di Franco Casati
Il maestro abita in un vecchio casolare di campagna, con le porte e le finestre orlate di cotto, fiancheggiato da un alto fienile, naturalmente vuoto, percorso da rondini che intrecciano i loro voli fra i nidi e le grandi finestre diroccate. La casa è fronteggiata, a una certa distanza, da villette di recente costruzione, allineate lungo la strada provinciale. Egli è venuto ad abitarvi con la moglie dopo che gli ultimi proprietari l’hanno abbandonata, visto che i loro figli non ne volevano più sapere di lavorare i campi: tutti in città, a stipendio fisso e a orario sindacale.
La proprietà è passata ad altri, e i campi sono tuttora coltivati da contadini che vengono da fuori, giungendo col trattore lungo il filare di alti pioppi scuri che unisce la rustica abitazione alla strada provinciale. Un mare di messi ondulate la cinge ancora alle spalle, punteggiate da rossi papaveri, piegate dal vento che le carezza, sfiorate dagli acrobatici voli delle rondini.
L’anziano maestro elementare usa ricevere gli ospiti all’aperto, avendo sistemate alcune sedie di plastica e un tavolino poco distante da quello spiazzo che una volta era l’aia, sotto i rami di un vecchio platano. La presenza enigmatica di ferrosi attrezzi da lavoro, di arrugginite macchine in abbandono sparse qua e là e di un pozzo in disuso, ancora provvisto dell’argano col secchio, popola il silenzio irreale della vecchia corte contadina, animata solo dal vento e dal canto di tanti piccoli uccelli nascosti fra i rami degli alberi. mentre i rumori della ‘civiltà’ giungono da lontano, ovattati e indistinti.
L’ospite ha l’impressione che in questo luogo il tempo si sia fermato e che le costruzioni che si scorgono oltre l’orizzonte della campagna siano solo gli avamposti della modernità. La bianca barba dello stesso maestro, cultore della pratica e della dottrina yoga, la sua figura un po’ ieratica, la calma dei gesti e la pacatezza delle parole nell’accogliere gli ospiti, sembrano un sicuro baluardo contro il tempo, un trait-d’union fra l’umano e il divino.
Un piccolo cane bastardo di colore grigio ti corre incontro abbaiando, girandoti attorno, appoggiandosi con le zampe sulle tue gambe per annusarti la patta dei pantaloni, allontanandosi di corsa al richiamo del padrone, facendo vibrare l’aria del suo fremito: finché non ritorna ad intrecciare i suoi salti unendosi a un gatto arancione dal lungo pelo variegato.
L’occasione per tornare a fare visita al vecchio e saggio maestro mi viene offerta da un amico comune, Lancillotto, che condivide con lui la passione per le moto d’epoca, e vorrebbe cedergli a un congruo prezzo una vecchia Sertum del ’36. Prevedo che la trattativa andrà per le lunghe, dato che il maestro è solito gestire gli affari all’uso orientale e il mio amico non è da meno di lui per via di attendismo e di tempi lunghi.
Si tratterà la questione a margine di altri argomenti, come se la cosa fosse puramente casuale, anche se tutti e due hanno, a questo proposito, pienamente maturato le condizioni possibili per la realizzazione del piccolo affare. Al momento opportuno io sarò tenuto al massimo riserbo, per non interferire nel dialogo delle parti.
Il maestro, con la solita gentilezza, ci offre della birra birra
fresca di marca straniera; in un baleno le verdi bottigliette vengono vuotate, dopo che i bicchieri si sono colmati di allegra schiuma chiara. L’ombra, l’aria fresca e ventilata, la giornata serena, il chiaro cielo azzurro percorso da grosse nubi bianche, come un affresco del Tiepolo, la verde campagna attorno, i voli delle rondini, la compagnia di cari amici e l’impegno di una serena conversazione rendono amabile la giornata, in alternativa alla quotidiana vita di città. Non so trattenermi dal rendere partecipi gli altri di questa mia sensazione:
“Lei è fortunato ad abitare in un posto così” affermo, rivolto al maestro, lasciando cadere il primo appiglio per una conversazione. ”E’ un luogo veramente adatto alla meditazione. La ‘civiltà’ sembra confinata oltre l’orizzonte.”
“Infatti, in quelle rare volte che sono costretto a venire in città scappo via al più presto; è come se mi sentissi assediato da mille diavoli, senza contare lo smog che mi prende alla gola. Per la gente che ci vive non c’è futuro.”
“I segni della prossima catastrofe sono tanti” interviene Lancillotto”, stiamo andando incontro a uno sconvolgimento che verrà, secondo me, proprio dalla natura.”
“Siamo alla fine di un ciclo, e non sappiamo quale sarà il prossimo futuro, ma tutto quello che accadrà varrà per il bene della terra” afferma pacatamente il maestro.
“Lo credo anch’io. Ho letto su qualche giornale che stando alle ultime teorie scientifiche l’universo procede secondo un movimento a spirale, in direzione sud-nord. E’ pauroso “affermo” pensare che facciamo parte di un simile movimento, di questa enorme spinta che proviene non si sa da dove, né verso quale meta sta puntando.”
“E che siamo una parte infinitesimale, praticamente insignificante di questa enorme massa che sconfina nell’universo” aggiunge il maestro, con un cenno della mano verso l’alto. “L’atmosfera terrestre, poi, non è che una misera carta velina che potrebbe dissolversi all’istante. Ho sempre pensato che l’universo si sviluppi secondo un movimento a spirale, per il semplice fatto che riflette la realtà del pensiero, che deve essere compiuto e progressivo. La cultura filosofica dell’oriente e la scienza moderna, occidentale, paiono finalmente incontrarsi.”
“Cosa ne sarà di noi uomini, nel futuro?” chiede Lancillotto al maestro.
“A questa domanda ha già risposto il Vangelo, duemila anni fa: saranno i miti che erediteranno la terra. Ma non conviene andare col pensiero più in là del giorno”, conclude il maestro, togliendo lo spazio ad altri metafisici ragionamenti.
“E’ meglio che ci diamo da fare a conservare le cose del passato, quelle che hanno un valore, da portare sulla prossima arca di Noè, come le nostre vecchie motociclette, visto che del presente c’è poco da salvare” propone Lancillotto, assecondando l’aspettativa del maestro.
“A tale proposito” lo rincalza questi, al volo”, lei è ancora intenzionato ad offrirmi la sua vecchia Sertum…?”
“Non vorrei proprio privarmene” tergiversa Lancillotto”, perché è un pezzo molto raro; ma abbisogna di troppo tempo per un’adeguata manutenzione: perciò penso di venderla, a un prezzo adeguato, senza specularci sopra.”
“E’ un pessimo periodo per gli affari…”, lo incalza il maestro.
Anch’io, a questo proposito, avrei da dire la mia, ma mi trattengo per paura di rompere le uova nel paniere a qualcuno.
“Io non ho alcuna fretta di venderla, anche perché ci sono molto affezionato. Se avessi tempo la rimetterei a posto con calma, ne verrebbe fuori un gioiello di moto d’epoca. Bisogna revisionare l’impianto elettrico, ma questo non è un problema. Più difficile è trovare uno che sia ancora in grado di centrare le ruote.”
“Lo conosco io un vecchio artigiano, bravissimo a fare questo lavoro: mi rivolgo a lui quando ho bisogno di trovare pezzi originali, difficili da reperire; è uno che abita nel bresciano, in un paese di cui adesso non mi viene il nome… ma ricordo bene la strada per arrivarci.”
Ho l’impressione che questa dimenticanza del maestro non sia del tutto involontaria. Io e Lancillotto ci scambiamo un’occhiata d’intesa, e il suo sguardo malizioso conferma la mia idea. Resta sempre in sospeso il discorso sul prezzo di realizzo, sono curioso di vedere chi sarà il primo dei due a scoprire le carte.
“E’ un artigiano che lavora bene, ma si fa pagare anche profumatamente. Per rimettere in sesto la sua moto ci vorranno parecchi soldi; e andrebbe anche riverniciata, per quanto mi ha detto la volta scorsa. Se si dovesse poi mettere in conto tutto il tempo che ti porta via la cura di una moto d’epoca, per tenerla sempre in efficienza… Io ho potuto dedicarmici solo da quando sono andato in pensione.”
“Il vostro impegno per conservare queste testimonianze del passato è lodevole. Al di là del gusto per il collezionismo voi conservate le tracce del cammino dell’uomo, almeno del suo percorso tecnologico, considerando che la maggior parte della nostra civiltà ne è comunque il derivato. Capisco come questi oggetti d’epoca possano avere così tanto valore”, così dicendo lancio un’altra occhiata d’intesa a Lancillotto, che dimostra di gradire il mio intervento.
“Se i pezzi di sua proprietà sono poi così rari, quasi introvabili come la mia Sertum, si capisce che il loro valore è molto alto.”
“Il collezionismo, comunque, ha i suoi prezzi, le sue quotazioni. Una vecchia Guzzi che tengo nella rimessa vale, ad esempio, di più di una Sertum, e non l’ho pagata poi tanto, in proporzione.”
“Il prezzo è sempre variabile, dipende da chi vende e da chi acquista, e dal momento propizio.”
“Per l’appunto, caro Lancillotto. Oggi non si riesce a vendere più niente, il mercato è completamente fermo, e questo è solo l’inizio! Vedrà, andando avanti…”
La battaglia si è fatta molto aspra e non oso più intervenire. Ho ancora sete ma non voglio chiedere dell’altra birra. I bicchieri sono vuoti da un pezzo, alcune mosche ci volano attorno. Il cane e il gatto continuano a rincorrersi saltellando, ogni tanto ci sfregano le gambe nelle loro corse. Le rondini insistono a planare sul grano verdeggiante coi loro bianchi petti. Nel frattempo si sta avvicinando un’utilitaria, attraverso il viale d’ingresso. L’auto si arresta davanti alla casa e ne scende una donna di mezza età. Dopo averci rivolto un cenno di saluto scompare dalla porta d’ingresso. Il maestro risponde sollevando appena il capo verso di lei.
“E’ mia moglie che rientra dal lavoro. E’ via da stamattina presto.”
Consultando il mio orologio vedo che sono da poco passate le sei. Ne deduco che il suo turno di lavoro è assai lungo.
“Lavora tutte queste ore?” chiedo impulsivamente al maestro.
“Al bar della stazione i turni sono, purtroppo, di dodici ore.”
“Un bel sacrificio…” commenta Lancillotto.
Rifletto fra me e me che la serena vita del maestro non si fonda soltanto sulla sua magra pensione e nemmeno la passione per le moto d’epoca si sostiene sui suoi scarsi proventi. C’è sempre qualcuno che si sacrifica per noi. Considero che della luce di questa bella campagna sua moglie gode ben poco.
Il cane è venuto a sedersi ai suoi piedi, mentre il gatto è scomparso nel verde. Egli accarezza la bestia con molta familiarità. Rivolgendosi a noi che lo stiamo guardando con simpatia commenta:
“Con la loro presenza gli animali ci danno la misura delle cose. Questo cane è mansueto come dovrebbe essere un uomo che appartiene allo spirito. E’ praticamente un santo.”
“Bisognerebbe che tutti gli animali fossero così”, interviene Lancillotto.
“La natura crea la cimice e l’elefante, il delfino e lo squalo: ha le sue leggi.”
“Allora conviene con me che è sbagliato farsene un’immagine solo idilliaca.”
“Gli animali non hanno niente di diverso da noi, sono fatti dei nostri stessi organi. E’ probabile che non riescano ad elaborare la nostra stessa quantità di informazioni, ma questo non è un limite che intacca il loro essere. Noi forziamo il quadro della natura quando li consideriamo dei viventi inferiori. Così come lo forziamo quando pretendiamo da essa un trattamento di riguardo.”
“L’animale, però, non è in grado di elaborare simboli”, aggiungo io, con un po’ di saccenteria.
“Sarà vero, anche se non sappiamo molto del linguaggio degli animali, ma poi tutto finisce lì. L’animale ha il nostro stesso istinto di sopravvivenza, l’identico attaccamento alla vita. Provi lei a fare il gesto di schiacciare una mosca… I simboli, poi, nascono solo dalla paura dell’uomo, dal suo smarrimento di fronte alla vita e alla morte. Io ho imparato a tenere i piedi per terra, dopo avere attraversato tante religioni e filosofie; mi accontento di concentrarmi sulla scansione del respiro, che non è affatto immaginaria, ritenendo su un certo fondamento razionale che ripeta il ritmo dell’universo, dal momento della nostra nascita fino a quello della morte.”
“Se lei non crede nel valore dei simboli, allora negherà anche il valore di quelli cristiani.”
“La croce rappresenta il destino dell’uomo, quello di venire sacrificato al tutto, anche al desiderio per un Dio.”
“Non crede rappresenti il simbolo dell’amore di Dio verso l’uomo, che sacrifica il proprio Figlio?”
“Uno è libero di pensarlo. Credo che tutte le religioni abbiano un fondamento di verità, come hanno tanti punti in comune, sta a noi coglierne la portata. Come valore simbolico a me interessano di più i mandala, perché non rimandano a dei referenti, ma invitano solo alla meditazione.”
“La mattina, quando esco di casa, io recito un bel Padre nostro” interviene Lancillotto, “la preghiera che ci ha insegnato Gesù, e mi sento a posto per tutto il resto del giorno. Sarà anche un’illusione, ma a me piace pensare che il Signore ci guida.”
“Fa bene” conclude il maestro”, l’aiuta a vivere più sereno. Io mi accontento, come le ho detto, di concentrarmi sul movimento del respiro e di ricavare qualche insegnamento dall’osservazione della natura. Non ho a disposizione gli strumenti che hanno gli scienziati, ma vedo che le mie conclusioni coincidono con le loro. Se dietro questa realtà che possiamo cogliere coi limiti dei nostri sensi c’è qualcos’altro per noi resta un mistero. In questa dimensione può trovare spazio anche l’idea di Dio, che a mio parere, tuttavia, è molto lungi dall’essere antropomorfa.”
“Per noi cristiani c’è una verità rivelata, che nasce dal cuore ancora prima che dalla ragione” afferma pacatamente Lancillotto.
“Le verità possono essere tante, e non si finirebbe mai di discuterne. Purtroppo si sta facendo tardi, fra poco dovrò rientrare per aiutare mia moglie a preparare la cena. Siamo partiti dalla Sertum per sconfinare non si sa dove. Aspetto ancora che lei mi dica quanto ha intenzione di chiedere per questa moto, per vedere se è un prezzo conveniente, come mi aveva lasciato intendere.”
Prendendo la palla al balzo Lancillotto risponde:
“A conti fatti…vediamo…per cederle la moto…non posso chiedere meno…di cinquemila euro.”
Il maestro nasconde a mala pena un moto di stizza.
“E’ una cifra esagerata.”
“Posso farle un po’ meno, considerando che ci sono le ruote da cerchiare e altro ancora.”
“Che non sono interventi di poco conto…”
“In questo caso posso cedergliela, vediamo…facendo i conti…a non meno di quattromila euro.”
A questa nuova richiesta gli occhi del maestro si fanno più attenti.
“Per quanto accattivante si tratta sempre di una spesa voluttuaria (lei capisce), insomma, di un capriccio. Più di tanto non posso espormi. Oggi i soldi costano, e le cose non valgono più niente.”
“Io non ho bisogno di svendere. Posso venirle incontro, ma fino a un certo punto. Quanto sarebbe disposto a spendere, tanto per semplificare?”
“Per dare un giusto valore alla moto, direi tremila euro.”
“Una Sertum del ’36 ne vale di più. In ogni caso, proprio per venirle incontro, gliene chiedo 3500: prendere o lasciare.”
Un lampo di soddisfazione attraversa gli occhi del maestro; dopo un attimo di ripensamento egli risponde:
“Mi sta bene. Affare fatto. Gliela posso pagare in due o tre rate, sulla fiducia. Il nostro amico, qui presente, è testimone.”
Io e Lancillotto ci scambiamo un’occhiata interrogativa. Cerco, a questo punto, di tergiversare guardandomi attorno; nel silenzio improvviso si sente solo lo stridio delle rondini. Mi viene da pensare, chissà perché, che se dovessi rinascere vorrei essere una di loro.
In questo simpatico e arguto racconto mi piace pensare che ci sia, in qualche misura, un autoritratto dell’autore. Tralascio le problematiche filosofiche a cui si accenna e passo a un punto che non condivido, non sotto il profilo letterario ma sotto quello di ciò che sappiamo della psicologia animale. Credo che gli animali, almeno quelli considerati più intelligenti, siano in grado di elaborare i simboli. Molti esperimenti, a mio parere, lo testimoniano. Delfini, cavalli, cani e soprattutto primati come gli scimpanzé (in particolare i bonobo che hanno un DNA al 98% simile a quello umano), i macachi e altri animali ancora.
Qualche giorno fa la TV ha trasmesso un documentario su gruppi di macachi che, in un Paese asiatico (non ricordo se Indonesia o Malesia), vivendo in mezzo alla gente, hanno imparato a riconoscere i turisti e hanno sviluppato una singolare abilità, certamente frutto di apprendimento culturale e non d’istinto, di rubare ai turisti occhiali da sole, telefoni cellulari, macchine fotografiche e borsette, poi, commesso il furto, si mettono in una posizione sicura, ad esempio su un palo della luce o il tettuccio di tenda di un negozio, e attendono che il derubato offra loro del cibo in cambio del quale restituiscono l’oggetto. Accettano frutta, com’è ovvio, ma anche cartoni di latte, lattine di succhi di frutta e bottiglie di acqua minerali, che sanno aprire e utilizzare. Nella meccanica di questo comportamento io ci vedo intelligenza, capacità di riconoscere gli oggetti e di capire il loro valore per chi li possiede, la furbesca strategia del ricatto e la pacifica soluzione dello scontro / incontro, oltre all’abilità di riconoscere e usare lattine e bottiglie.
Quanti simboli deve elaborare un macaco per comportarsi in questo modo?
Si potrebbero fare altri esempi: scimmie che dipingono, che leggono, che scrivono. Naturalmente non leggono Shakespeare e non scrivono romanzi, ma sono in grado, se ben addestrate, ad arrivare al riconoscimento di oltre trecento segni e distinguerne i significati, comportandosi di conseguenza.
I simboli che gli animali non riconoscono sono quelli religiosi e filosofici, nella loro propria astrattezza. Ma se la croce, ad esempio, fosse usata dall’addestratore come simbolo per la richiesta di cibo, o per quella di fare una passeggiata, o per altri comportamenti concreti, molti animali arriverebbero a riconoscerla.
Ringrazio Luciano Aguzzi per il suo benevolo commento e per la sua convincente precisazione.
Un fresco racconto che non può non rifare chi lo leggerà.
Belle immagini, pensieri e chiacchiere… trasudano pace.
Grazie Franco, ciao
Una conversazione che scende nel reale toccando i tanti aspetti della vita dell’uomo e del suo spirito.
L’animale e l’ambiente sono visti nella loro veste più naturale che forse vuole essere un invito a non farsi travolgere del tutto dal fascino del vile denaro.
Lucia Bruni
Grazie ancora Lucia per l’attenzione che hai speso nei miei confronti. La tua interpretazione del contenuto di questo racconto è veritiera. A buon rendere…