- Le alternative
Il campo delle alternative è molto vasto. Molte si sono delineate nella lunga esperienza dei movimenti antisistemici novecenteschi e nell’esperienza dei Forum Sociali Mondiali. In questo passaggio altre debbono essere considerate a misura della peculiarità della crisi attuale. La ricerca è in corso e qui se ne indicano solo alcune.
Va da sé che esistono varie opzioni. Un tempo, soprattutto nel campo socialista, si distingueva tra “programma massimo” e “programma minimo”. Tra “One solution, Revolution!”, noto slogan di formazioni politiche inglesi di sinistra antagonista, e modeste proposte riformistiche, tuttavia importanti negli effetti, esiste una vasta gamma di possibilità di azione per chi vuole essere protagonista di un cambiamento. Anche solo per garantire dignità umana alle vittime del sistema e per garantire dignità alla natura e agli ecosistemi in cui gli umani si trovano a vivere.
- In primo luogo. Una premessa metodologica. Un conto è l’intervento umano nell’autonomo corso dei processi naturali. Come l’agricoltura e l’allevamento (la cosiddetta rivoluzione neolitica) all’origine dello sviluppo della civiltà. Nella quale, solo per esempio, gli umani interagirono assiduamente con gli animali selvatici per addomesticarne alcuni. E da qui il passaggio di molti agenti patogeni da animali selvatici ad animali domestici e infine all’uomo. Agenti patogeni della tubercolosi e del vaiolo, passati attraverso i bovini, sono gli esempi storici classici.
Ma la febbrile manomissione dei delicati equilibri degli ecosistemi, almeno dal Novecento in avanti, è foriera di sempre più gravi epidemie. Ricordando che molti virus, come il presente Coronavirus, mutano velocemente. E l’inseguimento con vaccini e con medicine appropriate per curare le malattie si rivela una corsa senza fine.
Veramente. La figura che viene subito a mente e si impone è quella del goethiano “apprendista stregone” che non è più in grado di dominare gli spiriti che ha evocato, che ha suscitato. In questo contesto, come nel contesto più vasto delle crisi di cui trattiamo e della generale scommessa faustiana del capitalismo smisurato e illimitato.
Prevenire è meglio che curare.
- La biodiversità è garanzia di sopravvivenza per tutte le forme di vita nel pianeta, compresa quella umana. Ogni giorno circa 200 specie del vivente vegetale e animale sono costantemente minacciate di estinzione. Tra queste specie, le api, vero baricentro vitale nel pianeta.
- Nella transizione ecologica e sociale, in campo ci sono le proposte praticabili del “Green New Deal”, avanzate nel febbraio 2019 dai candidati democratici statunitensi Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez. Il fine è quello di affrontare al contempo il cambiamento climatico e le sue conseguenze e l’ineguaglianza economica e il disagio sociale.
L’altra proposta, più radicale, viene dalle riflessioni dell’ecosocialismo. Un filone molto importante in cui si era impegnato il compianto Elmar Altvater e in cui sono tuttora impegnati molti marxisti da Michael Löwy e Joel Kovel a John Bellamy Foster, direttore della rivista Usa Monthly Review.
- La piccola agricoltura contadina di sussistenza sostiene e sfama più di metà della popolazione mondiale. L’agrobusiness della agricoltura altamente meccanizzata e altamente tossica, per lo smisurato uso di prodotti chimici, impoverente campi e qualità dei prodotti agricoli, è comunque dominante. I contadini intorno al mondo non hanno il potere di influenzare i governi come le potenti lobby della agricoltura industriale, della chimica (Monsanto-Bayer e il glifosato sono gli emblemi sinistri di questa agricoltura), della distribuzione e commercializzazione dei alimenti ecc.
Nella transizione ecologica su scala planetaria questa visione dell’agricoltura deve essere fermamente tenuta in considerazione.
Nei Forum Sociali Mondiali i movimenti contadini costituivano la maggioranza dei movimenti sociali su scala mondiale.
- Gaël Giraud, nel suo importante contributo, ha ripreso la questione dei “beni comuni”. Giustamente egli dice che il tema dei beni comuni può rappresentare un salutare tertium tra Stato e mercato. E adesso è l’occasione, proprio a misura della bancarotta del mercato e del neoliberismo, di porre all’ordine del giorno la questione.
La questione dei beni comuni è stata centrale nella rivendicazione del movimento altermondialista. Acqua, terra, sementi, energia, saperi ancestrali delle comunità e delle culture umane, istruzione, scuola ecc. Contro la privatizzazione, contro brevetti e proprietà intellettuale indebiti, contro la mercificazione generalizzata ecc. Anche di farmaci e vaccini, lucrosa fonte di profitti per le multinazionali del farmaco.
- I beni comuni pongono immediatamente la questione del controllo democratico di questi beni e quindi quale sistema politico e istituzionale costruire. “Stato” può anche significare istituzioni democratiche che le comunità locali si danno per soddisfare i propri bisogni. Sempre nel contesto più vasto, e in sintonia, con le istanze statali.
La democrazia liberale rappresentativa che conosciamo non basta più. Esposta al logoramento e alla manipolazione continua dei dominanti, in Italia per mezzo del clientelismo, del voto di scambio, della corruzione ecc.
È una delle fonti del distacco, della crescente separatezza tra élite e popolo, tra governanti e governati, tra classi dirigenti e gli strati sociali (i cittadini e le cittadine). L’abitudine alla delega e alla correlata passivizzazione, molto presenti in Italia, dovrebbe essere contrastata dall’abitudine al protagonismo, alla partecipazione diretta, all’acquisizione di capacità culturali e politiche per diventare fattori attivi nella società civile e nell’arena politica.
Il cammino intrapreso dal movimento altermondialista è stato quello della “democrazia partecipativa”. A mezzo tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. È l’occasione per riprendere questo cammino.
- Il “lavoro” è un’astrazione. È importante per designare un grande mondo fatto di donne e uomini che si impegnano, faticano, costruiscono società, cultura, politica, solidarietà. Negli anni del neoliberismo, è stato umiliato, svalorizzato, frantumato.
Nella concretezza storica e sociale tuttavia al suo interno esistono articolazioni, differenziazioni, scissioni, contraddizioni. Da tenere presenti tali contraddizioni ai fini di un’azione sindacale e politica efficace.
Un esempio. Il lavoro dipendente pubblico è altra cosa dal lavoro dipendente privato. E in questi tempi la differenza si fa sentire. È un problema storico. La solidarietà tra questi mondi è stata ed è molto difficile. Sindacati, partiti, organizzazioni della sinistra hanno sempre cercato di tenere solidali questi mondi.
Dalla concreta realtà del lavoro occorre partire per proporre soluzioni a favore delle lavoratrici e dei lavoratori.
- Si ripresenta ed è veramente il momento, nell’attuale contesto di crisi sistemica, con la enorme disoccupazione causata dalla crisi epidemiologica e più in generale a causa della grande innovazione tecnologica e dei processi produttivi, per rilanciare la vecchia parola d’ordine “lavorare meno, lavorare tutti”. Riprendere la questione della riduzione per legge della giornata lavorativa. Riprendere la parola d’ordine delle 35 ore settimanali e andare anche oltre. Esistono proposte praticabili per meno ore di lavoro.
Fattore storico di civiltà per le classi subalterne, dalla rivendicazione delle 10 ore dei Cartisti inglesi a metà Ottocento, alle 8 ore del movimento operaio, socialista e comunista, dalla Seconda Internazionale in avanti. Fattore storico per ovviare alla disoccupazione.
Nel nostro tempo la questione era comunque matura a misura dell’enorme aumento della produttività, delle cosiddette “forze produttive”. Grazie all’automazione, a macchine e a processi di lavoro sempre più perfezionati. Robots, informatica avanzata (software avanzato, algoritmi e Intelligenza Artificiale, i cosiddetti Big Data nella Rete sempre più interconnessa, quale nuova fonte di profitti di potenti multinazionali, ma anche risorsa per affinare i processi produttivi, i trasporti, la commercializzazione ecc.). È la cosiddetta Commodity Chain, la “catena produttiva e distributiva” delle merci su scala mondiale sempre più globalizzata e integrata. Tutto ciò rende possibile ottenere merci e servizi con minor dispendio di lavoro rispetto al passato.
Il capitalismo digitale e la cosiddetta, molto enfatizzata, “industria 4.0” proseguono, su scala evidentemente allargata, la tendenza storica del capitalismo stesso. Si usa l’inglese. Labour saving è la formula usata. Più prosaicamente è “a risparmio di lavoratori e lavoratrici”, “a risparmio di lavoro vivo” (essendo “lavoro morto” quello oggettivato nei mezzi di produzione, nelle materie prime, nelle merci ecc.). È processo costante nella storia del capitalismo. Ma è un processo che ha avuto un salto, un grande impulso con la cosiddetta rivoluzione microelettronica a partire almeno dalla fine degli anni Settanta del Novecento.
E come si diceva già nell’Ottocento, Marx in primo luogo, il processo capitalistico è oggettivato nella macchina stessa. È la macchina a comandare e a dirigere. Non occorre il sorvegliante o il padrone a essere presente. Oggi tutto ciò su scala inverosimilmente aumentata, con la rivoluzione digitale, con i cosiddetti algoritmi, con i numerosi sensori, con i robots molto versatili ecc. Le macchine, i robots non si ammalano, non scioperano, non si organizzano in sindacati.
Con lo scenario molto preoccupante che produzioni finora spostate nelle periferie del mondo e utilizzando manodopera locale, soprattutto donne e ragazze, come nel tessile nel sudest asiatico, a condizioni di supersfruttamento, e quindi di grandi profitti, con queste innovazioni possono essere benissimo riportate nel centri capitalistici mantenendo comunque una profittabilità molto alta. Un solo esempio. Lo scenario testé citato potrebbe causare la perdita del 70% di posti di lavoro femminile nello stesso sudest asiatico. Una catastrofe.
L’unica citazione che mi permetto qui. Ma è potente il pensiero e il retroterra morale e intellettuale che hanno ispirato queste righe
“Presupposta la produzione sociale, rimane naturalmente essenziale la determinazione del tempo. Meno è il tempo di cui la società ha bisogno per produrre frumento, bestiame, ecc. tanto più tempo essa guadagna per altre produzioni materiali o spirituali. Come per il singolo individuo, così per la società la totalità del suo sviluppo, delle sue fruizioni o della sua attività dipende dal risparmio di tempo. Economia di tempo – in questo si risolve infine ogni economia”. È Marx, nei famosi Grundrisse.
La ricchezza sociale è assicurata, anzi aumenta. Occorre redistribuire bene questa ricchezza. Niente di rivoluzionario. È la classica mossa riformistica. La riduzione della giornata lavorativa a parità di salario è quindi sacrosanta rivendicazione. E adesso è proprio il momento. Quando occorre ovviare alla enorme disoccupazione che si sta creando a causa della crisi epidemiologica e della crisi economica, a causa delle trasformazioni capitalistiche in corso.
Solo che tutto ciò investe solo una parte del lavoro dipendente. Rimane fuori il vasto mondo del lavoro del settore informale, del lavoro nero, del lavoro autonomo di seconda e terza generazione (le partite Iva fasulle, in realtà lavoro dipendente, precarizzato, gerarchizzato, svalutato). Rimangono fuori migranti, badanti e tutte le varie figure miste, molte le donne, non collocabili precisamente.
Da tenere presente tutto ciò. Per trovare soluzioni per questo vasto mondo. Partendo comunque proprio dalla grande parola d’ordine “lavorare meno, lavorare tutti”. E mantenendo la barra della dignità del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori, non nella visione riduttivamente tradeunionistica e produttivistica di un tempo, bensì nella visione più complessiva della vita individuale e della vita collettiva. Con il filosofo marxista György Lukács, va bene “lo sviluppo delle capacità umane” e questo il capitalismo lo ha fatto egregiamente. Ma oggi all’ordine del giorno è “lo sviluppo della personalità umana”, fattore di avanzamento culturale e di civiltà dell’intera società.
La riduzione della giornata lavorativa è presupposto fondamentale. Tempo libero per lo sviluppo onnilaterale degli esseri umani, donne e uomini, soprattutto delle classi subalterne (istruzione, cultura, cura di sé e cura dell’ambiente, relazioni sociali e relazioni affettive, politica, avanzamento spirituale ecc.). E non semplicemente tempo libero per il consumo, per il consumismo così imperante e così incentivato dal capitalismo stesso.
- Gli stili di vita e come si consuma rientrano nel campo delle alternative. François Houtart, nell’ultima parte della sua vita, lavorava a perfezionare un “Manifesto del bene comune dell’umanità”. Nella visione di cui sopra.
Insisteva molto sulla divaricazione-contraddizione tra “valore d’uso” e “valore di scambio”. La sfrenata tendenza al consumismo narcisistico è nella logica del sistema. Almeno nel Nord del mondo, molto da considerarsi “consumismo compensativo”, di altre mancanze, di altro “senso della vita”, di altra gratificazione, morale e intellettuale, anche nei luoghi di lavoro.
Il mirare al “valore d’uso” delle merci e degli oggetti contrasta la “obsolescenza programmata” dei prodotti, evita sprechi e risparmia lavoro sociale. Che potrebbe andare a beneficio di altri settori, della cura, della cura del territorio, della cultura, della ricerca ecc.
Infine, Houtart rifletteva sulla possibile conciliazione di antropocentrismo e di biocentrismo, di uomo e natura.
- Le famose 3R (Ridurre Riutilizzare Riciclare) costituiscono le parole d’ordine che cercano di frenare lo spreco e il consumismo di cui sopra. Sempre per liberare tempo e lavoro sociale da dedicare ad altre sfere, anche della produzione, per uno sviluppo qualitativo, riproducibile del sistema e per contrastare il malsviluppo.
- Il capitalismo italiano e le sue famiglie di riferimento hanno storicamente teso a incamerare i profitti, come ricchezza personale, lasciando poco per investimenti, per allargare la produzione e per innovare. Con il problema storico, tipicamente italiano, della mancanza della cultura della programmazione, della pianificazione, dei progetti e dei piani a lunga scadenza, dell’orizzonte di “lunga durata”.
Un solo esempio. La famiglia Riva ha rilevato l’Ilva di Taranto. Negli anni invece di procedere alla riconversione energetica e ambientale, all’innovazione, come avveniva nelle acciaierie di mezzo mondo, e come richiedeva la nuova consapevolezza dei danni ambientali e dei danni alla popolazione coinvolta, ha tesaurizzato portando la propria ricchezza all’estero. Si parla di circa 1,5 miliardi di euro. La stessa cifra che occorreva per riconvertire gli impianti e per bonificare le aree profondamente inquinate. Per cancellare la terribile alternativa per i lavoratori Ilva e per gli abitanti di Taranto tra salvare i posti di lavoro e avere vita e salute, oltre le molte morti e le molte malattie che la presenza dell’Ilva comportava e comporta tuttora.
- Il risparmio privato italiano, famiglie e imprese, è enorme. Si parla alla fine del 2020 di circa 4.500 miliardi di euro. Molta parte investita in titoli e obbligazioni. Ma molto di questo risparmio è inoperoso. Lo si potrebbe “mobilizzare” in questa fase storica. Con titoli di stato a interesse contenuto.
Nel patrimonio della sola Cassa Depositi e Prestiti si trovano inoperosi miliardi di euro. È controllata in grande parte dallo Stato, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e in minima parte da alcune fondazioni bancarie. È la terza istituzione bancaria dopo Unicredit e Intesa Sanpaolo.
Oltre a soccorrere le imprese in difficoltà, molti fondi potrebbero essere utilizzati per creare nuovi posti di lavoro. Per avviare un nuovo “piano del lavoro”, nella logica del New Deal di cui più avanti. Per opere di bonifica territoriale, di creazione di infrastrutture, di rifacimento e manutenzione di strade, ponti, ferrovie ecc. a distanza di 60-50 anni di usura (Ponte Morandi). Ma anche per creare infrastrutture digitali, così carenti in Italia.
Il presupposto è, come dicono molti, un nuovo “patto sociale”, a misura dell’emergenza in corso. I “sacrifici” non debbono farli i soliti, le classi subalterne, i più deboli.
Questa ricchezza accumulata dovrebbe entrare in circuito per risolvere problemi contingenti, ma anche per creare i presupposti per una “ripartenza” migliore, foriera di sviluppi promettenti, socialmente e ambientalmente.
Oggi (febbraio 2021) è in gioco l’intervento dell’Unione Europea con lo strumento denominato Next Generation EU o Recovery Fund. Un aiuto finanziario comunitario per la ripresa economica di svariati miliardi, alcuni a fondo perduto, ma la maggior parte come prestito a condizioni molto vantaggiose.
Ma sempre debito è. Da aggiungere all’enorme debito pubblico italiano. La non restituzione di questo debito implica l’intervento di organismi di controllo sovranazionali. Lo spettro del destino della Grecia è uno scenario sinistro. Infine il Mes (il Meccanismo Europeo di Stabilità) è in Italia invocato da molti. Ma molti altri si oppongono anche a misura del fatto che quasi nessun paese dell’Unione vi ha fatto e vuole farvi ricorso. Preferendo ricorrere allo strumento dei titoli di stato emessi, oggi con tassi di interesse molto bassi.
La sovranità nazionale non è il sovranismo di molte forze di destra. Questo preteso sovranismo essendo in realtà il classico nazionalismo di destra e di estrema destra.
- Infine la medicina e la sanità. È l’occasione per riordinare e riorientare la sanità italiana. Con i relativi finanziamenti e le relative risorse.
Contro la visione ospedalocentrica e farmacocentrica. Orientata al profitto per i soliti noti. Porre la centralità nella medicina di base, nella medicina del lavoro, nella medicina sociale, nei presidi territoriali di primo livello. Porre la centralità nella programmazione e nella pianificazione, parole spiacevoli nella tradizione tipicamente italiana e oggi anche per i neoliberisti. Totalmente disattese recentemente, malgrado che l’Organizzazione Mondiale della Sanità avesse avvertito negli anni scorsi che una pandemia era prevedibile e invitasse a predisporre le misure per non trovarsi impreparati.
Il cosiddetto “Piano pandemico”, sulla carta nel 2006, non è stato aggiornato e in tutti i casi ha subito il destino tradizionale nostro delle leggi e delle misure scritte. La non attuazione, il non predisporre strumenti e misure affinché le cose stabilite vengano poi realmente attuate e ci siano organismi e soggetti che controllino e sanzionino eventuali inadempienze. La via italiana al malgoverno e alla disfunzione totale della pubblica amministrazione.
- La sacrosanta Legge 180, voluta da Franco Basaglia, considerata nel resto del mondo come una legge pionieristica e da imitare, è stata nel tempo vanificata. Mai totalmente applicata nella sua interezza. Invece di creare solide strutture territoriali per i malati di mente e per le loro famiglie, invece di ampliare i Centri Psico-Sociali (Cps), gli stessi Cps sono progressivamente smantellati. Con paurosa mancanza di psichiatri, infermieri e assistenti sociali. Spesso non adeguatamente formate queste figure per assolvere al difficile compito.
I malati di mente, il disagio psichico e psichiatrico, sono sempre più in aumento in una società contemporanea difficile, ineguale, poco votata alla solidarietà e al legame sociale e al legame comunitario.
- Nel trionfo della medicina cosiddetta “convenzionale”, improntata a uno scientismo positivistico, più curativa che preventiva, specialistica ad oltranza, occorre ridare dignità ad altre medicine. Al netto di tanti ciarlatani, di maghi e maghe curatori e curatrici, di stregoni “alternativi” ecc., un mondo di saperi e di sapienza curativa viene da queste medicine, molte con radici in storie e culture millenarie.
Miranti a una visione olistica dell’essere umano, come unità biopsichica, tutte miranti a prevenire più che a curare. Miranti al benessere psicofisico, in armonia con la natura e con l’ambiente. Miranti a rafforzare le difese immunitarie. Sistema immunitario così minacciato dai vari inquinamenti di cui sopra e da una alimentazione scorretta, foriera di ulteriori malattie.
- In questo quadro, l’alimentazione sana è fondamentale e un’agricoltura orientata a produrre cibo buono, in qualità, e non solo unicamente in quantità, è il fondamento di una prevenzione che inizia dalla tavola e dalla vita quotidiana. Il consumismo e la manipolazione pubblicitaria la fanno da padrone.
Si potrebbero prevenire malattie oncologiche e cardiovascolari, il diabete, l’obesità, l’enorme diffusione delle allergie ecc. Tante risorse, finanziarie e non, si potrebbero risparmiare se il sistema sanitario mirasse a una seria educazione alimentare. A scuola e nel resto della società.
- Un solo esempio a proposito del cibo come arma da controllare e su cui trarre enormi profitti. Ciò interessa molto le popolazioni delle periferie del mondo. Soprattutto in questa fase di crisi acuta. Ma teniamo presente che questo è il “normale” corso dei rapporti mondiali.
Ogni anno, a causa dell’agrobusiness, tra il 30% e il 25% circa dei prodotti agricoli viene sprecato. Il sistema perverso determina il fatto che venga sprecato circa un terzo del cibo, dai campi alla pattumiera delle case dei paesi ricchi. Il riso, il frumento, il mais, i cereali fondamentali per l’alimentazione umana nel mondo, soprattutto per le popolazioni povere, sono soggetti alle speculazioni di grandi gruppi finanziari presso la Borsa di Chicago. Qui si creano enormi profitti con la sola contrattazione dei cosiddetti “certificati”, dei “futures” ecc. Tutto ciò senza il minimo riferimento alla materialità dei cereali stessi.
La follia speculativa, astratta, “alienata”, com’è “alienato” questo mondo. Contrattazioni finanziarie speculative e prezzo a Chicago e la realtà terribile se un bambino o una bambina in una favela in Perù o in uno slum in India riesce a mangiare o meno.
Conclusione
- Le alternative delineate implicano un nuovo patto sociale. Un New Deal, come semplice evocazione. Con caratteri peculiari nel nuovo contesto contemporaneo. Come nuovo “compromesso socialdemocratico” unito a una necessaria transizione ecologica. Questo pertanto diventa un “Green New Deal”. Sacrosanto, ultimativo.
Tuttavia, malgrado la ragionevolezza moderata di tale programma, tipicamente riformistico, è probabile che la gran parte delle oligarchie finanziarie e industriali che oggi dominano il mondo, attraverso organismi sovranazionali, Unione Europea inclusa, e governi nazionali, non si rassegnino a riconsiderare tutto. Al di là delle lodevoli eccezioni di alcuni ambienti intelligenti del capitalismo o dei vari capitalismi su scala mondiale. Ricordando sempre che non esiste il “grande fratello”, ma esistono piuttosto differenti capitalismi e vari dominanti, anche in conflitto tra loro. Esiste invece la logica perversa e impersonale dell’accumulazione e della massimizzazione dei profitti. Costi quel che costi. Anche se sono persone in carne e ossa a diventare miliardari, come gli 8 super ricchi che possiedono tanta ricchezza come 3,6 miliardi di persone del resto del mondo.
C’è il pericolo reale che “dopo di noi il diluvio”. Il disagio sociale e la fame in alcune aree del mondo, anche dalle nostre parti, nel nostro Sud, per esempio, possono sfociare in rivolte caotiche e pericolose. I settori dominanti intelligenti darebbero risposte intelligenti a questo stato di cose. Il riflesso condizionato di molti altri settori dominanti è lo stato di polizia, se non peggio.
È responsabilità delle forze antisistema, anche semplicemente democratiche, di dare senso e orizzonte a questi movimenti spontanei, qualora sorgessero. E la soluzione è sempre la sintesi di organizzazione, lotta quotidiana, politica, cultura, scelta etica.
- Cultura e scelta etica. La consapevolezza che il sistema è mondiale, immediatamente e non per astrazione. Che occorre il “pensiero planetario”, invocato a suo tempo da padre Ernesto Balducci, come grado minimo, come primissima base, per un discorso serio e sensato sul mondo.
Che tutto cambia a misura della prospettiva con cui si guarda il mondo. E così si cerca di sfuggire all’eurocentrismo, al colonizzatore e all’imperialista che era ed è in noi. E molta sinistra questo non lo faceva e tuttora non lo fa e si cercava e si cerca di guardare il mondo “dal rovescio della storia” (Teologia della Liberazione). Di guardare con gli occhi dei popoli vessati, depredati, umiliati dal colonialismo prima e dall’imperialismo poi. Tutto cambia, ripetiamo, se si guarda dal “rovescio della storia”.
- In gioco è sempre “l’orizzonte delle alternative”. Al neoliberismo, al capitalismo, all’imperialismo, al razzismo, al sessismo. Dalle lotte operaie dell’Ottocento ai movimenti antisistemici del Novecento, ai Forum Sociali Mondiali, alle organizzazioni sociali e politiche della sinistra mondiale del nostro tempo.
In questo orizzonte ogni soggetto sociale è necessario, è indispensabile. Non esiste la primogenitura. Non esiste la gerarchia se prima viene la contraddizione capitale-lavoro salariato, oppure la contraddizione uomo-natura e produzione-ambiente, oppure la contraddizione di genere, oppure la contraddizione sui diritti umani ecc. Entro il Forum Mondiale delle Alternative usavamo la locuzione “convergenza nella diversità” per indicare questa visione delle cose, riferita ai soggetti coinvolti e alle correnti culturali e politiche impegnate nella costruzione di un mondo e di una società di liberi ed eguali.
Nel capitalismo “tutto si tiene”. Così nelle alternative al sistema.
Don Lorenzo Milani e la Scuola di Barbiana, in quel capolavoro che rimane Lettera a una professoressa, concludevano con un felice toscanismo. Da una condizione ingiusta, fondata sull’ineguaglianza, occorre uscire con soluzioni reali, efficaci, vantaggiose per gli ultimi, per i più deboli. “Sortirne assieme è la politica; sortirne da soli è l’avarizia”.
La tanto agognata “buona politica”. Avversante la dilagante, dominante, insopportabile “politica politicante”. Senz’anima, senza respiro, senza orizzonte.