di Dario Borso
Gianni Carchia (1947-2000) nel 1974 tradusse 29 poesie da Papavero e memoria, sette delle quali intersecano la recezione italiana di Celan all’altezza del capitolo “Outsiders” del mio Celan in Italia (Prospero Editore, 2020). Il giovane filosofo le aveva inviate nei primi anni Ottanta alla rivista “Erba d’Arno”, dove poi non uscirono.
Nel secondo numero 1973 della trimestrale “Rivista di Estetica” comunque, egli aveva esordito con “Il Meridiano” di Celan, un saggio tanto breve quanto denso imperniato sul discorso di Darmstadt sin dall’incipit: “Un luogo d’elisione è oggi la dimora della poesia e solo quel gesto vi abita, dove la lingua consuma la sua doppiezza e nella stretta della sua esigenza s’apre un varco, una ‘svolta del respiro”, la quale espressione è tratta appunto dal Meridiano, di cui costituisce anzi uno snodo decisivo. Per “luogo d’elisione” Carchia intende invece l’ambiguità costitutiva della poesia, che “offrendosi all’insistenza dei codici costituiti” per dire l’indicibile
ha scontato la propria salvezza nelle gabbie della topica con una fatale prigionia. Ci sono state evasioni; brevi, dolenti, senza scampo […] fughe vane, peregrinazioni, peregrinazioni nei meandri d’un labirinto che non conosce che un’uscita: il “non più” della parola, la prassi che rovescia di Dada, il precipizio della taciturnità di Mallarmé.
Solo Celan riesce faticosamente a superare questo stallo fissando
l’attimo dove il respiro, la parola, si sospendono tra l’inspirare dell’“ancora” e l’espirare del “sempre”. La compagine rigida dei significati si disgrega: ma non nel vuoto dell’espressione, nell’enigma di un nulla inquietante, piuttosto nella luce della “precisione”, nella luce d’una lingua finalmente pura, che non “trasfigura, non poetizza”, bensì “nomina e pone”, fattasi sobria e più vicina alle cose, alla verità.
A soccorrere Carchia in questa tesi, oltre a Szondi, è Hans G. Gadamer col recentissimo Wer bin Ich und wer bist Du?, che tanta fortuna avrà in Italia, benché solo a partire dagli anni Ottanta. Originale invece è l’intuizione della poesia celaniana come dono: “Donandosi, spogliandosi d’ogni referente, mostrandosi senza prezzo: così la parola si riappropria della propria essenza”.
Carchia nel 1976 avrebbe tradotto Adorno, due anni dopo con Reimar Klein avrebbe introdotto Carlo Michelstaedter in Germania e nel 1979 congedato la sua prima monografia “nicciana” Orfismo e tragedia. Purtroppo non si occupò più di Celan.
*
INVANO DIPINGI CUORi alla finestra:
il duca della quiete
arruola soldati – giù, nel cortile del castello.
Alza sull’albero il suo vessillo – una foglia che gli si fa azzurra, quando è
[autunno;
5 divide tra l’esercito gli steli della malinconia e i fiori del tempo;
va ad affondare le spade con uccelli tra i capelli.
Invano dipingi cuori alla finestra; un dio è tra le schiere,
avvolto nel mantello che, un tempo, dalle spalle ti cadde sulla scala, di notte,
un tempo quando il castello era in fiamme, quando parlavi come gli uomini:
[Amata…
10 Egli non conosce il mantello e non invocò la stella e segue quella foglia che
[oscilla davanti.
‘O stelo’ gli par d’udire, ‘o fiore del tempo’.
Testo originale a p. 263 di Celan in Italia.
v. 9. era … parlavi. fu … dicesti
*
RICORDO DI FRANCIA
Tu pensa con me: il cielo di Parigi, il grande anemone autunnale…
Comprammo cuori dalle fioraie:
erano azzurri e sbocciavano nell’acqua.
Cominciò a piovere nella nostra stanza,
5 e venne il nostro vicino, Monsieur Le Songe, un omino magro.
Giocammo a carte, perdetti le pupille;
mi prestasti i tuoi capelli, li perdetti, ci gettò giù.
Uscì fuori dalla porta, la pioggia lo seguì.
Eravamo morti e potevamo respirare.
Testo originale a p. 268.
v. 7. gettò giù. sconfisse
*
TARDI E PROFONDO
Maligna come parole dorate comincia questa notte.
Mangiamo le mele dei muti.
Compiamo un’opera che si lascia volentieri alla sua stella;
stiamo nell’autunno dei nostri tigli come rosso pensoso di bandiere,
5 come ardenti ospiti del Sud.
Giuriamo a Cristo – il Nuovo, di accoppiare la polvere alla polvere,
alla scarpa vagabonda gli uccelli,
a una scala nell’acqua il nostro cuore.
Giuriamo al mondo i giuramenti santi della sabbia,
10 li giuriamo volentieri,
li giuriamo a voce alta dai tetti del sonno che non fa sogni
e sventoliamo i bianchi capelli del tempo…
Gridano: Voi bestemmiate!
Da tempo lo sappiamo.
15 Da tempo lo sappiamo, ma che importa?
Nei mulini della morte voi macinate la bianca farina della promessa,
la offrite ai nostri fratelli e alle sorelle nostre –
Sventoliamo i bianchi capelli del tempo.
Ci ammonite: Voi bestemmiate!
20 Sì – lo sappiamo,
venga la colpa su di noi.
Venga la colpa su ogni nostro segno d’avviso,
venga il mare che gorgoglia,
l’energica folata del ritorno,
25 il giorno di mezzanotte,
venga ciò che ancora non fu mai!
Venga un uomo dalla fossa.
Testo originale a p. 273.
v. 6. a Cristo … accoppiare. in Cristo … sposare
v. 11. che non fa. senza
v. 22. su ogni nostro. su di noi di ogni
v. 24. ritorno. inversione
*
CRISTALLO
Non cercare alle mie labbra la tua bocca,
non alla porta il forestiero,
non nell’occhio le lacrime.
Sette notti più in alto vaga il rosso nel rosso,
5 sette cuori più in fondo bussa la mano alla porta,
sette rose più tardi sussurra la fonte.
Testo originale a p. 356
v. 3. le lacrime. la lacrima
*
SONO SOLO, metto il fiore di cenere
nel bicchiere colmo di nero maturo. Bocca di sorella,
dici una parola che sopravvive innanzi alle finestre,
e in silenzio s’arrampica, ciò che sognai, verso di me.
5 Sto nel fiore dell’ora appassita
e serbo resina per un uccello tardivo:
su una piuma rossa di vita porta il fiocco di neve;
il chicco di ghiaccio nel becco, attraversa l’estate.
Testo originale a p. 286.
v. 1. il fiore di cenere. la cineraria
v. 5. nel fiore. al colmo
v. 6. resina. una resina
v. 8. attraversa. giunge attraverso
*
DI NOTTE, QUANDO IL PENDOLO dell’amore oscilla
tra Sempre e Mai,
la tua parola inciampa alle lune del cuore
e il tuo occhio azzurro di tempesta
5 porge alla terra il cielo.
Da un boschetto lontano, nero
di sogni, incontro ci alita l’esalato
e il dimenticato s’aggira, grande come gli spettri del futuro.
Ciò che ora s’abbassa e solleva
10 è per quel che è sepolto nell’intimo:
cieco come lo sguardo che ci ricambiamo,
bacia il tempo sulla bocca.
Testo originale a p. 287.
v. 3. inciampa. batte
v. 6. nero. annerito
v. 8. dimenticato. perduto
v. 10. è per. vale per*
*
ALLORA SEI DIVENTATA così
come mai ti ho conosciuta:
il tuo cuore batte ovunque
in una terra di sorgenti,
5 dove nessuna bocca beve e nessuna
figura orla le ombre,
dove l’acqua sgorga alla luce
e la luce spumeggia come l’acqua.
Sali a tutte le sorgenti,
10 ti libri per ogni luce.
Hai inventato un gioco
che vuole essere dimenticato.
Testo originale a p. 288.
v. 3. palpita. batte
v. 4. sorgenti. pozzi
v. 6. l’acqua. acqua
*
DA CUORI E CERVELLI
rampollano gli steli della notte
e una parola, detta da falci,
li inclina alla vita.
5 Come loro muti
spiriamo incontro al mondo:
i nostri sguardi,
scambiati per conforto,
brancolano in avanti,
10 ci accennano scuro.
Senza sguardo
il tuo occhio si tace qui nel mio,
vagando
sollevo il tuo cuore alle labbra,
15 sollevi il mio cuore alle tue:
quel che ora beviamo
quieta la sete delle ore;
quel che ora siamo,
mescono le ore del tempo.
20 Vi siamo cari?
Non un suono, non una luce
scivola fra noi, a dirlo.
O steli, voi steli.
Voi steli della notte.
Testo originale a p. 289.
v. 10. scuro. oscuramente
v. 12. qui. ora
v. 19. del tempo. al tempo
v. 20. Vi. Gli
«nella luce d’una lingua finalmente pura, che non “trasfigura, non poetizza”, bensì “nomina e pone”, fattasi sobria e più vicina alle cose, alla verità»
Dunque a Celan sarebbe riuscito ciò che Mallarmé ha (eroicamente e invano?) perseguito: la pura lingua che nomina le cose nella verità. Una lingua che si sottrae all’impuro, deviante, mercenario traffico della comunicazione e soltanto grazie a questa sottrazione riesce, per qualche oscura via del caso o della grazia, a raggiungere autenticamente l’Altro.
Ma proprio in queste poesie della(e) prima(e) raccolta(e) il fascino indubbio e travolgente della lingua sembra emanare da un’applicazione radicale del meccanismo dell’analogia; lavora con analogie la cui ratio è talmente profonda, talmente ensevelie nella psiche del soggetto poetante, che, nonostante la bellezza della lingua, la poesia, das Gedicht, non può non apparire costruita su un qualche tipo di arbitrario.
Grazie a Dario Borso per il dono di queste sette poesie che, riconducendomi ai miei consueti problemi con Celan, mi stimolano a riflettere.
SEGNALAZIONE
Gianni Carchia
Estetica ed erotica
Saggio sull’immaginazione
https://www.quodlibet.it/libro/9788822906250
A quarant’anni dalla sua prima edizione, Estetica ed erotica, secondo volume delle «Opere di Gianni Carchia», restituisce all’estetica la sua piena dignità speculativa, liberandola dai limiti stretti della disciplina. Dal punto fermo della modernità, Kant, si risale, attraverso Hegel, Marx e il Romanticismo, all’immaginazione pura, dischiusa al pensiero dall’angelologia sofianica, da Dante e da Platone. Abbagliato da una luce imprevedibile creduta ormai vinta, il paradigma neo-romantico della creatività e del soggetto, di cui una modernità intenta alla riproduzione di se stessa si nutre, non solo rivela come indebite le sue pretese, ma lascia finalmente sgombro il luogo del pensiero.
Ottima recensione.Interessante la
questione della modernita’ da
Kant fino ad oggi
bene aggiunger questo titolo, da storico nell’intro mi sono fermato prima.
da lettore invece noto ora con ribrezzo che in tutte le poesie sono saltate le strofe rispetto al file da me inviato.
anzi no, scusate. dev’essere così nel dattiloscritto di Carchia. controllerò.
Possiamo collaborare?Ho studiato filosofia
e poi lettere.Serve un curriculum specifico?
Sono chiesti solo commenti?
@ Ugo Berardi
Certo che può collaborare con proposte da valutare ( indipendentemente dal suo curriculum). Mi scriva a poliscritture@gmail.com