di Elena Grammann
L’ articolo è ripreso dal blog Dalla mia tazza di té (qui)
Il male immedicabile si manifesta durante l’ultimo sonno, quando credi di ripristinare, dormendo tardi, i ritmi circadiani sbilanciati da Battlestar Galactica nel freddo della notte, davanti al tubo catodico che si squaglia al crescendo forsennato dei wadaiko.
Poi, nella terra di nessuno dell’alba, ti trovi in una casa che ora, come sai, è vuota. Nelle scale aperte dalla cantina al sottotetto c‘è la traccia di una persona morta (un’istantanea senza supporto). Su un pianerottolo c’è una persona che, come sai, non c’è; nel sonno il paradosso ti sembra insopportabile.
È la proiezione di una lanterna magica; eidolon – benché invece, da un certo punto di vista, sia proprio lei, la persona. Però irraggiungibile, perché è chiaro che non si potrà rispondere alla voce che familiarmente ti parla dalla tromba delle scale. (Ma nemmeno lo sa).
Impossibile aggiungere qualcosa, riparare al detto e al non detto.
Uno stato delle cose siglato dalla morte il male inemendabile – o così ti pare, perché nel sonno dimentichi che, sin dall’inizio, nulla fu emendabile.
Nel vestibolo dove toglievate o mettevate le scarpe una persona che ha vissuto nella casa da bambino – nel sonno poco più di un bambino, un adolescente – aiuta, propone il da farsi. Però è strano che sia lì perché poi non ha più voluto viverci, non ci vive più, non ci sarà più in quella casa; di fatto non c’è, è come se non ci fosse, lo vedi ma sai che è un’immagine; eidolon, una nostalgia.
Nessuno che tu possa raggiungere. Nessuno davvero raggiungibile dalla bolla di tempo in cui stai come in un occhio di grasso nel brodo di un tempo più vasto.
La casa è tramontata. Oltre i vetri della porta-finestra un cane che fu sepolto in giardino lo attraversa di corsa. Quando ti svegli hai la percezione di un buco al posto di un organo vitale qualsiasi, forse al posto di diversi. Nulla di reale per chiudere i buchi, ma possono servire sottili foglietti della fortuna, stampati a colori con testi brevi e incoerenti.
Tardi, la sera, ti esponi alle frequenze di Battlestar Galactica.
Un racconto breve ma compiuto, in un giusto equilibrio fra dimensione onirica e vita reale, nel reciproco condizionamento, con un lessico ad hoc, quasi evocativo.
Nella nota precedente non sono entrato nel tema del racconto (limitandomi a una traccia formale), nel contenuto del sogno, verso una lettura interpretativa. Il significato onirico andrebbe contestualizzato nel vissuto del soggetto, elemento di cui non dispongo, ma in questo caso sembra essere abbastanza scoperto: presenze-immagini di persone familiari, eidolon, con le quali è stato condiviso un vissuto, significativo dal punto di vista esistenziale; l’una un po’ astratta, l’altra più propositiva, incisiva, tutelate dalla riservatezza dell’autrice e idealizzate. A completare il quadro familiare anche la comparsa di un cane, come un’aggiunta evocativa del passato.
Il tutto sembra ricondurre all’espressione di un desiderio, al vagheggiamento di un ritorno verso gli anni di una vita familiare partecipata. Un vissuto esistenziale che ha inciso a fondo anche nel corpo, è entrato nella carne:” un buco al posto di un organo vitale…”. Resta incancellabile e insostituibile.
La prospettiva più incerta e sofferta, in questo momento, è quella del futuro, tutto da reinventare e ipotizzare, senza punti fermi: “sottili foglietti della fortuna, stampati a colori con tanti testi brevi e incoerenti”.
Questo mi sembra, per sommi capi, il contenuto del sogno.
Se nel mio tentativo di interpretazione sono uscito dal seminato me ne scuso anticipatamente; fermo restando che questa narrazione ha un valore autonomo, adeguatamente espresso.
Grazie a Franco Casati per l’apprezzamento “formale”, e ancor più per la lettura interpretativa, precisa e sensibile.
…trovo questo racconto di Elena Grammann potente quanto inquietante…sembra prospettare una situazione distopica futura, di un futuro imminente perchè tallona i sogni degli ancora viventi.. Questo arriverà, sembra dirci il sogno veritiero del mattino, quando il virtuale arriverà a capovolgere la visione delle cose, con la pervasività delle serie televisive, nel sonno ipnotico di situazioni fittizie…Solo con brevi sprazzi, smorte, contorte incursioni, si entrerà nei ricordi reali di persone, cose, animali, compreso il proprio stesso corpo, dove si avverte un buco d’organo, forse il cuore delle proprie emozioni…La morte, un male immedicabile da sempre ma, forse, in tali condizioni, piu’ disonorevole…
Grazie, Annamaria, del commento, che apre prospettive affascinanti alla mia breve prosa autobiografica. Il periodo rappresentato dalla casa del sogno, e che si è concluso con la morte di una persona, è stata per me l’età in cui le cose, o almeno certe cose, avevano una presenza piena e piena di significato. Più tardi tutto si è molto rarefatto e come perso, si rischia di aggrapparsi ai contesti delle serie perché, nonostante la loro abissale superficialità, almeno offrono un contesto.
Il futuro distopico è dietro l’angolo, la gente è affascinata, è una cosa che in parte capisco (benché io personalmente non abbia nemmeno la televisione, cioè, ho un vecchio baraccone di televisore senza il digitale terrestre), bisognerà farci i conti.
..grazie a te, Elena, per averci consegnato un bel sogno sfrangiato. Un sogno ha una vita propria e una sua caparbietà nel ripresentarsi