di Franco Casati
Da Marcel Duchamp in poi l’arte figurativa ha subìto una indubitabile crisi, che ha portato infine al concettuale, dove i ponti sono stati del tutto recisi. Si è dovuto, successivamente, ripartire quasi da zero, volendo recuperare una tradizione artistica millenaria, per altro dura a morire; nella sua ricerca teorica Cesare Brandi evidenziò, appunto, come nel secondo ‘900 sia stato il recupero del legame fra segno e immagine a riportare tradizioni e regole dell’ arte del passato. In questo senso il disegno ha avuto un ruolo fondamentale, proprio per le sue caratteristiche di essenzialità e di libera invenzione. La sua evoluzione, nella forma e nelle tecniche, ha accompagnato tutto il successivo cammino dell’arte. La grammatica del disegno, creatrice di sintesi e di potenza evocatrice, ha funzionato come una sonda lanciata nell’inconscio, assecondando una ricerca culturale che ne è stata fortemente condizionata.
In questo senso, ad esempio, l’opera di Paul Klee, dove nel disegno si esprime una capacità e una sintesi espressiva distinta dalla pittura, ha spinto verso un’espressione primordiale e una moderna, sofferta spiritualità, nonché verso quella dimensione di “confessione creatrice” che consente all’artista una maggiore intimità. Può accadere, a mio avviso, che un disegno, un abbozzo, uno schizzo o un’incisione possano avere un maggior valore identitario e artistico rispetto a un quadro. Nella mia attività spesso mi è capitato di preferire il disegno di un artista a una sua opera, riscontrandovi una maggiore essenzialità e un minore condizionamento tecnico-formale. Mi piace ipotizzare un paragone in campo letterario: un haiku giapponese a fronte di una elaborata poesia occidentale, mutatis mutandis.
In questo blog viene pubblicata una rassegna diacronica dei disegni di Tabea Nineo. Osservando queste opere, per quanto mi viene consentito dalla semplice riproduzione, ho riscontrato di primo acchito le caratteristiche di cui sopra, in fieri, dove si innestano quelle istanze che vorrebbero attualizzare il messaggio di un’arte figurativa contemporanea. Provo ad evidenziarne alcune caratteristiche, fermo restando che la mia esperienza mi porta a ritenere che la conoscenza diretta dell’artista (che in questo caso non ho) sia importante per capire il suo percorso e per entrare nel laboratorio tecnico, nella sua officina.
Il ‘Narratorio grafico’ comprende disegni del periodo ’76/’86. In queste opere si riflettono temi di anni caldi di tensioni politiche e culturali, di lotte sociali; ma anche visioni oniriche e inconsce, elementi di realtà urbana e contadina, oppure singoli soggetti o persone. Nei disegni la linea è descrittiva ed espressiva al contempo, vibrante, partecipe. C’è una prevalenza del vuoto sul pieno, un uso misurato del tratteggio, qualche netto contrasto di chiaro-scuro, di luce-ombra.
Al di là di reminiscenze Picassiane o di correnti di pittura meridionale, in certe figurazioni e nel raro uso del colore, l’artista ha una sua cifra, una propria identità che va collocata in un alveo espressionista, più che astratto-informale. In tutte le opere salta all’occhio una netta opposizione, un forte contrasto a un formalismo di tipo estetico, perentoriamente cercata; un disegno figurativo che sfugge all’accademismo e declina verso un sofferto realismo. Non indugio sulla descrizione dei singoli lavori, perché sono tanti e ciascuno meriterebbe un discorso a sé. Invito, semmai, il lettore di queste brevi note a prenderne visione, per farsene un’idea personale.
Qualche pittore amico, nel passato, per valutare l’effettivo talento di un artista, mi suggeriva di esaminare i suoi disegni; e sono tuttora convinto che questo consiglio valga, e ancora di più, verso gli artisti contemporanei .