a cura di Ennio Abate
Mi spiace di aver conosciuto con tanto ritardo e letto solo adesso «Per Franco Fortini», uno scritto di Pier Vincenzo Mengaldo del 1994, ora raccolto assieme ad altri in «I chiusi inchiostri. Scritti di Franco Fortini» ( pagg. 99 – 114, Quodlibet, 2020, a cura e con un saggio di Donatello Santarone, autore anche di una bella intervista nel 2017 al critico filologo che ho già segnalata: qui). Mi sarei risparmiato molte perdite di tempo inseguendo – per miei scrupoli conoscitivi risultati errati – tante chiacchiere e pettegolezzi su Fortini e la sua poesia. Nel testo di Mengaldo, infatti, trovo dette con chiarezza, meglio di altri e con modestia di studioso di ben altra tempra, cose che io pure ho pensato o scritto; o semplicemente condivido. Ne faccio un elenco stralciando direttamente dalle sue pagine. [E. A.]
1.
«i molti ammiratori […] di Fortini si dividevano in due categorie: quelli che l’ammiravano e quelli che oltre ad ammirarlo gli volevano bene» (p. 99);
2.
«non so associarmi […] all’opinione […] secondo cui il Fortini ideologo, sarebbe, diciamo, un’espansione del Fortini poeta e questo sarebbe primario (“de la poésie avant toute chose!”). Io penso invece che poesia e ideologia s’intreccino senza dubbio fittamente nell’opera di Fortini – e non in un solo senso di marcia – ma che siano geneticamente indipendenti: se posso definire meglio con un’immagine, che siano due parallele che s’incontrano» (pag. 99);
3.
«devo anche ricordare che per molti della mia generazione è stata in primo luogo l’ideologia di Fortini che ha contato e attratto. Perché? Per dire una generalità, perché Fortini assieme a non molti altri (per esempio Cesare Cases) ci è stato maestro di un marxismo non banale e non ortodosso, ricco di succhi attinti ad altre correnti di pensiero e politicamente ostile all’adagiarsi in un riformismo non banale e non ortodosso» ( pag. 100);
4.
«[Fortini] esercitò una funzione che oggi ci pare ovvia, ma che non lo fu affatto allora, né lo fu lungo tutto un trentennio [ anni ’50 – ‘70]: ragionare in termini fermamente marxisti e di prospettiva comunista demolendo nello stesso tempo in modo instancabile e quasi feroce le forme, i modi di essere del socialismo reale. Questa divaricazione, oggi lo sappiamo bene di fronte a tanti tradimenti di chierici, può costare la perdita della bussola, lo scetticismo, il passaggio allo schieramento avverso» (pag. 101);
5.
«Fortini è un critico, che come disconosce l’autosufficienza del pensiero e della poesia, così [disconosce] quella della critica» (pag. 103);
6.
Fortini non ha scritto solo interventi splendidi sui suoi contemporanei, italiani e stranieri, ne ha scritto di notevolissimi sui classici: penso subito al Tasso militante, cioè che milita o meglio lotta contro. Ma contro chi? Contro i nemici di sempre, che si possono colpire anche con un saggio letterario; ma soprattutto contro la pretesa della poesia di sottrarsi a un confronto col mondo, e a un giudizio in base a esso» (pag. 104);
7.
«Quanto seriamente Fortini praticasse l’eresia, lo voglio ricordare attraverso un episodio di vita politica: Fortini si cavò dal Partito Socialista precisamente nell’anno di grazia 1957 in cui tantissimi vi si ricoveravano» (pag. 105);
8.
«Fortini poeta. Mentre cerco di parlarne, vi prego di tener presente anche il traduttore e l’epigrammista: che non sono affatto attività marginali a quelle di poeta» (pag. 106);
9.
«Fortini si è sempre sforzato, in modo che possiamo qualificare eroico, di ridurre al massimo i la quota di ingenuità della poesia» (pag. 107);
10.
«Credo che capiremo meglio le cose se cercheremo di individuare le forme, del contenuto e linguistiche, che Fortini predilige. Per prima cosa, la sua opposizione a simbolismo ed epigoni si rivela con chiarezza nel fatto che egli tende a cifrare i propri contenuti attraverso una forma di realismo allegorico e parabolico […]. Alla metafora e all’analogia tipiche del simbolismo si sostituisce l’allegoria – e nello stesso tempo l’uso più razionale possibile della metafora, la quale in lui è molto più un vibrante indice concettuale che un mezzo di conoscenza che si muove sotto la soglia della ragione» (pag. 108);
11.
«Il “classicismo” linguistico [di Fortini] fa dell’oggetto poetico qualcosa che sta criticamente a distanza dalla realtà che esprime (con cui lotta), anziché immergersi e perdersi in essa; dunque qualifica la poesia, anche da questo lato come mediazione, non come immediatezza» (pag. 111).