Poliscritture 3: presentazione
di Paolo Di Marco
a) Temi
complessità
La scienza ha due nemici insidiosi perché provengono anche dalla sue stesse file: l’analogia e la linearità.
L’analogia è la più insidiosa, perché nasce dalle stesse radici dell’indagine scientifica, e molti dei suoi meccanismi sono parte integrante del ragionare scientifico, o dell’intuizione. E la difficoltà maggiore è sapere quando fermarsi.
Ci fu un libro di divulgazione scientifica che ebbe piuttosto successo a suo tempo, ‘il Tao della Fisica’: fedele al suo titolo tracciava analogie tra la filosofia orientale e la fisica; peccato fossero gratuite, prive di alcun contenuto informativo.
E d’altronde l’analogia è radicata nel nostro ‘buon senso’ e nel sapere quotidiano, a suo tempo era uno dei due fondamenti della magia.[1]
Però il suo procedimento cardine, trasportare leggi che funzionano in un ambito ad un altro campo simile è pericoloso: anche nel migliore dei casi una piccola differenza può stravolgere gli effetti, e nel peggiore le somiglianze sono solo superficiali.
Se paragoniamo la storia a un fiume che scende lungo valli e canyon quello che ci immaginiamo ci aiuta a comprenderla, salvo che portiamo il paragone troppo oltre, a chiederci cosa sono i sassi e i rami secchi. Ma già col tempo come fiume siamo nei pasticci: noi dove siamo? Se sulla riva siamo fuori dal tempo, immortali e immobili, e dentro il fiume scorriamo con esso, quindi ancora immortali…Se poi, come nel ‘Tao della fisica’ diciamo che siccome l’atomo di idrogeno è fatto di due palline e nel segno dello yin-yang ci sono due palline allora i due condividono la stessa essenza allora cadiamo nel ridicolo.
Ma questi suoi limiti sono proprio quelli che attirano gli sprovveduti e i maliziosi e li inducono a sostenere tesi ardite ma verosimili.
La linearità, il semplificare fenomeni complessi, il trattare eventi a più dimensioni come fossero piatti o rettilinei è parte integrante della storia della scienza. Nei bene intenzionati semplicemente per ridurre le difficoltà di calcolo, (a volte insormontabili anche in casi apparentemente semplici), nei più sempliciotti o maliziosi come scorciatoia per arrivare a una qualche soluzione.
Nei miei testi su no-vax, mafia, nel testo di Grammann sul romanzo, si mostra come la complessità sia nella maggior parte dei casi componente essenziale del ragionamento, pena la perdita non di elementi del discorso ma della comprensione essenziale del fenomeno.
Giusto perché chiunque possa valutarne l’importanza c’è una misura (quasi) standard della complessità: in una qualsiasi situazione in cui siano n agenti ed m relazioni fra di loro un indice di complessità è mxn.
Un esempio in fisiologia: se un organo o sistema ha almeno tre parametri di controllo è complesso (e anche probabilmente caotico nella metà dei casi): per esempio il cuore è un organo complesso e caotico.
Quando guardiamo il grafico di un elettrocardiogramma (ECG) vediamo solo due dimensioni spaziali e una temporale, dove uno specialista con decenni di esperienza si arrabatta a cogliere differenze e similitudini con andamenti standard. Chiunque abbia visto e studiato un cuore sa che questa è una semplificazione brutale: il segnale elettrico del cuore è un’onda che corre lungo una superficie tridimensionale (quella del cuore), e possiede quindi almeno 5 dimensioni: le tre spaziali della superficie e due proprie dell’onda elettrica (ampiezza e ritmo). Il che significa che nella semplificazione si perdono molte informazioni; per molti specialisti questo non è un problema, per altri sì. Ivi compresi i pazienti che in crisi di fibrillazione vengono sottoposti a una semplicistica scossa brutale che nel migliore dei casi lascia cicatrici da ustioni.
Un matematico e medico (Arthur Winfree, doppia laurea[2]) ai tempi delle fortune della teoria del caos cercò di rimediare a questo inconveniente, e scoprì che le onde elettriche che percorrevano il cuore erano assai più complesse, con elementi caotici evidenziati da una sorta di rulli in cui le onde si avvolgevano. Questo fattore non solo indicava la necessità e possibilità di una rappresentazione più complessa, ma mostrava anche come i due stati di aritmia fino ad allora ritenuti differenti e trattati come se afferenti a cause diverse fossero in realtà lo stesso fenomeno, con valori diversi dei parametri.
Una conseguenza pratica fu lo sviluppo di un defibrillatore bimodale, con stimoli in sequenza ad intensità assai minore.[3]
Morto Winfree e la sua competenza matematica, passata di moda (nei fatti, anche se citata spesso a parole) la teoria del caos, anche il cardiologo a lui associato che aveva brevettato il nuovo defibrillatore torna al comodo ovile bidimensionale.
Anche se proprio la teoria del caos dà strumenti semplici ed efficaci per superare le difficoltà matematiche insite nel riprodurre l’analisi di Winfree.
Ma l’elemento fondamentale non sta nel calcolo quanto nell’immaginazione che lo comanda. E se l’immagine che si presenta è piatta c’è poco da fare.
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b) attualità
Wuhan, chi ha aperto il vaso di Pandora?
Ebbene sì, sembra probabile che IL virus venga proprio dal laboratorio di Wuhan.
Ma, e questa è la parte nuova, finanziata dagli USA nell’ambito dei programmi di guerra batteriologica.
Facciamo un passo indietro per capire come ci si arriva:
Il virus comincia a circolare in Europa alla fine del ’19, e assume la dimensione epidemica all’inizio del 2020. Dato che l’epicentro è Wuhan e lì c’è il Wuhan Institute of Virology, uno dei laboratori più avanzati al mondo per lo studio dei virus, cominciano a circolare sospetti sull’origine artificiale.
Un articolo su Lancet del 19 Febbraio e poi uno studio su Nature del 17 Marzo affermano con sicurezza che quest’ipotesi è assai improbabile.
Mentre il primo adduce pochi elementi di prova, il secondo con l’analisi del DNA virale è convincente. Tanto che quando il Nobel (per l’AIDS) Montagnier afferma che il virus è costruito con pezzi di DNA dell’HIV mi accorgo subito che è una boutade senza fondamento.
Tanto più che poi andando a controllare le sue pubblicazioni non ne risulta alcuna a sostegno dell’ipotesi, e invece numerose altre in esperimenti esoterici fatti con pezzi raccattati dai robivecchi genovesi.[4]
Il 5 Maggio esce sul Manifesto un articolo di Alberto Negri dove si scoprono cose interessanti sul laboratorio di Wuhan: era stato messo in piedi dai francesi, con a capo una cinese formata in Francia, Shi Zheng-li, (la ‘signora dei pipistrelli’) poi gli Stati Uniti li avevano soppiantati di punto in bianco grazie a finanziamenti prima per 7 e poi per 3,7 milioni di dollari, proprio per far ricerca sull’ingegneria dei virus. Un progetto di fatto da guerra batteriologica, che nel 2014 Obama aveva fermato, ma poi sotto la pressione dei virologi qualche maglia si allenta e Fauci riesce a trovare i finanziamenti, però commissionati a Wuhan.
Ma non c’è ancora un’accusa precisa e la mancanza di fonti a corredo dell’articolo e la fiducia nell’articolo su Nature non mi smuovono. L’inchiesta dell’OMS che va in Cina conferma la scarsa probabilità dell’origine artificiale.
Finchè Biden lancia un proclama curioso, chiedendo ai suoi spioni di controllare meglio la possibile origine Wuhanese del virus. Per sicurezza vado a controllare le fonti, di Negri e in generale, e sul NYT trovo un riferimento lapidario e criptico a un ex cronista, Wade. E, sul sito del ‘Bulletin of the Atomic Scientists’ una sua inchiesta assai approfondita sull’argomento.[5]
Non solo la storia di Wuhan, ma il parere di scienziati di prim’ordine ed una analisi della struttura del virus assai più ricca e dettagliata delle precedenti.
I punti salienti sono:
- il primo articolo scagionante su Lancet era stato curato da Daszek, capo della EcoHeathAlliance di N.Y., che era stato il destinatario dei fondi NIAID di Fauci, poi da lui girati a Wuhan
- L’analisi di Wade sulla struttura del virus è più dettagliata e precisa di quella su Nature, e mette in luce il ruolo di una componente essenziale della punta (spike), la ‘forbice’ (‘furin cleavage site’) che deve staccare le due metà della punta perché funzioni la fusione con la membrana cellulare e il successivo ingresso nella cellula per replicarsi; rispetto a un prodotto naturale, frutto di mutazioni o ricombinazioni, quella del covid19 è assai più funzionale di primo acchito. Tanto che l’ex direttore dell’MIT la dichiara una ‘pistola fumante’.
- Nella dizione del finanziamento si descrive una ricerca di ‘acquisizione di funzioni’[6] che applica virus mutati a topi umanizzati. Questo secondo elemento è quello che permette al virus l’adattamento e la patogenicità così immediati. I finanziamenti, descritti nel contratto, procedono per il ’18 e ’19 fino a Giugno.
- Il laboratorio per ricerche di questo tipo dovrebbe avere un livello di sicurezza BSL4 (tipo astronauta): a Wuhan il livello 4 era carente e poco frequentato, la maggior parte delle ricerche venivano fatte anche ai livelli 2 e 3; e in autunno ’19 tre lavoratori di un laboratorio BSL3 si ammalano con sintomi polmonari e vari corrispondenti al Covid19.
- Torna anche d’attualità a questo punto l’argomento probabilistico dei primi sospetti: l’epicentro è a Wuhan, dove c’è il laboratorio; le più vicine cave di pipistrelli sono a 1500 km; animali intermedi con scie di infezione non sono stati registrati.
Va sottolineato, e Wade lo fa molto sottovoce, che queste ricerche appartengono al dominio della guerra batteriologica; la foglia di fico con cui si copre la creazione di ceppi letali per gli uomini è la ricerca di un vaccino (che a Wuhan non è mai stata iniziata); non a caso Obama aveva stabilito una moratoria. Il termine ‘acquisizione di funzioni’ è introdotto dopo la Convenzione sulle Armi Biologiche e ne rappresenta la versione ‘politicamente corretta’.
Ma a questo punto, anche se dobbiamo mettere in conto futuri probabili travasi (spillover), sappiamo chi ringraziare per questa pandemia.
Gli stessi che per primi, e finora unici, hanno buttato le atomiche su città piene di civili inermi.
P.S. Il ruolo di Daszak è cruciale: colla borsa di 42 milioni PREDICT ha finanziato sia Wuhan sia gli esperimenti di ‘acquisizione di funzioni’ di Baric in Norh Carolina. Ma ha anche altri contratti del Pentagono in Tanzania, Sud Africa, Liberia, Georgia, Malesia, Tailandia, dove ci sono scienziati che lavoravano alle armi biologiche – che dopo la Convenzione sulle Armi Biologiche si sono chiamati studi di ‘acquisizione-di-funzioni’ o ‘doppio uso’. (Arms Watch Report)
Note
[1] La magia si basava su due principi d’azione: somiglianza (analogia) e contagio (contatto). E pur non spiegando i fenomeni in modo corretto in diversi casi funzionava.
Se qualcuno fosse interessato posso indicare come costruire una bambola vodoo attiva.
[2] Arthur T. Winfree, The Geometry of Biological Time, Springer, 2000/2010
[3] Low-energy control of electrical turbulence in the heart, Luther et al, Nature 475, 2011
[4] Che notoriamente non buttano mai via niente…ma è solo una mia ipotesi
[5] Nicholas Wade, The origin of COVID: Did people or nature open Pandora’s box at Wuhan? | May 5, 2021 Bulletin of the Atomic Scientists,
[6] questa dizione ‘gain-of-functions’ viene interpretata ambiguamente da Fauci nella deposizione al Congresso dove nega di aver finanziato ricerche del genere: riprendendo Daszek che ne aveva dato una definizione ristretta in termini di virus di origine umana mutati (il covid19 è in origine animale, ma la proibizione in realtà era generale).
“Se poi, come nel ‘Tao della fisica’ diciamo che siccome l’atomo di idrogeno è fatto di due palline e nel segno dello yin-yang ci sono due palline allora i due condividono la stessa essenza allora cadiamo nel ridicolo.”
Mi dica dove ha trovato, nel Tao della Fisica, questo esempio! Non c’è niente di simile e credo sia una manovra altamente scorretta “citare” una frase che in un libro non compare affatto.
Inutile sottolineare che Fritjof Capra è un fisico e che comunque delle analogie fra fisica e filosofie orientali si sono occupati: il Dalai Lama, fisici come Anton Zeilinger, o, per tornare indietro ai pionieri, Erwin Schroedinger, Wolfgang Pauli, con Carl Gustav Jung e anche Niels Bohr, nel cui stemma (ops!) c’erano proprio le “palline” dello yin e yang.
L’esempio c’è, anche se le parole sono mie.. il libro l’ho letto centinaia di anni fa e non l’ho più, ma non è importante: il senso del discorso è sui pericoli dell’analogia: se non possiamo evitarla va però presa con le pinze.
Un buon esempio piuttosto è quello sia del Dalai Lama sia di Rovelli in Helgoland che non fanno analogie ma perseguono linee di ragionamento comuni a proposito di vuoto e relazioni.
Non è vero. L’esempio non c’è. E non è vero che non è importante. Se basiamo un ragionamento su un esempio falso come possiamo pensare che sia preso sul serio?
Aggiungo ai sostenitori dell’analogia fra fisica e filosofie orientali Piergiorgio Odifreddi (difficilmente ascrivibile alla new age) : “La complementarità è il grande contributo filosofico di Bohr alla filosofia della scienza. Egli la considerò come l’espressione di un livello più profondo di verità, […] Le connessioni di questo pensiero con la filosofia taoista sono evidenti, e non casuali.” P. Odifreddi – Il Vangelo secondo la Scienza, p. 75; Einaudi 2008
Chiudo comunque qui la polemica. Volevo solo avvertire l’eventuale lettore.
Come ho ribadito nella prima risposta il problema non sta con la filosofia orientale ma con l’analogia
Sulla giostra delle riviste e del Web: aut aut…
SEGNALAZIONE
Afferrare il secolo alla gola
Il nuovo numero di aut aut
di Emilio Maggio
https://www.sinistrainrete.info/teoria/20518-emilio-maggio-afferrare-il-secolo-alla-gola.html
Stralci:
1.
Il clima di eccezionalità che stiamo sperimentando viene sottolineato anche da Alessandro Dal Lago, che nel suo Note sull’età dell’incertezza, parafrasando L’età dell’ansia di W.H.Auden4 e il contesto post-bellico descritto dallo scrittore inglese , immagina l’incerto futuro post-pandemico che ci attende. Auden infatti aveva ben compreso quel sentimento di panico che connota l’umanità travolta da eventi eccezionali come la guerra e che si trova sempre più smarrita di fronte a una realtà che non riesce più a comprendere. Anche per Dal Lago la risposta tecno-scentifica alla pandemia di per sé appare insufficiente a colmare quel vuoto cognitivo e esistenziale prodotto da eventi che sconvolgono l’ordine delle cose di una comunità. È per questo che Agamben, in polemica con il costituzionalista Zagrebelsky, tratta l’attuale stato di emergenza globale come sinonimo dello stato di eccezione: è la macchina algoritmica a creare le condizioni per l’abolizione del prossimo come fondamento dello Stato democratico formalizzato dopo la seconda guerra mondiale. Dal Lago sottolinea infatti come la scienza computazionale – da Turing agli algoritmi – ha sempre cercato di pre-vedere l’imprevedibilità della natura contrapponendole la prevedibilità del programma artificiale di una macchina. La teoria del caos per esempio non permette di fare previsioni, piuttosto «semplici modelli di contingenza, di anticipare cioè stati in cui l’evoluzione di un sistema si biforca». In altre parole la possibilità di una catastrofe, come l’esperimento del gatto di Schrodinger dimostrerebbe, è sempre del cinquanta per cento. Nessuno sa esattamente come si diffonda il virus Covid 19 così come nessun governo è in grado di controllare la vita sociale di un paese, perché è la vita stessa, nelle sue molteplici forme, ad essere imprevedibile.
2.
La domanda cos’è un virus trova solo risposte biologiche, per quanto limitate. Felice Cimatti nel suo Pensare con il virus ha l’audacia di cercare una soluzione filosofica all’ontologia virale. Usando l’elaborazione teorica di Deleuze e Guattari egli definisce il virus come un processo di contagio più che come un agente di contagio. Se infatti l’agentività del virus è data dalla composizione del suo materiale genetico che sfrutta le cellule di un determinato organismo per riprodurre copie di sé stesso, è evidente che la sua ontologia corrisponde al fare più che all’essere e se il virus è il contagio esso non esisterebbe senza il processo della contagiosità. Quindi senza contagio non esisterebbe nessun virus ma non esisteremmo neanche noi, noi siamo il virus.
3.
Cimatti ricorre ancora una volta al pensiero di Deleuze-Guattari in Millepiani6 focalizzandosi sulla sua mobilità, che sembra essere al momento l’unica caratteristica in grado di qualificarlo: processo, passaggio e divenire, spill-over, zoonosi e antroponosi non sono altro che manifestazioni del suo puro e inarrestabile movimento, incontro della vita/morte da un corpo all’altro, da una specie all’altra. Pensare con il virus significa allora pensare alla vita come a un divenire assoluto, un divenire che non ha inizio – «si pensi all’affannosa ricerca del paziente zero, che non esiste e non può esistere, perché non esiste un tempo non infetto» – ma non ha neanche una fine, se non assumendo i tratti dell’endemia. In definitiva anche per Cimatti la pandemia è un fenomeno fuori controllo: «Prevedere significa, in fondo, ordinare al mondo di adeguarsi ai nostri calcoli e alle nostre statistiche, mentre il mondo, come il virus, continua a cambiare». In questo senso l’etica, ci suggerisce Cimatti, ha a che fare con l’etologia, con la scienza che studia i comportamenti degli animali non umani; cioè con quei viventi il cui comportamento non si può spiegare con quello che pensano ma con quello che fanno.
4.
Se rimpiangere il passato è problematico, vivere nel presente è un incubo e il futuro diventa inimmaginabile, Ormai solo un virus ci può salvare. Per Antonio Volpe il mantra la normalità è un problema, attraverso cui media, politici e attivisti, hanno sintetizzato l’insostenibilità di uno sviluppo basato sullo sfruttamento delle risorse naturali e degli animali non umani, nasconde e, allo stesso tempo, rivela il carattere apocalittico con cui si continua a leggere l’attuale infezione virale. L’eskhaton, la fine, l’estremo, inteso qui in senso e/scatologico, coincide ormai con lo stato di eccezione politico. L’escremento rappresenta solo la fine di un lungo processo di digestione e assimilazione dei diktat del liberismo capitalista. Secondo Volpe il male (inteso come dolore, corruzione del corpo e delirio psichico) rappresenta la fine nella doppia accezione che ne dava Derrida nella conferenza Fini dell’uomo8, ovvero sia il termine di qualcosa sia il suo scopo. Per cui ogni fine dell’uomo e per estensione dell’umanismo diventa l’occasione per una rinascita che non ne comprometta la sua peculiare centralità e indispensabilità: «L’umanismo è già transumanismo che attende la sua occasione». Il disastro ambientale, economico e sanitario con cui siamo abituati a convivere non è più una catastrofe ma è la fine senza fine; è un tempo bloccato e uno spazio neutro e pacificato dove non c’è più un fuori da immaginare né un futuro da pre-vedere. L’orrore insomma non è più provocato da un fuori minaccioso o da un dentro perturbante che si materializza come malattia, dolore e morte perché non c’è più nulla da sacrificare. Il post-moderno tecnocratico lo ha sublimato nella vivisezione, nell’asetticità laboratoriale su un vivente già morto le cui spoglie inceneriscono in forni crematori posti oltre le camere mortuarie o rimangono a disposizione nelle celle frigorifere oltre gli antri della macellazione. La domanda di Volpe «come giustifichiamo lo sterminio sistematico non solo degli animali non umani in generale… ma il numero incalcolabile perché sconosciuto di esistenti massacrati nella corsa globale al vaccino – in cui a correre è per lo più il valore originario delle multinazionali biotech?», meriterebbe più di una risposta.
5.
Il saggio di Didier Fassin, Vite invisibili ai tempi della pandemia, ha il pregio di entrare nel merito della emergenza sanitaria. Le drastiche misure di restrizione della vita sociale delle comunità umane stanno dimostrando l’assenza di qualsiasi capacità strategica da parte delle istituzioni pubbliche, evidenziando, se ancora ce ne fosse bisogno, come la sanità sia completamente ostaggio della centralità della profilassi, a tutto svantaggio delle voci che costituiscono il vocabolario della medicina territoriale e di prossimità, e cioè cura, prevenzione e contatto diretto con il paziente. Inoltre la gestione liberticida dell’emergenza ha messo in evidenza il suo carattere fortemente classista. Fassin giustamente definisce la risposta globale alla pandemia come l’avvento della bioleggitimà. Chi è che ha il diritto di potersi avvalere delle cure adatte? E cosa significa salvare delle vite? Quali vite e di chi? La totale mancanza di risposte adeguate da parte della politica e della scienza dimostra che ad essere ancora escluse sono determinate fasce sociali e particolari categorie abitualmente discriminate come detenuti, migranti e popolazioni connnotate etnicamente. Insomma in nome della vita o in nome della giusta causa (le cosiddette guerre umanitarie hanno ancora molto da insegnare) si sono compiuti veri e propri genocidi creando una scala di valori arbitraria che stabiliva chi doveva essere sacrificato per il bene comune: «Da un lato ogni vita conta; dall’altro abbiamo solo masse indistinte».
6.
Il Covid 19 è stato anche, e continua ad essere, il più grande spettacolo del mondo.
Non poteva certo mancare in questa antologia uno sguardo sui palinsesti televisivi del belpaese. Serena Giordano in Covid in tv. Spot e propaganda nel lockdown descrive in modo assai dettagliato la capacità delle tv generaliste italiane di logorare qualsiasi tema, perfino la tragedia che si profila dietro l’evento pandemico. La narrazione tossica propagandata a suon di spot e proclami da giornalisti paternalisti e virologi inflessibili ha dimostrato un grado di conformismo e uniformità assolutamente inedito, superato forse solo dalla retorica bellica delle due guerre mondiali. E bellico è infatti il linguaggio attraverso cui pubblicità e infoitment continuano a veicolare messaggi in cui si propaganda l’unità del paese (i cui effetti hanno prodotto il governo tecnico di unità nazionale di Mario Draghi), amore per la patria e bieco eroismo.
7.
Giorgio Cosmacini dal canto suo in Una nota su paure e epidemie nella storia, redige una ricostruzione storica da cui emergono fattori degni di attenzione. Innanzitutto il fatto che già le prime teorie sulle pandemie ventilavano due schieramenti contrapposti: da una parte gli aeristi che attribuivano l’infezione alla mal’aria respirata, dall’altra i contagisti che invece assegnavano all’umano la responsabilità del contagio. Nell’antichissima storia delle epidemie ad emergere, dall’Iliade al Decamerone, tra peste, sifilide, vaiolo, colera e tubercolosi è, ancora una volta, l’ossessione profilattica della medicina e la paura della morte civile e della morte fisica che hanno sempre costituito un assoluto antagonismo all’uomo, ma che , come l’uomo, «…nascono, crescono, si stabilizzano, declinano, muoiono».
Non so se è colpa del sintetizzatore, ma quando leggo vorrei sentire cose che non so, non un’eterna permutazione di trepide parole e languidi concetti; sempre gli stessi. E magari parlando anche di animali noti, non facendo come me all’esame di quinta elementare che trovandomi con un tema sull’animale di casa inventai un a me sconosciuto gatto cui facevo fare le cose più improbabili. Rischiando la bocciatura. Cosa che sfortunatamente non rischia chi sparla qui dicendo sciocchezze dello stesso animale.
Più che i soliti animali noti, troviamo i soliti mostri, qui (tra gli autori di Aut Aut), paludati nei sudari del “tra”, del contagio tra la vita e la morte: gli zombi, il vivente già morto dei laboratori, “l’escremento … di un lungo processo di digestione e assimilazione dei diktat del liberismo capitalista”, il serpente cosmico/stato di emergenza. Evocati.