso, prodigioso ecc. “oroscuranavin” e che
il Signore ce ne liberi al più presto con meno morituri possibilmente, poi… ma basta così
a. s.