di Donato Salzarulo
La pianta più diffusa nel centro storico è l’ailanto, detta anche “albero del paradiso”. Ma è un’illusione. Di paradiso, neppure l’ombra. Quando invade una strada e spunta rigogliosa sulla facciata di una casa o sulla parete di un palazzo, è segno che uomini e donne hanno abbandonato quei luoghi e quelle abitazioni. Vivono altrove.
Ci penso spesso, mentre ogni mattina scendo lungo le Scalelle e vedo, sul lato destro, tutte le case chiuse, diroccate e infestate di ailanti e rampicanti. Ci penso quando con Michele risaliamo la Valle e osserviamo dappertutto la loro presenza.
Una volta uno stelo della specie s’impiantò nel canale di gronda di casa. Se ne stava lì, pieno di vita, con le sue foglie larghe e oscillanti, e cresceva a vista d’occhio. Aveva approfittato della nostra lunga assenza annuale per installarsi su una fessura del muro. Lo osservai per un mese e, prima di partire, salii su una scala e lo sradicai.
I suoi frutti, ben visibili in questi giorni, sono le samare; raccolte in grappoli, hanno grandi ali e colori che vanno dal giallo all’arancione, al rosso acceso. Sembrano annunciare l’autunno, quando anche le foglie assumeranno questi colori e cadranno insieme ai frutti.
Portati via dal vento o dall’acqua, le samare finiranno dappertutto, rilasceranno i semini rotondi contenuti al loro interno e riprodurranno tante piantine del paradiso.
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A fine giugno, dopo le due puntate di Domenico Iannaccone con Franco Arminio su Rai Tre, i detrattori locali del poeta si scatenarono in piazza e sui social.Lo accusarono di pessimismo, di disprezzo per il paese, di rappresentazione di «queste piccole comunità come riserva di “zombie”», di voler raccontare soltanto gli aspetti negativi di una realtà che, invece, «come accade per un quadro», andrebbe messa «sotto la luce migliore.» Sto citando da un comunicato degli “Assessori e dei Consiglieri di Maggioranza del Comune di Bisaccia”, che sentirono il bisogno di esprimersi in materia, con frasi di questo tenore:
«Due punti di vista diametralmente opposti, da parte nostra l’ottimismo della volontà, fatto di faticoso lavoro attuale e prospettico, anche per questioni che hanno poco di poetico; un lavoro di lunga lena per garantire una dignitosa qualità della vita. A noi non è concesso essere pessimisti, abbiamo l’obbligo di infondere speranza e lavorare alle soluzioni che le nostre criticità attendono.»
Non è il caso di infierire sulla loro sintassi e sulla loro lingua. Se pensano come scrivono, e se credono che il pessimismo sia un lusso, sono messi male.
Per quanto banale, il richiamo all’ottimismo della volontà, va bene, ma consente loro di guardare l’invasione degli ailanti? Hanno contato quante porte sono chiuse nel centro storico e al Piano Regolatore? Sanno dirci il numero preciso? Sanno spiegare, ad esempio, quale dignitosa qualità della vita riescono ad assicurare all’anziana signora che, non avendo macchina e mezzi pubblici a disposizione (inspiegabilmente la navetta che collegava Bisaccia vecchia con la nuova è stata tolta), fa spesso ricorso a caritatevoli passaggi per andare da “Vendo tutto” o dall’Ortolana?
Ho l’impressione che quelle degli amministratori siano parole in libertà. Forse è questa una delle loro “criticità”: non aver compreso che Franco Arminio “poeta di Bisaccia diventato poeta nazionale” (secondo la definizione di Luciana Parisi, inviata del TG3) rappresenta una grande risorsa per questo paese, diventato, sulla bocca di molti, “il paese di Franco Arminio”. Ciò può far piacere o dispiacere, ma è la realtà.
Riflettere su come valorizzare e utilizzare positivamente questa situazione, mi sembra compito molto più stimolante che esercitarsi in lettere di diffide alla Rai e censure.
Del resto, a differenza di Leopardi, che ne «Le ricordanze» definiva “soggiorno disumano” lo stare a Recanati, nel suo “natio borgo selvaggio”, abitato da “gente zotica, vil”, Arminio, proprio nella trasmissione con Iannaccone, ha continuato a dichiarare la sua accorata appartenenza a questo paese e la sua credenza, francamente un po’ esagerata, che non vi sia luogo migliore di Bisaccia:
«Sono nato nella bocca di un lupo, un lupo sperduto in un’altura senza boschi, era febbraio del sessanta, c’erano nel paese una decina di macchine e un migliaio di muli, le rondini muovevano il cielo, i porci tenevano ferma la terra.
Io non appartengo alla vita e neppure al genere umano, io appartengo solo al mio paese. Sono un dente dentro la mascella di un cavallo, un mattone dentro un muro. Sono il vento che mi agita la testa, che rompe i minuti in cui cammino.
Io qui conosco la bara di ogni insetto, so il vento e il silenzio di ogni strada. Vivo in questa nave incagliata nell’argilla. Non ho mai creduto a un luogo migliore: dopo tanto morire, ora ho una striscia di luce e una di cuore.» («La cura dello sguardo. Nuova farmacia poetica», Bompiani 2020, pag. 93)
Mentre recitava queste parole, la macchina da presa scorreva su Piazza Duomo, sul campanile della Cattedrale, sul loggiato del Castello, su corso Romuleo, sulle panchine del Convento, sulle facciate e i portali rimasti in piedi delle case abbattute… Ogni quadro posto sotto la luce migliore, proprio come raccomandato dagli amministratori.
E pensare che avrebbe potuto far scendere la telecamera nella Valle e far notare la presenza invadente degli ailanti; che avrebbe potuto far riprendere le tante case e i tanti palazzi cadenti o abbattuti e non ricostruiti.
È da pessimisti o da realisti sostenere che al cittadino bisaccese «gli hanno dato la casa, ma in realtà gli hanno tolto il paese»? È da zombie inscenare un duello poetico con Pinuccio Lapenna? Che colpa ne ha il nostro “poeta nazionale” se gli unici abitanti presenti in Piazza, al momento della ripresa, erano due vecchietti? Cosa doveva fare? Organizzare la messa in scena? Trasformare la piazza in un teatro di posa?… Pacchianerie. Ipocrisie.
Quando a un mio amico ho mandato le foto di piazza Duomo, mi ha chiesto se le avessi fatto di mattina presto o al pomeriggio, perché non vedeva gente in giro.
«Semplice!… Non ce n’è…», gli ho risposto.
“L’ottimismo della volontà” degli amministratori permette loro di vedere che Bisaccia vecchia sta morendo? Hanno capito che con l’abbandono del vecchio edificio scolastico e la costruzione del nuovo Polo al Piano Regolatore le stanno dando il colpo di grazia?
Dovrebbero imparare a discutere di questi problemi coi cittadini,invece di chiudersi a riccio e andare avanti come bulldozer.
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Il più coerente e tenace oppositore della costruzione del nuovo Polo scolastico è Agostino.
Lo è da quando se n’è cominciato a parlare. Partecipò all’assemblea pubblica, promossa da Gilberto e altri, per sensibilizzare gli abitanti e costituire un comitato. Successivamente ha continuato questo lavoro in varie forme e modi, con ammirevole ostinazione.
Non gli va proprio giù che si debbano abbandonare quattro plessi scolastici per costruire un Polo nuovo. Non gli va giù che si debbano abbandonare l’edificio di Via Roma, in funzione dai primi anni Sessanta,e la scuola media costruita negli anni Settanta. Non gli va giù, perché abbandonare queste scuole significa continuare a svuotare il centro storico, trasformandolo di fatti in museo.
Edificio scolastico di via Roma Scuola media “Torquato Tasso”
Nel mese di aprile dell’anno scorso ha inviato un esposto al Sindaco, al Responsabile dell’Ufficio Tecnico comunale, al Ministero dell’Istruzione e al Dirigente dell’Edilizia scolastica della Regione Campania, esponendo la situazione con precisione, diffidando il Sindaco dal continuare la gara d’appalto e invitando le autorità in indirizzo ad effettuare varie verifiche.
Chi lo desideri può leggere l’esposto in appendice. Ma la sostanza è chiara: in un Comune che ha quattro plessi scolastici perfettamente funzionanti fino a pochi mesi fa, li si dichiara tutti “in stato di pericolo o inagibili”, “per i quali non sussiste convenienza tecnico economica al recupero” e si progetta di costruire per circa 310 alunni un nuovo Polo Scolastico al Piano Regolatore. Costo previsto:€ 4.892.182,65. Noccioline.
È questo il modo migliore per spendere i soldi pubblici?… Non sono un ingegnere. Ma, se plessi scolastici simili, li avessero tanti Comuni degli hinterland metropolitani farebbero salti mortali di gioia. Forse così la pensa anche il Sindaco. Infatti, agli inizi del 2019, nell’assemblea coi genitori in cui comunicò, quanto mai dispiaciuto, la chiusura della scuola, leggendo e commentando le conclusioni della relazione tecnica, dichiarò che, non essendo stati rilevati segni di criticità statico-strutturali, se una persona entra in questo edificio, non ha nulla da temere: «praticamente questa è una bella scuola, magari questa scuola stesse a Napoli, stesse ad Avellino o in altri posti dove, invece, veramente fanno scuola mantenendo coi pali le mura.»
Perché allora chiuderla? Perché necessitava di adeguamento sismico e temeva che qualche “franco tiratore” potesse segnalare alla Procura della Repubblica l’esito della perizia. In tal caso, sarebbe risultato, parole sue, “cornuto e mazziato” perché la scuola l’avrebbe chiusa la Procura.
Da dove gli venisse questa certezza è difficile da capire. Ho provato a chiedere il parere di un avvocato e la risposta è stata che la Procura, al massimo, avrebbe intimato l’adeguamento. Del resto, se non fosse così, nei luoghi in cui le mura delle scuole sono mantenute coi pali, per esprimermi col linguaggio fiorito del Sindaco, le Procure perché non si attivano? È possibile che i “franchi tiratori” esistano soltanto a Bisaccia?…
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Giovedì 16 luglio ho accompagnato Agostino a Napoli. Alle 15 aveva un appuntamento con Roberta Santaniello, responsabile regionale per l’edilizia scolastica. Obiettivo: illustrare a viva voce il contenuto dell’esposto e capire gli orientamenti regionali.
Per la responsabile, non c’è nulla da fare. L’iter è in fase avanzata e può essere fermato soltanto dalla Magistratura. Chissà se è vero. Ma c’è da riflettere sullo stato di avanzato degrado di questo nostro paese. Non parlo solo di Bisaccia.
E dire che siamo nelle mani di amministratori, propensi “all’ottimismo della volontà” e al “faticoso lavoro attuale e prospettico”!… La verità è questa: per i cittadini bisaccesi sarebbe stato sicuramente meglio se tutto questo lavoro prospettico gli amministratori non l’avessero fatto.
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Vivo in una città del Nord e da queste parti so cosa si pensa di queste spese: si tratta di sprechi vergognosi. Somme che alimentano il debito pubblico senza risolvere nessun vero problema di una comunità.
So bene che gli sprechi non sono tipici del Sud e che tanti se ne possono documentare anche al Nord. Lo sta facendo in questi giorni Gigi Fiore sul quotidiano «Il Mattino», richiamando la storia della Pedemontana A36 Varese-Bergamo, del Palasport di Cantù, del “trenino degli sciatori” che doveva collegare Cogne a Pila (Aosta), dei cantieri infiniti in alcuni ospedali del Piemonte, ecc. ecc.
Il problema, però, non è (o non dovrebbe essere) a chi spreca di più. È quello di non far ricadere sui nostri figli e nipoti le scelte sciagurate di un ceto politico e di una classe dirigente, malata di “sondaggite” e talmente schiacciata sul presente da non vedere al di là del proprio naso. Per non dire di peggio.
«Il Mattino», quindi, fa bene a rinfacciare al Nord i grandi sprechi. Ma guardi in casa propria. Mandi Gigi Fiore a Bisaccia. Si faccia dare i documenti. Senta il Sindaco e i suoi oppositori. Faccia le foto dei quattro plessi scolastici esistenti. Vada in Regione. Parli con Roberta Santaniello.
«Il Mattino» deve farlo perché proprio sulle sue pagine, qualche settimana fa, ho letto una sintesi di un documento firmato da 29 docenti ed esperti, una sorta di “manifesto per il Sud”, per fare in modo che «l’occasione storicadel Recovery fund, i 209 miliardi che nei prossimi anni l’Europa verserà all’Italia, non siano dispersi e possano essere invece utilizzati per “ricostruire”» (31 luglio 2020, pag. 4). Tra le priorità indicate per realizzare questo sforzo collettivo, c’è quella dell’istruzione, con investimenti strutturali nelle scuole. Ma se gli investimenti sono come quelli del nuovo Polo scolastico bisaccese, c’è di che allarmarsi e restare assai insoddisfatti.
Gianfranco Viesti, consapevole delle difficoltà che il Piano di rilancio comporta, sempre sulle colonne dello stesso giornale, scrive:
«Non sarà facile definirlo: non mancheranno richieste, pressioni. Anche per questo, è bene discuterne molto; confrontare ipotesi e suggerimenti; valutare gli aspetti tecnici. Non può essere frutto solo della politica, ma dovrebbe coinvolgere, e molto, le forze culturali e sociali del paese, il mondo dell’informazione; non deve essere il prodotto di una discussione fra piccoli gruppi, di trattative segrete; ma di un confronto pubblico, con molte voci, anche in agosto.» (IL MATTINO, 31 luglio 2020, pag.39)
Discussioni, confronti pubblici, valutazioni. Esattamente ciò che si sarebbe dovuto fare a Bisaccia e non si è fatto. Addirittura il Sindaco, in quell’assemblea coi genitori prima citata, dichiarò che non ci sarebbe stato nessun dibattito o domande di chiarimento. Parlò per tre quarti d’ora, salutò e andò via. Alla faccia della democrazia e della trasparenza.
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Un fatto è certo: abbandonare l’edificio scolastico di Via Roma significa assestare un colpo quasi definitivo al centro storico. Lo si fa in un momento in cui, paradossalmente, ci sono le condizioni, per così dire, tecnologiche per riabitare le case del paese vecchio.
Martedì 25 agosto ho letto sul «Corriere del Mezzogiorno» un’intervista di Gabriele Boiano col sociologo Domenico De Masi. L’attacco iniziale è questo:
«La busta paga al Nord, il lavoro al Sud. Si chiama southworking la nuova frontiera dello smart working teorizzata da una ricercatrice dell’Università del Lussemburgo, di origine siciliana, Elena Militello, che l’ha sperimentata talmente con successo su sé stessa, durante il periodo di lockdown e anche dopo, da farne un progetto, South Working – Lavorare dal Sud, al quale adesso collaborano circa venti professionisti. Si tratta di un lavoro a distanza, ancora più a distanza. Un lavoro agile, ancora più agile in cui il dipendente torna a casa, soprattutto al Sud, per godersi gli affetti e i luoghi d’origine senza però rinunciare all’attività occupazionale che continua con la stessa azienda, che ha sedi in altre parti d’Italia o del mondo […]. Un fenomeno migratorio all’incontrario che si è manifestato subito dopo la riapertura degli spostamenti da una regione all’altra.» (Pag. 3)
De Masi, che studia da anni i problemi connessi al telelavoro, è ovviamente entusiasta di questo rientro. Per quanto mi riguarda, conosco diverse persone che in questo periodo hanno praticato lo smart-workingnel nostro paese ed altre che hanno scelto di trascorrere qui le loro vacanze, invece di prendere le vie del mare o del cielo per trasferirsi in “paradisi” ultra-pubblicizzati. Hanno preferito gli alberi del paradiso della nostra piazza Convento alle palme di qualche spiaggia esotica.
Su questo dovrebbero riflettere i nostri amministratori che, con tutto il rispetto, non mi sembrano granché dotati di “ottimismo della volontà”. Se fossero stati davvero ottimisti, avrebbero dovuto scommettere sul centro storico, sul fascino delle pietre vulcaniche del corso, sulla bellezza della Cattedrale, sull’equilibrio imperfetto della Torre…Invece, no. Sono pessimisti. Non credono che si possa invertire la tendenza allo spopolamento di queste strade e di questi vicoli e preferiscono seguire la corrente. Abbandoniamo quattro plessi scolastici al loro destino e facciamone uno nuovo. Quattro plessi con qualche acciacco, ma, tutto sommato, ben messi. Incredibile. Altro che “faticoso lavoro attuale e prospettico”. Così sono buoni tutti a fare il Sindaco e l’assessore. Tanto paga Pantalone.
Una volta si diceva – ma forse si dice ancora – che un amministratore dovrebbe comportarsi con la diligenza di un buon padre di famiglia (anche madre, si capisce…). Sarei curioso di sapere come si sarebbero comportati i nostri “ottimisti della volontà”, se i quattro plessi scolastici fossero stati di loro proprietà. Non credo proprio che avrebbero fatto scelte così costose e discutibili.
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Non c’è poesia nel lavoro di questi amministratori. Non c’è bellezza. Non c’è attenzione. Un Sindaco che dichiara di aver frequentato gli ultimi anni della scuola elementare nell’edificio di via Roma e non avverte un tuffo al cuore nel pensare che quei corridoi e quelle aule possano trasformarsi in spazi per un “incubatore di imprese”. «Incubatore d’impresa?!… – ha commentato sorridendo Santaniello – Quali imprese in un paese che si spopola?…». Appunto, quali imprese?
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In queste settimane bisaccesi, una delle persone che mi sta stimolando di più è Pinuccio Lapenna. Dopo averlo visto girare per la piazza con il libro di Diderot, «Le neveu di Rameau», me lo sono procurato e l’ho letto. In fondo la psiche di ognuno di noi è soprattutto nelle azioni, nelle reazioni alle persone e agli oggetti con cui entra in contatto, che si chiamino amici o avversari, quadri o libri, alberi o sassi, monti o valli, strade o edifici, chiese o castelli…
Cosa trova Pinuccio nel “nipote di Rameau”? Mi sono chiesto. Conosco un po’ la sua storia e so che già la parola “nipote” è per lui essenziale. È evocativa di un mondo. Poi c’è questo Jean-François Rameau, il personaggio con cui il filosofo discute.
È un uomo assai bizzarro, un parassita sociale, «un insieme di elevatezza e bassezza, di buon senso e sragione. Le nozioni di onestà e disonestà devono essere proprio stranissimamente mischiate nella sua testa: perché esibisce la quota di buone qualità che la natura gli ha donato senza ostentazione e quella che ha avuto di cattive senza pudore.» (D. Diderot, «Il nipote di Rameau», Leo S. Olschki Editore, 2002, pag. 4).
Perché mai un filosofo si mette a dialogare con un personaggio simile? Forse perché affetto da una morbosa attrazione o forse perché lo sente il suo “doppio”.
Mirella Brini Savorelli, nella sua introduzione, avanza un’altra ipotesi: «Diderot ha lasciato cenni sparsi, ma non per questo incerti, su come il vero debba emergere persuasivo, nella scrittura, da una procedura che sappia mutuare la modalità originaria della natura nel suo farsi: un prodursi per aggiustamenti stocastici che abbia tutto l’aspetto della casualità mentre risponde all’intreccio necessario delle contingenze.» (D. Diderot, op. cit. pag. XI)
Né il filosofo, né Rameau posseggono il vero. Esso si produce per “aggiustamenti stocastici”, cioè utilizzando modelli probabilistici. Anche un parassita sociale può aiutarci a trovare la strada della verità. L’importante è non sottrarsi al confronto, non dare nulla per scontato: il caso e le contingenze possono condurci sulla via maestra.
Ma Pinuccio non mi ha suggerito indirettamente soltanto la lettura del Nipote di Rameau. Mi ha regalato due poesie di Leopardi («Alla luna» e «Canto notturno di un pastore errante dell’Asia») e, buon’ultima, «La capra» di Saba:
Ho parlato ad una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d’erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell’uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
Ho pensato che la solitudine della capra fosse la sua. Suo era anche questo sentirsi “legato”, prigioniero di un’esistenza e di un paese da cui non è stato capace di uscire. Ho pensato che, come lei, non ha problemi di fame, ma “bela” il suo dolore, perché «è eterno, / ha una voce e non varia», è un dolore comune a tutti gli uomini.
Fin qui Pinuccio non aveva problemi di comprensione. È sugli ultimi tre versi che ha continuato a interrogarmi ripetutamente. E ho provato a chiarirglieli: la capra è umanizzata, come se la sua barbetta fosse quella del volto di un ebreo, cioè, del rappresentante di un popolo che ha patito ogni tipo di sofferenza. Quindi in quella capra si esprime il dolore di ogni essere vivente.
Quasi certamente mi sbaglio. Tuttavia, sono convinto che Pinuccio ha affisso questa poesia sul portone-bacheca di Piazza Duomo per dire il suo dolore insieme a quello fraterno di tutti i bisaccesi, che vedono il loro centro storico sempre più svuotato e desolato.
29 agosto 2020
APPENDICE: ESPOSTO DI AGOSTINO PELULLO
Al Sindaco del Comune di Bisaccia
Al Responsabile dell’Ufficio Tecnico
Al RUP Costruzione del Polo scolastico
Email:protocollo.bisaccia@asmepec.it
Al M.I.U.R. Dipartimento per la programmazione e la
gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali
Email: dppr@postacert.istruzione.it
Al Dirigente UOD Edilizia Scolastica della Regione
Campania – ing. N. Di Benedetto
Email: uod.501109@pec.regione.campania.it
E, se del caso,
Alla Corte dei Conti Sez. Regione Campania
Email: sezione.controllo.campania@corteconti.it
Alla Procura della Repubblica di Avellino
Email: procura.avellino@giustizia.it
Oggetto: Bisaccia (AV) – Costruzione Polo scolastico in località Piano Regolatore.
Decreto MIUR n. 1007/2017. Fondo art.1 comma 140, legge 232/2016.
Finanziamento € 4.892.182,65.
Bisaccia (AV) è un comune di 3811 abitanti distribuiti in due centri abitati: il centro storico e il nuovo centro costruito a seguito del terremoto del 1980.
La popolazione complessiva in età scolare da 3 a 14 anni è costituita da circa 310 alunni. Il comune dispone di 4 sedi scolastiche: due plessi scolastici situati nel vecchio centro, destinati a scuola dell’infanzia e primaria e scuola secondaria di primo grado (foto 1, 2 ), costruiti rispettivamente negli anni 60 e 70, e due plessi situati nel nuovo centro, costruiti a seguito del terremoto del 1980, scuola dell’infanzia e primaria (foto 3).
Nonostante la disponibilità di quattro strutture destinate ad edilizia scolastica, al comune di Bisaccia è stato accordato, nell’ambito del piano triennale della Regione Campania anni 2015-2018, un finanziamento di € 4.892.182,65 per la costruzione di un nuovo Polo Scolastico nel nuovo centro.
L’accesso al finanziamento di € 4.892.182,65 è avvenuto in forza della deliberazione della Giunta Regionale Campana n. 124 del 28/03/2015 e al successivo decreto del MIUR n. 1007 del 21.12.2017 .
Come è noto, secondo il Decreto Dirigenziale n. 67 del 13/04/2015, attuativo della delibera n. 124/2015 della Regione Campania, per l’ammissibilità degli interventi per una nuova costruzione, occorre che gli edifici siano:
c1) in stato di pericolo o inagibili, per i quali non sussiste convenienza tecnico economica al recupero;
c2) per cessazione della locazione onerosa;
c3) ricadenti in area a rischio idrogeologico R3, R4.
Nessuna delle elencate condizioni è riscontrabile negli edifici attualmente utilizzati per le scuole primarie e dell’infanzia del nuovo centro e del vecchio centro. (1)
In particolare, i due edifici nel nuovo centro non sono stati sottoposti a verifica di Vulnerabilità Sismica perché costruiti dopo il 1984.
Per gli edifici del vecchio centro la verifica di vulnerabilità sismica, effettuata dopo aver ricevuto il finanziamento, ha prescritto la necessità di interventi strutturali ma non l’abbandono (2).
In sintesi, nel paese sono presenti quattro plessi scolastici, due dei quali costruiti dopo il terremoto del 1980 e altri due costruiti negli anni 60 e 70.
Nonostante l’enorme disponibilità di patrimonio edilizio e la possibilità di un suo recupero, nonostante la sistematica contrazione di popolazione scolastica (dimezzatasi nell’ultimo quindicennio), al comune di Bisaccia è stato accordato – in spregio alle prescrizioni del Decreto Dirigenziale n. 67 del 13/04/2015 – un finanziamento di € 4.892.182,65 per la costruzione di un Nuovo Polo scolastico.
Tanto premesso il sottoscritto
diffida
il Sindaco del Comune di Bisaccia dal proseguire la gara d’appalto per i lavori di costruzione del polo in località Piano Regolatore
invita
le istituzioni in indirizzo per quanto di competenza a verificare:
- La veridicità delle dichiarazioni effettuate per l’inserimento nel piano triennale delle opere pubbliche della Regione Campania di cui alla deliberazione della Giunta Regionale n. 124 del 28/03/2015 atteso che nessuno dei fabbricati rientra nelle condizioni dettate dal Decreto Dirigenziale n. 67 del 13/04/2015, attuativo della delibera n. 124/2015 della Regione Campania;
- se è stato effettuato lo Studio delle alternative possibili così come prescritto dall’art. 23, comma 5 del d.lgs 50/2016 che così recita: Il progetto di fattibilità tecnica ed economica individua, tra più soluzioni, quella che presenta il miglior rapporto tra costi e benefici per la collettività, in relazione alle specifiche esigenze da soddisfare e prestazioni da fornire;
in particolare, se sia stata effettuata una attendibile stima dei costi di adeguamento delle strutture scolastiche esistenti alla normativa di sicurezza vigente, in modo da evitare spreco di denaro pubblico (necessità, questa, evidenziata anche dalla Task Force Edilizia Scolastica Regione Campania durante la visita effettuata presso il Comune di Bisaccia – verbale del 21/11/2018);
se una stima di tal genere non avesse dovuto costituire elemento imprescindibile di valutazione del rapporto costi/benefici (sia in termini economici assoluti – sicuramente conveniente nel caso dell’edificio ubicato nel centro antico del paese – che in relazione al ‘beneficio’ derivante a quest’ultimo da una scuola in quanto fattore di rivitalizzazione sociale, economica e culturale di un tessuto urbanistico già tanto provato da scelte di dubbia efficacia seguite al sisma del Novembre 1980);
- se nello studio di fattibilità e nel progetto esecutivo sono stati rispettati i parametri: alunni/superfici/costi, atteso che nonostante le correzioni imposte dalla Task Force Edilizia Scolastica Regione Campania con verbale del 21.11.2018 è ancora previsto un costo di costruzione di euro 1500/mq (il costo è comprensivo della demolizione dei fabbricati esistenti, nonostante il progetto non preveda la demolizione degli edifici esistenti e nel verbale redatto dalla Task Force Edilizia Scolastica è dichiarato, nelle note, che: il progetto visionato in anteprima presso il comune di Bisaccia, sembra sovradimensionato soprattutto in termini economici rispetto agli alunni per i quali si è deciso di allocare);
- se le modifiche al progetto esecutivo potevano essere adottate senza l’autorizzazione del MIUR.
Bisaccia, 09.04.2019
Prof. Agostino Pelullo
(1)
Per quanto riguarda il punto c1 non risultano agli Atti stime attestanti la ‘non convenienza tecnico economica al recupero’
(2)
“Dai controlli visivi eseguiti sia all’interno che all’esterno dei due corpi di fabbrica non sono stati rilevati segni di criticità statico/strutturale (es.: cedimenti in fondazione, lesioni su pilastri e travi, lesioni nei nodi strutturali, lesioni nei muri di tompagno e nei divisori, avvallamento dei solai di piano, etc.)”.
I due corpi di fabbrica “…necessitano di interventi strutturali che ne garantiscano specifici livelli prestazionali e di sicurezza corrispondenti alle attuali Normative vigenti…”
(Dalle Conclusioni della Verifica di vulnerabilità sismica della Scuola situata nel centro storico di Bisaccia, in via Roma).
Documentazione fotografica delle scuole esistenti
Foto n. 1 – Scuola primaria e dell’infanzia in via Roma – centro storico – costruita negli anni “60
Foto n. 2 – Scuola media T. Tasso – centro storico – costruita negli anni “70
Foto n. 3 – Complesso scolastico scuola primaria e dell’infanzia – nuovo centro- costruite nel 1
…ringrazio Donato per questi racconti sulla realtà di un territorio, Bisaccia e dintorni, che vive una situazione di abbandono evidente e dove un’amministrazione ottusa preferisce “sognare” nuovi plessi scolastici piuttosto che mettere mano ai problemi reali e a valorizzare quanto ancora sia possibile in un borgo antico di grande fascino…L’ailante che riveste gli ingressi e le facciate delle case, come a cancellare le tracce umane e la loro storia, è una pianta invasiva anche nella mia periferia milanese: soprattutto nella zona delle case popolari e intorno a cantieri di edifici in costruzione abbandonati da anni, uno di questi doveva essere ultimato per l’ESPO come pensionato per studenti… per dare un’idea…Spero che a Bisaccia e anche a Cologno Monzese, visto che D. S. “abita” entrambe le realtà, si possa passare, con le nuove votazioni, ad eleggere un’ amministrazione piu’ oculata e sensibile…
All’amico Donato, al quale è stata regalata una poesia di Umberto Saba, visto che sta vivendo in una ‘full immersion’ fra la sua gente, dono anch’io due versi del grande poeta triestino, sui quali ho riflettuto da giovane e che mi hanno accompagnato per tutta la vita: ” esser uomo fra gli umani/ no, non v’è più dolce cosa”. Un iterato saluto da Verona che oggi è piena di luce e di colori.