di Lucia Bruni
Evvaiii! Ma l’esclamazione sincera e partecipata di Giulia al racconto divertito di Sabrina su come aveva festeggiato il sedicesimo compleanno, era velata di malinconia.
Pensava ai suoi sedici anni che sarebbero arrivati all’inizio di giugno, a come avrebbe voluto che fosse, a come certamente sarebbe stato. I suoi erano divisi da quando aveva dieci anni e, se la vita quotidiana non era proprio rosea, appena arrivavano certe ricorrenze diventava uno schifo.
Non è che “mamma e papà” facessero a gara per i regali o si scervellassero per renderle il giorno piacevole, no, si comportavano in modo cretino, fingendosi una famiglia serena. Riuniti attorno al tavolo della pizzeria Giannino, nel cuore di Firenze, parlavano in modo civile, senza reciproche accuse o invettive (come accadeva a casa), tentavano di “portarsi rispetto”. Fin qui, tutto molto noioso ma scontato. I guai arrivavano verso la fine del pranzo, quando tutti e due non reggevano più alla tensione di doversi sopportare ed era sufficiente una sciocchezza, come uno schizzo di panna sulla polo di lui o il tovagliolo che finisce nel bicchiere di lei per innescare la bomba: fronti corrugate e sguardo aggressivo, qualche epiteto ardente (“coglione” lei, “oca giuliva” lui), per fortuna sussurrato a mezza voce per non far figuracce, infine, in questo clima di imbarazzo, la consegna dei regali, di piccola dimensione, inutili e costosi: orecchini con perla e oro bianco (la mamma); catenina, sempre in oro bianco con pendente a cuoricino (il babbo), di certo consigliata dalla “bionda bastarda” (definizione della mamma) della sua compagna. Oggetti da centinaia di euro che Giulia non metterà mai perché è un tipo sportivo. Ma loro lo sanno?
Per finire, “torta con le candeline”, l’arrivo inaspettato (?) della “bastarda”, per fortuna senza regalo, che capita lì per caso e viene invitata a fare un brindisi alla festeggiata. Una giornata di una tristezza disarmante, da dimenticare. Poi il ritorno a una delle case che abita, quella di via Gordigiani, dove sta con la mamma la quale non c’è quasi mai perché fra il lavoro (è responsabile del personale alla Rinascente), la palestra, l’estetista, le uscite con le amiche, si vedono –non sempre – per la buonanotte. Oppure quella in viale Corsica, della nonna, una sessantacinquenne vedova, “tirata a lucido” che c’è di rado perché è super impegnata con varie attività, soprattutto i corsi di ballo: l’ultimo è quello di “paso doble”. I pasti li consuma quasi sempre da sola riscaldando la roba nel microonde. A volte le vien da chiedersi se e chi le voglia bene davvero.
L’unico è il vecchio zio Aurelio – prozio veramente- ottantasei anni, fisico asciutto, occhi azzurro chiaro, contadino (beh, non proprio) proprietario di una azienda agricola all’Antella dove abita con i due figli e le rispettive famiglie. Si incontrano poche volte purtroppo ma quando accade lei si sente un’altra, torna a casa con l’animo più leggero. Lo zio la sta a sentire, anche se parla di cose che lui non conosce come l’iPhone, o l’iPad , o se chatta col computer, ché nell’azienda ce l’hanno, lui la segue davanti al video. Poi racconta qualcosa di sé, di come abbia dovuto lottare per guadagnarsi quella piccola proprietà (“un po’ come salire una discesa”, dice), ma ne parla con discrezione, senza pedanterie, ascolta i problemi di lei con calma, non la interrompe, è attento; non come la mamma che ha sempre fretta di scappare.
“Salire una discesa”: Giulia è perplessa. Sì, spiega lui, da giovani non si accettano realtà faticose e spesso ci si ingegna a manipolarle, a capovolgerle; è così che si cresce.
Poco tempo fa lo zio le ha parlato di un film, Youth – La giovinezza.
“C’è un piccolo episodio nel film su cui vale la pena riflettere”, ha detto.
Giulia sgrana gli occhi un po’ perplessa.
“Un vecchio signore come me”, ha continuato, “si trova all’aperto in mezzo a un gruppetto di giovani che guardano il panorama e scherzano. Lui prende il binocolo che ha con sé e invita una delle ragazze a osservare la montagna che hanno di fronte e che ovviamente appare vicinissima. Questo è ciò che si vede da giovani, dice il signore, si vede tutto vicinissimo; quello è il futuro. Poi capovolge il binocolo e la invita a ripetere l’operazione. La montagna allora appare lontanissima. E questo è quello che si vede da vecchi: si vede tutto lontanissimo; quello è il passato.”
Giulia non ha afferrato subito il significato, ha dovuto ripetersela più volte mentre tentava di addormentarsi, poi ha capito che forse quello era il diverso modo del giovane e del vecchio di guardare alla vita.
Stamani a scuola s’è sentita male perché aveva sullo stomaco quella schifezza di integratori che la mamma piglia, pillole di germe di grano, antiossidanti, e che da qualche giorno propina anche a lei per combattere lo stress dello studio; ha chiesto di uscire dall’aula e nel corridoio ha incontrato Sabrina che le ha fatto il resoconto della sua festa.
Un compleanno consumato in famiglia.
Trattoria di Legri, i genitori e i nonni a un tavolo, lei con i suoi amici a un altro, così da dare piena libertà di parlare fra loro in completa autonomia.
Poi i regali: gli amici hanno portato oggetti di scherzo per lo più fabbricati in proprio, i parenti hanno fatto un gioco con le carte: per ogni carta estratta, Sabrina riceveva l’euro corrispondente al numero, così ha messo insieme una cinquantina di monetine.
“Una scemenza proposta dal babbo”, ha detto sorridendo, “ma ganza lo stesso.”
In quelle parole, quasi scivolate di bocca, Giulia però non ha colto la serenità che si aspettava.
Era come se un’ombra, una nuvola bianca in rapido passaggio, avesse coperto per un attimo il sole.
Evvaiii! Lo verrà a sapere poco dopo da un’amica comune come sono andate davvero le cose. Sabrina un paio di anni fa, proprio il giorno del suo compleanno, ha subito violenza dal compagno della mamma. Quella brutta avventura ha riavvicinato i genitori facendoli tornare insieme ma ha scolorito la vita di tutti e ha turbato la sua; ancora si porta dentro l’angoscia, e di festeggiare il compleanno non ne ha più voluto sapere.
Si era inventata tutto, tutto come avrebbe voluto che fosse.
Ecco, proprio come “salire una discesa”.
Forse stava crescendo.
Bel racconto, Lucia, che coglie nel segno aspetti importanti della psicologia di una adolescente. Un caro saluto!
Grazie Riccardo. A presto con un sorriso.
Lucia
Con la consueta precisione con la quale disegni i personaggi e il loro mondo interiore ed esteriore, confermi l’impressione di scrivere mantenendo un equilibrio che gioca con le sfumature e i toni, in modo magistrale.
(leggendo i tuoi racconti da tempo, lo posso affermare senza temere smentite)!
Grazie carissima Giulia del tuo accurato e indagato commento.
Sono contenta che il mio racconto accenda curiosità. In fondo è ‘ il mio modo di comunicare emozioni.
Come sempre, i tuoi racconti sono tali da creare una atmosfera che invoglia il lettore a leggere tutto d’un fiato. Questa volta ci sentiamo presi da un qualcosa che è vicino a noi.
Nella società, purtroppo, tanti sono i casi di sfaldamento di una famiglia. E tu riporti questa difficile divergenza con un racconto che si ambienta in semplice ristorante del centro fiorentino. Brava, brava, brava
Grazie Sauro, sempre graditissime le tue considerazioni.
Un abbraccio.
Lucia
Veramente toccante…. sono rimasta molto colpita. le cose non sono mai come sembrano e anche le persone o le situazioni che ci vien voglia di anelare…. non sono sempre quelle che crediamo. Grazie Lucia per farci sempre riflettere con leggerezza. Manola
Grazie a te Manola dell’attenzione e del commento accurato.
Un caro saluto.
Lucia