Una storia di Avanguardia Operaia (1968-1977)

Oggi 11 febbraio esce il libro VOLEVAMO CAMBIARE IL MONDO “Storia di Avanguardia operaia” (Mimesis ed.) a cura di Roberto Biorcio e Matteo Pucciarelli  e con la Prefazione di Giovanna Moruzzi.

Tutte le interviste dei militanti di AO, solo in parte utilizzate nel libro, si trovano al link: http://www.comune.bologna.it/iperbole/asnsmp/interviste.html della Fondazione Marco Pezzi di Bologna, dove si trovano anche alcune istruzioni per poterle leggere.

 

La presentazione del libro avverrà lunedì 22 febbraio alle 17.30 necessariamente on line. Introdurrà Luigi Ferrajoli. 

Il libro si può comperare in libreria, su Amazon e sul sito della casa editrice www.mimesisedizioni.it  al costo di € 20.

3 pensieri su “Una storia di Avanguardia Operaia (1968-1977)

  1. LEGGENDO «STORIA DI AVANGUARDIA OPERAIA (1968-1977)

    Voglio sottolineare la sintonia tra questa mia poesia che ha precisi riferimenti ai cosiddetti “anni di piombo”:

    PROF SAMIZDAT -GUERRIERO

    Prof Samizdat

    Oscenamente divino e affascinante il tuo sguardo! Quando riconobbi i tuoi occhi sotto il passamontagna, morte morte ti trascinava. Ti trattenni, mi buttasti a terra, poi spari, spari tanti; e una lastra di sangue sull’asfalto. Oh, in quale olimpo geometrico – in alto tu, in basso noi, passanti che dovevamo sciamare nei flussi di cristallo da te approntati – hai preparato la tua e la nostra fine! Non quasi signore contro antichi signori ti pensavo, ma tenace, ancora a noi accanto, nel solco di comuni speranze a costruire nei riquadri d’ombra. E tu, invece, a squarciarli, ad accecarci con lampi distruggitori, mostrando osceni brandelli di un comunismo da tempo, in silenzio e senza brividi, squartato in menti da camposanto.

    Guerriero

    Per un attimo sentii che t’afferrasti, ma al mio fantasma giustiziere e terribile, non al mio corpo materiale e combattente. Rinnegandomi, non potevi fermarci. A stento, assieme, nelle città di allora, concentrammo pulviscoli d’esistenze nuove; e intessemmo i rapporti possibili, un disegno operaio di rivoluzione. Furono attimi. Decidemmo solo in parte e come e dove lottare. Perciò ci separammo. Di quel progetto luciferino, ora inerte, non accusare solo noi, i demoni; né vantare una tua innocente cecità contro la nostra superbia. Inzuppate di sangue abbiamo le care, ma già stracciate, carte di libertà; e dato, con fragili armi, assalti nei cieli alla morte, per classi intere nel mondo e non per pochi soltanto predisposta. Perciò del corpo a corpo, che ci ha fuso coi nemici, non chiedere i resoconti a noi soltanto. Avessi fissato davvero i loro occhi, invece di abbassarli presto turbato, lo sguardo mio, a confronto, lo troveresti delicato e pieno di riguardi

    ( da E.A., Prof Samizdat, Cepollaro Edizioni 2006)

    E questo brano di Alberto Madricardo, AVANGUARDIA OPERAIA E L’INTERVENTO POLITICO NELLE FORZE ARMATE, in «Storia di Avanguardia Operaia (1968-1977), pagg.245-246:

    Il nostro impegno per dimostrare la natura sempre di destra di ogni militarismo ci fu, ma fu troppo debole e isolato. L’insufficiente elaborazione e capacità di socializzazione ci portò a essere teorica mente, culturalmente e politicamente disarmati, quando il militarismo “di sinistra” espropriò le lotte sociali del loro protagonismo e le gettò nel retroscena, operando la “rimilitarizzazione” dello scontro sociale. Da parte di Lotta continua si oppose il tragico: “Né con le Brigate Rosse né con lo Stato”. Ao si distinse per un atteggiamento più deciso e combattivo, caratterizzandosi per lo slogan “Contro le Br e contro lo Stato”. Ma secondo me ugualmente insufficiente, perché il nostro slogan non imponeva un altro punto di vista. Nel contesto della frase, l’uso ripetuto della preposizione “contro” segnalava un prepotente bisogno di posizionamento in un contesto, entro una narrazione impostaci da altri piuttosto che creata da noi. Senza che ciò rispondesse al livello reale delle lotte sociali in corso, andavamo a metterci tra i due fuochi immaginari (lo Stato e le Br) creati artificialmente dalla narrazione del militarismo brigatista. Entro questo quadro imposto e da noi subito, ci restava da esprimere solo timori: per timore di perdere il contatto con la realtà delle lotte sociali ci dicevamo contro le Br, per timore di essere scavalcati a sinistra proclamavamo di essere contro lo Stato. La narrazione che noi stessi indirettamente contribuivamo a confermare era quella di un ideale duello a due, tra due nemici (lo Stato e le Br) messi sullo stesso piano, in cui ci ritagliavamo un ruolo di terzo. Era l’implicita sottomissione (con la non decisiva correzione di noi come “terzi” nel duello) alla fasulla rappresentazione imposta dalle Br (che in fondo non dispiaceva neanche al Pci, il quale trovava in ciò l’occasione per dimostrare tutta la sua “fedeltà” allo Stato). Invece che, rifiutando la contestualizzazione militarista del duello, da parte nostra denunciare il clamoroso esproprio e negazione, operati alla luce del sole dalle Br, del carattere sociale e democratico del processo di radicale trasformazione in atto. Invece, insomma, che affermare una narrazione nostra, completamente diversa. Così il militarismo “di sinistra” poté riuscire in ciò che non aveva potuto quello di destra: relegare le masse al ruolo di spettatrici di un gioco che si svolgeva sopra la loro testa. Gli fu possibile effettuare impunemente il rapimento di Moro e mettere definitivamente lo schieramento progressista in una catastrofica crisi di identità. Si chiudeva in questo modo la più grande possibilità che si fosse mai avuta di una “Rivoluzione italiana”, intesa come ampio processo di radicale rigenerazione del tessuto sociale e politico del paese, che avrebbe dovuto porlo su basi più giuste e liberarlo dalle sue storiche “gobbe” e malformazioni. E tramontava anche il “paradigma politico del Novecento”, fondato sulla lotta di classe e sulla classica triade: classe-partito-Stato.

    (Alberto Madricardo, AVANGUARDIA OPERAIA E L’INTERVENTO POLITICO NELLE FORZE ARMATE, pagg.245-246, Mimesis, 2021)

  2. LEGGENDO “STORIA DI AVANGUARDIA OPERAIA (1968-1977) INSIEME A “IL PARTITO CHE SI FA FORTEZZA” DI DAVID David Bidussa (https://fondazionefeltrinelli.it/il-partito-che-si-fa-fortezza/?fbclid=IwAR0N3LtNiQ7QdP4fJU961k5LrUrUhl1iUv3kJX0v1xnNyXthfWeuXpdb5EE)

    Segnalo questa intensa e dolente riflessione sulla tragedia di Kronstadt, che nel 2018 tentai io pure di ripensare in dialogo con un amico ( https://www.poliscritture.it/2018/08/26/trockij-kronstadt-e-la-violenza-politica/). Penso che sia utile tener presente le questioni che Bidussa propone mentre stiamo riflettendo sulla nostra esperienza di Avanguardia Operaia. Certo, evitando cortocircuiti indebiti o sbrigativi.

    Ecco un passo dell’articolo di Bidussa per me importante:

    «Uno dei significati, secondo noi, di quell’episodio, per molti aspetti “spartiacque”, è il fatto che segni il consolidarsi di un percorso che dice a chi non ci sta: “Non sei d’accordo con noi? Allora sei un nemico. Non solo: noi decidiamo lo stesso di andare contro di te e non teniamo conto della tua opinione. Non ci vuoi stare? Puoi farti da parte. Non vuoi farti da parte? Allora sarai punito per questo. Cerchi di organizzarti? Noi lo impediremo e ti toglieremo il diritto di parola”.
    Un percorso che non è solo nella struttura del partito di quadri, come si prefigura nell’ipotesi del partito leninista, ma che caratterizza anche la struttura stessa di essere partito di massa nella storia sociale e culturale del XX secolo di tutti i sistemi politici.
    Un percorso fatto in nome dell’emancipazione e del riscatto diventa nel tempo un percorso di esclusione, marginalizzazione e “tradimento” delle voci dissidenti – magari proprio quelle stesse voci che in origine proponevi di rappresentare e tutelare, fino a trasformare un partito in una fortezza. In una macchina politica “senza porte né finestre” vocata a viversi come una setta di cui la politica che sta in basso – quel proliferare di voci che divergono, con identità e bisogni vivi e in trasformazione – avverte tutta l’estraneità.
    Un processo che nel corso del Novecento si è ripetuto molte volte, e che a sinistra ha iniziato a essere imbarazzante solo con le scene del 1956 a Budapest. Fino ad allora opporsi dentro i Paesi del socialismo – o all’interno delle sinistre europee – voleva dire essere indicati come traditori, trovandosi soli, senza trovare una solidarietà e un appoggio.
    Effetto che predispone verso tre strade: una strada di opposizione per una riformazione di un nuovo profilo; l’abbandono e il passaggio dall’altra parte; oppure il ritiro, la delusione che si trasforma in disillusione»

  3. RICORDI DI DINOSAURI

    Errori simili a quelli che ho rimproverato al gruppo dirigente di Avanguardia Operaia in questo commento di Riccardo Bellofiore sulla sua pagina FB scritto in ricordo dell’anniversario della morte di Rossana Rossanda:

    La rottura politica avvenne con Rossanda (e altri) sulla proposta di Magri di andare ad un programma comune che preludesse ad una futura unione con il PCI (e infatti nel PCI tornarono), e di rottura con la nuova sinistra e di opposizione frontale al movimento del 1977. Chi voleva tallonare il PCI erano Magri e Castellina; chi ne era più distante era Rossanda, che provò a proporre una via diversa dentro il partito, una costruzione processuale. Natoli (che non sopportava probabilmente Magri da tempo) si era tenuto fuori da tempo.
    Se ci teniamo non alle idiosincrasie personali ma ai fatti, credo si debba dire che rispetto al PCI, Rossanda e Natoli avevano maturato una critica più profonda e radicale di quella di Magri: e, secondo me, avevano ragione. La scelta dell’allora maggioranza del PdUP fu di rivendicare il centralismo democratico e di tentar di risolvere la cosa a colpi di maggioranza. L’idea di Rossanda di una costruzione processuale, che stesse dentro la “vecchia” (per il manifesto) ipotesi di dialogo con la nuova sinistra fu semplicemente messa da parte. Rossanda si alzò e se ne andò, portandosi via il giornale.
    La memoria del poi è fallace (e può esserlo anche la mia, che è ovviamente una caricatura nel senso di schizzo). Rossanda ex post afferma, e non credo che fosse del tutto vero, di esser sempre stata d’accordo con Natoli sulla necessità di non costruire un partitino, ma fu quello che fece sino al 1979. Magri stesso mi disse che nel 1972 aveva ragione Natoli (che in quell’anno aveva posto il problema), ma che la forza delle cose tirò dall’altra parte: anche lui comunque fece un partitino che rifluì nel partitone, e anche qui vedo molta razionalizzazione ex post.
    Natoli, credo, non pensava ad una “iniziativa politico-culturale” ma ad un lavoro politico di base nei collettivi e nelle fabbriche, in una lunga costruzione dall’esito da verificare strada facendo. Nel decennio successivo i giochi erano fatti: l’incapacità di costruire una nuova sinistra meno sbrindellata, dentro la ristrutturazione capitalistica e la deriva del PCI, impedirono che la sconfitta fosse resa meno devastante. Ovviamente, oggi la tragedia si presenta nella forma della farsa nelle varie liste alternative.
    Chi vuole capirci qualcosa davvero di ciò che successe allora, deve leggersi il capitolo “Rossanda contro Magri, Magri contro Rossanda” del libro di Aldo Garzia «Da Natta a Natta». Aldo ed io diamo presumibilmente giudizi politici diversi della cosa, ma credo che sulla storia ci metteremmo rapidamente d’accordo.

    ( da https://www.facebook.com/riccardo.bellofiore.3/posts/2917575911790682)

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