di Giorgio Moio
Stralcio:
XIII)
… sono un’altra volta fuori | un luogo si materializza in un istante | mutevole | luogo facente parte della mia amata terra | ne sono sicuro | nonostante le stranezze del sogno | ma non riesco a focalizzarlo con nessuno dei posti che conosco | nessun luogo che io conosca ha il dono della mutevolezza | uno spazio immenso di dirupi e declivi | costeggiato dal mare | viene spianato | ripulito di ogni immondizia | dall’asfissiante grigio-vapore delle ciminiere | in attesa che venga ricostruito | se si decidono | una volta per tutte | quelli che l’hanno ridotto un porcile | con ridenti negozi | centri ricreativi per giovani e bambini | un centro anziani con tutti gli agi | una schiera di hotel e case-bordello con ampi parcheggi | un porto turistico per l’attracco di barche per ricconi | viali vivi e verdeggianti | illuminati e pimpanti | più dei boulevard di Parigi | così vanno dicendo | ma qui le promesse hanno gambe corte | ora che è sfumata anche la possibilità di ospitare la prossima Coppa America di vela | mi sento comunque in dovere di farci una scappatina | di controllare a che punto stanno le promesse | la miseria è sempre là come i barboni d’altronde anche se si sono spostati più in là | lo spaccio di qualsiasi schifezza invece non si è spostato | un continuo andirivieni di giovani | anche minorenni | entrano ed escono da una palazzina disabitata e quasi “sgarrupata” | e nessuno controlla | nessuno se ne frega | nessuno chiama la polizia per fare piazza pulita | gli abitanti del posto hanno troppa paura e finiscono per girare la faccia dall’altra parte | che me ne frega | li senti dire con sciatteria e pressappochismo | vengono da fuori gli assuntori di droga | i nostri figli non ci vanno in quel posto | siamo alla frutta | si è persa ogni coscienza civile e umanitaria | dove andremo di questo passo | mi rammento che un posto simile già lo conoscevo | Posillipo o forse il Vomero o la discesa di Coroglio (la confusione prende il sopravvento | le amnesie s’insidiano nel ricordo | siamo sempre in un sogno d’altronde | e nei sogni nulla è come sembra o come pensi o come ti aspetti che sia) che s’inabissava sotto lo smog del cementificio e degli altoforni della fabbrica siderurgica | non vi è alcuna traccia che mi possa affermare quel luogo che già conoscevo | né lo smog del cementificio | né le fiamme delle ciminiere | né le polveri sottili dell’eternit | né il mare imbrattato di petrolio | né i pazzeschi ingorghi d’auto | né i palazzi impregnati di patina rossiccia | né i cumuli d’immondizia assiepati sui marciapiedi | né la puzza fetida e acre quando qualche buontempone gli passa per la testa di mettersi a incendiarli | frammista all’odore salmastro del mare che quando s’agita arriva fin sopra le rotaie del tram che si dipanano parallele al marciapiede | – una volta qua si facevano i bagni | altro che Marechiaro | c’era una ressa di persone quasi quotidianamente | ’e piscaturi ascevano a pisca’ e s’arreteravano cu ’e cascette chiene ’e pisci [1]| ’e tutte specie| il cantiere dell’Ilva non era un problema | – sostiene un vecchio che passeggia | – mô nun se capisce cchiù niente | prima Bassolino | pô ’sta Jervolino | e mô è arrivato De Magistris e sta tutte comme steve | hanno sule cagnato ’e gestori ’e nu cunzorzio ca nun ha aizate manco na preta | prumesse | prumesse | ma ccà nusciuno ’e fesso | lasciate ’e ffà | lasciate ’e ffà [2] | sempre la devono finire di prenderci in giro | ogni cosa ha un limite | addavenì | addavenì[3] | – nell’aria limpida (si fa per dire) | rilucono in effusione gli occhi di una gatta con un manto pezzato | almeno essa sembra innamorata di questo luogo | si sente a suo agio | tra lamiere di amianto e ferrugine varia (qui la chiamano ’a loppa) | evidentemente qui i topi non le mancano | abbandonato da ogni prospettiva temporale devo vederci chiaro | io sono più esigente di quella gatta che mi è passata poc’anzi davanti | il luogo non mi convince | troppo fecondo ora di pura luce sulle strade | riflessa fin dentro le case | fin dentro le pareti | ma a me non m’illude | nonostante mi appaia cambiato | diverso | perfino nuovo | al variare della luce…
Note
[1] i pescatori uscivano a pescare e si ritiravano con cassette piene di pesci | di ogni tipo.
[2] ora non si comprende più niente | prima Bassolino | poi la Jervolino | e ora è arrivato De Magistris e sta tutto come stava | sono cambiati solo i gestori di un consorzio che non ha alzato neanche una pietra | promesse | promesse | ma qui nessuno è fesso | lasciateli fare | lasciateli fare.
[3] deve venire | deve venire.
Giorgio Moio è nato a Quarto (NA) il 25 maggio 1959. È stato redattore delle riviste «Altri Termini» e «Oltranza» (di quest’ultima è anche tra i fondatori). Direttore editoriale di una piccola casa editrice, nel 1998 ha fondato e diretto la rivista «Risvolti», quaderni di linguaggi in movimento. Nel 2017 ha fondato e dirige la rivista di poesia internazionale ed altro «Frequenze Poetiche».
L’elenco delle sue numerose pubblicazioni e degli scritti sui suoi lavori si legge qui: https://giorgiomoio.wixsite.com/giorgiomoio/biografia
…l’affermazione di Franco Fortini: “Forse…la poesia è un ragionamento fatto in presenza di un sogno” trova, credo, nella poesia di Giorgio Moio un esempio…Come nei sogni effettivamente i luoghi sono vagamente determinati, anzi confusi in una sola descrizione che spazia dalle coste della Campania a quelle pugliesi. Ma un’unica dimensione di degrado, mistificazione, corruzione mafiosa, malgoverno li comprende..sogno nel sogno di benessere e di opulenza senza sviluppo reale che non può accontentare nessuno se non una gatta famelica di topi, tra le montagne di rifiuti…Ed era terra di pescatori, di un mare cristallino…Un sogno-poesia del reale