a cura di Samizdat
Matteo Marchesini, giovane e brillante critico letterario, ha oggi pubblicato su LE PAROLE E LE COSE 2 un’approfondita riflessione, “L’UMANITÀ È ANTIQUATA. SUI SAGGI DI PIERGIORGIO BELLOCCHIO”. Ho lasciato su quel sito “fratellastro” di Poliscritture fin dalla nascita queste due stringate considerazioni. [E. A.]
1
L’individualismo da borghese infelice di Bellocchio, depurato dal comunismo (ah, quel puzzo di zolfo della ideologia!) di Fortini, appare oggi doppiamente bello[all’]occ[h]io del Marchesini.
P.s.
E a proposito di umanità:
«Che cosa sia poi quell’uomo, quell’essere umano di cui parlate, quando a quello sia tolta la dimensione dell’azione comune per la solidarietà, la giustizia, la libertà e l’eguaglianza, io non riesco davvero a immaginarmelo. Che cosa è un uomo ridotto alla mera dimensione della interiorità morale?». E aggiungeva : «deve trattarsi di una canaglia. O di una vittima. E che cosa vogliono infatti da noi i custodi della eticità di stato, se non fare di noi delle canaglie o delle vittime?» . O politica o morale allora? No: «tra il momento politico e quello morale c’è una incessante tensione e implicazione reciproca» (38). Gli incarcerati per terrorismo e banda armata sostenevano che la sconfitta della lotta armata fosse venuta da un errore: aver fatto «uso della violenza» (36), che essi ora sentivano come colpa morale. E toccava proprio a Fortini fargli notare che così abbassavano la loro rivolta al livello dell’azione di «una banda di assassini o [di] un’associazione di indemoniati», perché essi stessi cancellavano la dimensione politica della loro azione (37). No, gli replicava, l’errore non è stato questo, non è stato morale, ma è venuto da una vostra cattiva «lettura e valutazione dei fattori politici che ha contribuito potentemente alla sconfitta della opposizione di cui [il Partito Armato] era una parte» (37) E aggiungeva: «e non una conseguenza» [della violenza](37). E per Fortini questo «errore politico [era] più grave di quello morale: quest’ultimo riguarda l’individuo, mentre quello politico «si trasforma in sofferenze e rovina per gli altri» (37). E infatti è la storia di tutti che è stata ridotta a «una questione di coscienza invece che in una questione di conoscenza e di azione» (37).
(da E.A. , Le disobbedienze dimenticate di Franco Fortini, https://www.poliscritture.it/2014/11/07/le-disobbedienze-dimenticate-di-franco-fortini/)
2
“Autori e personaggi anarchici fanno tutt’uno nella vicenda di Danilo Montaldi, che nelle Autobiografie della leggera, con orecchio letterario pari al talento di sociologo, ha trascritto i racconti di un mondo padano eslege e amaramente allegro. A sedici anni Montaldi ha abbandonato la scuola e il partito comunista, si è formato da autodidatta, e in seguito ha deciso di vivere di precarie collaborazioni editoriali.” (Marchesini)
Andrebbe aggiunto che Danilo Montaldi abbandonò il PCI ma mai l'”orizzonte” del comunismo; e, dunque, in lui il “contravveleno ideologico dell’anarchia” non si è mai separato dal “contravveleno Marx” (per capirci). L’ultimo documento politico pubblicato lui vivente, “La piattaforma del Potere Operaio” (1970), si conclude così: “La necessità di un’organizzazione marxista di avanguardia e l’importanza decisiva del suo inter vento prima e dopo la rivoluzione sono uno degli insegnamenti fondamentali della rivoluzione d’Ottobre 1917 e di tutti i movimenti rivoluzionari che hanno avuto luogo dopo di allora: Germania, Europa centrale, Italia, Cina, Spagna, Germania dell’Est, Polonia, Ungheria”.
(da Danilo Montaldi, Bisogna sognare. Scritti 1952-1975, pag. 603, edito per conto dell’Associazione culturale Centro d’Iniziativa Luca Rossi – Milano dalla Cooperativa Colibri, 1994 )
DALLA PAGINA FB DI MATTEO MARCHESINI
Matteo Marchesini
ciao ennio, grazie, dopo leggo. però ho visto intanto il commento sotto il pezzo, e mi chiedo davvero cosa tu abbia letto, dato che se c’è una cosa che bellocchio non fa mai – né lo faccio io – è proprio ridurre gli uomini e le opere a una vaga “interiorità morale”. montaldi è questo? orwell è questo? gli esempi che cito portano lì? neanche un po’.
Ennio Abate
Ciao Matteo, ho citato Fortini non per il suo accenno (secondario) all ”interiorità morale” ma per la sua critica a chi parla di “uomo” e di “umano”. E sia Bellocchio fin dal titolo che ha dato ai suoi saggi (Un seme di umanità) sia tu, che l’hai attentamente recensito, ne parlate ripetutamente e positivamente. Certo in modo intelligente, non acritico. Ma malgrado le molte cose pienamente condivisibili che hai scritto, è proprio in polemica con la latente o esplicita separazione del “morale” dal “politico” (“ la dimensione dell’azione comune per la solidarietà, la giustizia, la libertà e l’eguaglianza” di cui parlava Fortini) che ho voluto citare quel mio brano nel P.s. riferito ai brigatisti rossi pentiti (che “cancellavano la dimensione politica della loro azione”).
Altri tempi, altri problemi non ne dubito. Ma la posizione di Bellocchio, che tu hai lucidamente riassunto in queste parole:
“Tra gli anni Ottanta e l’inizio del nuovo secolo, su una rivista scritta con Alfonso Berardinelli e in alcune brevi raccolte, ha sparpagliato i frammenti del diario di un uomo solo, i frammenti del diario di un uomo solo, privo ormai di una comunità politica su cui contare e di una platea riconoscibile di lettori. In questa solitudine ha continuato a registrare i sintomi della stupidità nata dall’opulenza, senza dimenticare però che è così invasiva da rendere giocoforza un po’ complice anche chi la critica. Volenti o nolenti, e comunque dolenti, non abbiamo a quanto pare vie di fuga. Il meglio che si può fare, data la situazione, è forse meditare sulle esperienze nelle quali resiste un’etica del “come se”: l’etica che Bellocchio ammira in Flaubert, deciso a “praticare la virtù senza crederci”, e a prendere alla lettera i valori che una borghesia ormai tramontata ha usato per secoli da paravento.”
resta per me dignitosa ma inaccettabile. Proprio perché si arrocca esclusivamente sull’etica e su un’ ”etica del come se”. Che è individualista e nostalgica di una borghesia mitizzata. Non è manco un’etica dell’io/noi (aperta, cioè, al legame attivo con gli altri). E ha trascurato il compito di organizzarsi insieme contro il vuoto politico prodottosi con la sconfitta dei movimenti degli anni ’70. Così è stato lasciato il campo del tutto libero alla “stupidità nata dall’opulenza” degli avversari, che anche per il silenzio degli intellettuali (o il loro appartarsi “diaristico”) si è esercitata e tuttora si esercita indisturbata.
Avrei anche altre obiezioni sul rapporto Fortini/Bellocchio, la qualità della “salutare vena anarchica” di Bellocchio, la sua valorizzazione di figure letterarie impolitiche, apolitiche o prepolitiche; e soprattutto su quanto dice sul politicamente ambiguo (definirlo così mi pare il minimo!) “estremismo” di Céline. Quella strizzatina d’occhio verso la riduzione del comunismo a mito dell’infanzia (“Céline, che a proposito di aspirazioni infantili rimpiange “l’unico comunismo possibile (…) quello che tutti abbiamo conosciuto nell’infanzia”) è sorprendente e penosa (per me, che pur ho sempre letto e seguito Quaderni Piacentini). Te le manderò più in avanti.