Su “Resurrezione” di Tolstoj

di Giorgio Riolo

Per altre considerazioni su Tolstoj e sulla nota introduttiva di Riolo ad Anna Karenina, vedi in Poliscritture (qui). [E. A.]

I.

Tolstoj nella sua esistenza si muove entro polarizzazioni nette. Come avviene spesso in uomini e donne alla ricerca di un senso della vita e messisi in un cammino, il più delle volte accidentato, di autoperfezionamento.

Dalla adolescenza e dalla giovinezza, pur entro la sua condizione di proprietario terriero e di uomo privilegiato e dominante, la polarizzazione è vita autentica-vita inautentica. Poi la cosa si precisa ed è la grande questione del rapporto con i contadini, il vero soggetto positivo che illumina il cammino, correlata all’altra grande questione della legittimità o meno della proprietà della terra.

Lev N. Tolstoj nella sua opera, nei suoi tre grandi romanzi, costruisce tre tipi umani fondamentali ai quali trasferisce molti suoi caratteri, molti suoi travagli. Tipi umani modellati su di lui.

In un primo tempo, le questioni non sono direttamente connesse a un travaglio religioso. Pierre Bezuchov trova nel contadino-soldato povero, il mužik Platon Karataev il punto di riferimento. Il proprietario terriero Bezuchov fa come Tolstoj nelle sue terre. Cerca miglioramenti e istituisce scuole per i figli dei contadini e per i contadini stessi ma alla fine agisce nell’agone politico con il perseguire una monarchia costituzionale con la fallita rivoluzione decabrista del 1825. Avendo il favore della felicità famigliare con Nataša e la di lei decisiva approvazione.

Il proprietario terriero Kostantin Levin cerca un rapporto diretto con i suoi contadini. Lavora egli stesso la terra, vive nelle sue terre. Si pone il fine di distribuirle ai contadini, ma la difficoltà e la atavica diffidenza contadina prevalgono e il fine non è raggiunto. In Levin ormai questa traiettoria è sotto il segno di un travaglio religioso che culmina nella scoperta del Vangelo come fonte vera di ispirazione e di autoperfezionamento. E nella scoperta della vita semplice e la felicità famigliare con la saggia, pratica, amorevole Kitty.

Nel mezzo tra Anna Karenina e Resurrezione ci sta la cosiddetta “conversione” di Tolstoj. In realtà un processo continuo di cambiamenti, di travagli, di conversioni. Allora con l’abbracciare un cristianesimo plebeo-contadino, fondato esclusivamente sul Vangelo e in particolare sul Sermone della montagna, senza Chiesa, senza preti, senza liturgie, senza riti, senza apparati ecc. Come esclusivo processo interiore di fede. Fede non esteriore, non esibita. Un cristianesimo e un anarchismo religioso che rigettano le istituzioni, Stato, Chiesa, Esercito, Tribunali, Carceri ecc., sulle quali si regge la società iniqua, ingiusta e che alimentano il dominio, il tormento e la menzogna tra gli uomini.

Il proprietario terriero, principe Dmitrj Nechljudov giunge a effettivamente distribuire le terre ai suoi contadini. È il compimento della parabola del rapporto proprietario-contadini, compimento al quale aspirava Tolstoj stesso, ma che non realizzò. Soltanto alla fine della sua vita decise di devolvere ogni proprietà alla moglie e ai figli e quindi di liberarsi e di risolvere così la questione della proprietà della terra e la questione del rapporto con i contadini.

All’origine di Resurrezione tuttavia ci sono due precise dinamiche. Una di contesto generale della storia e della realtà russe e una dovuta a due circostanze nella vita di Tolstoj.

Ormai negli anni Novanta dell’Ottocento la realtà russa si è molto differenziata. In essa agiscono ormai molte correnti di pensiero, molte forze sociali, molte correnti politiche. Con il passaggio decisivo degli anni Sessanta (ricordiamo Dostoevskij e il suo Delitto e castigo), al liberalismo borghese protocapitalistico e al populismo contadino, con l’emergere di una sua corrente apertamente rivoluzionaria, anche in presenza dell’anarchismo ispirato da Michail Bakunin, si affianca un movimento rivoluzionario ispirato al socialismo e al marxismo. Il racconto Il divino e l’umano riflette questa mutata realtà russa.

La dinamica personale di Tolstoj è la casualità del racconto nel 1887 di A. Koni, un amico avvocato dello scrittore, il quale gli riferì dello strano caso di un aristocratico, giurato in un processo e che riconosce l’imputata come la ragazza che da giovane possedette e che a causa sua perse il lavoro e dovette prostituirsi. Questa circostanza non fece che smuovere ulteriormente un retroterra problematico nella vita dello scrittore, fino all’autoaccusa, all’autocritica impietosa. Il problema della sua disordinata vita sessuale. In primo luogo, la sua seduzione e relazione sessuale in gioventù con Gaša, la serva della zia presso la quale era ospite. Con relativa espulsione della ragazza dalla casa e relativo suo percorso di perdizione.

In secondo luogo, prima del matrimonio con Sofja Bers, la sua lunga relazione, con relativi convegni amorosi nel bosco, con Aksinja, una contadina delle sue terre e che partorì un bambino sicuramente figlio di Tolstoj (il racconto Il diavolo, pubblicato postumo, riflette questa realtà).

Nechljudov compie la sua parabola di vita attraverso il traviamento giovanile e la tremenda colpa di aver abusato di una giovane innocente serva di 16 anni. Ekaterina (Katjuša) Maslova ha così il destino segnato a causa di quella colpa. Attraverso vari passaggi nella vita si ritrova a fare la prostituta e a essere coinvolta suo malgrado in un delitto. È magistrale l’apertura del romanzo. È la descrizione del trasferimento della reclusa al tribunale dove si celebra il processo. È la visione del mondo di Tolstoj. Il traviamento umano della vita delle città, della negazione della natura e della negazione e del tormento tra gli umani, nel mentre la primavera e il primo sole illuminano e destano alla vita e un colombo, creatura libera, sfiora l’orecchio della reclusa, ricordandole la libertà a lei negata.

È un processo al processo, a magistrati e giudici e tribunali improntati a quella che abbiamo in seguito denominato “giustizia di classe”. Giudici distratti dai meschini fatti personali, dalle indisposizioni fisiche e mossi solo dal formalismo delle carte. Giurati variopinti e non interessati al destino delle persone processate. La descrizione di Tolstoj è magistrale e al medesimo tempo impietosa.

La condanna ingiusta della donna, la carcerazione, la decisione di Nechljudov prima di sposare Katjuša e, dopo il suo diniego, comunque di seguire la donna nella deportazione in Siberia. La conoscenza quasi catartica, sia in Nechljudov, ma soprattutto in Katjuša, del mondo umano, troppo umano, degli altri carcerati e soprattutto dell’umanità del mondo dei prigionieri politici, i rivoluzionari di cui sopra, tra i quali l’operaio rivoluzionario Kondratev che legge il Libro primo del Capitale (sembra che Tolstoj avesse letto la traduzione russa dell’opera maggiore di Marx).

La sequela di questi avvenimenti è la sequela della Resurrezione-Redenzione di Dmitrj, ma è soprattutto la sequela della Resurrezione-Redenzione di Katjuša Maslova. Come era nelle intenzioni di Tolstoj, il centro e la luce vengono dai contadini, in generale. E la luce viene da Katjuša in questa vicenda. Il principe Nechljudov vive di riflesso, “vive nell’ombra”, come dice Tolstoj a proposito della nobiltà russa tutta, è atto secondo. Alla fine egli fa ancora una volta la proposta di matrimonio. La risposta negativa della donna è fortemente motivata “Tu vuoi servirti di me per salvarti. In questa vita tu ti sei servito di me per il tuo piacere, e vuoi servirti di me per salvarti anche nell’altro mondo”.

La Resurrezione del principe Necljudov è la scoperta del Vangelo e della verità ivi contenuta. È la chiusa della vecchia vita e il dispiegarsi della nuova vita a cui egli finalmente accede.

La vita della Maslova è ormai giunta a nuova consapevolezza, a nuova coscienza ed ella decide di sposare e di vivere con uno dei “politici”, conosciuto nella carcerazione e nella deportazione.

Nel romanzo a un certo punto Tolstoj descrive la celebrazione di una messa nel carcere. Egli ricorre nella narrazione all’espediente tipico suo. Si tratta della tecnica dello “straniamento”. Descrive il fatto, i tipi umani, i paramenti, i gesti, i simboli, le preghiere, i canti ecc. come fossero visti e vissuti da un alieno, da uno straniero che non riesce a comprendere tutto ciò e rimane stupito. Perché visti la prima volta nella propria vita e quindi giudicati strani. A dimostrazione dell’assunto tolstojano che la fede esterna, rituale, è una negazione del messaggio autentico di Gesù Cristo.

Questa parte del romanzo rese il tollerato fino ad allora Tolstoj non più tollerabile. Non ultimo il fatto che Tolstoj si risolse a rifinire e a concludere il decennale lavorio attorno al romanzo per aiutare la setta dei Duchobory, con i proventi dei diritti d’autore a lui spettanti. Invisi questi settari, tra le molte sette esistenti nella Russia di allora, invisi al potere zarista e alla Chiesa ufficiale perché nonviolenti e quindi pacifisti e renitenti alla leva e per questo perseguitati.

Lo zar e la corte si guardavano bene dal ricorrere alla repressione e alla condanna di Tolstoj, per le sue tante prese di posizione. Era troppo popolare in Russia e troppo conosciuto e apprezzato all’estero. Ne avrebbero fatto una vittima illustre dell’autocrazia. Controproducente. Si ricorse allora alla sola scomunica da parte della Chiesa ufficiale ortodossa russa. Si era già nel 1901.

II.

Il piglio profetico di Tolstoj aveva esercitato grande attrazione e grande influenza. Comprese che la rivoluzione era inevitabile, ma che la sua non-violenza, la sua utopia contadina, la necessità preliminare di un rivolgimento interiore, morale, antropologico, respingeva nei suoi esiti di lotta, inquadrata nei partiti e nel movimento rivoluzionario organizzato.

Alla sua morte milioni di persone confluirono a Jasnaja Poljana per rendere omaggio alla sua tomba. Il tolstojsmo sopravvisse e continua ancora oggi la sua influenza nei vari ambienti del pacifismo, dell’ambientalismo, del vegetarismo. La sua opera letteraria è eredità e nutrimento per la sensibilità e il pensiero di generazioni e generazioni di umanità in ogni angolo del mondo.

Lenin lo stimò molto per la sua implacabile critica delle istituzioni su cui si reggeva il potere nella Russia zarista e per aver reso in letteratura, per la prima volta in modo completo e vero, il contadino, il contadino russo. Anche se la sua utopia contadina e roussoviana, dice Lenin, gli impedì di considerare il proletariato, la classe operaia di fabbrica, come capace di costruire e dirigere il nuovo mondo che egli purtuttavia auspicava.

Con le parole di un altro grande russo, Viktor Škloskij, “Un dolore immenso, l’indignazione e la lucidità del profeta si manifestarono nella forza delle opere di Tolstoj. Gli insegnavano il buonsenso, ma fu tra coloro che distrussero il tempio del vecchio mondo”.

BIBLIOGRAFIA MINIMA – LEV N. TOLSTOJ – RESURREZIONE

Retroterra storico

Storia contemporanea della Russia in un buon manuale di storia per le scuole superiori. Si indica in primo luogo:

Bontempelli-Bruni, Storia e coscienza storica, Trevisini Editore, Milano (in tre volumi, quindi le parti contenute nel terzo, dalla rivoluzione decabrista al populismo russo e ai movimenti rivoluzionari di fine Ottocento e di inizio Novecento, socialdemocratici e poi menscevismo, bolscevismo ecc.

Una bella monografia sulla Russia è quella di Valentin Gitermann, Storia della Russia, La Nuova Italia.

Monografia e saggi su Tolstoj

Arnold Hauser, Storia sociale dell’arte, Einaudi (nel vol. IV, le parti dedicate ai russi e a Tolstoj in particolare). Opera classica e da tenersi in casa, ora ristampata.

György Lukács, Saggi sul realismo, Einaudi (le parti dedicate a Tolstoj), Viktor Šklovskij, Tolstoj, Il Saggiatore, Michail Bachtin, Tolstoj, Il Mulino.

Infine, due brevi saggi di Thomas Mann, Anna Karenina e Tolstoj nel centenario della nascita. Sono pubblicati nella raccolta di saggi di Thomas Mann, nei Meridiani Mondadori, dal titolo Nobiltà dello spirito  (saggi, discorsi, interventi ecc., molto importanti).

Edizioni italiane di Resurrezione

Esistono molte edizioni economiche del romanzo. In primo luogo la classica, bella, traduzione di Clara Coïsson presso Einaudi (con prefazione di Natalia Ginsburg), ma per il momento non disponibile.

Ottime comunque le edizioni e le traduzioni nella Bur Rizzoli (importanti introduzioni di Eridano Bazzarelli e di Maria Bianca Luporini), nei Grandi Libri Garzanti (con ottima introduzione di Serena Vitale) e nelle edizioni Newton Compton (bella introduzione di Eraldo Affinati, ma per il momento non disponibile).

2 pensieri su “Su “Resurrezione” di Tolstoj

  1. Questa breve scheda di Giorgio Riolo, nella sua chiarezza, assolve bene a una funzione informativa e divulgativa. Della triade tolstojana ‘Resurrezione’ è il romanzo meno riuscito dal punto di vista letterario; non sempre l’ispirazione religiosa è garanzia che l’autore dia il meglio di sé, quando risulta troppo scoperta e programmata.
    Per trovare un grande romanzo di intenso travaglio spirituale, non fideistico, bisogna avanzare di quattro decenni rispetto a Resurrezione: mi riferisco al capolavoro di Joseph Roth ‘La leggenda del santo bevitore’. Un documento drammatico della sofferta dimensione esistenziale ed interiore di un uomo del XX sec. Di ispirazione religiosa, invece, ma compiutamente realizzato è il romanzo (appena posteriore) di Georges Bernanos ‘Diario di un curato di campagna’, dove si percorre il sentiero di un sofferto cammino cristiano.
    Alla prossima scheda di Giorgio Riolo…

  2. Aprendo ieri le pagine ingiallite di un vecchio libro (Tradizione/Traduzione/Società. Saggi per Franco Fortini, Editori Riuniti, 1989) mi sono fermato su un saggio di Giacomo Magrini, studioso di letteratura e – mi pare di ricordare – assistente di Fortini all’Università di Siena. Il titolo è accademicissimo: “Una trasformazione incipitaria e il suo significato” ( pagg. 48 – 74), ma mi ha attirato il rapporto che stabilisce tra Musil e Tolstoj e in particolare con “Resurrezione”. Non potendo scannerizzare le molte pagine, copio alcuni stralci:

    1.
    C’è fra i due [Musil e Tolstoj] un rapporto tutto positivo, del più alto interesse. Che la critica, compresa quella attenta a influssi e fonti, ha per lo più sminiuto, trascurato, se non addirittura evitato. Su questo punto fa di nuovo felicemente eccezione il De Angelis [Robert Musil. Biografia e profilo critico, Torino, Einaudi 1982], che non solo dedica all’argomento uno specifico paragrafo nel capitolo “Sulla formazione culturale di Musil”, ma parla giustamente di complessità del rapporto con Tolstoj, e di un suo influsso duraturo e insieme sotterraneo, che sale in superficie solo nell’ultima fase (pag. 61).

    2.
    Che per Musil sia centrale Tolstoj, e per il suo romanzo [L’uomo senza qualità] sia centrale “Resurrezione”, spiega da sé la riluttanza o il silenzio della critica. Siega anche il fatto che lo stesso Musil per una volta alteri e sposti [nel tempo] il riconoscimento dell’influsso. Da sempre, infatti, aleggia o grava sull’ultimo romanzo di Tolstoj un diffuso e tenace pregiudizio, una tendenza alla svalutazione che va dalla stroncatura alla benevola condiscendenza di chi, nostalgico del grande narratore concreto e vitale, deplora il suo presunto senile smarrimento in un astratto moraleggiare, inframezzato per fortuna dalle zampate leonine di un tempo. I giudizi di questo tipo, anche se non fanno un uso esplicito delle categorie crociane, assegnano di fatto “Resurrezione” all’ambito dell’oratoria, anziché a quello della poesia. Dato questo, com’è possibile controntare un romanzo “a tesi”, così monolitico e intransigente come “resurrezione”, con “L’uomo senza qualità”, nel quale le “tesi” si moltiplicano e si elidono a vicenda, dov tutto è passaggio, metamorfosi, sfumatura, pieghevolezza e apertura? Il solo pensarlo sembrerebbe un’assurdità, un’eresia. Al disconoscimento della grandezza poetica di “Resurrezione” spinge la paura di massare per moralisti, qualora si apprezzi e si esalti senza riserve un’opera basata sulla forza della morale; paura comune a tanti, e che in Italia proprio Fortini ci ha insegnato a disdegnare e a vincere. Il realtà, “Resurrezione” è un romanzo incompiuto e infinito come “L’uomo senza qualità”. Non penso tanto – anche se esso ha la sua importanza- all’aspetto materiale, cioè alla storia del testo, che cresce da un ristretto nucleo iniziale, e passa attraverso numerose rielaborazioni, in un inquieto, decennale rimaneggiamento e movimento continuo. L’incompiutezza e l’infinità di “Resurrezione” stanno soprattutto radicate nella sua stessa tematica, che è quella di una riforma radicale della morale. Quando non sia considerato e affrontato in astratto, tale rinnovamento non conosce e non può conoscere uno stato di quiete definitivo, perché la storia esterna e quella interiore, la società e l’individuo, gli propongono oggetti, situazioni, problemi, sempre nuovi. Esattamente dello stesso genere sono l’incompiutezza e l’infinità del romanzo di Musil, se le si individua nel loro giusto valore, spogliandole di quell’illusorio alone tragico-metafisico, di cui compiacentemente le si vela. Anche “L’umo senza qualità”, infatti, persegue una riforma radicale della morale entro una selva di rapporti sociali e individuali. La differenza, che naturalmente esiste, fra i modi e gli strumenti di questa ricerca non esauribile, nessuno meglio di Musil l’ha soppesata e definita: “Morale di Tolstoj, in rapporto a me. – Dico innanzitutto quato segue, per non dimenticarlo. la morale di “Resurrezione” non è impeccabile; sul piano teorico, anzi, egli è addirittura meno acuto del solito. Io ritengo la mia concezione del problema un proseguimento giustificato (amore del prossimo ecc.). Però: egli non cerca una teoria, cerca una risposta a questioni che lo sconvolgono!! Questo elemento umano trascina gli uomini anche quando non sono inclini a tali riflessioni. E in realtà fa proprio lo stesso se le riflessioni sono più o meno giuste. Pericolo per me: restare impantanato nella teoria. Rifatti ogni volta a quello che ti ha condotto a queste ricerche teoretiche sussidiarie!” (Quaderno 34). Tra una maggiore perspicacia teorica e una più grande energia pratica, legata alla prossimità sconvolgente di problemi urgenti, i conti si pareggiano; anzi parrebbe, con un certo vantaggio di Tolstoj” ( pagg. 62-63).

    3.
    All’atmosfera di pregiudizio, al coro di svalutazione nei riguardi dell’ultimo romanzo di Tolstoj fanno eccezione tre grandissimi critici: Šklovskij, Bachtin, Lukács (pag. 67)

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