di Stefano Taccone
Ligio Regolo era quello che si dice un brav’uomo. Scapolo, moderato nel mangiare e nel bere, lavoratore sempre puntuale finché non era andato in pensione – ormai era già qualche anno. No social network – non sopportava la fake news -, ma televisione – specie telegiornali – e quotidiani cartacei sui quali, pensava, hanno scritto e scrivono grandi firme del giornalismo italiano. L’Italia? Sarebbe un grande paese – ne era convinto – se solo non vi fossero irresponsabili, fannulloni, ignoranti, tanto giovani quanto della sua età – e la presenza di questi ultimi la trovava ancora più grave, in quanto per i primi si poteva almeno trovare una giustificazione di carattere anagrafico.
Era cominciato il nuovo anno e sempre più insistentemente televisione e quotidiani informavano sul coronavirus in Cina. Ligio, uomo diligente, leggeva qualche pagina in merito, ma ancora la questione non lo preoccupava granché. Ci sono state altre epidemie nel corso degli ultimi anni, ragionava, ma non hanno mai toccato l’Italia. Certo un po’ lo preoccupava il fatto che i confini dell’Italia fossero, ai suoi occhi, un colabrodo. Sapeva che molti cinesi erano in Africa e subito aveva formulato l’equazione africani=immigrazione=contagi in Italia. Questo tarlo aveva appena cominciato ad erodere il suo cervello quando arrivò il primo caso accertato di coronavirus in Italia. Era l’ultima decade di febbraio e ciò accadeva a Codogno, ovvero a non troppi chilometri dalla sua residenza. Si ricordò a quel punto di un altro tarlo che aveva cominciato qualche settimana prima a lavorare nel suo cervello, ma che subito si era estinto – mangiato da altri tarli più grossi. Effettivamente si era preoccupato anche dei cinesi stessi; non solo degli africani. E aveva considerato che chiudere i voli dalla Cina da parte dell’Italia non bastavase poi chi veniva dalla Cina poteva fare scalo in altri paesi. Ora gli eventi sembravano dargli tristemente ragione.
Anche questa volta tuttavia questo tarlo fu fagocitato da altri maggiori, nella misura in cui i casi di coronavirus cominciarono a moltiplicarsi nel giro di pochi giorni e il Lombardo-Veneto pareva il pericoloso epicentro dell’epidemia. Subito allora si accodò alle insistenti richieste che venivano da una parte degli amministratori locali, dalla stampa e della società civile di chiudere tutto. Certo le scuole, le università, ma anche i luoghi di aggregazione: bar, ristoranti, pizzerie… E poi ancora – un po’ gli dispiaceva perché gli sembrava in tal modo di assecondare una certa mentalità perdigiorno che egli abborriva – anche i negozi, gli uffici pubblici, le fabbriche… Diamine, c’era lo smart working! Ma soprattutto nessuno, nessuno proprio doveva uscire di casa per alcun motivo. E che facciamo moriamo di fame? Neanche i supermercati? Ti fai le scorte, avrebbe risposto, e infatti così fece – pur non risparmiandosi di vituperare il disservizio e l’inciviltà che si palesava con le file -, proprio mentre il governo a colpi di decreti sembrava venire incontro alle sue richieste chiudendo sempre più e limitando sempre più i motivi leciti di uscita.
Il lockdown a questo punto era pressoché completo e ci si sarebbe aspettati che Ligio avrebbe apprezzato il rigore dimostrato dal governo, e invece egli era di tutt’altro avviso. Il governo non faceva abbastanza, perché aveva il polso debole. Era troppo buono e misericordioso forse, o anche non si rendeva conto della gravità della faccenda. Ad esempio continuava a tenere aperti i supermercati e i negozi di alimentari e c’era gente che andava ogni giorno – pensava lui – a comprare qualcosa. Diamine, ma fate fare le scorte a tutti e poi chiudete, chiudete e chiudete anche gli alimentari! Sapete quanti contagi si possono verificare in luoghi chiusi come quelli, dove tutti toccano tutto? Avete il frigorifero piccolo? Cercate di incastrare quanta più roba dentro, oppure comprate cose che non si rovinano fuori dal frigorifero! Arrangiarsi un po’… E che ci vuole?! I giornali? Pure lui comprava giornali ogni giorno, ma ora non era il caso. Un giornale era un bene di prima necessità? Quanti virus potevano annidarsi sui giornali? I cani che fanno i bisogni? Questa poi era la cosa più assurda che si potesse mai concepire… Se proprio devi tenere il cane non puoi fargli fare i bisogni in una vaschetta a casa? Almeno ci fossero stati dei controlli. Sì, aveva letto di un giovane che era stato multato perché era andato a trovare la sua ragazza – ottima cosa; se lo era meritato! -, ma anche le forze dell’ordine alla fin fine si dimostravano caritatevoli. Invece di comminare multe e magari condurre per le orecchie al commissariato, si limitano a imbrattare fogli con autocertificazioni. Non osava immaginare quante stupidaggini i passanti sorpresi a circolare senza meta potevano dire al vigile e quello che le scriveva pari pari. Fosse stato lui ministro dell’interno o anche molto meno…
Passò i primi giorni quasi sempre affacciato al suo angusto balcone e non si dava pace. Non solo gli pareva passasse in continuazione gente, ma addirittura talvolta passavano a frotte di due o più. Amanti a braccetto… Così se lui ha il coronavirus lo passa pure a lei, pensava. Ma il problema è che non solo lo passa a lei ma poi lei lo passa ai genitori e poi i genitori lo passano ai vicini e così via la sua testa continuava a frullare di interminabili catene di potenziali contagi.
Fu così che prese una decisione. Si era lasciato bombardare da innumerevoli pubblicità o programmi televisivi in genere ove si invitava a “Restare a casa”. A certi orari passava persino un’auto che con un potente megafono esortava la cittadinanza a rimanere a casa, manco fosse stato l’arrotino. Si ricordò di avere ancora, nel profondo del suo ripostiglio, un megafono che aveva usato in gioventù. Mai avrebbe pensato di tirarlo nuovamente fuori. Gli ricordava un passato di cui si vergognava e pertanto aveva rinnegato e rimosso. Non nel senso che dichiarava di essersi pentito, ma nel senso che negava che quel suo passato fosse esistito e forse se ne era persino convinto in buona fede ormai.Tuttavianon solo non si era mai sbarazzato di quel megafono, ma si era anche ricordato di averlo ed era sicuro di poterlo ancora rinvenire. E infatti così fu. La ricerca durò un po’, ma in fine andò a buon fine. Così si affacciò al balcone e cominciò a pronunciare a voce amplificata esortazioni del genere: «Un avviso a tutta la cittadinanza! Rimanete a casa! Rimanete a casa! Rimanete a casa! Non uscite di casa per nessun motivo! State sentendo quanti contagi? Ci salviamo solo rimanendo a casa! Se rimanete a casa andrà tutto bene!», e così via…
Presto però tale atteggiamento cominciò a stancare il vicinato e, d’altra parte, la situazione prodotta dalle proteste che giungevano dagli altri balconi, unite alla circostanza per cui gli pareva che le persone in giro non diminuissero affatto, era per lui fonte di frustrazione ancora maggiore di prima. Non riusciva a capire per quale motivo i suoi vicini, invece di apprezzare il suo senso civico, lo attaccavano o addirittura si burlavano di lui. Tutto ciò lo faceva uscire fuori dai gangheri. Il culmine dello scontro fu lambito quando cominciarono i flash mob delle 18 dai balconi. Se inni nazionali, applausi e addirittura fuochi d’artificio gli parevano disturbare la sua opera di “responsabilità civica”, gli artefici di tali iniziative si sentivano a loro volta disturbati da Ligio. Ad un tratto qualcuno, più giovane di lui e con una voce naturalmente più squillante della sua al megafono, lo invitò a tacere in un modo talmente colorito che tutto il viale scoppio in una fragorosa risata. Per Ligio fu un colpo troppo duro. Si fece tutto rosso e presto comincio a sentirsi quasi svenire tra la rabbia, lo sconcerto e l’umiliazione. Prese così la precauzione di rientrare e stendersi sul divano, finché non si fosse ripreso, ma la cosa non sarebbe finita lì.
Passavano i giorni e il cervello di Ligio era sempre più in ebollizione. Stava continuamente a confrontare dati di nuovi contagi, nuovi ricoveri in terapia intensiva, nuovi deceduti. Confrontava giorni precedenti e giorni successivi, regioni e regioni, né si fermava all’Italia, ma analizzava anche i dati degli altri paesi d’Europa e non solo. Faceva i conti ma non si trovava. Gli sembrava che i dati cambiassero a seconda delle fonti e in ogni caso che la situazione fosse sempre ancora più grave di comevenisse presentata. Forse stava diventando anche lui un “complottista”? In ogni caso proprio non riusciva a credere che in certi paesi i contagi e i decessi fossero così bassi. E poi c’era sempre la questione degli irresponsabili. Ora c’era chi parlava della possibilità per i runner di allenarsi, perché tanto, si diceva, il runner corre in solitaria e non corre il rischio di infettare altri. Che stupidi che sono! Esclamava dentro di sé. Se tutti si mettessero a fare i runner cosa succederebbe? Sapete quanta gente che non ha mai corso si inventerà runner pur di uscire di casa e violare il lockdown? Si cominciava inoltre a diffondere l’uso delle mascherine, che Ligio riteneva, insieme ai guanti, qualcosa di fondamentale se proprio si usciva – ma era comunque meglio non uscire affatto. Solo che gli pareva sempre che praticamente nessuno portasse la mascherina. Sì certo, era difficile trovarle. Erano andate a ruba. Ma almeno una sciarpa, un foulard… Gli volevano raccontare che non avevano neanche un foulard in casa? Ma va…
Nel contempo cominciava a pensare che con le buone maniere non solo non aveva ottenuto nulla, ma era stato pure deriso. Era necessario pertanto cambiare strategia: era in gioco innanzi tutto la salvezza del popolo italiano – altro che bandiere e inni dai balconi -, ma poi c’era anche il suo onore ferito e andava riscattato assolutamente. Nel ripostiglio dove aveva trovato il megafono vi erano tanti oggetti. Ognuno di essi era in sé innocuo, ma lanciato da un balcone del sesto piano poteva fare male eccome… Di oggetti ce ne erano svariati… Era reato tutto ciò? Certo, lo era, ma non era forse più grave uscire di casa mettendo a repentaglio la vita propria e altrui? A mali estremi, estremi rimedi… Si stava vivendo una situazione eccezionale… E poi non doveva certo ucciderli, ma solo spaventarli. Un bello spavento avrebbe loro fatto capire finalmente che si doveva rimanere a casa!
Cominciò così a lanciare sui passanti bacinelle, cesti di vimini, vecchie maniglie e altre ferraglie, vecchi libri contabili o elenchi telefonici. Un attimo dopo aver praticato il lancio gridava: rimanete a casa! E poi rientrava dentro onde – sperava – non farsi vedere. Del resto aveva abbandonato la vecchia postazione del balcone ed aveva scelto una più discreta finestrella. Erano passati tre o quattro giorni ed aveva già compiuto decine di questi “colpi”, benché fino ad ora non ci fosse stato neanche un piccolo ferito. L’autore di tali azioni proditorie era stato quasi immediatamente identificato, eppure non tutti riuscivano a crederci. È vero: l’episodio del megafono di qualche tempo prima aveva già messo un po’ in allarme il vicinato. Molti avevano pensato che Ligio stesse cominciando a perdere qualche rotella. Tuttavia egli era conosciuto come una persona schiva, forse un po’ fredda, eppure onesta. Mai nessuno, benché nessuno lo conoscesse davvero nel profondo, avrebbe sospettato che sarebbe arrivato a tanto. Erano partite così le prime chiamate skype per confrontarsi su come far fronte al problema. Anche se si abitava a poche porte di distanza ciascuno si guardava bene dall’andare a bussare alla porta dell’altro. Denunciarlo? Ma no, poverino. La finirà prima o poi… Eh, poverino un corno! Quando ci rimane secco qualcuno?
Purtroppo col trascorrere dei giorni non solo questi spericolati lanci non cessavano, ma aumentavano di intensità. Nel frattempo la voce di Ligio era sempre più tremolante. Forse le scorte alimentari stavano terminando ed egli non aveva alcuna intenzione di scendere per andare a comprare da mangiare. Non voleva predicare bene, ma poi razzolare male. A parte il fatto che non aveva neanche una mascherina. Ah, ma non aveva detto che bastava un foulard? Ma no! Non aveva detto mica questo! Il foulard lo intendeva come un ripiego del ripiego, anche perché molte delle mascherine che si portavano – riteneva – non proteggevano un bel niente. Di fatto tendeva a bocciare qualunque mascherina vedesse in televisione – perché le mascherine in maniera relativamente nitida poteva vederle solo in televisione, visto che non usciva mai, abitava al sesto piano e usava poco e niente internet – elo faceva con il piglio sicuro di un infettivologo consumato.
Durante il suo ennesimo appostamento ecco passare sotto la sua finestra Approssimacio, suo giovane vicino di casa che non gli era mai stato particolarmente simpatico ed ora ancor meno, visto che avanzava con maglietta, pantaloncini e scarpette da ginnastica intento a fare il runner; e naturalmente senza mascherina perché con la mascherina era impossibile correre. Approssimacio gli era antipatico perché gli appariva un classico indolente scansafatiche, tipico esponente della generazione di coloro che avrebbero potuto essere suoi figli. Quando gli veniva in mente si diceva tra sé e sé fortunato a non avere figli. Se lo immaginava tutto aperitivi ai baretti dei Navigli e attività compulsiva da smartphone. Sicuramente i genitori gli passavano una buona rendita e lui non sapeva cosa fosse la fatica vera. Non sapeva cosa significasse alzarsi alle sei di mattina, col buio, e tornare a casa quando era già tornato anche il buio. No: lui curava il suo fisico, andava a caccia di ragazze… Eh, bella vita! Ora ovviamente non aveva la minima idea di cosa fosse il coronavirus, cosa fosse il lockdown e perché era necessario. L’unica televisione che vedeva, pensava Ligio, era quella della De Filippi…
Scelse così un oggetto abbastanza “serio”. Un vaso di acciaio che questa volta lanciò prendendo la mira molto accuratamente, benché si trattasse di un bersaglio mobile. Un gran tonfo. Qualche grido. Pochi minuti dopo come un suono di ambulanza, ma in quel periodo di ambulanze ne passavano a ripetizione perché il viale in cui viveva Ligio era un passaggio obbligato per l’ospedale di Baggio. Dopo qualche minuto però udì bussare al campanello. Gli parve un gesto davvero sciagurato bussare al campanello di questi tempi. Chi diamine era che voleva portargli il virus fin dentro la casa? Ma Ligio non fece in tempo a terminare questo pensiero che subito poté scoprire l’arcano: «Polizia, aprite!».
Allora la coscienza di Ligio, che dal momento del lancio del vaso d’acciaio era stata messa in quarantena, andò in subbuglio. Tanto qualche giorno fa si era fatto tutto rosso quanto ora si fece tutto bianco. Entrò in temporanea apnea, come volesse far credere alla polizia che non si trovasse in casa. Dunque non doveva fiatare. Ma poi pensò, in stato confusionale, che bisognava rimanere a casa e che lui a casa ci stava; al massimo gli potevano chiedere un’autocertificaziione. Così si fiondò verso la porta ed aprì, esclamando compiaciuto: «Io sono a casa!» – improvvisamente incurante peraltro delle goccioline che le sue parole avrebbero riversato sul volto del manipolo di sbirri che era venuto a prenderlo. Questi ultimi non lasciarono passare un istante che lo immobilizzarono, lo ammanettarono e lo condussero con loro, affermando: «Lei in arresto in flagranza di reato!».
Mille pensieri si agitarono a quel punto velocissimi nella testa di Ligio. Tanta gente cammina a piede libero, addirittura corre per sport e poi vengo arrestato io che sono rimasto sempre a casa ed anzi ho fatto il possibile per convincere anche gli altri ad imitarmi. Tutto ciò gli passò per la mente in un battibaleno. Quindi cominciò a gridare: «Cosa volete da me? Io resto a casa!».
…il racconto di Stefano Taccone fa leva su una vena umoristica – sarcastica per descrivere la situazione piuttosto drammatica che stiamo vivendo, in seguito alla pandemia…e sceglie l’ottuso personaggio di Ligio Regolo, nel quale molti di noi a sfumature diverse possono anche riconoscersi, per rappresentarla…Infatti tale L.R. per voler essere rigidamente osservante delle regole arriva al paradosso di calpestare i più elementari principi del buon senso e della ragione…Un invito a riflettere con la propria testa?