E poi all’Epifania arriva Erode…

Scrap-book da FB: Spulciando qualche commento ( a cura di E. A.]


Roberto Giuliani

C’è qualcosa che non capisco. Come è stato possibile che qualche decina di miglia di supporter di Trump siano riusciti ad assediare ed invadere il Campidoglio ? Poliziotti pochi e a mani nude. Siamo nel cuore del potere usa. I conti non tornano.

Giorgio  Mascitelli

se Trump si trova a compiere un mezzo colpo di stato o meglio si trova nella situazione di volere un golpe e di aver paura delle conseguenze, sperando dunque che qualcun altro lo faccia per lui al suo posto, è colpa sua, ma se Trump è arrivato fin lì, è perché almeno da Reagan in poi il Partito Repubblicano ha intrapreso un cammino ideologico le cui caratteristiche sono l’apologia della violenza, la sostituzione della realtà con una visione cinematografica e il camuffamento delle politiche classiste a favore dei ricchi con una retorica nazionalista e talvolta razzista. E’ naturale in questo clima che chi la spara più grossa ed è senza scrupoli ottenga il seguito maggiore e spesso in questo campo più del cinismo di chi sa e vuole mentire ( e quindi sa anche qual è la verità) è una mistura di leggerezza e .di ignoranza che dà maggiore credibilità perché i seguaci la sentono come più autentica.

Andrea Zhok

WARNING

Gli USA sono un paese fuori controllo.  Ma non da ieri, con le tirate eversive di Trump.  Da anni si assiste ad un alternarsi di insurrezioni, con saccheggi, falò e fucilate nelle strade, nominalmente a partire da questioni razziali – ma questo è l’unico modo in cui nella cultura americana sono in grado di categorizzare i problemi sociali. E questo rappresenta un enorme pericolo, non per gli USA, ma per il mondo intero. Già, perché un paese internamente spaccato lungo mille faglie è tenuto insieme di volta in volta soltanto dall’identificazione di qualche nemico esterno.[…] Il bilanciamento è chirurgico e a suo modo mirabile: un piccolo welfare è compensato da una enorme spesa militare.  Quando gli americani sono internamente in crisi fanno una guerra all’esterno, da sempre.  E, naturalmente, la fanno di solito senza chiamarla tale: è sempre un “atto difensivo”, o un “intervento umanitario”, o un’operazione di “polizia internazionale a difesa dei diritti umani violati”, ecc.

Un certo Traverso

Certo, più facile inquadrare questi tizi come membri del gruppo razzista, suprematista, filotrumpiano. Forse alcuni lo sono pure. Ma fatte le dovute proporzioni e debite distanze fra quelli che segarono la testa al re di Francia, democratici con la bava alla bocca, e i repubblicani che diedero vita alla lotta per l’indipendenza in Americana, non si deve credere che le ragioni di questi o di quelli fossero così profondamente diverse. Malcontento, sfiducia verso l’ordine costituito, sensazione di oppressione per leggi o fatti di legge ritenuti per ingiustizie, precarietà economica e immobilismo sociale, tassazione. Allora fu la monarchia e il mondo antico a conoscere la ribellione. Oggi saranno le repubbliche e l’età moderna a gustare i frutti della propria crisi. Entrambe, dopo tutto, si sono avvitate a un punto di non ritorno. Ed è giusto e naturale che si sfaldino. Così è sempre avvenuto per corsi e ricorsi nella storia.

Giorgio Mascitelli

L’episodio di ieri è semplicemente lo sbocco naturale di un atteggiamento da ‘vorrei ma non posso’ di Trump cominciato già durante la campagna elettorale. La differenza dei miliziani trumpisti con i militanti delle sezioni parigine è che quelli abbattevano un regime che era al governo, questi stanno lottando per mantenere al suo posto un uomo di quel sistema che a parole combattono. Se dovessimo fare un paragone storico (per me sempre molto pericolosi) lo farei con i cafoni del cardinal Ruffo che abbatterono la repubblica partenopea.

Brunello Mantelli

Trump che incita i suoi sostenitori e contemporaneamente manda la Guardia Nazionale sembra una riproposizione riveduta e corretta del noto assioma: “potevo fare di quest ‘aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo ma non ho voluto”.  Ovviamente in questo caso con l’obiettivo di tirare dalla sua parte il GOP  [ Grand Old Party (“Gran Vecchio Partito”) – soprannome del Partito Repubblicano] , o almeno buona parte di esso; un GOP che, parrebbe, ha perso il controllo del Senato ed a cui Trump può dire: “il popolo è con me”. Che ben 121 parlamentari repubblicani su 204 votino SI alla richiesta di contestazione del voto in Arizona potrebbe essere un segno della spaccatura apertasi.

Tito Truglia

BREVE COMMENTO IN FORMA POETICA FUORI DAL CORO SUI FATTI INCRESCIOSI MADE USA!

Secondo me è utile che le pantegane trumpiane siano uscite fuori dal fango provinciale. Fino ad ora erano state abituate a scorazzare nelle stradine nascoste della periferia americana e facevano danni e nessuno li prendeva in seria considerazione. Ora invece si sono rese visibili a tutti, e i cosiddetti buoni americani possono ben confrontarsi senza ipocrisie pseudoculturali e senza infingimenti medioborghesi con la necessità concreta e immediata di essere costruttivi giorno per giorno. Se quest’ultimi pensavano di poter vivacchiare all’infinito all’ombra del buon-potere, consumando felici e felicioni ogni prelibatezza senza pagare dazio, ora sanno che la realtà non accetta a lungo termine la pessima abitudine alla noia. Se vogliono la democrazia la devono coltivare giorno per giorno. La felicità si costruisce quotidianamente, non si consuma ad minchiam. Ecco, la morale della favola. Il mondo democratico si faccia veramente attivo e democratico, dismetta il pigiamino-del-lungo-sonno, oppure le mandrie dei bufaloni-fascistoni si riprenderanno le bianche praterie della Libertà e della Fratellanza. Siate pronti e reattivi!

Stefano G. Azzarà

“Eh, ma non sono fascisti” Ma c’è bisogno che certi fenomeni di estrema destra siano definibili come fascisti perché facciano ribrezzo? Purtroppo questo argomento – che in senso tecnico è anche corretto, per quanto banale – non è una constatazione neutra. Perché nella situazione concreta e nel conflitto ideologico in corso ha una sua ricaduta tutta politica e viene per lo più utilizzato per dire che siccome non sono fascisti allora vanno compresi e quasi quasi hanno ragione. Basta vedere come questa presa di posizione, in apparenza saggia e illuminata, viene utilizzata in maniera sistematica come una forma di legittimazione nella galassia delle pagine rozzobrune e sovranare. Certo, quanto accade oggi è complessivamente una cosa diversa dal fascismo storico e bisogna studiarla nella sua novità. E’ così ovvio che non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirlo. Ciò non toglie che faccia ribrezzo uguale. Tra l’altro, l’effetto di queste carnevalate è quello di rafforzare quegli altri. Che sono anch’essi di destra e fanno pure loro ribrezzo, anche se si chiamano democratici, ma almeno non ruttano a tavola.

Donatella Di Cesare

Non parliamo di insurrezione o di rivolta. Il termine giusto è un “tentato colpo di Stato”. Le categorie politiche non possono essere confuse. D’altronde al golpe, al coup, hanno fatto riferimento da subito i media americani. E non diciamo che era un circo, una pagliacciata o un evento folkloristico. Il gioco di minimizzare non è più accettabile.

Leonardo Bianchi: «I complottisti di QAnon possono rafforzarsi»
di Francesco Brusa (qui)

Fra le immagini più d’impatto dell’assalto di ieri al Congresso, dove si stava svolgendo la certificazione dei voti che hanno decretato la vittoria del candidato democratico Joe Biden alle ultime elezioni, ci sono quelle che raffigurano un uomo a torso nudo, con i colori della bandiera nazionale dipinti sul volto e un vistoso copricapo “vichingo”. Si tratta di Jack Angeli, 32 anni, che è appunto conosciuto come lo “sciamano di QAnon”. L’uomo, proveniente dall’Arizona, era già stato protagonista di altre manifestazioni e si distingue inequivocabilmente per la sua affiliazione al gruppo complottista ed eversivo di estrema destra, che sostiene l’esistenza di una cospirazione di livello mondiale alla guida del del potere politico negli Stati Uniti e collusa con reti internazionali di pedofilia.

Erano tutti così gli assalitori di ieri?

Il personaggio di Jack Angeli ci può apparire a prima vista grottesco, ma c’è poco da ridere. Si tratta di un estremista di destra che ha una precisa e pericolosa visione del mondo. Il ruolo di “sciamano” che si auto-attribuisce rimanda alla teoria del complotto più generale sostenuta da QAnon, per cui è necessario un “grande risveglio” contro la congiura che detiene il potere. In questo senso, le vicende di ieri sono perfettamente organiche alla narrazione che porta avanti il gruppo di estrema destra: si parla esplicitamente di un “colpo di stato purificatore” che possa far piazza pulita di tutte quelle persone non ritenute dei “patrioti” e che vengono dunque considerate nemiche.

[…]

Chiaramente la domanda che ora si stanno ponendo tutti è se siamo di fronte alla fine di un ciclo oppure all’inizio di un fenomeno nuovo, forse più radicale. Le idee che Trump ha saputo incarnare certamente preesistevano al suo ingresso nell’agone politico e certamente sopravviveranno alla sua uscita di scena, ma è altrettanto vero che la sua figura è stata capace di catalizzare tante tensioni diverse. La cosiddetta “alt-right” si è unita alla sua campagna, senza mai considerarlo però un personaggio completamente interno alla cerchia. È possibile che nei prossimi mesi si verificheranno altre manifestazione di violenza.

 

24 pensieri su “E poi all’Epifania arriva Erode…

  1. Anche se non sono stato mai tra quelli che si riempiono la bocca sui valori della democrazia….[E. A.]

    SEGNALAZIONE/AL VOLO/SANDRO PORTELLI SUL “CUORE DI TENEBRA IN AMERICA”

    E invece c’è un cuore di tenebra in America. Ne vediamo i contorni, ma non riusciamo a vedere che cosa c’è dentro. Se ci sono oggi settanta e più milioni di cittadini americani che votano Trump, e migliaia di loro (anche dentro la polizia) pronti a prendere le armi in suo nome, dobbiamo domandarci in che modo noi, colti progressisti e liberali, abbiamo contribuito a rendere possibile questa realtà. Perciò si tratta di entrare dentro questo cuore di tenebra e cercare di capire, non per dargli ragione ma per riconoscere le cause e cercare di affrontarle e risolverle.
    Parlare di «bifolchi», di «barbari», di «nemici della democrazia» serve solo ad esorcizzarli, ad allontanarli da noi, a dire che noi non c’entriamo niente (magari solleticando implicitamente i vecchi pregiudizi su un’America tutta cowboy ignoranti violenti e creduloni – come se non fossimo un paese dove metà della gente rifiuta di vaccinarsi, come se le stesse pulsioni che hanno scatenato l’aggressione a Washington non attraversassero tutta l’Europa, oggi in forma non così diretta e violenta ma non meno spaventosa. Perché sempre meno gente crede ai media, perché sempre meno gente ha fiducia nelle istituzioni e nello stato, perché sempre meno gente pensa di avere i mezzi per decidere della propria vita? Che media, che istituzioni, che democrazia gli stiamo offrendo? Perché, mentre ci riempiamo la bocca sui valori della democrazia, ce n’è così poca, e sempre meno, nella vita delle persone? E perché a questa domanda inespressa di contare qualcosa, di avere un po’ di controllo sulla propria vita, non siamo capaci di dare risposte democratiche, di sinistra, di uguaglianza dignità e diritti, e lasciamo che sia il peggio della destra ad alimentare e cavalcare il rancore informe con le sue spiegazioni avvelenate e false?

    (https://ilmanifesto.it/dentro-il-cuore-di-tenebra/?fbclid=IwAR3bVnX5RNCu_TIX7gjk5Xj6OZTGCWWx6TDozszFeBVYO3_AxNjQNT_L4vs)

  2. Quasi una risposta ai problemi che poneva Sandro Portelli nel post precedente che ho pubblicato [E. A.]

    SEGNALAZIONE

    La presa di Capitol Hill
    L’America non è questo. No, l’America è proprio questo
    di Carlo Formenti
    https://socialismodelsecoloxxi.blogspot.com/2021/01/presa-di-capitol-hill-lamerica-non-e.html?fbclid=IwAR3XS1jT-6MFtba0KDxESfA-GMIj3QUK_fkN5yv-XdWmOzRkP9xzscu1BWM
    Stralci:

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    L’assalto al tempio della “democrazia” Usa è solo l’ultimo di una serie di eventi (basti pensare all’assedio dei gilet gialli alla capitale francese, interrotto solo dalla crisi pandemica, o alle guerre commerciali e diplomatiche che segnalano il ritorno della guerra di tutti contro tutti che caratterizza le nuove relazioni fra grandi e medie potenze) che certificano come la crisi del sistema capitalistico fondato su globalizzazione, finanziarizzazione ed economia del debito stia ormai investendo anche le stesse istituzioni liberal democratiche, palesemente incapaci di ottenere l’indispensabile consenso e legittimazione popolari. Gramsci avrebbe detto che siamo in una situazione in cui le élite dominanti, non più in grado di esercitare egemonia, devono accontentarsi di esercitare il dominio. In passato ciò ha voluto dire ricorrere al fascismo. Oggi è stato il populismo di destra a svolgere la funzione di deterrente e ruota di scorta, ma il suo fallimento riduce ulteriormente i margini di manovra delle élite (costrette a reggersi quasi esclusivamente sui servigi delle “sinistre” convertite al liberalismo). E Lenin avrebbe detto che siamo in una situazione “oggettivamente” rivoluzionaria, aggiungendo tuttavia che mancano soggetti politici capaci di trarne profitto (per questo poco sopra scrivevo purtroppo anche per noi e non solo per loro, perché queste sono situazioni in cui l’assenza di vie di uscita può generare catastrofi).

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    Aggiungo solo che è illusorio pensare che la sconfitta di Trump e il “ritorno all’ordine” dopo questa effervescenza preludano a una svolta radicale nelle politiche del regime. Non concedendo nulla alla sinistra di Sanders e Ocasio-Cortez, Biden ha già fatto capire che non intende mettere in questione le politiche economiche che favoriscono il grande capitale finanziario, né pensa di concedere alcunché in termini di riforma sanitaria, accesso gratuito ai livelli di istruzione superiore, ecc. Continuerà certo a parlare il gergo politically correct per grattare la pancia a femministe e Lgbt, quanto ai neri: tutti hanno giustamente osservato che, se a manifestare fossero stati i militanti di Black Lives Matter, la polizia avrebbe ucciso decine di persone, mentre tutti abbiamo visto i poliziotti compiacenti che toglievano le transenne per agevolare l’accesso al palazzo agli esagitati trumpiani. Ma credete che le cose cambieranno, che le decine di migliaia di poliziotti razzisti e di estrema destra che formano le “forze dell’ordine” americane saranno licenziati o indotti a smettere di uccidere i neri?
    E allora? Il nodo centrale resta (non solo per gli Stati Uniti ma per l’intero Occidente) quello della rappresentanza. La democrazia liberale fallisce perché non è più in grado di garantire rappresentanza politica agli interessi e ai bisogni della sterminata massa di perdenti, esclusi ed emarginati, proletari, sottoproletari, disoccupati e sotto occupati, indebitati, immiseriti, generati da quarant’anni di regime neoliberista e ai quali la pandemia sta dando il colpo di grazia. Non è quindi improbabile che morto un Trump se ne faccia un altro, che il suo popolo cerchi e trovi rappresentanza in qualche tipo di scissione di un Partito Repubblicano in ginocchio.

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    E la sinistra, o quel che ne resta? Se resterà impigliata nell’alleanza con i liberali “progressisti” in posizione subalterna, non ha futuro. Già ha visto fallire lo sforzo di Sanders (come dei vari Iglesias, Corbyn e Mélenchon) di costruire un blocco sociale che rinsaldasse le masse proletarizzate ai ceti medi riflessivi (e hanno fallito perché, con l’alleanza di cui sopra, hanno perso presa sulle masse proletarizzate restando con i soli ceti medi “riflessivi”).
    L’unica via di uscita sarebbe rompere con i Dem e fondare un nuovo partito (sarebbe bello assistere a una competizione elettorale a quattro che sconvolgerebbe il dispositivo bipartitico made in Usa – che non a caso piace anche ai liberali nostrani – studiato su misura per negare rappresentanza politica agli ultimi) con l’obiettivo di contendere alla destra l’egemonia sulle spinte sociali antisistema. Se non avrà il coraggio di farlo, non solo non riuscirà a cambiare le cose, ma rischia di fare la stessa fine della II Internazionale che fu complice della I Guerra Mondiale. Già perché, se la guerra civile permanente in America dovesse inasprirsi ulteriormente, l’unica via di uscita sarebbe puntare il dito (e il fucile) su un nemico esterno (del resto sta già facendo da tempo, orchestrando una violenta campagna anticinese che Biden pare deciso a condurre ancora più decisamente di Trump).

  3. DA POLISCRITTURE FB A POLISCRITTURE SITO

    Non condivido molte cose e l’impostazione generale dell’articolo di Carlo Formenti qui riproposto dopo gli interventi di Bruno Mantelli e Sandro Portelli. Condivido però il sottotitolo «No, l’America è proprio questo» e la parte dell’articolo relativa a questo passo: «1) la violenza quale fattore strutturale della politica americana; 2) il cieco atteggiamento delle élite democratiche benpensanti di fronte al popolo sporco, brutto e cattivo. La “novità” dell’invasione di Capitol Hill è puramente mediatico-spettacolare perché di simili eventi è punteggiata l’intera storia americana».
    Ma il discorso storico sarebbe troppo lungo e non è possibile affrontarlo qui, mi limito a una semplificazione parafrasando il giudizio di «genio e sregolatezza» applicato dal Romanticismo in poi, in «libertà e sregolatezza». Gli Usa sono grandi nella loro libertà, maestri di libertà all’Europa e al mondo, ma di una libertà continuamente alle prese con i limiti della sregolatezza imperialistica (anche criminale e banditesca) che ha alimentato e alimenta il trattamento tutt’altro che democratico e liberale dei nativi, degli schiavi neri e della popolazione nera, della competizione esasperata e spesso illegale a tutti i livelli, economia e politica compresi; della presenza militare e degli interventi in ogni parte del mondo.
    Nella libertà americana vi è un cuore nero che accomuna, pur nella diversità di stili, Trump e Biden, come ha accomunato in passato tutti i presidenti, a partire da Giorgio Washington. Quante volte i tanti “Kennedy” del momento hanno deluso democratici e sinistre di tutto il mondo con i loro interventi, ad esempio a Cuba nell’aprile 1961 (invasione della Baia dei Porci)?
    Tuttavia, con la loro “libertà”, gli Usa danno continuamente prova di una vitalità e capacità di risollevarsi dalle crisi che è quasi del tutto sconosciuta a molti Paesi europei, Italia in primo luogo. E attirano, giustamente, le masse popolari in emigrazione molto più dei Paesi a regime dittatoriale come la Cina. La “sregolatezza” incute timore e produce sofferenze innumerabili, ma la “libertà” promette opportunità come nessun altro Paese ha saputo fare negli ultimi due secoli.
    Persino persone che odiano gli Usa, ne sono contemporaneamente attratti, e cercano di entrarvi: dai Paesi Latino-americani, ma anche da quelli asiatici, medio-orientali ecc. ecc.
    La società, la realtà Usa è complessa, e i “democratici” di tutto il mondo, da Biden a Veltroni, non sembrano capaci di coglierne le radici profonde, ma nemmeno i marxisti, vecchi e nuovi, lo sono. Le categorie europee con cui si definiscono i concetti di “Stato” e di “democrazia” sono sfasate per gli Usa, che vanno analizzati alla luce delle categorie che definiscono i concetti di “Unione” (e del particolare federalismo, non Stato all’europea) e di “libertà” (con i suoi meriti e le sue molteplici distorsioni).

  4. UN ESERCIZIO DI IPOCRISIA
    Stupirsi di fronte a un battaglione di buffoni che su incitazione del buffone in capo invade il Campidoglio incontrando solo due sacchetti di resistenza è perlomeno ingenuo; diventa ipocrisia quando gli opinionisti del NYT si travestono da Vestali che si strappano i grembiulini. Perchè quel battaglione rappresenta simbolicamente quei milioni di americani- dal nocciolo duro di 42 milioni che credono truccate le elezioni ai 70 milioni che hanno votato Trump- della esistenza cui il NYT non s’era mai accorto e a cui per decenni ha propinato alternativamente balle e prediche. E per evitare che questa cecità diventi contagiosa mettiamo qualche puntino sulle i, prima sul piano sovrastrutturale:
    – gli hanno raccontato e giurato che un presidente era stato ucciso da una pallottola magica, dopodichè avevano visto un filmino che mostrava il proiettile mortale arrivare dalla parte opposta
    – gli hanno raccontato e giurato che le torri gemelle erano state buttate giù da due aerei teleguidati da uno sceicco nascosto in una caverna magica (mentre nello stesso giorno il fratello era a pranzo da Bush), dopodichè avevano notato che anche una terza torre era venuta giù senza aereo e senza incendio, e tutte e tre in caduta libera
    – gli hanno raccontato e giurato che l’Iraq aveva armi di distruzione di massa ed era per questo che andava invaso, così come avevano dovuto esportare la democrazia in Vietnam, e poi Afghanistan e Libia
    …. se a questo punto si sono fatti convincere che ‘là in alto nel profondo stato’ c’era qualcuno di corrotto che li prendeva in giro non si possono particolarmente biasimare.
    L’aggiunta dei satanisti pedofili che per noi risuona grottesca invece per molti americani, per la cultura del sud, degli evangelisti, degli alberghi con la bibbia nel cassetto è invece come il pepe e cacio sui maccheroni.
    Anche perché qualche riscontro materiale ce l’hanno: il legame dei Clinton con l’alta finanza speculativa è indubbio, lo stesso Obama ha lasciato sotto il tappetino d’ingresso della Casa Bianca molte delle promesse populiste della sua campagna, favorendo più le banche che il popolo. E, diciamolo pur sommessamente, lo stesso Biden ha messo nel suo governo 3, dicesi tre, esponenti di BlackRock, il pù grande fondo speculativo del mondo.
    Giustamente dice Aguzzi che gli USA vanno letti fuori dalle categorie correnti, con la ‘destra’ di Trump che corteggia gli operai e la ‘sinistra’ democratica che corteggia gli speculatori. E come già Michael Moore aveva avvisato 6 mesi prima che Trump avrebbe vinto, ora i commentatori più attenti hanno già paura che fra 4 anni emerga un nuovo Trump più intelligente e abile. L’interclassismo e il continuo scambio di bacini elettorali tra democratici e repubblicani è davanti a un bivio chiave..ma i protagonisti non sembrano essere all’altezza.
    Gli unici che si muovono veloci sono i costruttori di sogni complottisti: morto Trump e quindi anche in decadenza QAnon è già nato ‘Il grande Reset’, sempre propagato dalla destra americana dei Bannon e di Breitbart, che usa innocue proposte di lucidature dei mobili del solito capitalismo proposti dal World Economic Forum come bandiera per riunire tutti gli scettici del Covid.

  5. :’ lies born of beliefs in search of a HISTORY THAT CAN BE FORGED INTO A STORY and mobilize masses of people to act politically, violently, and in the name of ideology.
    The story demands a religious loyalty. It must be protected, reinforced, practiced in ritual and infused with symbols. What is the Trumpian claim of a stolen election but an elaborate fiction?’
    D. Blight, N.Y. Times, 9/1

  6. Sono risalito alla fonte del brano che ha pubblicato Paolo. E ho tentato ( non pratico l’inglese) una traduzione, che ritengo utile per il pubblico di Poliscritture. Ogni ulteriore correzione è benvenuta.

    https://www.nytimes.com/2021/01/09/opinion/trump-capitol-lost-cause.html

    All Lost Causes find their lifeblood in lies, big and small, lies born of beliefs in search of a history that can be forged into a story and mobilize masses of people to act politically, violently, and in the name of ideology.

    The story demands a religious loyalty. It must be protected, reinforced, practiced in ritual and infused with symbols. What is the Trumpian claim of a stolen election but an elaborate fiction that fights to make the reality and truth of the unbelievers irrelevant.

    Tutte le Cause Perse trovano la loro linfa vitale nelle bugie, grandi e piccole, nate dalle credenze alla ricerca di una storia che possa essere forgiata in racconto e mobilitare masse di persone ad agire politicamente, violentemente e in nome dell’ideologia.
    La storia esige una fedeltà religiosa. Deve essere protetta, rinforzata, praticata nel rituale e infusa attraverso simboli. Che cosa è la rivendicazione di Trump di un’elezione rubata se non una finzione elaborata per rendere la realtà e la verità dei non credenti [avversari?] irrilevanti…

  7. Il brano citato da Paolo Di Marco contiene affermazioni generalizzanti che mettono insieme capre e cavoli. Pertanto risulta falso. La falsità si evince fin dall’inizio (utilizzo la traduzione di Abate): «Tutte le Cause Perse trovano la loro linfa vitale nelle bugie». Il che non è sempre vero, inoltre è spesso vero anche per le cause vinte. La storiografia ufficiale del Risorgimento è piena di bugie, allora? Il Risorgimento è una causa persa o vinta? E che cosa si intende esattamente per “causa”? Una dottrina politica, storica, un’ideologia, una narrazione qualsiasi non è mai una causa, o solo una causa, ma sempre un insieme complesso di molte cose.
    E che vuol dire: «La storia esige una fedeltà religiosa. Deve essere protetta, rinforzata, praticata nel rituale e infusa attraverso simboli»? Qui si parla di “storia” o di “storiografia”, di eventi o di racconto degli eventi? Mattarella, o altri nel passato, che a ogni ricorrenza storica tengono discorsi conformisti e falsi (storiograficamente errati) perché appiattiti sulla versione dei vincitori, fanno parte della “storia che esige una fedeltà religiosa” o della storiografia o della politica che strumentalizza la storiografia trasformandola di fatto in propaganda, in giustificazione dell’ideologia dominante?
    Il brano giornalistico vale per quel che è: un’approssimazione letteraria di concetti diversi e mal mescolati per sostenere in modo non logico una propria idea, e propagandarla come vera. Si basa sull’effetto retorico e non sull’analisi razionale.

    1. Nel gioco di parole inglese tra history e story si è perso per strada il senso: in luogo di ‘la storia esige una fedeltà religiosa’ leggi: il racconto (la narrazione, la favola) esige…
      riprende quanto dicevo nei ‘complotti’ su Qanon che appunto complotto non è ma favola identitaria.
      E se pensi che il brano di Blight qui citato parte dalla guerra civile americana e dal mito sudista della ‘non sconfitta’, analogo al tedesco ‘coltellata nella schiena’ dopo la prima guerra mondiale, si capisce meglio il senso.
      Ognuno si crea una narrazione, che con la storia reale ha poco a che fare, e sempre meno in tempi di internet. La forza di Qanon sta (stava) anche nel fatto che è una narrazione creata collettivamente: Q (come Qelet, l’Ecclesiaste: ricordate il grandissimo romanzo Q dei nostri Wu Ming?) lancia un messaggio criptico, su cui poi altri aggiungono, articolano…come il colpo di genio di chi ai complottisti antiTrump ha aggiunto Renzi; come insegnavano Montessori e Steiner tanto più uno diventa protagonista nella costruzione della storia tanto più questa è sua, inscindibilmente.
      E tutti gli sconfitti del ‘sogno americano’ trovano finalmente un proprio ruolo..che poi siano Bannon o altri a officiare diventa per loro secondario.

  8. ‘America First’ potrebbe essere anche un’espressione di legittimo orgoglio (appartiene alla tradizione storica americana), ma alla luce della politica di Trump suona come un appello al nazionalismo. Prima gli Stati Uniti, poi il resto del mondo (ammesso che avanzi ancora qualcosa). Rivela la tendenza al liberismo più spinto, al di là e al di fuori dei trattati e delle convenzioni internazionali (dai dazi all’ecologia al clima) che rendono una nazione empatica col resto del mondo. Ma questo appello non si rivolge solo all’esterno, perché il percorso della sua realizzazione prevede anche una ‘pulizia’ all’interno della stessa nazione, eliminando tutto ciò che può essere di ostacolo: spese non produttive, sociali, diritto alla salute, allontanamento degli irregolari e stop all’immigrazione ( ma nei confronti del Messico ha un senso, per la sua attività legata alla droga). Rilanciare in questo modo la produzione e l’economia, creare un benessere diffuso, il consenso dei lavoratori, sono diventati target prioritari ed esclusivi, e perfino sostenere materialmente le Chiese mirando al placet.
    Dall’altra parte, al contrario, si agitano movimenti di rivendicazione e di protesta, che coinvolgono anche le tradizioni e la storia abbattendone i simboli, masse che devono accontentarsi delle briciole che cadono dalle mense dei benestanti, guidate magari da pensatori radicali che vivono sfruttando il sistema o da gruppi che non intendono rispettare le leggi.
    La crisi di questa economia capitalista che genera nel contempo ricchi ed emarginati e mette a dura prova il sistema democratico era già stata preconizzata, ancora negli anni ’60, da uno scrittore e poeta come Thomas Merton, che ne aveva cantato il ‘De profundis’, auspicando una rigenerazione morale e spirituale dell’America e del mondo.
    Con l’occupazione del Campidoglio si è arrivati a una palese esplosione di violenza. Ma non c’è da stupirsi, perché nella tradizione americana la violenza è di casa, a partire dall’esproprio del territorio nei confronti dei nativi (e, vedi caso, Trump progettava di far passare un oleodotto attraverso gli ultimi scampoli di territorio indiano), al vecchio e mitizzato Far West, allo schiavismo, alla Guerra di Secessione; e più avanti al gangsterismo, alla mafia che opera dietro le quinte della politica (ed ha eliminato i Kennedy), al razzismo che ha spento la voce di M. L. King, e al diffuso culto delle armi che alimenta una delle più potenti industrie americane e origina frequenti stragi.
    Peccato, perché l’America è anche la nazione che nel XX secolo ha saputo rinnovare più di tutte la cultura, a partire dalla potente industria cinematografica hollywoodiana, alla musica (col jazz e la canzone), all’arte (con Pollock e Warhol), alla letteratura (con Hemingway e Carver), e alla poesia, al teatro, all’architettura; dando per scontato il grande sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica, la conquista dello spazio. E passi pure anche il suo sfruttamento per scopi militari. E’ stata la nazione che ha dato il contributo più decisivo alla soluzione positiva delle due guerre mondiali, a prezzo di tante vite di giovani americani; pur aprendosi la strada, per compenso, ai mercati europei. Ma che ha accolto anche milioni di immigrati da tutto il mondo.
    Mi chiedo, credo legittimamente, se non è proprio questo sistema, legato all’investimento di grossi capitali anche per le elezioni, che impedisce a questa grande confederazione di Stati, di cui gli americani vanno fieri, di eleggere un Presidente che ne sia all’altezza, così come è stato nella sua storia, come quei grandi nomi che hanno posto le fondamenta della sua democrazia.
    Dopo il passaggio dei poteri da Trump a Biden c’è da sperare che questo conflitto sociale e politico non degeneri ulteriormente e non sfoci in altre manifestazioni di violenza. Come il resto del mondo anche gli USA si diano per adesso, come priorità, la lotta al Covid, anche se con la coda dell’occhio non smetteranno di osservare le mosse del drago cinese.

  9. Il mio primo ricordo è il rumore degli aerei alleati che con allegra imprecisione bombardavano le fabbriche di Milano. Quelli successivi sono stati riempiti dal bombardamento mediatico sulla democrazia come unica forma civile di organizzazione.
    Cogli Stati Uniti fulgido sole del firmamento occidentale.
    Solo più tardi ho cominciato ad avere dubbi: come per molti la guerra nel Vietnam è stata la miccia, cogli USA che esportavano la democrazia col Napalm e il terzo celere di Scelba che la difendeva dandoci la caccia per le strade colle camionette.
    Ho capito dopo che per gli USA la democrazia era solo il nome di una merce da esportazione, dal Guatemala al Cile, dal Vietnam all’Iraq. Come in Italia avremmo dovuto saper bene, dallo sbarco alle bombe nelle piazze e sui treni-sempre la stessa ditta, stavolta con intermediari locali.
    E ho capito che dentro gli USA non andava molto meglio, come Martin Luther King e Bobby Seale hanno capito a loro spese. E che la facciata democratica veniva anche insanguata in caso di necessità, come hano imparato i fratelli Kennedy. Come diceva Ford del suo modello T: la potete ordinare di qualunque colore, purchè nero. Lo ha visto anche Sanders, due volte sconfitto non dal voto ma dalla dirigenza del partito (l’ultima volta grazie anche ad Obama).
    Poi come in ogni paese non c’è solo la forma del potere, ci sono le lotte e i movimenti- geniali gli hippy, generazione cresciuta sotto l’ombra del fungo atomico e della più grande atrocità dei tempi moderni che reagisce proponendo totale libertà e pace; c’è la cultura-a volte bellissima e che apre nuove strade, dal jazz alla fantascienza.
    E’ questa contraddizione forse la maggior differenza dal nazismo.
    Ma restano sempre dei macellai. E Trump e Biden solo solo due grembiuli diversi.

  10. Tutto vero quello che scrive Paolo Di Marco, ma le bombe sulle nostre teste sono state forse motivate dal fatto che eravamo alleati con quelli che hanno proditoriamente bombardato Pearl Harbor e con i tedeschi, che hanno fatto piovere altrettante bombe sull’Inghilterra, resto a parte.

  11. A proposito di USA “liberatori” o “alleati” etc…

    SEGNALAZIONE
    Incroci, corrispondenze, potere, tecnologia: social e censura.
    di Alessandro Visalli
    https://tempofertile.blogspot.com/2021/01/incroci-corrispondenze-potere.html?fbclid=IwAR0PLZiJKOeoKA9BoWglx_pc7k9dlhzJ201pbYZ8keIutY3Zi6zImREtW5o

    Stralcio:

    Adriano Olivetti negli ultimi anni avvia il “laboratorio”, affidato a Perotto, a suo figlio Roberto ed a un geniale ingegnere-manager italocinese, Mario Tchou. Nel contesto di un mondo nel quale cresceva lo scontro tra i blocchi, Roberto, Tchou e il gruppo di ingegneri scapigliati raccolti nel “laboratorio”, con pochi mezzi e quasi di nascosto, sviluppano prima la Elea 9003, il primo computer a transistor della storia, e poi, dopo la morte di Adriano e Tchou, la P101, il primo personal computer programmabile da scrivania della storia. Inoltre, imperdonabilmente, l’Olivetti sotto la guida di Adriano acquista la principale società americana nel settore delle macchine da ufficio, la Underwood e, non contenta, punta ad aprire i mercati russo e cinese. Mentre la contrapposizione esplode Tchou fa il suo ultimo viaggio di lavoro ad Hong Kong, con l’intenzione di entrare in Cina per chiudere accordi di vendita, e Adriano lavora al mercato russo.

    Adriano Olivetti muore improvvisamente, non ancora sessantenne, mentre sta andando in treno in Svizzera come prima tappa per raggiungere il quartier generale della Underwood, di cui ha perfezionato l’acquisto. Mario Tchou muore, appena un anno dopo, al ritorno da Hong Kong a causa di un incidente d’auto.

    Pochi anni dopo l’Olivetti presenta la P101 in America e ottiene un enorme successo di pubblico e critica. La macchina stava in una scrivania, poco più grande di una macchina da scrivere, costava 3.000 dollari e ne furono venduti 44.000 esemplari. Mio nonno, che aveva una piccola fabbrichetta di lenti a Roma, ne aveva una sulla scrivania. La concorrenza erano le macchine del Watson Laboratory della Columbia, che costavano 7.000 dollari ed erano grandi come un armadio. Oppure il British Kenbak-1 (considerato in genere il “primo” personal computer) che arriva nel 1971 e vende solo 250 unità.

    British Kenbak-1

    L’Apple arriva nel 1976. Il primo Pc della Ibm nel 1981, avevo venti anni e mio padre lo comprò subito.

    Apple I

    La macchina della Olivetti aveva dei difetti (mancava lo schermo, come del resto al Kenbak-1) ma aveva un quindicennio di vantaggio, ed era un vero prodotto commerciabile.

    C’era un problema: l’Italia aveva perso la guerra e restava sotto tutela americana. Gli era proibita la ricerca militare o di possibile uso militare. L’informatica lo era. L’Ibm aveva prodotto fino ad allora i suoi computer mainfream, dagli anni della guerra di Corea, e anche prima le schede perforate, con scopi essenzialmente militari. Servivano a organizzare i bombardamenti, tenere traccia dei flussi e della logistica, guidare i missili balistici (per i nazisti, ottimi clienti dei sistemi di catalogazione della società americana, per tenere conto della presenza degli ebrei[4]). Tutta l’information technology nasce come applicazione indissolubilmente militare e civile ed è al centro degli sforzi per conservare ed accrescere il vantaggio strategico con l’avversario sovietico.

    Tuttavia, sapendo che il settore delle macchine da ufficio meccaniche sarebbe terminato Adriano impegnò l’azienda in questo settore, sperando che i suoi consolidati contatti con gli ambienti angloamericani (i suoi contatti di guerra erano saliti nel frattempo ai vertici dell’amministrazione spionistica e militare Usa) potesse lasciargli spazio. Sperava di avere spazio in quanto l’azienda operava nel settore delle piccole macchine per ufficio e produttività personale.

    Sarà un errore di valutazione tragico. Mentre si restringevano gli spazi di dialogo, gli Usa guardarono con preoccupazione crescente alla forza delle sinistre socialiste e comuniste (con le quali la famiglia socialista, se pur non marxista, degli Olivetti aveva rapporti strettissimi e pluridecennali), e mentre era in corso una feroce lotta per la supremazia tecnologica, i servizi vennero a sapere che la società trattava con le potenze comuniste per vendere le proprie tecnologie.

    Senatore Frank Church

    Nel 1975 il senatore Church, che presiedeva una commissione di inchiesta sulle pratiche della Cia, mostrò una pistola a pressione con la quale si potevano iniettare a distanza dei microdardi con una tossina in grado di simulare un infarto mortale. La Cia ne faceva uso per le sue operazioni mirate. La Secrest, che è uno scrittore americano e specializzato in biografie, ipotizza quindi che possa essere stata impiegata per fermare l’imprenditore piemontese.

    Di fatto l’Olivetti non sfruttò il suo vantaggio e perse l’iniziativa. Alla morte di Adriano (e di Tchou) iniziò una crisi di liquidità provocata da una congiuntura sfavorevole e resa acuta dalla restrizione improvvisa del credito bancario, e la politica democristiana impose il “salvataggio” orchestrato da Cuccia. Fu organizzato un “gruppo di intervento” (con in primo piano la Fiat di Valletta, ovvero l’esatto opposto della filosofia imprenditoriale degli Olivetti) che in pochi anni smantellò tutto. Ovviamente a partire dalla divisione elettronica.

    Non doveva ripetersi che una società italiana si permettesse di sfidare i colossi americani in una tecnologia di punta. Questa era, alla fine, anche l’opinione di De Benedetti quando ne prese il controllo e cercò di rimetterla nel settore, ma ormai troppo tardi.

  12. Lo sapevamo; ufficialmente si dice sospettavamo, in realtà è una certezza. Così come Mattei rientra nello stesso quadro con gli stessi protagonisti.
    Preciso cosa intendo per certezza: tecnicamente è una analisi matematica a più dimensioni, in termini comuni è come quando vedi la neve calda, poi vedi uno sciatore che taglia la crosta cogli spigoli..e poi vedi la valanga.
    E’ un processo di cui cogli l’inevitabilità.
    E in Italia nel dopoguerra siamo sempre stati in zona di ‘neve calda’….
    Se qualcuno pensa che qualcosa sia cambiato dopo la caduta del muro pensi agli accordi di Rambouillet nel ’99: si entra con gli albanesi di Rugova che hanno vinto le elezioni col 70% e l’UKC organizzazione ufficialmente terroristica e si esce con l’UKC, ovvero la milizia armata dei trafficanti di droga che ha il governo del Kosovo.
    C’era anche l’Italia, col buon D’Alema che aveva bombardato con l’uranio impoverito gli ex compagni serbi.
    O pensiamo alla Brexit testè conclusa, e fortemente voluta (e finanziata) da …indovinate chi.

  13. “Lo sapevamo; ufficialmente si dice sospettavamo, in realtà è una certezza.” (Di Marco)

    Al di là di quanti lo sapevano o lo sanno, la domanda è: basta sapere?
    Sapere non è potere. Quelli che sanno ma non possono – noi in questa fase storica – sono destinati al ruolo delle Cassandre o dei profeti disarmati o degli stoici. Manca qualcosa.

    1. Sapere E’ potere. Il passo successivo è esercitarlo.
      Noi non siamo disarmati, quello che manca è il soggetto collettivo agente.
      Ma per essere soggetto ha prima bisogno della conoscenza.

  14. “C’era un problema: l’Italia aveva perso la guerra e restava sotto tutela americana.”
    O più semplicemente:
    C’era un problema: l’Italia aveva perso la guerra.
    Forse sarebbe bene focalizzare su questo.

    In ogni caso: “ipotizza quindi che possa essere stata impiegata per fermare l’imprenditore piemontese” non è uguale a “è stata impiegata per fermare l’imprenditore piemontese”.

    1. Direi che la focalizzazione importante è piuttosto la seconda: la tutela americana.
      Quindi, v. il mio commento prima sull’inevitabilità, l’ipotizzare diventa secondario.
      Un riferimento a tutto il periodo è assai chiaro nella relazione della Commissione Parlamentari sulle Stragi, dove si dicono le stesse cose in maniera diplomatica.

  15. Il fatto che l’Italia (fascista) abbia perso la guerra e sia stata poi sottoposta alla “tutela americana” (grazie agli accordi di Yalta, ecc.) non comporta il servilismo dei vinti rispetto ai vincitori né il velleitarismo antimperialista parolaio. Tra i due estremi c’è lo spazio della politica. E nel ’68-’69 uno spiraglio sembrò aprirsi. Poi tutto è ancora precipitato e siamo qui, in una situazione mutata (di quanto?) a interrogarci, a lustrare macerie, a lamentarci, a indignarci a vuoto, a litigare. Nella Babele insomma. Ascoltare le varie lingue, sollevare e sciogliere dubbi, scommettere evitando il nichilismo, mirare ad una (per ora impossibile) sintesi, ad un nuovo “Che fare” (il meno elitario possibile), è l’atteggiamento che sento più produttivo.

  16. Che le nazioni che hanno perso la guerra siano finite sotto tutela non meraviglia. Magari meraviglia di più che siano finite sotto tutela (sovietica) quelle che c’entravano poco o niente o che comunque hanno principalmente subito. Ma gli stati non fanno le guerre per niente. Chi vince vuole il tornaconto. Quindi io tornerei al fatto che l’Italia ha perso la guerra.

    L’aggettivo ‘fascista’ fra parentesi di Ennio lo trovo superfluo e fuorviante: tutta l’effervescenza intorno al 25 aprile ha come effetto (collaterale) di far dimenticare che la guerra l’abbiamo persa. Sarà anche stato, complessivamente, un bene, ma l’abbiamo persa. E, a mia conoscenza, siamo l’unica nazione che festeggia rumorosamente una sconfitta.
    Più interessante il punto del servilismo, che ha la sua radice nel famoso “Francia o Spagna, basta ca ‘s magna” e che tocca punti dolenti dell’indole nazionale. A questo proposito mi permetto di segnalare questo articolo, non recentissimo ma che ho trovato molto interessante, su cui sono capitata per caso: https://rebstein.wordpress.com/2009/04/25/il-pezzullo-di-db-xiv-preti/

    Sull’incessante domanda di Ennio: va bene, ma cosa possiamo fare? Non ne ho idea, ma sicuramente abbaiare come cagnetti contro il molosso americano non porta da nessuna parte. Io direi lavorare a un’identità europea, ma pare che non vada bene nemmeno questo. E allora se uno vuole la luna, che continui pure ad abbaiare…

    1. @ Elena Grammann

      Sì, l’Italia ha perso la Seconda Guerra mondiale, ma a farla entrare in guerra e a portarla alla rovina è stato proprio il fascismo. Mi pare assodato e documentato. Altra cosa è la retorica antifascista e l’esaltazione di un 25 aprile come Liberazione. E Giulio Preti (nel link segnalato) è uno dei non pochi che hanno respinto giustamente questa retorica.

      Sull’ipotesi di “lavorare a un’identità europea” qui su Poliscritture non c’è mai stato un confronto approfondito.

  17. Forse siamo su pianeti diversi: sul mio gli USA non hanno vinto e messo sotto tutela,
    ci hanno fatto schiavi. Il servilismo è dei camerieri, dei maggiordomi: per gli schiavi è solo atto dovuto.
    Quando si accordano nel ’43 per l’armistizio con la mafia, rappresentata da Guarrasi, l’intento è semplice: rendere la Sicilia una portaerei puntata sull’Italia, di cui la mafia garantisce la fedeltà. In cambio ha il potere locale e il monopolio dell’eroina.
    E gli altri devono obbedire: De Gasperi, Saragat,…vanno tutti negli USA a prendere l’imprimatur..e qualche spicciolo. E quando qualcuno sgarra non vanno per il sottile: lo sanno non solo Olivetti e Mattei, ma anche Andreotti, la cui apertura al PCI gli costa la vita di Lima, Moro,…e tutti quelli rimasti sotto le bombe a Piazza Fontana, alla stazione di Bologna…; Berlusconi, burattino dell’ultima mafia, è solo l’ultimo atto.
    Come dice la commissione stragi l’Italia è terra di frontiera dell’impero americano. Quindi quale miglior posto per fare una lotta antiimperialista?
    Quindi non capisco il “velleitarismo antimperialista parolaio”: a parte l’eccesso di due insulti in tre parole. A chi è riferito? Non a chi faceva le lotte in Italia, spero. Nei luoghi di lavoro, o nelle piazze, talvolta anche altrove chi poteva ha dato, anche la vita a volte. A chi non andava in Africa a esportare l’antiimperialismo? Anche qui spero di no.
    A proposito di festeggiare una sconfitta: io non sono stato sconfitto. Una parte di italiani non è stata sconfitta. Quella che ha fatto la Resistenza. E’ stata sconfitta la repubblica di Salò. Si sono persino salvati quei criminali di guerra che sono scappati colla corona e i soldi dimenticandosi di avvertire i militari, uccisi o fatti prigionieri dai tedeschi.
    Come mio padre, che però ha fatto a tempo di combattere coi partigiani jugoslavi prima di essere portato in campo di concentramento. Anche lui non è stato sconfitto dagli americani.
    La storia è più ricca delle frasi a effetto.

    1. @ Paolo Di Marco

      No, siamo sullo stesso pianeta e in Italia e però la pensiamo diversamente. Lasciamo stare le sfumature di significato tra essere messi “sotto tutela” e “ci hanno fatto schiavi”. Come nazione, siamo o non siamo economicamente e politicamente subordinati agli “strateghi del Capitale” statunitensi per dirla con G. La Grassa)?
      A me “frasi ad effetto”, cioè ipersoggettive, mi sembrano le tue. Cosa vuol dire: “gli USA non hanno vinto”? Oppure: “io non sono stato sconfitto”? Oppure: “Una parte di italiani non è stata sconfitta. Quella che ha fatto la Resistenza”? A me questa pare una visione mitologica della storia, che contraddice tutto quanto io so sulla storia contemporanea e sulla Resistenza .
      Proprio perché gli USA sono intervenuti e intervengono pesantemente – tu stesso porti alcuni esempi – negli “affari italiani” o nei conflitti interni italiani, affermare che, essendo l’Italia “terra di frontiera dell’impero americano”, viviamo in un bellissimo posto “per fare una lotta antiimperialista”, mi fa uno strano effetto. E’ come mettersi a ridere a un funerale.
      Ma dove sono le truppe, dove i generali che guidano o guideranno questa lotta?
      Ecco, con tutta la stima che ho per te, a me questo – al presente e in assenza di movimenti o di forze politiche organizzate – pare proprio “velleitarismo antimperialista parolaio”. E non ci vedo insulto. Dispostissimo a ricredermi, quando mi indicherai in modi convincenti chi oggi fa la lotta all’imperialismo statunitense. Quanto alle lotte fatte in passato ” nei luoghi di lavoro, o nelle piazze, talvolta anche altrove” – quelle degli anni del dopoguerra e degli anni ’60-’70 – mi pare difficile parlare di lotte chiaramente e apertamente antimperialistiche.

  18. A proposito di vincitori e vinti e su come e se sia possibile “fare una lotta antimperialista”…

    SEGNALAZIONE

    GIOVANNI ARRIGHI
    PRIMA DE IL LUNGO XX SECOLO
    La forza strutturale della classe per superare lo stallo prodotto dal marxismo tradizionale
    ​di Giordano Sivini 6 settembre 2019
    http://www.palermo-grad.com/giovanni-arrighi-prima-de-il-lungo-xx-secolo.html

    Stralcio:

    L’incapacità del marxismo tradizionale

    Nel 1984 Arrighi pubblica un altro articolo che riguarda il rapporto capitale-lavoro, “Labor Movements and Capital Migration” [21], scritto con Beverly J. Silver. Riguarda la genesi della forza strutturale della classe operaia (definita labor’s workplace bargaining power). Sostiene la tesi che, per come si è manifestata la forza strutturale nei luoghi di produzione, il movimento operaio statunitense degli anni 1930-40 ha anticipato quello europeo degli anni 1960-70. Il contenimento di questa forza, una volta falliti i tentativi repressivi, è stato realizzato prima negli Stati Uniti più tardi in Europa dando rilevanza rappresentativo-burocratica ai sindacati in cambio del riconoscimento da parte loro delle prerogative manageriali del capitale e della acquiescenza allo spostamento delle attività produttive verso aree con più basso costo del lavoro. L’indebolimento del lavoro nei paesi centrali è stato tuttavia in qualche misura compensato dal rafforzamento nei paesi dove il capitale è emigrato.

    Questa problematica è ripresa e sviluppata nell’articolo “Secolo marxista, secolo americano”, pubblicato nel 1990 [22], che conclude la ricerca di Arrighi entro il paradigma dell’antagonismo tra capitale e lavoro. Viene analizzata l’evoluzione storica della relazione tra la borghesia (“veicolo involontario e passivo del progresso dell’industria”) e il proletariato, articolato in esercito industriale attivo ed esercito di riserva. Esamina da un lato le trasformazioni strutturali del capitalismo che il ‘Secolo americano’ esporta nel mondo; dall’altro le pratiche politiche e organizzative di un ‘Secolo marxista’ che non riesce a interpretare queste trasformazioni.

    Il movimento operaio si è affermato come potere sociale in tempi diversi negli Stati Uniti e in Europa, risultato di lotte spontanee auto organizzate, contro il capitale che scaricava le pressioni competitive sulla forza lavoro. La risposta del capitale è stata duplice: da un lato indebolire il lavoro con l’immissione di donne e immigrati e trasferire le attività in aree a basso costo; dall’altro astenersi dagli investimenti. “La speculazione finanziaria e la riduzione dei costi sono stati così i riflessi dell’incapacità delle grandi imprese di adattarsi al crescente potere sociale del lavoro” [23].

    Arrighi, insiste sul fatto che il capitale ha puntato a condizionare il potere sociale del lavoro dei paesi del centro lavorando sulla miseria di massa del proletariato della semiperiferia e della periferia. Con ciò tuttavia ha fatto crescere il potere sociale complessivo del proletariato industriale mondiale, che si manifesta con l’esplosione di movimenti anti sistemici, alimentati dai nuovi soggetti che riconfigurano l’esercito industriale attivo e quello di riserva.

    Marx nel Manifesto del Partito Comunista aveva avanzato la tesi che la trasformazione socialista sarebbe stata realizzata a livello mondiale mediante la convergenza della ribellione all’aumento della miseria dell’esercito di riserva e dello sviluppo della forza del proletariato industriale. “Solo in questa ipotesi le lotte quotidiane del proletariato mondiale sarebbero state intrinsecamente rivoluzionarie, nel senso che avrebbero fatto valere nei confronti degli Stati e del capitale un potere sociale che questi ultimi non avrebbero potuto né reprimere né accontentare” [24].

    Invece il marxismo si è storicamente sviluppato sulla negazione di questa prospettiva, attribuendo priorità alle organizzazioni politiche contro i movimenti, dividendosi tra prospettive riformiste o rivoluzionarie e producendo teorizzazioni funzionali al potere, considerando il proletariato come una artificiosa unità, privandosi anche di far leva su quelle specificità naturali e storiche che stanno prepotentemente emergendo. È andato, cioè “in una direzione che è in alcuni aspetti chiave antitetica a quella prevista e sostenuta da Marx”.

    Sul piano della lotta di classe e della prospettiva del socialismo Arrighi giunge così in un cul de sac. Conclude: “La disgregazione di queste pratiche, e delle ideologie e organizzazioni nelle quali si sono istituzionalizzate, può essere solo il risultato delle lotte di coloro che sono stati da esse oppressi. Il potere sociale che la corsa alla riduzione dei costi mette nelle mani dei settori tradizionalmente deboli del proletariato mondiale non è che il preludio a queste lotte. Nella misura in cui queste lotte avranno successo, sarà preparato il terreno per la trasformazione socialista del mondo” [25].

    È un auspicio, non il risultato coerente dell’analisi. L’auspicio del resto è di breve durata, poiché si accorge che come classe il proletariato si è disgregato. Nell’ultimo saggio del 1991 che conclude Antisystemic movements si chiede: “Dov’è una nuova strategia per la trasformazione verso un mondo democratico ed egualitario, che era un tempo l’obiettivo dei movimenti antisistemici! I dilemmi che essi devono affrontare sembrano ancora più complessi di quelli in cui si trovano di fronte le forze dominanti del sistema-mondo. In ogni caso, in assenza di una strategia, non ci sono motivi di ritenere che esista una qualche mano invisibile in grado di garantire che la trasformazione vada nella direzione giusta, persino nel caso che l’economia-mondo capitalistica crollasse da sé” [26].

    Conclusioni

    Arrighi interrompe il percorso di ricerca del socialismo, per proseguire su quello nuovo del superamento del capitalismo, e si trova improvvisamente a misurarsi con i problemi dell’espansione finanziaria. È un terreno che non ha mai praticato, se non nell’intermezzo de La geometria dell’imperialismo, in cui rifacendosi all’alta finanza di Hobson, arriva alla conclusione che “capitalismo finanziario e capitalismo multinazionale sono concetti antitetici” [27].
    Ha guardato all’espansione su scala mondiale del proletariato, considerando il capitale nella sua mera dimensione materiale. Dopo l’efficace interpretazione delle crisi, si è lasciato trascinare nelle analisi dalla concettualizzazione della forza strutturale entro una concezione lineare dello sviluppo del capitalismo che imponeva che il proletariato si rafforzasse.

    Racconta Beverly Silver, che ha lavorato e scritto con Arrighi: “Negli anni ’90 la profondità della crisi del lavoro in molte parti del mondo non era qualcosa a cui noi fossimo veramente preparati. Abbiamo cominciato col dire: okay, cosa è successo? Nel pensare a questo, abbiamo iniziato a considerare l’impatto della finanziarizzazione del capitale come una spiegazione chiave dietro la profondità della crisi del lavoro” [28].

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