di Luca Ferrieri
(Brevi dal fronte, 1)
La proprietà intellettuale (come oggi viene intesa e fraintesa) è nemica della libertà intellettuale.
Esempio: oggi volevo archiviare per uso superpersonale un articolo de “La lettura” in versione digitale. Io posseggo due abbonamenti al Corriere: il primo l’ho fatto per leggere digitalmente “La lettura”, ma ho scoperto che la rivista si può visionare solo in formato immagine. A meno che tu non abbia anche l’abbonamento all’app de “La lettura” che permette di leggere molti articoli sul cellulare in formato testo (naturalmente senza poter selezionare, copiare, evidenziare o fare alcunché).
Così ho fatto anche il secondo abbonamento e oggi da questa app ho cercato di condividere (con me stesso) l’articolo, ma non era possibile perché non c’era nessun bottone di condivisione. Ho pensato di salvarlo (incredibile, si puo!) e poi di spedirmelo via mail. Ma è impossibile sapere dove l’app ha salvato il file (almeno per un normale utilizzatore del cellulare) e una ricerca nei file archiviati sul telefono non ha portato a nessun risultato. Magari l’app l’avrà salvato sul cloud del Corriere. Quindi ero al punto di partenza. Tutto ‘sto lavorio mi ha portato via un’oretta. Alla fine ho comprato anche la copia cartacea in edicola, ho scansionato l’articolo e ho passato un’altra ora abbondante a correggere gli errori dell’OCR.
Per due ore e mezza non ho letto niente, ho solo smadonnato. “Risparmia il tempo del lettore”, diceva Ranganathan.
Forse dico una sciocchezza, ho un abbonamento digital al corriere, apro la lettura, apro l’articolo che mi interessa e poi, sul computer, vado sui 3 puntini in alto a sinistra, clicco su stampa e mi fornisce l’articolo in pdf e scarico.
Benedetto Aranzulla, sempre sia lodato.
Può essere però che a un semplice abbonato online non tutti gli articoli della lettura siano concessi, questo non so.
Comunque auguri.
Acc, no, sono i 3 puntini in alto a destra!
Grazie Cristiana per il suggerimento. Purtroppo la possibilità di salvare l’articolo in pdf è limitata a cinque pagine (cosa già di per sé assurda visto che hai sottoscritto un abbonamento che dovrebbe avere caratteristiche almeno analoghe a quello cartaceo). Quando apri il pdf, a parte la scomodità del formato per la lettura, ti accorgerai che il file è bloccato ed è richiesta una password (che non è quella del tuo abbonamento, almeno la mia non funziona) per fare qualunque cosa vada oltre la navigazione a vista (es. sottolineare, commentare, copiare, incollare ecc.). La versione desktop non permette la visione in formato testo; questa è possibile (con i limiti descritti nel post) solo con l’abbonamento all’app per il cellulare.
Comunque al di là dei dettagli tecnici, quello che volevo evidenziare è come l’attuale regime di proprietà intellettuale non ci consente di leggere liberamente (né di prestare ad altri) la versione elettronica di prodotti regolarmente acquistati. Sono prodotti digitali in cui le potenzialità del digitale (che sono quelle della infinita riproducibilità, della manipolazione, della stratificazione, della partecipazione, della fruizione condivisa ecc.) sono continuamente ricondotte al letto di Procuste dell’analogico, attraverso la creazione di una scarsità artificiale (lucchetti, password, DRM, funzioni bloccate ecc.).
Mi cadono le braccia!
Gentile Luca Ferrieri,
sono molto ignorante e perdonatemi, appartengo ad una altra epoca?- non credo, ma usare un linguaggio scritto e presumo anche orale specie nei dialoghi orali e non scritti mi conduce ad alcune considerazioni:
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perché usare il termine “superpersonale”… non basta personale-
il termine “visionare” mi pare improprio … vedere non è meglio?
(visione è un termine sprecato qui in questo contesto, merita di più )
“bottone di condivisione” è un orrore, ma per Lei è normale, e non vede (non ha visione!) di alcun delitto.
“cloud” so cosa significa, ma “cloud del Corriere” è ridicolo
Il termine “smadonnato” è la chiave di questo suo linguaggio scritto (e di milioni di persone) che tradisce un degradazione linguistica rispetto al linguaggio scritto
da Lei precedentemente.
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Dunque, per non offenderla – non ho alcuna intenzione – si vada a leggere i saggi di linguistica generale di Roman Jakobson che dal 1920 in poi fino agli anni ’80 del secolo scorso ha scritto, e di certo troverà quei termini che Lei ha usato (non prodotto)
– tranne smadonnato – non correttamente, e 100 anni dopo!
Quindi nulla di moderno e di attuale nel suo linguaggio scritto e presumo anche orale.
La ringrazio per l’attenzione
Antonio Sagredo
Infatti, era un altro registro. Nella vita capita anche di smadonnare.
Cordialità,
L.
come prevedevo:
nessuna risposta da una tana vuota
Gentile Antonio Sagredo,
in genere quando le discussioni sul web prendono questa piega, con un tasso polemico inversamente proporzionale alla sostanza degli argomenti, o con la irrevocabile permanenza in mondi non conciliabili, le abbandono, perché non portano da nessuna parte e interessano solo gli egocentrici duellanti. Farò una parziale eccezione, ma non assicuro la continuità, perché questo stile di pensiero e di linguaggio (appunto) è il contrario di ogni impostazione dialogica quale pensavo si proponesse questo blog. A parte il fatto che le risposte (ammesso che ci siano) si danno quando ci sono delle domande, cosa che in questo caso non è.
Lei è libero di non gradire o contestare una scelta linguistica, ma non di bollarla sulla base di una totale incomprensione del contesto. E’ evidente che queste “brevi dal fronte” volevano e vogliono essere appunti al volo, testimonianze quotidiane di una continua violazione dei diritti della persona e della libertà di lettura. Che Lei non faccia il minimo riferimento a questo contesto è già di per sé significativo. La presunta degradazione linguistica di cui parla, infatti, trova qui le sue ragioni: “superpersonale” fa riferimento al fatto che la legge teoricamente consente ciò che di fatto impedisce, ossia l’uso della copia “per scopi personali” (o fair use), e nel mio caso si trattava di un uso super-personale, in quanto destinato a un archivio che non viene letto da nessuno. Superpersonale indicava, nello stile immediato della rubrica, una natura diversa e ulteriore rispetto a quello che in genere si intende per uso personale. Se poi lei preferisce un altro termine lo proponga. “Personale”, però, in questo caso non basta. Lo dico per fatto personale.
“Visionare” non ha nessun riferimento, a parte la radice, con la “visione” nel senso da Lei indicato. Si intende piuttosto, come si trova anche nel dizionario Treccani, “prendere visione”, in sostanza dare un’occhiata, scorrere qualcosa che appare sullo schermo. Nel mio caso la parola mi sembrava rendesse bene l’uso degradato di una potenzialità digitale (adopero ora il termine “degradato” in senso tecnico: si tratta di un’altra devastante caratteristica del diritto d’autore sui media digitali, per cui è lecita la riproduzione di un’immagine o di una musica se “degradata”, ossia a bassa definizione e qualità). Visionare stava quindi in alternativa a leggere, comprendere, godere e manipolare il testo.
“Bottone di condivisione” le fa orrore, mi dispiace. Ma non sono solo termini invalsi e immediatamente comprensibili a chi naviga attivamente sul web. Sono oggetti (il primo) e processi (il secondo) che stanno cambiando il mondo e che riguardano tra l’altro proprio la lettura e le sue mutazioni.
Cloud sa che cosa significa e quindi non mi ci soffermo, ma allora saprà che il cloud non sta in un superuranio celeste ma in un server, di solito sprofondato in sotterranei antisismici in qualche deserto, e che quindi il cloud “del Corriere” è diverso da quello della “Repubblica”, per dimensioni, accesso, amichevolezza, regole di funzionamento, tecnici e automi che ci lavorano e molte altre cose. Qui può consultare qualche informatico che ne sa certo più di me.
Per “smadonnare” La rimando di nuovo al dizionario Treccani che tra i sinonimi riporta “tirar giù madonne”, se Le piace di più. Personalmente ritengo che “bestemmiare”, invece, abbia un riferimento (anti)religioso che si è perso del tutto nell’uso comune di “smadonnare”. Io, per esempio, non bestemmio ma smadonno.
Come si vede, la “modernità” o la “attualità” (di cui non mi interessa un bel nulla) non c’entrano molto. C’entra un po’ di più la contemporaneità, cioè una categoria fondamentalmente storica. Ma qui mi taccio, scusandomi con chi, capitato incautamente su queste righe, si è molto annoiato di queste precisazioni, e magari è più interessato a capire e discutere perché il mondo digitale (un certo mondo digitale) che voleva liberare e arricchire il mondo, lo sta impoverendo e colonizzando.
Non annoiata, Luca, piuttosto compiaciuta della tua cultura digital che io non possiedo. Temo che l’ottimo Sagredo non ne sospetti l’esistenza, oppure pensi di poterla annullare a formulette.
Si tratta – è il problema- di entrare in questa nuova fase di comunicazione. Caduca? Può anche essere.
As usual.
bella la tana vuota, puoi ospitarci nuove idee, nuove persone, nuovi simpatici animali… mentre nella tana ormai affollata…
Grazie Annamaria per la bella e positiva interpretazione ma non credo sia quella dell’interlocutore…
tornando a bomba, il discorso sul diritto d’autore è importante e, permettete, esplosivo. Importante perchè da decenni inventori, artisti, scienziati ne invocano l’eliminazione in favore di una libera condivisione, condizione essenziale del progresso (checchè poi ne venga fuori). E non solo per dare il vaccino ai paesi poveri ma proprio per creare nuove sostanze, se si parla di medicina.
Esplosivo perchè in gioco è un sistema in cui non solo il profitto è re, ma è sempre più onnivoro e invadente, e il diritto d’autore garantisce il profitto.
Un piccolo guaio è che molti autori o anche piccoli editori su questi diritti campano….
ma anche su questo se ne è parlato nelle comunità, fiorenti, che all’argomento si dedicano, ivi comprese quelle che forniscono programmi informatici e linguaggi gratis (da android in là…)
sì, questo è il punto, grazie Paolo, condivido il “tornare a bomba”. Perché che senso ha la libertà (di scrivere, di leggere, di pensare) se la teniamo incatenata a lacci e lucchetti che noi stessi abbiamo accettato, incorporato, qualche volta perfino voluto (sono queste le catene più pericolose). Magari per innocenza, beata ignoranza, inerzia. O per amore dei nostri autori, dei testi che magari sentiamo nostri solo se paghiamo un obolo. Questa piccola sindrome di Stoccolma del lettore andrebbe meglio analizzata. Magari sottoponendo a critica anche uno dei topoi dell’industria culturale: che il regime di proprietà intellettuale (non il diritto d’autore, le due cose non sono esattamente sovrapponibili) difende la libertà creativa, il giusto compenso degli autori e dei piccoli editori. Ecco, qui le agenzie di gestione – tipo siae, per intenderci – invece di pensare solo a lucrare con bollini e tasse su iniziative culturali e supporti di registrazione (solo su questi ultimi: 150 milioni annui di incassi, potrebbero illuminarci su come distribuiscono gli introiti dei diritti d’autore. Si scoprirebbe, probabilmente, che a vivere grazie a questi “diritti” sono pochissimi autori di best seller e i soliti grandi – anzi grossi – editori. E a guadagnarci sono, spesso, gli eredi, fino a 70 anni dalla morte, di autori che in vita hanno fatto fatica a guadagnarsi il pane. Mentre la difesa della libertà intellettuale vive e lotta nelle comunità open cui accenna Paolo…
giusto breve nota su SIAE: ricordo, anche se non ho più dati precisi, una polemica accesa sulla SIAE, che teneva i soldi per se, non pagava gli autori, imponeva balzelli su prestazioni che erano gratuite,….
ci fu anche una rivolta interna, finita ingloriosamente col rimettere a capo della SIAE un arricchito Gino Paoli lasciando intatto il maltolto e il sistema del maltogliere-pocodare
Le poche esperienze d’autore fatte (in europa) mi hanno introdotto a un mondo (teatro+musica) dove la questione era assai accesamente dibattuta e praticata, devo dire in modo anche indolore per gli autori