Il Poeta e il Potere

Petr Ivanovich Lvov (1882-1944), «Mandel’štam dormiente» (anni Dieci, disegno)

 

di Antonio Sagredo

Col mondo dei potenti io fui solo infantilmente legato,
avevo paura delle ostriche e guardavo in cagnesco i soldati della guardia
e nemmeno con un briciolo dell’anima io gli sono attaccato,
per quanto io non mi sia tormentato dietro ad estranee parvenze.

Con solennità sciocca, aggrottate le ciglia, in una mitra di castoro
io non stavo sotto il portico egizio di una banca,
e sopra la Neva di limone allo scricchiolio di cento rubli
per me, mai, ballò una tzigana.

Fiutando i futuri supplizi, dal muggito degli avvenimenti tempestosi
io fuggivo verso le Nereidi sul Mar Nero,
e dalle bellezze di allora, – da queste tenere europee –
quanto tormento e quanto dolore, io accettai!

Perché dunque sino ad oggi questa città s’impone
ai miei pensieri e sentimenti secondo il vecchio diritto?
Essa per gli incendi e per i geli è ancor più sfrontata,
altezzosa, maledetta, vuota, giovanile!

No, forse perché, io ho visto su un quadretto infantile
Lady Godiva con una scarmigliata criniera rossiccia,
io ripeto ancora tra me stesso in sordina.
Lady Godiva, addio… io non ricordo, Godiva…

Osip Mandel’stam,  gennaio 1931

                                                                    

Ancora Pietroburgo!

  Perché dunque sino ad oggi questa città s’impone…

Dal saggio di Danilo Cavaion La città di Pietro e l’intelligenzija  si estrapoleranno alcuni brevissimi spunti ai quali seguirà il mio commento sullo stesso tema – per chiarire ancor più alcuni versi  di questa poesia – (oltre a quanto già scrisse Ripellino nel suo Corso monografico su Osip Mandel’štam del 1974-75)  (Le citazioni di Cavaion sono in corsivo virgolettate): 

  – Il mondo dei potenti…: non si identifica soltanto con le piacevolezze del mondo aristocratico russo-zarista della fine dell’800 e dell’inizio del secolo ‘900; questo mondo inizia, per così dire, dai privilegi materiali ai piaceri della tavola con tutta la storia della potenza statale imperiale nel corso dei secoli che siffatto mondo si è portato dietro.

Noi sappiamo che Mandel’štam detta e dice tutto questo con stratificazioni esaurienti e sinteticamente precise, non inficiando affatto la bellezza del verso e la sua musicalità, anzi; e conduce la sua lotta contro la figura di Stalin, che attaccherà frontalmente (della famosa poesia contro di lui cito la prima strofa:

Noi viviamo senza avvertire sotto di noi il paese,
a dieci passi non si sentono i nostri discorsi,
e ovunque ci sia spazio per un mezzo discorso,
ci si ricorda del montanaro del Cremlino.)

non essendo più un “Dio-guida”: principio “ripreso dai russi dalla tradizione ebraica  che  protegge ”il gregge eletto di Dio”, ma che anzi lo divora – una sorta di Cronos! – non avendo il dittatore la “antica sacralità” divina, e assumendone una altra, anti-divina e perciò distruggitrice.

Nei versi di A Pietroburgo ci incontreremo ancora è nettissimo a cosa porterà il velluto della notte sovietica tanto che non ci si accorgerà del sole notturno!.  E tutto perché “l’autenticità di Pietroburgo, come una nuova Roma, consiste nel fatto che in essa  non primeggia la sacralità, ma  è sottoposta alla statalità”; questo sia sotto gli zar russi, sia, con molta più crudeltà, sotto il potere staliniano.

avevo paura delle ostriche…: a differenza di altri poeti che magari desideravano mangiarle, Mandel’štam invece ne ha terrore; potrebbe significare questa paura, timore della ricchezza ostentata, cioè di coloro che normalmente se ne cibavano.

    – I soldati della Guardia…: che Mandel’štam bambino poté vedere sfilare nelle parate con “l’aquila d’oro bicipite” nella bandiera imperiale, e le insegne dei reggimenti che avevano “un drappo con il monogramma in oro di Pietro: due P in caratteri latini, incrociati diagonalmente”. Mandel’štam li guardava in cagnesco, cioè di traverso, non avendo affatto fiducia in essi.

     – dietro ad estranee parvenze… : non valeva affatto la pena di imitarle e né di specchiarsi in esse, proprio perché parvenze, né nascondersi dietro di esse, magari mascherandosi; il fatto è che erano già simulacri vuoti in un mondo che, se ancora fisicamente reale, stava per crollare definitivamente e trovare nel nulla la propria destinazione. Queste parvenze sono unite a Pietroburgo, già di per sé città-parvenza ed estranea per certi versi al popolo russo; si conosce il perché: perché ritenuta troppo occidentale, e per certi versi traditrice, negatrice di quegli aspetti orientali (la Mosca buddistica è provvista di sacralità) che sono appannaggio della capitale!

      – La Nevà di limone… : scrive nel suo commento Ripellino:  “È bella l’immagine la Neva di limone con quei colori interi, non sfocati, non diluiti, che sono tipici della pittura del tempo, dove il colore non ha valore realistico-descrittivo, ma allusivo, così la Neva di limone non significa tanto il colore, ma è anche una accezione di puro carattere pittorico”; ma invece sono del parere che qui non è solo una  bella immagine, non significa tanto il colore, non è solo anche una accezione di puro carattere pittorico, ma è qualcosa altro: è il giallo che Pietro I° adottò per la sua bandiera e che, – afferma Danilo Cavaion –  si usava “nel Sacro Romano impero derivato dallo stendardo dell’imperatore romano di color giallo oro con l’aquila nera bicipite[1]. E il giallo imperatoriale divenne anche la tonalità dominante della grande architettura pietroburghese”.

[Se poi al giallo romano e al nero dell’aquila si aggiunge il rosso (il sangue sgorgato) si hanno i coloro della bandiera tedesca].

E allora sono dunque i gialli degli immensi palazzi pietroburghesi che si specchiano nella nera Nevà; le acque della Nevà ricevono tali gialli-solidi architettonici come riflessi che si gettano – e vengono sciolti – in quella liquidità nera che scorre… è un succo di limone che scorre in un nero indifferente… la grande storia di Pietroburgo finisce in una poltiglia, fatta di succo di limone e neri liquami, che fluisce inquietante e interminabile.

 – fiutando i futuri supplizi…: il poeta ha antenne fuori del comune: intuisce da come si svolgono gli squassamenti causati dagli eventi che l’esito sarà un interminabile mattatoio che coinvolgerà tutti quanti, e nessuno sarà escluso, e  innocenti o colpevoli, tutti davanti alla Rivoluzione saranno eguali e subiranno supplizi e morte!

(Lo aveva intuito già il poeta Blok!)  ma vedi la poesia di Vološin:                                                   

   Ogni giorno più selvaggio
e più sorda la notte cadaverica intorpidisce.
Un fetido vento spegne le vite come candele.
Non si può gridare, né chiamare, né aiutare.
È tenebroso il destino del poeta russo.
Imperscrutabile fato lo conduce…
Conduce Puškin sotto la canna della pistola.
Dostoevskij sul patibolo.
Può darsi che a me tocchi una simile sorte.
Russia amara che uccide i tuoi figli.
Anche io aprirò nel fondo dei tuoi sotterranei,
oppure striscerò in una pozza di sangue,
ma non abbandonerò il tuo Golgota,
non rinuncerò ai tuoi sepolcri.
Che mi annienti la fame o la collera,
non sceglierò un’altra sorte; se devo morire,
allora morirò con te.
E con te come Lazzaro risuscitare dalla tomba.

e la paura della tragica poetessa Cvetaeva, che frequentò la casa del poeta Maks(imilian) Vološin  (1877-1932), come fece del resto anche da Mandel’štam.

(da mia nota n. 275, pp. 131-132 del Corso monografico di A. M. Ripellino su O. Mandel’stam, 1974-75)  

Nota
Le traduzioni delle poesie del Corso monografico  su O. Mandel’štam sono di A. M. Ripellino

12 pensieri su “Il Poeta e il Potere

  1. spero almeno in un solo commento: … anche
    – conoscere un poeta significa , prima della lettura di un solo suo verso, sapere di dove questo verso si origina e cosi ‘ via …
    ant.sagred0

  2. questa poesia sono strati sopra strati, e non saprei se per questo o nonostante questo bella, perchè l’occhio si perde quasi nei gorghi che apre
    ma solo una eretica richiesta: sarebbe anche possibile mostrare sotto, a fianco, il testo originale?

  3. La poesia è molto bella, naturalmente. Ma, come occidentale, trovo un po’ irritante questo atteggiamento dei russi (fortissimo in Dostoevskij che sto rileggendo con santa pazienza, ma per dire anche in Limonov) di voler stare con meno di mezzo piede in Europa, e per il resto… già, per il resto dove?
    Se il Poeta è antagonista del Potere, perché questo attaccamento a una cultura profonda che, politicamente, pare in grado di produrre soltanto degli zar? Alla maniera orientale, appunto…
    E che significa l’assimilazione finale (se capisco bene) dell’Occidente a Lady Godiva? Un’accusa di decadentismo? Se è così, cosa oppone la Russia profonda al decadentismo europeo?
    Domande, domande…

    1. per il resto in Oriente e questo e’ dentro la carnalita’ del russo e non e’ irritante) e gli italiani e i francesi dove sono?) – e’ il potere antagonista!- alla maniera orientale… la parola “zar” proviene da “Csar” (Cesare) da cui Zar. leggi bene la storia di Godiva- il resto della domanda deve essere piu’ chiaro-

      1. Che ‘zar’ e ‘Kaiser’ vengono da ‘caesar’ lo sapevo. Ma né il Kaiser del secondo Reich né lo zar erano Cesari in senso romano. La parola non è la sostanza.
        La storia di Godiva l’ho letta, ma continuo a non capire…

        1. ricordati : Mosca come la terza Roma. Mosca ha quella sacralita’ richiesta dalla storia. dovresti leggere il saggio di Danilo Cavaion. ma ve ne sono una decina che trattano questo tema….

          1. “ricordati : Mosca come la terza Roma. Mosca ha quella sacralita’ richiesta dalla storia” (Sagredo) ?
            Ci andrei piano coi miti e la sacralità. Comunque, se avessi tempo, li studierei (anche) storicamente…

            SEGNALAZIONE

            Roberto Valle
            “Sapienza” Università di Roma

            MOSCA-PIETROBURGO: DUE IDEE DI TERZA ROMA
            Stralci:

            1.

            L’ascesa di Mosca fu un momento fondamentale della storia russa, perché comportò la costituzione di uno Stato centralizzato e il particolare carattere autocratico della forma di governo moscovita ha condizionato per secoli l’evoluzione della Russia. Ivan III portò a compimento il processo di incorporazione della Russia nello Stato moscovita, dando inizio ad una nuova era della storia russa. Nel 1493, Ivan III assunse il titolo di gosudar’ (sovrano) di tutta la Russia. Nel 1472, Iva III aveva contratto matrimonio con la principessa bizantina Zoe Paleologo (che assunse il nome di Sofia), nipote di Costantino XI (ultimo imperatore bizantino, rimasto ucciso nella conquista turca di Costantinopoli del 1453). Secondo le aspettative del Papato, che aveva patrocinato il matrimonio, la Russia doveva rientrare in un vasto fronte antiturco e porsi sotto la potestà del papa. Tali aspettative furono vane, perché Ivan III, affermando la sovranità religiosa e politica della Russia, si attribuì le insegne dell’impero bizantino (l’aquila a due teste) e il titolo di “zar” (dal caesar romano-bizantino) e di “aurocrate”, che designava la completa indipendenza del sovrano moscovita e la fine cessazione del giogo mongolo. L’idea imperiale russa fu elevata a dottrina politico-religiosa dal monaco Filofej di Pskov che nel 1510 indirizzò allo zar Vasilij III una lettera che conteneva una profezia: la Chiesa della prima Roma era caduta a causa di un’eresia; la Chiesa della seconda Roma, Costantinopoli era stata distrutta dai turchi infedeli; Mosca era la Terza Roma che avrebbe illuminato il mondo intero e sarebbe stata eterna, perché non ce ne sarebbe stata una quarta.
            2.
            L’ispirazione bizantina della concezione del potere rimaneva sia nella simbologia sacrale che accompagnò le origini dell’autocrazia russa (soprattutto nella cerimonia dell’incoronazione nella quale si esaltava lo speciale carisma dello zar che era identificato con Cristo), sia nel rapporto Stato-Chiesa caratterizzato dal loro formale equilibrio, definito symphonia, che progressivamente si modificò a vantaggio dell’autocrate: tale equilibrio fu rotto nel 1721 da Pietro il Grande con la soppressione del patriarcato e con il Regolamento ecclesiastico. L’idea di Mosca Terza Roma affermava la tesi della continuità del potere e dei diritti storici dei sovrani di Mosca quali successori diretti di Augusto. Tutti gli imperi cristiani erano finiti ed erano confluiti nell’unico impero ortodosso. Mosca Terza Roma era una idea escatologica che attribuiva alla Russia il ruolo guida di tutta la cristianità. Terza Roma non si riferisce a una città, ma è la definizione allegorica dell’impero russo che era rappresentato come un’aquila a tre teste: impero romano, impero bizantino, impero russo. Dopo la caduta di Costantinopoli la Russia si riconosceva come l’unico baluardo dell’ortodossia e assumeva un ruolo messianico nella storia. Bisanzio e la Russia si scambiarono il posto e la Russia si trovò al centro del mondo ortodosso e di quello cristiano. La translatio imperii e la translatio religionis collocavano la Russia al centro della geografia della salvezza: quello russo era un impero redentore.
            3.
            L’appellativo di zar rimandava alla tradizione religiosa, ai testi in cui Dio è designato re (zar): la tradizione imperiale non era rilevante. L’assunzione da parte di Pietro il Grande del titolo imperiale suscitò delle proteste, perché poteva essere avvertito come non ortodosso. Il titolo di imperator rimandava alla Roma pagana o a quella cattolica. La Russia assumeva un aspetto nuovo e, secondo Prokopovič, Pietro il Grande era “l’imperatore romano Augusto” che aveva ricevuto una Roma di legno e l’aveva fatta d’oro. Nell’ideologia di Pietro il Grande, secondo Lotman e Uspenskij, si rafforzava la tendenza statale e imperiale dell’idea di Mosca Terza Roma: la figura chiave non era Costantino ma Augusto. La caratterizzazione della nuova capitale come Città di San Pietro si associava non solo con la glorificazione del protettore celeste di Pietro I, ma anche con l’idea di Pietroburgo nuova Roma: alle chiavi incrociate dello stemma del Vaticano, corrispondono le ancore incrociate dello stemma di Pietroburgo. L’autenticità di Pietroburgo come nuova Roma consisteva nel fatto che la santità in essa non era la caratteristica preponderante, essendo collegata all’idea di Stato. La santità trasmigrava nell’idea di Santa Russia che si contrapponeva allo Stato petrino e considerava Pietro il Grande come zar-Anticristo: si diffuse in Russia la convinzione che la fine di Pietroburgo, e con essa quella del mondo, fosse imminente. La cupa mitologia del sottosuolo di Pietroburgo minacciava di sommergere quella imperiale, ufficiale, brillante e ottimistica, secondo la quale la santità di Pietroburgo era nella statalità. La Mosca prepetrina era assimilata alla Roma papalina ed era una falsa Roma. La sacralizzazione della personalità di Pietro ebbe come conseguenza che la città di San Pietro cominciò ad essere recepita come città dell’imperatore Pietro. L’esistenza ideologica di Pietroburgo-Terza Roma era collegata all’ideale dello Stato regolare. Le riforme di Pietro Il Grande operarono una sorta di trasfigurazione della Russia in virtù della quale prese forma lo “Stato regolare”, quale meccanismo generatore di regole. Lo “Stato regolare” era un modello prescrittivi, imposto dall’opera di regolamentazione dello zar, che si contrapponeva all’irregolarità del diritto consuetudinario russo. Gli avversari delle riforme petrine ritenevano che la vera Roma fosse Mosca e, negando la possibilità di una quarta, affermavano che Pietroburgo era la città dell’Anticristo, non esisteva affatto, la sua esistenza era illusoria, appariva e svaniva come una allucinazione (come attesta la letteratura pietroburghese con Gogol’, Dostoevskij e Belyj). Pietro il Grande, secondo Marx, non aveva europeizzato la Russia, ma aveva elevato a dottrina teologico-politica il «vecchio metodo moscovita di usurpazione» che era diventato un «sistema universale di aggressione»
            4.
            Lo Stato totalitario comunista, secondo Berdjaev, aveva realizzato la sua aspirazione messianica di Mosca Terza Roma, quale impero redentore. L’idea messianica russa di impero aveva rivestito una forma rivoluzionaria: invece della Terza Roma, la Russia stava realizzando la Terza Internazionale, che, secondo Berdjaev, non era un’espressione dell’internazionalismo socialista, ma una «trasformazione del messianesimo russo». Secondo Agurskij, la Terza Roma sovietica è stata un retaggio dell’etnocentrismo rivoluzionario russo del XIX secolo: fin dal suo esordio il movimento rivoluzionario russo fu nazional-patriottico ed espansionista. Sia i nazional-bolscevico Ustrjalov, sia gli eurasisti, a partire dagli anni Venti, considerarono l’Urss come una restaurazione dell’impero e preconizzarono una superamento sopra-organico del comunismo. L’internazionalismo bolscevico era solo una copertura e si era rivelato uno strumento fondamentale per ricomporre la Russia come Stato unitario ed eurasiano. Il socialismo in un solo paese propugnato da Stalin fu considerato dai nazional-bolscevichi e dagli eurasisti come il trionfo dell’impero russo fondato non più sulla autocrazia, ma sulla ideocrazia. Come ha rilevato Berdjaev, la Russia è transitata dal medioevo antico al nuovo medioevo, con i loro “domini culturali ben distinti, differenziati, il loro liberalismo e il loro individualismo, col trionfo della borghesia e dell’economia capitalista”. Nel cadere l’antica Santa Rus’ ha lasciato il posto a una teocrazia rovesciata. Il comunismo rosso, per Berdjaev, ha realizzato il sogno degli slavofili, di trasportare la capitale da Pietroburgo a Mosca, riprendendo la loro formula Ex Oriente Lux. Dal Cremlino doveva scaturire la luce che doveva rischiarare la tenebre borghesi dell’Occidente. All’epoca del socialismo in un solo paese, secondo Berdjaev, stava realizzando la Terza Internazionale quale pseudomorfosi dell’idea di Terza Roma. La Moscovia non aveva realizzato la sua aspirazione messianica, né l’aveva realizzata la Pietroburgo-Terza Roma. La Terza Internazionale, invece, era un’idea messianica che rivestiva una forma rivoluzionaria e non apocalittica. Tuttavia, per Berdjaev, la Terza Internazionale era un’ «idea nazionale russa», una trasformazione del messianismo russo sub specie etnocentrismo rivoluzionario. La rivoluzione socialista ha ricondotto la capitale a Mosca, mentre Pietro il Grande, per vincere le tradizioni moscovite aveva creato una nuova capitale. Pietroburgo-Leningrado è rimasta come simbolo della rivoluzione vittoriosa. Come ha rilevato Ettore Lo Gatto, Pietroburgo-Leningrado ha custodito la mitopoiesi della rivoluzione, mentre tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta del XX secolo il mito di Mosca Terza Roma è risorto nei termini di “ortodossia non religiosa, ma social-politica”

            (http://www.dirittoestoria.it/15/memorie/Valle-Mosca-Pietroburgo-due-idee-di-Terza-Roma.htm)

  4. Nelle poesie del poeta russo O. Mandel’stam finora presentate da Antonio Sagredo mi colpiscono alcuni elementi ricorrenti: gli stati d’animo intensissimi e dolorosi e, a rifletterli, un paesaggio – spesso la città di Pietroburgo- dai colori e dalle forme stridenti…La città di Pietroburgo e la sua Neva “di limone”, un frutto aspro che concentra la forza del sole, sono realtà amatissime, ma da cui il Poeta si è sentito respinto attraverso il pugno di ferro del Potere che isola e schiaccia la voce dei dissidenti… Sono poesie bellissime, dove giganteggia anche la storia di un popolo

  5. sono da oggi in internet col computer e non col cell.
    —————————————————————————
    ….ciò che scrive (citazione) Roberto Valle mi è noto da tantissimo tempo dalle mie fonti dirette che riguardano poeti e scrittori del tempo di Mandel’stam – oltre che gli storici dello stesso tempo – ma non è questo il metodo!
    Per esempio leggere “Pietroburgo” di Belyj (per citare una sola fonte) vale più di decine di testi storici sull’argomento, e così via…
    la Locatelli ci mette la passione…
    la Elena Grammann troppo razionale… dovrebbe sciogliersi e abbandonarsi all’intimità musicale del verso…

  6. “Per esempio leggere “Pietroburgo” di Belyj (per citare una sola fonte) vale più di decine di testi storici sull’argomento, e così via…” (Sagredo)

    Non ho mai capito quest’obiezione. In questi casi chiodo non scaccia chiodo. Non ho mai preteso di sostituire la poesia con la storia; e non accetto che si svaluti la storia con la poesia.

  7. ….la storia si svaluta da sola e non c’è bisogno che sia svalutata dalla Poesia: non si abbassa a questo!
    …la storia non svaluta la Poesia, se mai è il contrario.
    Perché lo storico di professione non possiede quei “quid” che in vece possiede a pieno titolo e a pieni polmoni la Poesia.
    Comunque comprendo bene e sarebbe pernicioso continuare…
    io col (mio) verso ho dettato anche la Storia, che non mi detta affatto.
    e poi non intendevo affatto svalutare la storia…
    citavo un autore e la sua opera come testimone oculare dei fatti, che poi la storia
    dirà con altre parole poiché non testimone oculare.

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