Quando esco di casa per fare una camminata quasi mai ho con me il cellulare. Diciamo che su dieci passeggiate mi capita di prenderlo massimo un paio di volte. Mi dico che è una dimenticanza, ma non si tratta solo di questo, bisogna essere sinceri. L’altro giorno sono stato al passo della Consuma, che collega il Casentino al Valdarno e a Firenze. Naturalmente senza il cellulare. Ho camminato per un sentiero circolare di una decina di chilometri che, tranne brevi tratti, è tutto nascosto nel fitto e fresco bosco di abeti e di faggi. Ascoltavo i rumori e camminavo pensando alle scene dell’aeroporto di Kabul viste in Tv la sera prima. Non esprimevo giudizi. Avevo davanti solo quelle scene e cercavo di mettermi nei panni di ogni singola persona ammassata ai cancelli dell’aeroporto con alle spalle i talebani e davanti il blocco dei soldati americani, così impaurita e disperata, tanto da rischiare la morte per fuggire all’alternativa di restare in un paese che sembra non avere futuro. Verso l’ora di pranzo, rientrato a casa, su WhatsApp ho trovato tre messaggi di Filippo Nibbi, Nel primo dei tre c’era il titolo, Ca’ Bul, negli altri due la poesia che segue.
A.A.
Ca’ Bul
di Filippo Nibbi
Amore perduto nel vetro Sultano del ghiaccio Sei cieco da entrambe le parti Hai perduto la mia pista Giri a vuoto sull’orlo dei tuoi occhi Troppo vicino troppo vicino Nel tuo cuore di gas Non ci sono due strade per l’amore Una trascina nel deserto L’altra porta lontanissimo dentro al vicino Mi rompi il respiro Frammenti del mio ossigeno adesso sono nuvole I miei castelli crollano Le torri sono diventate vele La macchina dei pompieri ha perso il suo rosso In cantina muffiscono le torte piangono i salami da secoli non smettono di piangere e di chiamare La pigna di panche della parrocchia è crollata vecchie ossa di legno sfondate La fontana di pietra invece di acqua è piena di castagne matte La serra ha i vetri rotti Quelli ancora interi sono coperti di fango Migliaia di petali sul cemento crepato dal freddo Il muretto di confine è troppo basso Tutti i legamenti fanno male non riescono più a tenere legati braccia e gambe memoria e cuore mani e dolore La vita scricchiola I violini miagolano I cani mancano svaniti negli infiniti delle infinite morti Quelli vivi abbaiano alle gabbie chiamando padroni invisibili Il portone era chiodato La stufa in maiolica, bella, ma era marrone Mio padre stacca e spacca le stufe Nell’armadio sulle scale due ante chiuse a chiave La chiave non c’è Sono piene di sciabole Dietro le sciabole fucili. Amore perduto nel vetro
Sei molto più bravo di me! Hai fatto due una cosa sola. Un abbraccione
La poesia di Filippo Nibbi si srotola coinvolgendo il lettore in un ritmo ansimante carico di un sentimento di catastrofe…Tuttavia sembra, dai primi versi, trattarsi di una morte annunciata, di preavvisi non ascoltati : “Amore perduto nel vetro”…Il vetro puo’ diventare un’ingannevole prigione, in cui, essendo un materiale trasparente, vedi la via d’uscita, la libertà, ma gli arti ne sono bloccati, non ti seguono…Incalzano molte immagini di vita tradita, sembra essere tutto presente eppure niente è piu’…Mi hanno colpito i versi: “…In cantina muffiscono le torte piangono i salami” sono riferimenti ad una precedente vita gioiosa e quindi tanto piu’ tristi…La realtà perde di significato ” i violini miagolano /I cani mancano svaniti/ negli infiniti /delle infinite morti…Il portone era chiodato” Eppure si sente l’eco di esperienze già vissute, che si ripetono nel tempo: “…da secoli non smettono di /piangere e di chiamare…” Una poesia ispirata, credo, dalle tragiche immagini arrivate sino a noi dall’areoporto di Kà Bul…grazie