Ripubblico questa poesia del 2009 perché nel 2021 non ho su questa tragedia – ahimè – più parole. [E. A.]
Ballata dei massacrati di Gaza di Ennio Abate Fratelli umani Israeliani nostri ben educati carnefici per l’amara e breve vita che lasciammo nell’unico modo da voi consentito non incolpatevi. Ad esploderci correndo incontro al piombo fuso che per il futuro suo Bene regalaste dai cieli a Gaza l’ingrata fummo noi, da soli. E voi Europei, brava gente non affrettatevi. Aspettate che il lavoro ben fatto sia ultimato: mamme e sorelle nostre debitamente sventrate, i bimbi fantocci impalliditi, abbruciati i vecchi come tronchi secchi, gli arti troppo svelti dei giovani divelti. Alle rovine di Gaza l’ingrata veniteci dopo religiosamente silenti come ad Auschwitz i turisti svagati e compunti. Veniteci dopo e comprate le reliquie di Gaza l’ingrata: i bambolotti insanguinati, le coperte da sporcizia escrementi e freddo solidificate, eppure intatte, di allora. E le pietre, le povere fionde, le terribili armi di distruzione di massa con cui fingemmo di offendervi classificatele meticolosamente in lindi musei della memoria. Imperdonati, a perire ci avete condotto. Perdonatevi da soli, se potete. (18 gennaio 2009)
SEGNALAZIONE DA FB
Conversazione con Adriano Sofri
Quanto sono preziosi per noi i bambini palestinesi?
Vorrei riproporre un problema, a voi e anche a me. Per non perdere tempo, invito a dare per votate le premesse archeologiche, il 1967 e il 1948 e il 70 d.C. e così indietro. E l’opinione su Hamas e Jihad, armate al soldo di despoti islamisti per una volta accomunati, sunniti e sciiti, bramosi di distruggere Israele e tutti gli ebrei della terra. E il diritto dello Stato di Israele, altra cosa dai suoi governi. Il problema è: quanto valgono per noi i bambini palestinesi?
E’ un dettaglio dello slogan che negli Stati Uniti è stato appena adattato: Palestinian Lives Matter. Noi ci facciamo un’idea molto diversa di israeliani e palestinesi. Israele, diciamo, è un pezzo d’Europa piantato in mezzo al mondo arabo, e circondato. I palestinesi, soprattutto quelli fuori da Israele, sono una parte di quel mondo arabo, delle più reiette. A Tel Aviv si sta come a Milano. A Gaza si soffoca, comunque si reagisca, con simpatia o con rigetto.
Tempo fa “Internazionale” pubblicava una rubrichetta settimanale di poche righe, intitolata “Israeliani e palestinesi”, che aggiornava il numero dei morti dell’una e dell’altra parte, a partire dalla seconda Intifada, dal settembre del 2000.
Piano piano, ma inesorabilmente, la sproporzione cresceva, e se i morti israeliani erano sempre stati meno numerosi, a un certo punto arrivarono a essere solo la metà di quelli palestinesi, e già questo provocava un turbamento complicato; poi il divario continuò ad accrescersi, finché, ancora prima di un attacco a Gaza che fece impennare le cifre, il totale dei morti palestinesi superava di più di cinque volte quello dei morti israeliani. Complicato, il turbamento: perché si è involontariamente indotti, come di fronte a ogni sproporzione eccessiva, a desiderare che la forbice si riduca, ciò che può avvenire riducendo le morti degli uni o moltiplicando quelle degli altri… Poi Internazionale interruppe la rubrica.
Il conto delle vittime nella perpetua guerra di vicinato è costantemente sproporzionato, in un modo quasi consensuale. Israele ne ricava la conferma della superiorità militare, da cui fa dipendere la propria sopravvivenza. I capi palestinesi ostentano le proprie vittime a denunciare viltà e cinismo degli “ebrei” e dei loro protettori. Questa doppia partita delle morti è un reciproco modus vivendi, per così dire, e vincendi, a carico dei rispettivi civili. Israele vince le battaglie, colpisce duro e rinvia di qualche anno la prossima guerra – dopo che colpì duro nel 2014 sono passati 7 anni. Hamas si aggiudica una vittoria di reputazione coi fagottini bianchi esposti alla vista del mondo.
Allora: quanto sono preziosi per noi i bambini palestinesi? Quel cambio così ineguale – per esempio, 58 a 2, se non sbaglio, negli scorsi giorni, e si vorrebbe dire soltanto: 60 bambini – non misura anche la differenza nella nostra scala dei valori? C’è un razzismo involontario in noi. E’ il riflesso di quel nostro sentirci così a casa a Tel Aviv e così incuriositi a Ramallah e così spaesati a Gaza – anche quando reagiamo simpatizzando per Ramallah o abbracciando gli asinelli piagati di Gaza. I bambini sono merce rara per noi. Benché la caratteristica più sorprendente di Israele sia la sua vivacità demografica, a un tasso più che doppio di quello nostro, la natalità nei territori palestinesi è ancora più alta (ed enormemente più alta è la mortalità infantile). Ci figuriamo Gaza come un formicaio umano e soprattutto infantile, e i suoi padri come fatalmente rassegnati o esaltati dal sacrificio dei loro piccoli, e i suoi capi cinicamente disposti a servirsene come di scudi umani, i più redditizi per la loro propaganda. C’è, nella nostra immaginazione, un’inflazione di bambini palestinesi, vivi o morti. Ad aggravarla ha provveduto lo spettacolo frustrato o assuefatto dei bambini sterminati nella guerra dei dieci anni di Siria.
Leggo mie vecchie righe. “La strage di Erode: non ci fu, probabilmente. Se ci fu, calcolano i demografi sulla base della popolazione presunta di Betlemme, uccise una ventina di bambini sotto i due anni. La demografia di Gaza diventa agghiacciante, quando suona la sirena delle bombe. La maggioranza della popolazione ammassata in quel fazzoletto di terra è composta di bambini e ragazzini: un giardino d’infanzia in un miserando zoo umano.
Non c’è un Erode geloso a mandare aerei sulla striscia di miseria e rancore. Gli israeliani vogliono davvero ridurre al minimo le vittime civili, che Hamas ostenta. Non possono essere così disumani né così imbecilli da mirare a colpire i bambini. Ma quando si interviene con un simile spiegamento di forza in un enorme giardino d’infanzia, tanti (quanti?) bambini moriranno, resteranno feriti e mutilati, e, quelli che sopravviveranno, non lo dimenticheranno più, e assicureranno altre generazioni al trionfo dell’odio e della vendetta”.
La novità più allarmante di questo nuovo capitolo della guerra di ballatoio israelo-palestinese sta nella ribellione strenua degli arabi israeliani di Jaffa – il glorioso sobborgo di Tel Aviv, dove gli arabi sono maggioranza – di Lod – il glorioso centro vicino all’aeroporto internazionale, dove gli arabi sono più di un quarto e la convivenza era più felice – e di altre città, che fanno parlare di guerra civile. Leggo, nelle migliori cronache, che a ribellarsi sono i ragazzi. Dagli arabi israeliani, fuori da Gerusalemme est, non ci si aspettava una simile combattività, e del resto gli estremisti ebrei l’hanno infiammata. Gli arabi israeliani non sono né i palestinesi recintati dei territori e di Gaza, né cittadini israeliani a pieno titolo. Sono meno combattivi e, sembrava, molto più integrati: forse perché, come gli integrati, ma a titolo decurtato, pensano al futuro dei loro figli. I loro figli sono troppo giovani per pensare al futuro, per non ribellarsi all’umiliazione dei loro padri, per non sentire il richiamo della solidarietà con le loro sorelle e i loro fratelli di là dai recinti.
I bambini crescono.
I bambini di Palestina
Se vivi hai gli occhi
bambini vedrai giocare
tra le macerie
di terremoti, alluvioni
e, saltellando, ricercare
brandelli di vita,
con il vivo argento dei loro segreti…
Tra le macerie
di abbandoni, di lutti,
di lunghe separazioni,
sanno, a tratti, sorridere
i bambini:
c’è pur sempre uno spazio di cielo
nelle loro menti…
Tra le macerie
di corpi acerbi mutilati, malati,
a tratti si accende un sorriso cocciuto,
intessuto di tenera indomita vita…
Ma i bambini di Palestina
sotto le macerie finiti
di un’atroce guerra infinita?
Un immenso blu
tutti ci attende, loro le stelle?
No, anche l’Aurora si spegne
nella notte senza sorrisi…