Balù

di Marcella Corsi

In continuità con articolo precedente, ancora un gatto. [E. A.]

non amano essere toccati gli animali dell'aria
il loro corpo leggero non sopporta d’essere stretto
nemmeno di buone intenzioni, per amare le carezze
bisogna si siano convinti a lasciare per un poco il volo
fermarsi a terra accoccolarsi come fossero
coperti di pelo socchiudere gli occhi ritrarre le zampe
 
Balù è così
un gatto
che vola 
                                          
 
*
 
 
si mette dove gli pare il manicotto, infatti
è un gatto
 
*
 
 
ho un amante piccolino, viene spesso
notte o giorno a prendersi le mie malinconie
 
dimostra sul mio petto tutto il suo
gradimento, se carezzandolo chiudo gli occhi
a lungo mi fissa d'uno sguardo ferrigno
 
ma guardarlo negli occhi talvolta è troppo
 
allora volta la testa e lo sguardo lo perde
in quel lontano che lui soltanto conosce
solo dopo molto pian piano si lascia dormire
 
è accorto e deciso, delicato e convincente
se non ci sono corteggia il mio pigiama
 
*
 
 
il mio il tuo di entrambi –
muove il letto il battito del cuore
 
io già c’ero, tu venuto dopo ti sei
sdraiato leggero – penso che tu dorma
pensi che io dorma – sei sincero
 
strana la vita quando si ferma a pensare
e non riesce a dormire
 
*
 
notte di impalcature stringenti, lei è salita lenta
flessuosa, curiosità l’ha vinta dopo lunghe ore
di un giorno chiuso da rumori molesti annusati ai vetri
 
pelo di seta occhi di foglia, non sa più scendere però la bella
miagola a lungo sembra disperata e la sentiamo, la vediamo
nel cerchio della torcia piccolissima irraggiungibile
quella che più la gode vuole salire a prenderla – cadrai le dico
 
pochi secondi, dai tetti dove ogni notte esplora nuvole lui viene
sale svelto incontro alla sorella, muso contro muso la rassicura
si gira la guida sugli innocenti rotondi sentieri della paura
 
meno di un minuto e sono in salvo – siamo tutti gatti adesso
 
*
 
 
in quel tuo assorto splendido vagabondare
finito in uno spazio d’altri
troppo a lungo, ho temuto non potessi tornare
–  senza di lui, pensavo
questa casa non sarà mai più la stessa –
poi t’abbiamo annusato dietro la porta chiusa
 
*
 
 
amo, lo sai, la tua intrepida attenzione
a quel che muove
la prontezza l’indolenza il desiderio che
di ciascuno mostri imperturbabile t’invidio
 
e con lo stesso piacere ogni volta ti ritrovo
                     infili il naso sotto un braccio
spalmi il muso nell’incavo tra spalla e collo
mi vieni a ronfare sul petto e sei gatto
bianco e grigio, naso rosa, un punto di neve
in cima alla coda per giochi di matita
sei forse
la cosa più squisita della mia stupida vita                
 
*
 
 
questo tramonto tenero di nuvole ancora chiare
mi costringe a salire la scala stretta dei tuoi ultimi giorni
tu chiaro ancora come sempre nell’andare
nel modo con cui sempre ci hai parlato
e ti prendevo in braccio cullando quei tramonti doloranti  
del tuo desiderio di morire lontano da noi, solo
vicino al cielo
 
adesso pensandoti insegno a loro
ad affidarsi come da subito tu hai saputo
e fino all’ultimo a fatica per noi hai voluto
 
da quando piccolissimo mi venisti incontro
intrepido – lei ci osservava verde tra le ortensie in fiore –
più di chiunque altro mi sei stato amico, mio dolcissimo
Balù
ma non ho saputo risparmiarti le cure distratte degli uomini
quando, gatto celeste, ti sei ritratto per morire
nel posto di casa più vicino al cielo
consegnandomi l’ultimo regalo: farmi scoprire il bello
di quassù      
 
*
 
 
ho paura di dimenticare
le zampe leggere che ti lasciavi carezzare
le unghie ficcate a far la pasta nell’odore
del mio pigiama, il punto bianco
alla fine del grigio di una coda tranquilla, generosa
il portamento pensoso nel luminoso chiaro di un pelo
regale ‒ ma fremeva quando lo sfioravo ‒
il ringhio alla porta che suonava estranea, la corsa
ogni volta a salutare, la costanza l’equilibrio
l’accoglienza sapiente ai piccoli, l’attenzione serena
la delicatezza, il rispetto per lei cui ogni volta
t’accostavi a dormire abbracciato, dolcemente tentando
le sue frequenti ostentate indifferenze
le fughe sui tetti i salti di forza sorprendenti (sì, le tue
grandissime zampe) l’equilibrio svelto dei davanzali
le ore lunghe delle mie letture le notti vicine il calore
del tuo pelo sontuoso morbidissimo, folto
da non potersi quasi pettinare (quanta soddisfazione
per quelle fusa sotto lo striglio d’acciaio)
quanta soddisfazione per quelle fusa che fiorivano
al solo ascolto delle nostre parole segrete
oltre ogni pura fisicità eri capace di amare
 
ora torno ogni tanto dove mi hai mostrato come
è giusto morire
Il vero Balù in movimento sul tetto

3 pensieri su “Balù

  1. …un poema di Marcella Corsi sul gatto Balu’ che inizia con la sua presentazione: “Balu’ è cosi’/ un gatto / che vola” e il significato mi sembra giustificato nei versi che seguono…Ma cosa, mi chiedo, ci fa innamorare dei gatti al punto da dedicar loro, in mortem e non solo, degli elogi cosi’ belli? L’autrice mi sembra rivelarci le ragioni personalissime, e penso universali, in alcuni versi: “…la guida sugli innocenti rotondi sentieri della paura/ meno di un minuto e siamo in salvo” o anche: “…la cosa piu’ squisita della mia stupida vita”…Quando un piccolo, morbido animale, buffo piu’ che minaccioso nella sua pretesa di assomigliare ad una tigre, ci trasporta in un luogo sopraelevato, forse un pianoro tra montagne impervie, perchè “vola” al di sopra delle tante paure che ci attanagliano, eccoci al sicuro grazie alla loro sola presenza e guida…pure il non senso delle cose recupera un senso vicino a un gatto che sa e vive per quel che sa e l’animale vagabondo questo e molto altro insegna nel suo alone di mistero…Il calore che emana e l’accoglienza che offre in cambio della nostra…Tuttavia il tutto mi sembra contenere un aspetto di “autofinzione” consolatoria che ci teniamo stretta , a volte, un passo prima della follia…

  2. All’aspetto di autofinzione consolatoria che ci teniamo stretta, a volte, a un passo dalla follia non avevo pensato, non sentendomi tanto vicina dalla follia… però è uno spunto di riflessione che non trascurerò nel pensare al complesso del mio (e altrui) scrivere poesia. Più di una volta in realtà mi è sembrato che i versi scritti dicessero qualcosa di me di cui ancora non avevo coscienza, ma certo… beh, ci penserò.
    Qui credo che aver letto siamo in salvo invece che sono in salvo (lei e lui gatti) abbia fatto deviare l’interpretazione del testo, che è solo il racconto di un ‘salvataggio’ operato da Balù della sorella, salita nottetempo sull’impalcatura di tubi innocenti oltre al finestra e incapace di scendere perché impaurita e meno agile di lui. Tuttavia la deviazione ha una sua forza giacché alla fine si dice, a salvataggio compiuto: siamo tutti gatti… siamo tutti in salvo. Grazie della tua lettura, Annamaria.

  3. Il gatto è tutto corpo, nella eleganza e flessuosità con cui occupa e svuota lo spazio (vola, scrivi tu, e quello di Alice compare e dispare), nella naturalezza di rendere suo posto ogni vicinanza, ogni umana tepida traccia (la sella del motorino di mio marito è luogo condiviso per la gatta). E fa un regalo: materializza il nostro corpo mentre interagiamo con lui: stessa coincidenza di sensazioni, in superficie e interne, stessa attenzione che sfiora l’aria appena sotto la soglia dell’agire, stessa profonda rilassatezza che è fiducia nella prontezza di reagire. Cat therapy, senz’altro, per le allarmate e ansiose creature che siamo.

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