Sei stralci dalla Premessa di Marco Gaetani a cura di E. A.
1.
Il commento cui Briosi si riferisce nel 1993 come «in corso di stampa» in realtà non vide mai la luce ed è quello che il lettore ha ora davanti a sé, a distanza di più d’un quarto di secolo.
L’ottimismo dello studioso circa l’imminente comparsa del proprio lavoro esegetico in margine alla Coscienza era in verità ampiamente giustificato dal fatto che il libro, commissionatogli dall’editore menzionato [De Agostini] per la propria collezione scolastica di classici commentati, fosse effettivamente pronto per la stampa e in procinto di essere consegnato. La pubblicazione tuttavia non poté avere luogo a causa di intervenuti cambiamenti nei piani editoriali della casa novarese e Briosi – con l’understatement che gli era caratteristico – non se ne preoccupò più di tanto, ripromettendosi forse di collocare altrove un testo tanto accuratamente preparato […] e al cui destino il critico – come si vedrà, partecipe estimatore del capolavoro sveviano – non doveva essere del tutto indifferente. Altri impegni di ricerca (erano, come si noterà cursoriamente oltre, gli anni in cui Briosi dava alle stampe i suoi lavori, capitali e purtroppo estremi, di teoria letteraria) e poi la malattia che lo condurrà alla prematura scomparsa nel 1998 impedirono al commento di essere pubblicato. Oggi finalmente esso può essere offerto all’attenzione degli specialisti – e non solo – quale ulteriore testimonianza dell’acume critico-esegetico e dell’originalità d’approccio di uno dei nostri più validi studiosi di orientamento fenomenologico [1], nonché come contributo ancora fresco e – per le sue profondità e novità – tuttora virtualmente fecondo agli studi sveviani. Tali studi hanno conosciuto evidentemente, dall’epoca in cui Briosi portava a termine il suo commento, alcuni importanti conseguimenti, tra i quali va menzionata almeno la pubblicazione, nel 2004 e all’interno della riproposizione integrale delle opere dello scrittore triestino nei “Meridiani” Mondadori sotto la direzione di Mario Lavagetto, di una nuova edizione critica di La coscienza di Zeno [2]. Briosi legge invece il romanzo nel testo fino ad allora di riferimento, pur nei suoi generalmente riconosciuti limiti filologici (peraltro meno decisivi, anche per un’impresa ermeneutica del genere di quella compiuta da Briosi, di quelli concernenti altre opere dell’autore della Coscienza), vale a dire nell’edizione curata da Bruno Maier per l’Opera omnia di Svevo (Dall’Oglio, 1966-69). Una circostanza, quella appena evocata, non particolarmente significativa – va detto subito – alla luce del lavoro interpretativo di Briosi e che non ne inficia neppure minimamente portata e valore. La lettura proposta dallo studioso resta infatti valida anche se rapportata al testo della Coscienza quale oggi comunemente si assume a riferimento (quello, appunto, dell’edizione Lavagetto) e appare anche a esso integralmente applicabile.
[1]Sulla figura e l’opera di Briosi può vedersi C. A. Augieri, M. Gaetani (a cura di), Sandro Briosi: dalla critica letteraria alla teoria del simbolo, Milella, Lecce 2011. Può pure vedersi, dello scrivente, Un’idea della letteratura: Sandro Briosi tra critica e teoria, in “Rivista di Studi Italiani”, a. XVIII, n. 1, giugno 2000, pp. 157-97 (il contributo si segnala particolarmente per la Bibliografia, che riporta in dettaglio un numero cospicuo degli scritti di Briosi).
[2] Cfr. I. Svevo, Romanzi e “continuazioni”, Mondadori, Milano 2004. Nello stesso anno compaiono anche i volumi secondo (Racconti e scritti autobiografici) e terzo (Teatro e saggi) dell’edizione di Tutte le opere sveviane (sulla quale può vedersi M. Tortora, Svevo tra filologia e critica: brevi note sulla recente edizione critica, in “Allegoria”, a. XVIII, nuova serie, n. 54, 2006, pp. 99-106). Per una rassegna particolareggiata degli studi critici su Svevo usciti nel decennio immediatamente successivo al commento di Briosi è utile, ancora di Tortora, Il punto su Svevo: 1994-2004, in “Moderna”, a. VI, n. 2, 2004, pp. 169-85, seguito (pp. 187-246) dal nutrito Repertorio bibliografico ragionato su Italo Svevo (1994-2004), a cura dello stesso Tortora con E. Dei, D. Lo Cascio, S. Marchesino e F. Scollo.
2.
Il nucleo centrale, il carattere qualificante e ancor oggi distintivo, della lettura del romanzo proposta da Briosi è del resto già stato segnalato, con le parole dell’autore medesimo: esso risiede in un approccio critico che ridimensiona o relativizza, quanto meno, il peso specifico dell’armamentario teorico e metodologico di ascendenza psicanalitica (di qualunque orientamento [4]), optando per un’interpretazione che si colloca nell’orizzonte teorico fenomenologico-esistenzialistico (il richiamo a Sartre, pure centrale ed esplicito, non esaurisce lo spettro dei riferimenti [5]). Si può allora riassuntivamente affermare, ricorrendo a una formula forse non del tutto incongrua, che l’interpretazione del romanzo sveviano proposta da Briosi mira a riaffermare il rango e i diritti sanciti dal titolo stesso dell’opera commentata, vale a dire quelli della coscienza, accanto a, se non proprio contro, quelli – rischiosamente egemonizzanti, e per più motivi da ritenere nel caso di Zeno “sospetti” – dell’inconscio. Nella lettura di Briosi, infatti, la dimensione coscienziale del protagonista, vero fuoco della narrazione, si può dire integri e sussuma al suo interno lo stesso universo psichico “profondo”, senza che ciò peraltro porti l’interprete a voler diminuire, emarginare o addirittura detronizzare quest’ultima dimensione [6]
[4] Va comunque segnalato che, pur essendo sul fronte della critica sveviana di orientamento psicanalitico gli interlocutori di Briosi evidentemente molteplici e generalmente autorevoli (David, Petroni, Gioanola, Lavagetto, a suo modo – eccelso – lo stesso Debenedetti, per citarne solo alcuni), il confronto forse più serrato – quale traspare nel commento e anche in altri lavori che lo studioso dedicò a Svevo – si registra con l’approccio lacaniano tentato da E. Saccone, soprattutto nel suo Commento a «Zeno». Saggio sul testo di Svevo (il Mulino, Bologna 193).
[5] Sartre fu probabilmente la personalità intellettuale maggiormente influente su Briosi, che all’autore di Che cos’è la letteratura? dedicò due volumi (Il pensiero di Sartre. Lettura dell’opera filosofica, Longo, Ravenna 1978 e Sartre critico, Zanichelli, Bologna 1980). Per una ricostruzione, fine e partecipe, dell’itinerario culturale e umano dello studioso si veda F. Bernabei, Itinerario con Sandro Briosi, in Augieri, Gaetani (a cura di), Sandro Briosi: dalla critica letteraria alla teoria del simbolo, cit., pp. 21-60.
[6] Significativo in questo senso che, annotando nella seconda appendice (per cui cfr. infra la Nota al testo) un brano ivi antologizzato di Mario Lavagetto, Briosi scriva – e si segnala in particolare quanto compare tra parentesi –: «È importante questa osservazione, che ci richiama al pericolo di psicanalizzare Zeno come fosse persona in carne ed ossa invece che un “essere di carta”: sul quale dunque l’analisi linguistico-stilistica e l’interpretazione critico-letteraria devono aver l’ultima parola, come sempre quando si tratta di letteratura. (Ma fino a quell’“ultima parola” la psicanalisi resta, soprattutto nel nostro caso, uno strumento d’analisi indispensabile)».
3.
Naturalmente uno studioso del valore di Briosi non si accontenta di condurre la propria lettura del terzo romanzo di Svevo facendo leva sulla mera sostituzione degli strumenti psicanalitici con quelli esistenzial-fenomenologici. Il suo commento alla Coscienza vuole essere infatti soprattutto un invito a prendere atto della complessità (dell’ambivalenza, dell’ambiguità9) della rappresentazione sveviana della coscienza, troppo “riuscita” per essere risolta in una qualsiasi teoria, meno che mai in una teoria in ultima analisi ancora geometricamente deterministica come quella freudiana.
4.
La regola vale anche per un “antiromanzo” come quello di Svevo: ciò che lo tiene insieme è l’ambiguità, il carattere sfuggente del senso di ogni evento o situazione; e allora ogni dettaglio non può che inscriversi in questa ambiguità e confermarla». Ancora una volta i caratteri strutturalmente più innovativi, “moderni”, della Coscienza (quelli “metanarrativi” o “metaletterari” tout court, che ne fanno finanche un «“antiromanzo”» o anche, per taluni lettori che Briosi però non segue fino in fondo, un’“opera aperta”) sono dal critico ricondotti al tema capitale dell’ambiguità, alla capacità di Svevo di offrirne una rappresentazione efficace (vale a dire verosimile).
5.
la fascia idealmente occupata, nel commento, dalle informazioni e da quella quota al limite grettamente nozionistica forse inevitabile in ogni annotazione “didattica”, è ristretta al minimo indispensabile, e sovente risolta laconicamente
6.
Il commentatore si propone, dunque, non solo di promuovere una comprensione più profonda della complessità del “messaggio” contenuto nella Coscienza, attraverso un close reading che – lo si dovrà ripetere oltre – ha in una speciale “compattezza” argomentativa uno dei suoi caratteri esponenti; ma, contemporaneamente, intende indurre il lettore a riflettere e a interrogarsi su quanto di realmente indispensabile risieda ancora nelle forme di comunicazione letteraria, mostrandone l’irrinunciabile e peculiare funzione conoscitiva (e relazionale, giusta il carattere autenticamente intersoggettivo, e non semplicemente metasoggettivo, della comunicazione simbolica). Funzione che si esplica non tanto nell’offrire, da parte di opere pur anche assurte allo status di “classici”, risposte certe alle domande (storicamente) più impellenti degli esseri umani, quanto nel permettere loro di elaborare – a partire da quelle domande – una migliore consapevolezza dell’ambivalenza costitutiva della propria condizione (quale emerge a coscienza nella Modernità matura).
Sono molto Confucio: “Ogni cosa ha la sua bellezza, ma non tutti la vedono”
Scusa Filippo, è riferito a Briosi, a Svevo o ad altro?
Lend by Land: “Presta a tutti il tuo orecchio, a pochi la tua voce”.
Prima di essere una narrazione un romanzo è un lavoro di scrittura. Anche Svevo insegue questa finalità, a prescindere dai contenuti (quindi non scrive dietro suggestione della psicoanalisi). Si è nutrito della grande narrativa dell’800, e si sta cuocendo nel brodo della cultura mitteleuropea. Sul piano del vissuto e su quello ideologico si oppone alla macchina-mostro della borghesia industriale e commerciale (come Thomas Mann). Cerca di salvare il proprio ‘io’ più profondo dipingendosi, attraverso la finzione letteraria, come un inetto alla vita, alla società, a una umanità che sta andando incontro alla deflagrazione finale. La sua novità sul piano stilistico e contenutistico avviene come un rinnovamento della tradizione, senza sperimentalismi formali o teatri dell’assurdo. Mi piace accostare ‘La coscienza di Zeno’ alle ‘Memorie del sottosuolo’ di Dostoevskij.
Affido alla tolleranza di qualche lettore queste modeste considerazioni personali.
Tra gli stralci della Premessa di Marco Gaetani quello per me emotivamente e intellettualmente più rilevante è il 1°, di cui riporto questa frase:
“Si può allora riassuntivamente affermare, ricorrendo a una formula forse non del tutto incongrua, che l’interpretazione del romanzo sveviano proposta da Briosi mira a riaffermare il rango e i diritti sanciti dal titolo stesso dell’opera commentata, vale a dire quelli della coscienza, accanto a, se non proprio contro, quelli – rischiosamente egemonizzanti, e per più motivi da ritenere nel caso di Zeno “sospetti” – dell’inconscio. Nella lettura di Briosi, infatti, la dimensione coscienziale del protagonista, vero fuoco della narrazione, si può dire integri e sussuma al suo interno lo stesso universo psichico “profondo”, senza che ciò peraltro porti l’interprete a voler diminuire, emarginare o addirittura detronizzare quest’ultima dimensione”.
Il perché è presto detto: nel 1994, agli inizi della mia amicizia con Briosi, presi spunto da un suo saggio apparso sul n. 14 di Allegoria: “Il sogno raccontato da Svevo “, per scrivergli una lettera. Egli non solo mi rispose ma fece pubblicare lo scambio su “Allegoria”. L’ho poi ripubblicato nel 2011 sul mio blog IMMIGRATORIO (qui:https://immigratorio.wordpress.com/2011/07/17/su-sandro-briosiil-sogno-raccontato-da-svevo-in-allegoria-n-14-1993/ ).
Oggi, che finalmente è stato pubblicato questo importantissimo lavoro di Briosi su “La coscienza di Svevo”, aggiungo due appunti:
1.
Non mi sorprende che Marco Gaetani condivida pienamente l’interpretazione che Sandro Briosi dà de “La coscienza di Zeno” e ridimensioni anche lui l’influsso della psicanalisi sul “letterato” Svevo. Riconosco che lo fa con grande finezza e senza alcuna forzatura del pensiero di Briosi;
2.
Vorrei ribadire però, anche a distanza di tanti anni, quell’avvertimento contro la “pericolosa insolazione di Coscienza” e la necessità di tenere le porte aperte tra le stanze della Letteratura e della Psicanalisi invece di privilegiare l’ “ immaginario regno della “finzione letteraria”, che ebbi l’ardire di mandare a Briosi in quella mia lettera.
Riletta oggi, la trovo un po’ faticosa e impacciata nel contestare il “Gentile prof. Briosi” da poco conosciuto, ma difenderei ancora la mia volontà di confronto e anche la maliziosa obiezione che gli mossi: se «la sola alternativa che [la coscienza o “La coscienza di Zeno”] concepisce alla propria condizione è l’esplosione che la distrugge insieme al mondo in cui essa è immersa» […] Allora preferisco l’ultimo Leopardi de La ginestra “.
P.s.
Ah, se Sandro potesse dialogare ancora direttamente con me e con noi!
…non sono proprio all’altezza di entrare in merito alla discussione critica sul romanzo di I.S., ma ricordo le mie impressioni quando lo lessi, veramente molti anni fa…In effetti mi aveva colpito la narrazione sincera e distaccata di una coscienza che dichiarava senza eroismi le sue fragilità, le sue contraddizioni..ma anche senza cinismo alcuno. Come se si osservasse in quanto “fenomeno”, il cui manifestarsi era opera di una volontà contraddittoria come del caso…un caso che veniva accettato e non contrastato, quasi una non volontà davanti agli avvenimenti di influenza orientale…Trovo anch’io in Zeno, come Franco Casati, una certa somiglianza con la coscienza di alcuni personaggi dei romanzi di Dostoevskij, per quello che ricordo da antiche letture…