di Ennio Abate
Il poeta Franco Loi è morto da pochi giorni e su Poliscritture l’ha ricordato Giuseppe Natale (qui). Solo oggi, visitando la pagina FB di Guido Oldani, mi sono imbattuto in un articolo su “Affari italiani.it” del 25 dicembre 2019 (qui). Vi si denunciava la censura da parte di Facebook di un’intervista rilasciata da Loi con un pomposo e stuzzicante titolo: Mussolini ha fatto più di tutti per gli operai. A colloquio con Franco Loi. L’intervista
La si può seguire qui: http://blob:https://www.facebook.com/a3f23ca6-92a3-4709-9d88-0b4dbcc90fc5
A Guido Oldani, che sul suo blog, a un mese di distanza dalla morte di Loi, ricordandolo ha ripreso anche questa notizia (qui) ho scritto:
Caro Guido, ti ritrovo qui su FB e ti mando un saluto affettuoso, ma non posso tacerti lo sconcerto alla lettura della vostra presa di posizione contro la censura che FB ha fatto dell'intervista a Franco Loi comparsa su Affari Italiani. Non che io sia d'accordo con la censura di FB che va condannata. Allo stesso tempo però non mi sento di accettare a scatola chiusa quanto Loi dichiara su Mussolini. C'è per me un abisso tra il Loi di Strolegh prefato da Fortini e quella che io giudico una sua involuzione politica e poetica successiva o un vero autodafé rispetto alla sua precedente fase "anarco-comunista". E, devo dirtelo, secondo me tu e gli amici del RT sbagliate a sorvolare su questa sua (di Loi) penosa contraddizione. I due giornalisti intervistatori mi sono parsi penosi strumentalizzatori di un vecchio poeta ormai cieco anche dentro. Un caro saluto Ennio
COL PIEDE SBAGLIATO?
PER APRIRE UNA RIFLESSIONE SU FRANCO LOI E LA SUA POESIA
18 settembre 2004
Da una mia mail a un amico
Caro M.,
noi che possiamo ancora permetterci di essere “scomodi”, non perdiamo l’occasione. Dei poeti e critici da te incontrati a Riccione io ho avuto occasione di farmi qualche idea di Loi [X e Y]. Loi: ho letto a suo tempo Strolegh che mi piacque. Era presentato da Fortini, che per me è stato un’autorità. Lo contattai dopo la morte di Fortini per un’iniziativa a Cologno in sua memoria ed ebbi la prima delusione: politica (che per me conta parecchio). Fece discorsi liquidatori sulla rivoluzione russa e sul ’68-69. Era stato dentro le lotte di quegli
anni e aveva rischiato anche brutto al tempo delle Brigate rosse, ma poi si è buttato sempre più verso destra (per me). I pettegoli dicono che ormai è dentro i salotti della Milano bene. Le sue ultime evoluzioni mistico-poetiche non mi hanno attirato.
19 ottobre 2014
Quindi, chi è il “vero” autore della poesia?
È qualcosa che viene da un impulso che Benedetto Croce chiama l’archetipo. Perché non sappiamo cosa sia, in realtà. Ma è una voce che hanno sentito tutti i santi, tutti gli scrittori, i poeti, i filosofi. Viene detto qualcosa di cui non hanno coscienza, che non avevano mai pensato né sentito. Nascono parole, immagini, suoni del tutto nuovi, che ti fanno meravigliare. E, se una poesia è vera, lo stesso autore ne impara qualcosa. Questa estraneità della poesia ad un progetto, ad una trama prestabilita, la rende espressione di qualcosa che non è il poeta. È il momento di un contatto con l’Ignoto, con il Mistero, con Dio. Si potrebbe fare un parallelo con la situazione di Mosè, che domanda ad una voce: «Tu chi sei?». La voce di Dio risponde: «Io sono Colui che sono». Non è una definizione logica o ideologica. Lascia trasparire un senso di Mistero: con parole umane tratta di qualcosa di incomprensibile.
(da https://www.tempi.it/franco-loi-la-poesia-contro-il-potere-perch-riconduce-l-uomo-al-vero/)
Mio commento:
Che mistificazione stabilire un’equazione così facile tra ignoto, mistero e dio! Loi è passato dall’anarchia alla propaganda fide riducendo la poesia a suo strumento. Peccato…
11 agosto 2015
A due amiche su FB
Ennio Abate Non capisco tutto questo vostro entusiasmo per le banalità romantiche e heideggeriane di questo scritto di Franco Loi.
“Quando il poeta si esprime è il suo essere inconscio, attraverso il mezzo, che rivela ciò che lui non sa, che non cade sotto la sua padronanza”?
Ma davvero il poeta è un semplice medium? Ma davvero il “proprio abituale io cosciente” entra in sciopero generale quando l’inconscio “parla”?
E non è contraddittoria con questa tesi (in fondo spiritualista tinteggiata da cenni di psicanalismo mal digerito) la successiva affermazione, secondo la quale “Bisogna lavorare, sbagliare, lavorare ancora, e più si lavora più si affina il mezzo, non solo la mano che fa, ma anche la nostra interiorità rispetto al mezzo”?
Perché tutta questa fatica se l’inconscio farebbe tutto da solo?
Per non parlare della fesseria populistica per cui “il popolo quando è ubriaco, o sotto emozione, dice delle cose straordinarie, inventa anche la lingua, perché, in quel momento, è libero”. Che andrebbe bene come pubblicità per un’azienda vinicola.
Sarà che io diffido di un ex anarchico che oggi scrive su “Il sole 24 ore” cose appunto banali e innocue.
1 marzo 2020
Umberto Fiori su Loi
Loi era quietamente spiritato. Mi faceva pensare a certi personaggi di Dostoevskij. Il racconto che ci fece dell’ispirazione incontenibile da cui erano nati di colpo, tutti insieme, i suoi versi in milanese in un’estate di fine anni ‘60, della “mano calda” che sentiva sulla testa mentre componeva, dell’estasi che lo guidava, mi affascinava e mi imbarazzava al tempo stesso.
È stato forse in quell’occasione che ho cominciato a riflettere sulla nozione di “canto”. Per me, fino allora, nemmeno la poesia – con tutto il suo prestigio e i suoi privilegi – poteva sottrarsi a un confronto dialettico, a un’obiezione critica, a una discussione. In Loi, invece, non c’era spazio per dubbi, ragionamenti, opinioni: lui cantava; e chi canta – come mi è capitato di scrivere più tardi – “è sordo, e sa tutto”.
In un primo momento sentivo in questo un arbitrio, quasi un’arroganza; ma in seguito mi è parso che questa “esposizione” impudica contenesse un dono, un’offerta, una bruciante inermità che la poesia moderna si sforzava (invano) di rimuovere.
L’incontro con Loi mi indicò la strada che portava dai rituali di quello che si chiama letteratura (sia pure in versi) ai rischi della poesia, mi incoraggiò ad abbandonare i vezzi, le ambizioni e le inibizioni estetiche e culturali per cercare quella che poi avrei chiamato voce. Sui libri di Loi – letti e riletti – ho a lungo meditato e ne ho anche scritto (ricordo in particolare una introduzione a Stròlegh per la rivista “Poesia”).
(https://www.doppiozero.com/materiali/franco-loi-incontrare-langelo?fbclid=IwAR2LgqH6XLC0vgXx3Tx3fIKUltZZZMAfBNnrHBEK2J6O0b3oOf_5eAbthAQ)
Mio commento:
Silenzio assoluto sul risvolto politico di Loi e la sua evoluzione…
caro ennio, leggo il florilegio da te collezionato su franco loi e, per quello che vale, mi limito a confermarti: condivido vivamente. ho conosciuto e frequentato loi negli anni 60 soprattutto, con grandi discussioni sulla poesia “on the road” che allora praticavo, nello studio milanese di mio cugino enio tomiolo (un pittore “maestro”, in senso pieno, che da giovanotto avevo eletto a mio maitre à penser…). ho sempre diffidato della sua poesia sia “pregiudizialmente” (snobbo i cenacoli dialettali, anche se questo non vorrebbe dire granché…) sia in corpore vili per gli svolazzi misticistici che poi si sono amalgamati nel loi degli ultimi decenni. tentai un paio di volte di contattarlo per cercar di dar seguito ad una rievocazione critica di mio cugino pittore (al funerale del quale ci incontrammo freddamente) ma non si degnò mai di rispondermi, neanche per formale educazione. insomma, “miserie” che la sua parabola ideologica mi pare abbia ratificato. un caro saluto, con il consueto apprezzamento per la tua implacabile vigilanza critica, alberto tomiolo