di Rita Simonitto
C’è un momento nell’arco della nostra vita in cui si ha l’impressione che le cose ci siano chiare o, per lo meno, che acquisiscano una loro configurazione certa e che tutto ciò potrebbe portarci di buon diritto ad esclamare “Eureka!”. E invece poi sembra ribaltarsi tutto e si re-inizia partendo da un riassetto diverso. Semprechè la realtà lo permetta.
Come gli esiti degli incroci della rosa Floribunda trovano il massimo splendore degli effetti di massa nelle giornate estive e il consenso estetico è unanime, così poi, ai primi rovesci temporaleschi, si ‘impappinano’ contaminando nella palta l’una rosa con l’altra, con un effetto a catena devastante. Brillantezza e profumo vengono sovrastati da un laidore diffuso.
Affacciato alla gotica porta-finestra dell’antico palazzetto romano, forse Don Bartolo stava pensando proprio a questi paradossali effetti di laboratorio, in quanto li vedeva palesati davanti ai suoi occhi, nel suo terrazzino che ospitava varie tipologie di rosa fra cui anche la Floribunda. La sua riflessione non riguardava però solo il tema della caducità delle cose o della loro trasformazione, bensì il doversi confrontare con delle incongruenze, e ciò gli richiamava alla mente l’espressione di suo nonno: “Chi ha pane non ha denti, chi ha denti non ha pane”. Ovvero la discrasia esistente tra il sogno e la realtà.
Ad esempio, che se ne faceva oggidì, a settantasei anni suonati, di questo appartamento che godeva di un certo prestigio e che sua zia Amalia gli aveva lasciato in eredità, chissà perché proprio a lui. Forse perché le idee di lui le conosceva benissimo o fors’anche perché lo sentiva una specie di risarcimento per aver sopito le idee sue, di lei, quando sposò il colonnello Jorge Alvarez, argentino, in Italia per chissà quale missione. Un amore travolgente divampato proprio in quell’appartamento che il focoso amante donò a sua moglie come regalo di nozze. E che lei, ritornando vedova in Italia, dopo la caduta dei colonnelli, riabitò per un certo tempo.
Quando si è soli è facile abbandonarsi ai ricordi quale unica compagnia. “Sì, sì, è proprio così”. Gli è che in questo modo siamo senza contraddittorio! Mentre questa particolarità è l’essenza della partecipazione e del contatto/contratto sociale! Altro che ‘isolamento’! Altro che ‘riscoprirete la vostra interiorità’, come venne propagandato per sostenere le chiusure domiciliari antipandemia… “così dopo ne usciremo migliori”! Bah!
L’osservazione pertinente, ma ininfluente, fece tirare su col naso Don Bartolo il quale, distaccatosi dalla rutilante porta finestra mosaicata, che non aveva voluto aprire e varcare per non vedere il disastro che trasudava dal silenzio di quel quartiere che era stato ricco di movimento, di vita, di storia, “ah, la Garbatella, Ah!” nonché di personaggi importanti che lo avevano reso famoso, rientrò, sfiorò appena appena il pianoforte e si afflosciò sul divano come un soufflé. … ma che senso aveva ricordare ora?
Recitare Pasolini “Io sono una forza del passato./ Solo nella tradizione è il mio amore./Vengo dai ruderi, dalle chiese, /dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati “, sarebbe stato quantomeno anacronistico in questo dannato maggio 2020, visto che la tradizione (il nostro essere sociali, le nostre ‘chiese’, da intendersi come ‘ecclesia’, luogo di incontro) era stata sacrificata sugli altari di una scienza trasformatasi in ‘scientismo’ e pertanto volatile, umbratile, schiava di una politica diventata essa stessa politicismo? Come di-spiegare ai suoi studenti liceali, in DAD, nelle sue lezioni di filosofia a Siracusa, il senso di quanto diceva il filosofo Emanuele Severino: “un apparente illuminismo scientista, che non riconosce i limiti costitutivi della scienza naturale, sfocia sempre nel peggiore degli oscurantismi”?
E poi che risultati ne derivavano dallo stare alla finestra dei ricordi?
Conosceva quell’appartamento. Lo aveva utilizzato più volte come base per mantenere i contatti con amici e/o compagni che dal Nord si erano trasferiti nella Capitale immaginata come la Mecca dei sogni. Ma soprattutto per stare vicino a sua zia Amalia, per lenire in qualche modo la sua devastante vedovanza. Il fratello di lei, padre di Bartolomeo, la disconobbe. Non solo perché si vergognava del fatto che la sua sorella maggiore, all’età di 17 anni avesse deciso di fare la soubrette al Teatro Jovinelli di Roma, ma soprattutto perché si era sposata con un militare, un ‘colonnello’, rompendo clamorosamente con le tradizioni familiari. Infatti suo padre, quando nel 1953 morì J. Stalin, ebbe il coraggio di esporre sul balcone di casa in quel piccolo paese della provincia vicentina (dominata dallo scudo crociato) la bandiera rossa del PCI listata a lutto. Il fatto che lei, dopo aver seguito il marito in Argentina, e, a seguito della morte di lui – eliminato dalle faide interne alla dittatura di J. R. Videla -, fosse riuscita perigliosamente a ri-approdare sulle rive del Tevere, ciò non modificasse, salvo che per Bartolomeo, l’isolamento familiare, per Amalia non rappresentò certo una buona accoglienza in famiglia. D’altronde questo è il destino della proscrizione ideologica.
Ragion per cui non solo lei ri-approdò a quelle sponde, ma alcuni anni dopo una vedovanza etichettata come infamante da un pensiero ‘politicamente corretto’, decise di abbandonarsi proprio a quelle bionde acque gettandosi dal ponte Sublicio poco distante da quel nido d’amore che, nel bene e nel male, aveva dato un senso alla sua vita. L’ostracismo della sua famiglia, l’evitamento da parte del gruppo sociale, senza sapere se il colonnello Jorge fosse stato o meno implicato negli assassinȋ della giunta militare argentina, non l’aiutarono certo a superare la perdita di quella persona che aveva veramente amato e dalla quale era stata amata.
Come spesso accade, da quello sprofondamento sul divano, un ricordo tirò l’altro. Ecco vivida la scena in cui la zia si trascina tristemente per i corridoi e lui che, mettendosi al piano, grida “Zia Ami, senti questa!”
Che cosa gli fosse passato per la testa per mettersi a strimpellare il brano “Everybody Needs Somebody to Love ” dei Blues Brothers, non se lo seppe spiegare. Forse il messaggio era che ognuno ha bisogno di qualcuno da amare, e se non di qualcuno, almeno di un’idea?
Zia Amalia, nonostante stesse raggiungendo la ottantina, era ancora una bella donna, flessuosa nel suo portamento e il colore fulvo della sua capigliatura aveva ingannato il passare del tempo assumendo quelle striature chiaro-dorate che turbano l’osservatore quando, in autunno, raccoglie una foglia di platano dai colori variegati che non preludono alla fine ma a una nuova rappresentazione sulla scena della vita.
Così, accompagnata dalla musica, la zia si lancia in un ballo scatenato, degno del suo passato di soubrette, piroettando fra i mobili, mimando amplessi con i cuscini colorati e i copridivani di arredo… solo che dopo quella meravigliosa esibizione crolla di botto a terra in un pianto dirotto, disperato. Poi, davanti allo sguardo atterrito di Bartolomeo, si alza e corre a chiudersi in camera.
Il ricordo poi si sfuma nella mente di Don Bartolo ma non si cancella una domanda: perché, nonostante la tragicità di quei vissuti, l’orrore dei momenti passati, pur tuttavia permaneva in lui una idea di futuro mentre invece oggi, per quanto ci si possa sforzare, e lui ci prova, tutto sembra nebuloso?
Comunque adesso è a Roma e qualcuno deve pur incontrare!
Compone un numero: “Cristina?”
“Bart, sei tu? Ma te possino..! Che ce fai a Roma? Sei sgusciato dalle maglie dell’ultimo DPCM? Guarda che questa libertà dura poco! In Sicilia ce devi tornà! Sennò te c’arimanno io!”, conclude ridendo.
Quanto odiava essere chiamato “Bart”. Ma Cristina era così, decideva lei, faceva le domande e poi si dava le risposte. Eppoi era la sua cara amica, docente come lui al Liceo A. Pigafetta di Vicenza. Ne era sortito un sodalizio interessante dove le frizioni fra terra (il pragmatismo di Cristina) e cielo (l’inconoscibile che tormentava Bartolomeo) trovavano alla fine delle linee di compromesso. Almeno nelle loro animate diatribe verbali.
Poi Cristina si sposò con un politico che, diventato parlamentare, la trascinò a Roma. Bartolomeo invece si unì con una amica di Cristina, Susanna, detta Susy. La quale Susy, nella convinzione che bisognava fare esperienza di tutto (però senza fare tesoro di niente) si infatuò della antroposofia, a dirla tutta di uno dei suoi docenti steineriani, e diede il ben servito al ‘compassato’ Bart. Così fu che Bartolomeo decise di abbandonare il Nord e accettare una docenza al Sud, a Siracusa.
“Cristina, sì, sono a Roma. Devo definire ancora alcune pratiche per l’appartamento di zia. Che cosa fai questa sera? Ti va di andare, visto che adesso si può, alla Pizzeria Garbatella? Ce l’ho qui sotto casa!”.
“Tesoro, non posso. Mio marito è ancora reclutato agli ‘scranni’ e la Caramella ha fatto la sterilizzazione questa mattina… gli altri gatti/e la sentono come ‘strana’ e le soffiano per via che porta il collare autoprotettivo per non leccarsi il taglio…. per cui devo stare a casa. Magari ci sentiamo domani”
“O.K. O.K. Sì, certo. Va bene per domani”.
“Ciao Bart. A domani”
Sì, essere chiamato Bart gli dava fastidio, ma era sempre preferibile a quella eco di “Meo… meo… meo” cantilenato a scuola come un miagolio…: presa in giro a causa dell’epiteto vicentino di “magna gati”. D’ altronde la filastrocca parlava chiaro: “Venexiani, gran signori; Padovani, gran dotori; Vissentini, magna gati; Veronesi… tuti mati; Udinesi, castelani co i cognòmj de Furlani; Trevisani, pan e tripe; Rovigòti, baco e pipe; i Cremaschi fa coioni; i Bresàn, tàia cantoni; ghe n’é ncora de pì tristi… Bergamaschi brusacristi! E Belun? Póre Belun, te se proprio de nisun!”.
Certo, non gli piaceva nemmeno essere chiamato ‘Don Bartolo’, ma quella usanza sicula gli aveva dato meno fastidio. Era una specie di onorificenza!
In quel momento di disagio che lo frastorna, sente pressante il bisogno di ritornare al Bistrot 36, alla Garbatella, dove andava ogni tanto o con la zia oppure anche da solo, seduto davanti all’antico orologio tondo, che troneggiava sopra un vecchio menù incorniciato, e a lato la lunga fila di bicchieri posti sul ripiano dietro la mescita…
Riprende in mano il telefono.
“Ehi ciao, Giorgio. Ti ho disturbato? Sono Bartolomeo eo… eo.. eo…ti ricordi? Sono risalito dal profondo Sud! Come va?”
Il silenzio dall’altra parte non depone favorevolmente e il click del telefono chiuso è raggelante. Giorgio non ha fiatato. Eppure si sentiva che era lì…
Una volta, le motivazioni legate a quei silenzi pesanti erano ‘essenzialmente’ due: o eri un STR tu, oppure lo era la persona che ti stava tenendo sulle spine. Oggi si è aggiunto un altro fattore: il terrore del contatto, quello dell’attacco pandemico, dell’essere un untore in senso stretto o in senso lato, anche soltanto portando qualche pensiero non accreditato!
Ecco uno squillo … un segnale quasi allarmante visto che non ha avvisato nessuno della sua presenza a Roma. Invece è Ernesto che è stato allertato da Cristina!
“Ehilà. Non ci si può proprio liberare di te! Hai finito di pontificare con i tuoi ‘bla…bla’’ filosofici? Cristina diceva che il progetto era la Pizzeria Garbatella. Mi lasci sentire la disponibilità e poi ti richiamo?”
Pur essendosi laureato in Lingue e Letterature Straniere, Ernesto ha scelto di fare il tipografo, come se avesse bisogno di rispondere ad una ricerca di combaciamento: la versatilità delle varie lingue con la versatilità delle varie immagini tipografiche. Infatti la sua produzione è molto ricercata.
Alle 21.15 i due amici si trovano davanti alla Pizzeria. Ovviamente, non ci si può abbracciare, le regole anticovid lo vietano, ma i loro sguardi sono come viticchi che non possono che sciogliersi attraverso dolcissime parole scurrili: il loro codice linguistico!
All’interno della Pizzeria, l’Orologio sta sempre lì… che gliene frega a lui… se le ore passano, i tempi cambiano… mica è affare suo! Questo pensiero lascia correre un brivido lungo la schiena di Bartolomeo.
Le loro ordinazioni sono di routine: d’altronde non è per quello che si sono trovati lì. Tutti e due sembrano sovrastati dai ricordi di un passato ormai ininfluente che però li richiama ma a cui non vogliono lasciarsi andare.
Fa ancora chiaro a Roma a quell’ora, e questa luce particolare sembra gettare un certo movimento sui bicchieri esposti in bella fila davanti al bancone: “Ernesto, guarda!”.
Ernesto si gira e rimane incantato dal gioco di rimandi luci/ombre che l’andare avanti e indietro di Cesira e suo marito creano sullo sfondo a specchio. Poi sembra re-immergersi nella sua esperienza professionale, come se la sua mente incominciasse a viaggiare in territori sconosciuti ai più. Una libertà che, di sponda, attiva reminiscenze anche in Bartolomeo.
E’ il moment del “post prandium”, quando, gambe distese sotto il tavolo, si riassumerebbero le varie esperienze sia culinarie che emotive.
Ma i tempi tecnici, dettati sempre dall’ottemperanza alle regole del Covid, sono invece stretti e pertanto devono lasciare il loro tavolo. E se Ernesto si avvia verso l’uscita, il suo amico sembra bloccato alla sedia, paralizzato da rigurgiti di intolleranza intrecciati ai vissuti personali. La collera, cattiva consigliera, suggerisce a Bart che, se si può soccombere alla durezza dei fatti (la realtà esterna, così come è avvenuto per zia Amalia), non si può, né si deve invece soccombere davanti alla sovversione dei principi e alla loro manipolazione. La suggestione Orwelliana è ben presente dentro di lui. Ed è questo che tenta di spiegare ad Ernesto quando lo raggiunge fuori: questa la ragione per cui è rimasto paralizzato al tavolo, proprio per non esplodere.
Il ‘gherbino’ (ponentino) romano che accompagna i loro passi fuori dalla Pizzeria, pur galvanizzandoli, li tiene distanti. Ognuno incapsulato nei propri pensieri e che il fantasma del contagio, connesso ad un eventuale e desiderabile abbraccio, inibisce ancor di più.
Ernesto sembra, paradossalmente, essere il più inquieto tant’è che inciampa e starebbe per rovinare a terra se non venisse provvidenzialmente sorretto dall’amico.
Gli ‘sconnessi sanpietrini romani!’.
“Ehi, Bart, ti ricordi di Valle Giulia? Dai! Sì che c’eravamo! E’ stato emozionante, no? Ma poi non avevi scritto un articolo in appoggio alla poesia di Pasolini sui poliziotti e ti avevano trattato come si tratta un cane in Chiesa? Sì, forse stava iniziando una trasformazione generazionale e culturale già da allora! Meno male che io non avevo nessuna tessera e così potei prendere liberamente le tue difese! Ma me ne dissero lo stesso…”
“E tu adesso…?” Ma, vista la faccia cupa dell’amico, Ernesto si trattiene dal proseguire: sarebbe stata una domanda rischiosa o quantomeno inutile.
I cieli romani sono sempre imprevedibili e di punto in bianco si ‘sturbano’. Ora pare che si stia preparando un temporale e bisogna correre subito verso un riparo. Per fortuna l’auto di Ernesto non è molto distante e mentre i goccioloni compiono la loro danza di fine maggio, dentro l’abitacolo i due amici sembrano crollare sopraffatti dai loro pensieri.
Il tipografo sa di aver toccato un nervo scoperto di Bartolomeo: a suo tempo quelle situazioni politiche avevano creato forti discussioni tra loro due ma senza incrinarne la amicizia.
Nel silenzio che ingravida quello spazio ristretto, il lampo accecante che investe la vettura ha una potenzialità disvelatrice che Ernesto coglie al volo: gli appare davanti l’acquaforte n. 43 di Francisco Goya (1797) dal titolo “Il sonno della ragione genera mostri”.
Ma poi c’è un altro lampo dentro di lui che, in modo copernicano, rovescia la vulgata di quel titolo. Ovvero, quando la ‘Ragione’ occupa un posto non suo, è “in sonno” – vale a dire che non rispetta la differenza tra i registri del sogno e quelli dominati dai vincoli della logica -, non solo inibisce ogni forma sognante e creativa ma costringe il reale nella tenaglia assolutista del pensiero unico. Allora sì che si scatenano i mostri, non più controllati da niente e da nessuno. Il ‘Sogno’ (ed effettivamente Goya lo chiamò così) della Ragione di poter controllare tutto fa sì che si produca una aberrazione, in quanto viene millantato come reale – solo perché risponde ai canoni della ‘ragionevolezza’- ciò che invece è molto distante dal reale.
“Non ti sembra, Bart, che sia questo ciò a cui stiamo assistendo oggi? La Ragione deificata, timorosa della libertà individuali, ha cercato di omologare i nostri sogni, li ha vincolati al giogo della maggioranza (è la quantità che fa testo, non la qualità), ed è da questa costrizione che poi si scatenano i deliri?” E, a fare da insano contrappunto, la visceralità ostile ad ogni limite, ad ogni regola…libertà, libertà, libertà”
Come non convenirne…
Un altro lampo illumina quell’angusto spazio. La parola “libertà” attiva in Bartolomeo non solo fascinazioni letterarie sopite, ma anche intuizioni filosofiche svelatesi in tempi non sospetti. Preso dalla felicità per queste reminiscenze vorrebbe uscire dall’auto anche se la pioggia continua a cadere a secchiate. Vorrebbe saltare nelle pozzanghere ma… forse è meglio parlare … anche se ciò è più difficile.
Personalmente provava una idiosincrasia verso i ‘luoghi comuni’, queste ‘ostie consacrate dal mainstream che ti danno la benedizione: ‘evvai’ sul sicuro, sei dei nostri! Quanto gli stava sulle scatole la tanto abusata espressione di Martin Luther King: “La mia libertà finisce dove comincia la vostra”. Non perché non avesse un qualche fondamento, ma solo per l’uso spregiudicato che ne veniva fatto!
In quei cortocircuiti mentali che a volte accadono, veniamo infatti travolti dalla fascinosità dell’effetto che si gioca a partire proprio da una banale ovvietà che va a coprire una sostanza, la quale andrebbe invece indagata più in profondità. Vedi, ad esempio, il concetto di libertà (= fautori della “liberté, fraternité, égalité”, ça va sans dire) che, al pari della ‘democrazia’, sembra essere un ‘pass’ per essere accreditati nel Palazzo dei ‘migliori’ dei “saggi”.
Fuori la pioggia continua a picchiare senza sosta e ciò crea uno scenario surreale di tensione tra i ‘rumori’ esterni e quelli che vengono dal travaglio interno dei due amici.
Bartolomeo si decide a parlare: “Ernesto, ti sembrerà assurdo ciò che sto per dirti, ma, ti prego, ascoltami. Durante le vacanze natalizie dell’anno scorso ero tornato su dai miei, a Vicenza. In quei pochi giorni avevo vissuto non solo l’esperienza di essere quell’“Ospite inquietante” (forse anche per le vicende di zia Amalia), come argomentava F. Nietzsche, ma anche di sperimentare “in vivo” quella domanda da lui formulata ne “La Gaia Scienza”: “Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole?” (F. Nietzsche, La Gaia scienza, Milano, Adelphi, 1988, par. 125). Già. Che cosa avevamo fatto? Da QUALE ‘sole’ dovevamo distoglierci?
Così, chissà per quali imprevedibili associazioni mentali, mi venne in mente il racconto di F. Kafka “Davanti alla Legge”, la passività che contrassegnava il ‘contadino’ il quale, testardamente, rimaneva lì nell’attesa che finalmente i portoni della Legge si aprissero per lui e senza che lui dovesse fare niente.
Incominciarono a frullarmi idee per la testa in merito ad una visione oggi abbastanza generalizzata e cioè quella di poter accampare dei diritti a fronte di Legge e Libertà. Buttai giù uno schema per le prossime lezioni a scuola in cui avrei messo a confronto le intuizioni del filosofo e del letterato. Poi le restrizioni pandemiche modificarono tutto”.
I finestrini dell’auto erano così appannati che fu necessario aprirli anche a costo di far entrare la pioggia.
E la pioggia cadde dentro, incurante del fatto di bagnare tutto. Ma cadde anche un silenzio inquietante, come se ognuno di loro due avesse toccato qualche cosa di significativo, di importante. Ma nello stesso tempo si fosse giocato anche le sue ultime cartucce: pur nella convinzione della giustezza della battaglia, la battaglia era persa.
Infatti a chi avrebbero potuto raccontare che l’eccessivo razionalismo, o un falso “illuminismo scientista” che ‘costruisce’ una realtà fittizia che risponde solo ai criteri della credibilità ma non ha una visione progettuale, genera alla fine mostri? E che la libertà non è un diritto caduto dal cielo ed è inalienabile, bensì è l’esito non solo di una dolorosa conquista ma anche di una scelta altrettanto impegnativa?
E, soprattutto, che la scelta è sempre individuale? Ed è questa individualità che ci spaventa perché dobbiamo rispondere solo a noi stessi? Non abbiamo ‘supporter’!
Nel Racconto di J. Kafka, il ‘contadino’ insiste nel suo volere stare lì, convinto della giustezza del suo presupposto, perché la sua linea guida è agognare alla conoscenza (e chi lo potrebbe contraddire?), e a quel fine sacrifica tutto, immagina che la Legge debba essere lì per lui e che prima o poi la raggiungerà e molto dipenderà dalla benevolenza del Guardiano al quale affida la sua sorte. Ma Albert Einstein diceva: “Follia è ripetere sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”. E invece il ‘contadino’ ripete…ripete… incurante dei cambiamenti che pur è costretto ad osservare.
Come scuotere le menti appiattite da quella corrente dominante che omologa i cervelli portandoli a pensare che solo nella uniformità e disconoscendo i conflitti legati alle differenze il mondo sarà migliore?
Quanta pazienza, quanta fiducia (e speranza), quanto tempo sarà necessario per far vedere che le bisacce del diavolo non contenevano monete sonanti ma solo foglie secche?
20.08.2021
Eccellente e salutare narrazione. Complimenti per verve, misura, scrittura, citazioni e richiamo finale a pazienza fiducia speranza.
Racconto complesso questo di Rita Simonitto, che tocca apparentemente molti temi, non facili, almeno per me, da ricondurre sotto un unico “cappello”, o concetto. Ma questa è probabilmente una di quelle pretese razionaliste che l’autrice, per l’appunto, critica.
Partirei dall’incisione di Goya e dall’interpretazione molto personale (?) di Simonitto (del suo personaggio, veramente, ma mi pare che il protagonista Bartolomeo si possa considerare un portavoce dell’autrice), che va esattamente nella direzione opposta alla vulgata: bersaglio dell’incisione non sarebbe, come finora creduto, l’oscurantismo, ma al contrario il sogno della ragione di “poter controllare tutto”, che “fa sì che si produca una aberrazione, in quanto viene millantato come reale – solo perché risponde ai canoni della ‘ragionevolezza’ – ciò che invece è molto distante dal reale.” Questa interpretazione si basa sull’affermazione che Goya dice proprio ‘sogno’, e non ‘sonno’, come finora creduto. Questo però non è esatto, dato che in spagnolo ‘sueño’ significa sia ‘sogno’ che ‘sonno’, e oltretutto i native speaker spagnoli lo hanno sempre inteso nel senso di ‘sonno’. Ma è chiaro che queste sono pedanterie razionaliste – ed è pur vero che qualsiasi interpretazione, purché minimamente fondata, è legittima. Legittima ma non cogente, semplicemente funzionale al racconto.
Lo stesso vale per l’interpretazione del racconto di Kafka “Davanti alla Legge”, rispetto al quale Simonitto sottolinea “la passività che contrassegnava il ‘contadino’ il quale, testardamente, rimaneva lì nell’attesa che finalmente i portoni della Legge si aprissero per lui e senza che lui dovesse far niente.” Veramente, questa Legge inaccessibile, che solo nell’istante che precede la morte appare come visione abbagliante, viene generalmente intesa in Kafka come l’assurdità, incomprensibilità e totale irrazionalità della Legge a cui siamo ineluttabilmente sottoposti dalla nostra condizione umana, senza che normalmente, fino al momento della morte, ce ne rendiamo conto. Non credo che Kafka avesse in mente che si può fare qualcosa, né si capisce cosa potrebbe fare il contadino, se non andar via o cercare di entrare nonostante il guardiano. E visto il resto della produzione kafkiana non pare che questa seconda possibilità sarebbe coronata da successo. Il punto di Kafka mi pare proprio che non si può fare niente. Ma anche lì, nessuno vieta di interpretare diversamente dall’eventuale intenzione dell’autore – sempre che il testo offra adeguati elementi. L’approccio psicoanalitico all’interpretazione letteraria è stato sdoganato da tempo.
Dunque critica del razionalismo “spinto” (?), che consona con la critica dello scientismo e soprattutto della passività di fronte allo scientismo, colpevole, assieme al politichismo, del lockdown e delle sue spiacevoli conseguenze. Non entrerò nel merito della critica veemente di Simonitto alla comunità scientifica e alle scelte politiche. Non sono nemmeno in grado, come la quasi totalità di coloro che praticano questo sport. Faccio solo modestamente notare che quando uno ha quaranta di febbre o la peritonite normalmente deve rinunciare alla passeggiata all’aria aperta che gli farebbe così bene al morale. E a un certo punto l’Italia del Nord ha avuto la peritonite.
La critica al razionalismo, scientismo e politica Covid è annunciata nel racconto, oltre che dall’insofferenza del protagonista alle misure anti-Covid, dalla critica del “luogo comune”, esemplificata dall’ostracismo ideologico di cui è vittima innocente la zia Amalia. Avremmo quindi, paradossalmente, che la ragione, che all’inizio dei suoi fasti fu applicata proprio a combattere e smantellare il pregiudizio e il luogo comune, si trova alla fine nello stesso riprovevole calderone e addirittura equiparata alle bisacce del diavolo. Subodoro la dialettica ma non capisco bene.
Cosa contrappone però Simonitto agli eccessi di razionalismo, scientismo ecc.? Un rifiuto del luogo comune (in nome di che cosa però a questo punto, se non della ragione?) e soprattutto un’etica della libertà e responsabilità individuali:
“(…) la libertà non è un diritto caduto dal cielo ed è inalienabile, bensì è l’esito non solo di una dolorosa conquista ma anche di una scelta altrettanto impegnativa?
E, soprattutto, che la scelta è sempre individuale? Ed è questa individualità che ci spaventa perché dobbiamo rispondere solo a noi stessi? Non abbiamo ‘supporter’!”
“Come scuotere le menti appiattite da quella corrente dominante che omologa i cervelli portandoli a pensare che solo nella uniformità e disconoscendo i conflitti legati alle differenze il mondo sarà migliore?”
Tutto sottoscrivibile – e lasciamo anche da parte la domanda, pur legittima, di cosa questo dovrebbe significare (o avrebbe dovuto significare) applicato al Covid. Il problema mi pare che la libertà di scelta, se non è puro arbitrio (anche questo è naturalmente teorizzabile) è legata alla conoscenza. Ed è appunto il problema: in che misura, oggi, è possibile una reale conoscenza? Una conoscenza che sia in qualche modo distinta dall’opinione?
«Cosa contrappone però Simonitto agli eccessi di razionalismo, scientismo ecc.? » (Grammann)
Domanda oggi fondamentale, credo, per chi scrive racconta e chi li legge. Non posso rinunciare ad una ennesima SEGNALAZIONE, credo ad hoc:
Sul privilegio
Note critiche su Agamben-Cacciari
di Roberto Finelli e Tania Toffanin
https://www.sinistrainrete.info/filosofia/21029-roberto-finelli-e-tania-toffanin-sul-privilegio.html?fbclid=IwAR1n5nfiWwii53By7QMHZNt3Qbd71IciUZbV9Hnn1eroWlmn0asZwJb0axY
P.s.
Passerò nella piccola storia di Poliscritture come il “segnalatore folle”? Può darsi, ma credo che il saggio, collegandosi all’acceso dibattito scaturito dalla presa di posizione del duo sunnominato sul sito dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (A proposito del decreto sul “green pass”, 26 luglio 2021), possa aiutare ad inquadrare e a valutare meglio il racconto di Rita e i vari commenti in tutte le loro implicazioni.
Finelli-Toffanin sparano col cannone su poche righe, meno di una paginetta, che mettono in guardia dal *rendere obbligatorio per legge* il green pass, in quanto diventa 1. comunque discriminatorio; 2. elude le questioni di sostanza: che il vaccino non è sperimentato sul lungo periodo e non evita ulteriori infezioni. Osservazioni banali e indiscutibili. Si veda la polemica di Landini sul GP da esibire in mensa ma non nel luogo di lavoro, infatti pare che si andrà alla vaccinazione obbligatoria, non si può trampoleggiare troppo a lungo.
Altro che Heidegger, essere esserci, inizio che può non iniziare, ecc.
p.s. parlo da vaccinata.
dissento: nella sostanza il vaccino è sperimentato abbastanza sul lungo periodo (e oggi lo Pfizer ha ottenuto l’approvazione definitiva), in quanto il numero di soggetti sottoposti è tanto alto (milioni) da aver fatto emergere quasi ogni possibile effetto collaterale; evita ulteriori infezioni nella percentuale di 8/milione in assunzione a 1/milione in trasmissione, meno (50%) colla variante delta. Al solito prima di parlare occorre guardare e citare dati ed esperimenti. E questo vale per tutti, anche Governo a Landini, dato che viviamo in un clima di garrula, disinvolta e tossica loquela. (ma qualcuno si chiede l’origine di tutta questa diffidenza sui vaccini??? quando ogni giorno compriamo disinvolti medicinali comprovatamente tossici come aspirina e antibiotici?)
-la vaccinazione obbligatoria nei casi a rischio, siano operatori medici od operai o turisti è semplice ed obbligatoria prudenza; e la libertà c’entra come i cavoli a merenda (v. cintura di sicurezza in auto e simili).
Scientismo? Troppo spesso usato per criticare la scienza tout court. Certo ci sono quelli che invocano la scienza a vanvera o come scure contro gli infedeli, ma ricordiamo sempre che la scienza è semplicemente il modo migliore che abbiamo per conoscere. Anche fatta da uno stregone in Amazzonia, purchè controllabile e ripetibile. (pensiamo che recentemente si sono riscoperti i ‘funghetti magici’ come cura più efficace contro la depressione). Mentre tutti i discorsi senza dati cui assistiamo sui social non servono neppure a far vento.
Il mondo è ancora più ricco delle nostre filosofie, e la sua complessità-e quella della nostra mente- assai maggiore delle nostre rappresentazioni.
Ma il problema in tutti i casi pratici si riduce a una sola domanda: di chi/cosa dobbiamo fidarci?
La paginetta di A&C punta a non rendere obbligatorio per legge il green pass. Punto. Perché isola alcuni da tutti gli altri.
Le considerazioni sul vaccino vogliono solo mostrare che non è la pozione magica onnisolutiva.
Sono banalità ma mi chiedo perché abbiano sollevato una canea generale tirando dentro di tutto. Le tue difese del vaccino per esempio. I due si dichiarano vaccinati e non ne discutono l’utilità. Mah!
la banalizzazione del discorso di A/C non funziona, sfuma i problemi e li rende indistinti. La posizione sul vaccino è sbagliata perchè usa dati non veri (in modo generico il che peggiora l’ambiguità); anche sul bollino verde è impreciso, dato che non si parla di obbligo generale ma solo per chi è a rischio. Essere precisi in questo caso è tutta la differenza, perchè è nelle pieghe dell’imprecisione che si annidano le paure per la Libertà, l’Integrità…che altrimenti non avrebbero solida ragion d’essere.
E intervengo perchè se leggo i vari giornali e commenti questo è un virus abbastanza diffuso e che si riproduce in fretta, anche nei posti più impensati (come in altro campo nell’articolo su Polis di EP);
e mi scuso se esco dal tema della Simonitto.
E’ ben vero che non ho letto Dell’Inizio di Cacciari, ma sto terminando Labirinto filosofico, Adelphi, 2014. Ora le frasi che riporterò, dal testo di Finelli-Toffanin, dal tono concludente sui presupposti filosofici di C. e cioè “che in realtà possa veramente intendere il suo discorso solo colui che si colloca nella nobiltà dell’Altrove”, sono vistosamente contraddicibili.
“Come tutti i neoparmenidei contemporanei, Cacciari si è mostrato dunque per nulla avvertito dalla lunga tradizione di filosofia critica la quale nella modernità ha insegnato che parlare in questo modo di Essere e Nulla significa – come avrebbero detto maestri come Adorno, Wittgenstein e il nostro Guido Calogero – cadere nell’errore di sostantificare parole, piombare cioè nella trappola di prendere parole per cose, ossia di prendere lucciole per lanterne.”
(proprio uno stupido quell’uomo, per nulla avvertito, prende parole per cose, come fossero lanterne e non lucciole)
“Giungendo a teorizzare, anche qui in modo pressocchè analogo a quello di Agamben, che l’Essere dell’Inizio non deve essere costretto ad entrare in rapporto con la cosiddetta realtà concreta – non deve essere gravato dalla questione della creazione del mondo – perché, nella sua assoluta indifferenza rispetto al mondo, deve implicare anche la possibilità di non-essere: di essere cioè perfettamente libero di essere potenza-di-essere che si traduce nell’esistenza, così come di essere potenza di non-essere che rimane nel
Nulla e non passa nell’esistenza.
Tanto che Cacciari, recuperando la radicalizzazione teologica dell’ultimo Schelling, ci può dire che ‘l’Inizio, come puramente Com-possibile, contiene in sé ogni possibile, fino alla propria stessa im-possibilità’. Ed appunto proprio in questo campo originariamente infinito di possibilità come Inizio di ogni inizio si iscrive l’autenticità della vita di ognuno come «decisione» e libera affermazione di sé.”
Concludendo perciò che dalla posizione privilegiata di Altrove e di Fuori “i due intellettuali pretendono di parlare di patologie umane e cose terrene, ignari della distanza che separa il pianeta terra dalle loro costellazioni ontologiche. ”
Ignari della distanza! Ma chi gli ha dato la patente per insegnare?
Riporto ora, a proposito della “potenza di non-essere che rimane nel Nulla e non passa all’esistenza” un brano di Cacciari che scaccia proprio quella alternativa non dialettica tra Essere e non essere (altro che privilegio di parlare da un Altrove e Fuori!).
“definire l’ente come dynamis ne fa segno più potentemente di ogni altra parola; l’ente in quanto potere-possibile è immagine del Potere che tiene in sè originariamente potenza e atto. La definizione dell’ente come dynamis rimanda a tale potere, che si rivela essere quello stesso di Physis.”
Physis, Thauma, Natura, Meraviglia, resa del filosofo a ciò che è. Anzi all’essere che era. Certo,che qui l’Inizio è avvenuto.
Se mi ettessi a leggere Dell’Inizio, andrei a verificare se quella potenza di essere che è anche potenza di non-essere riguarda il piano logico o ontologico.
Del testo di Finelli e Toffanin a me interessano soprattutto questi passi e su di essi mi sentirei di discutere:
1.
L’equiparazione di alcuni dispositivi di controllo della popolazione utilizzati in epoche passate con quelli utilizzati dopo lo scoppio della pandemia è solo funzionale, crediamo, a preordinare il discorso anticipando le conclusioni: “stiamo preparandoci a un regime” (Cacciari) nel quale “la tessera verde costituisce coloro che ne sono privi in portatori di una stella gialla virtuale” (Agamben).
2.
Le questioni essenziali sono altre e hanno tutte a che vedere con la materialità dei processi in atto. Si sostiene, ad esempio, con forza il diritto all’autodeterminazione sanitaria ma non si evidenzia con pari vigore che questo diritto può essere esercitato solo perché è data la possibilità di scegliere tra il ricorso alla vaccinazione o alle cure e il non ricorso ad esse. Serve forse ricordare che il prolungamento delle restrizioni alla mobilità è stato necessario a causa della rapida saturazione delle terapie intensive, prodotta da anni di mancati investimenti in nome del contenimento della spesa pubblica.
3.
I numeri del sistema sanitario italiano appartengono alla categoria dei fatti. E su questi serve muovere critiche incisive e circostanziate ed un’azione rivendicativa. Finora a nostro avviso entrambe sono state ancora molto modeste e quindi del tutto inadeguate a rivendicare quelle risposte ai bisogni fondamentali di tutti e tutte noi in fase pandemica e fuori dalla pandemia. E’ fondamentale infatti avere contezza dello stato del sistema sanitario, dall’organizzazione delle strutture ospedaliere, in primis della capienza e della dotazione delle terapie intensive, ma anche della medicina di base, e comprendere come la malattia lo abbia intaccato.
4.
C’è una questione che negli scritti di Agamben e Cacciari è continuamente e volutamente elusa. Chi può esercitare il diritto di non sottostare al piano vaccinale e in quali condizioni può farlo?
A noi sembra che l’approccio dei due riproduca quell’eurocentrismo tanto debole quanto inservibile per spiegare la complessità attuale ma anche a proporre soluzioni capaci davvero di non discriminare e non creare nuove divisioni tra coloro, ad esempio, che possono utilizzare servizi sanitari qualificati e in tempi celeri e coloro che devono accontentarsi della disponibilità contingente con lunghi tempi di attesa.
Dove sta l’eurocentrismo di Agamben e Cacciari? E’ tutto espresso nell’attacco a quella che considerano essere una forma di stigmatizzazione via legis. Non sono forse altre le forme fattuali della discriminazione nel nostro paese (e non solo)? Classe, genere e razza sono categorie superate forse nelle riflessioni che hanno a che vedere con norme e pratiche discriminatorie? In quali termini la pandemia sta intaccando la popolazione sulla base di un’analisi di classe, di genere e di razza? Ce lo vogliamo chiedere o pensiamo davvero che la pandemia, come tutte le patologie, agisca su tutte e tutti allo stesso modo? O forse la discriminazione espressa da Agamben e Cacciari vale solo per maschi, adulti, bianchi e di classe agiata?! Ancora: la pratica discriminatoria secondo i due inflitta dallo Stato all’individuo come si pone di fronte all’interesse collettivo? Chi sarebbero dunque quei “tutti (che) sono minacciati da pratiche discriminatorie” richiamati nelle poche righe apparse nel sito dell’Istituto italiano per gli studi filosofici?
Non c’è richiamo alla collettività negli scritti di Agamben e Cacciari. Il perno delle loro invettive è l’individuo e l’attacco all’autodeterminazione individuale.
5.
Il loro discorso rispecchia la schizzinosità di una classe agiata abituata al benessere, assicurato da uno stato sociale che, nonostante i ripetuti attacchi, ha garantito la copertura universalistica del diritto alla salute.
La questione è che gli argomenti sui fatti, la politica sanitaria degli ultimi decenni, le differenze classiste di accesso alla salute, e il resto, sono volutamente ancorati (e per me la cosa ha molto senso) a una analisi filosofica. A quella ho fatto le pulci, tra l’altro sottolineando la leggerezza con cui si dà dei superficiali e non informati -filosoficamente- a importanti professori di oggi da una vita.
Capirei piuttosto una denuncia di presupposti ideologici nella loro filosofia, ma non la accusa di pasticciare filosoficamente.
“E, soprattutto, che la scelta è sempre individuale? Ed è questa individualità che ci spaventa…”, che bel richiamo, alla responsabilità (che è individuale), alle scelte, al fondamento della decisione (che non si può caricare ad altri) “… perché dobbiamo rispondere solo a noi stessi”! Libertà è, insieme, anche, responsabilità.
Ma… dato che: “Non abbiamo ‘supporter’!”. Tra virgolette. Se si intende che sia dio, o qualunque facente funzioni, benevola come la madre, o autorevole-autoritario, il supporter sta tra virgolette perchè alla fine sempre all’io si torna.
Oppure se ne teme la mancanza? Si sostituiscono altri supporter più forti e autorevoli, paterni e materni insieme, la ragione, la scienza, i governanti fidati (come in Israele, dove tutti vanno a vaccinarsi in lietezza).
Ecco: anche le crescenti lodi (sovraniste, populiste, papaline, governative) al senso comunitario, alla fratellanza consapevole (e virile), non hanno forse un risvolto che tenderebbe ad appiattire le differenze?
Quelle che ha sofferto la zia ballerina e innamorata sulla sua pelle.
Quel timore di fondo percorre l’incontro dei due vecchi amici, che si scambiano idee con pathos e rispetto (“Ernesto, ti sembrerà assurdo ciò che sto per dirti, ma, ti prego, ascoltami”, “Ernesto si trattiene dal proseguire: sarebbe stata una domanda rischiosa o quantomeno inutile”), non dimenticando di essere stati, fin dai giovani anni, critici verso un sentire comune che passava allora per critico del sentire comune degli altri.
Ma anche, i due vecchi amici, consapevoli della fragilità della scelta che “è sempre individuale”, pur senza dismettere il dubbio critico verso qualunque assunzione generale: “cadde anche un silenzio inquietante, come se ognuno di loro due avesse toccato qualche cosa di significativo, di importante. Ma nello stesso tempo si fosse giocato anche le sue ultime cartucce: pur nella convinzione della giustezza della battaglia, la battaglia era persa.”
Riprendo (simpatizzando) l’analisi storica che Alessandro Visalli ha fatto sulla sua pagina FB della attuale gestione della pandemia (qui: https://www.facebook.com/alessandro.visalli.9/posts/10219330361066273 ), che mi pare in sintonia con le considerazioni pratico-politiche del testo di Finelli e Toffanin da me linkato.
Il suo articolo è molto lungo ma ben articolato. E interessanti ( e indicativi delle lacerazioni nei modi di pensare di fronte a una gestione governativa come minimo “traballante” della pandemia) sono anche i commenti.
(Posso copiare l’intero articolo a chi – non potendo accedere alla sua pagina FB – me lo richiederà a: poliscritture@gmail. com)
Stralcio:
Questa filiera logica conduce al dominio delle posizioni libertarie (e complottiste) nella mobilitazione. La quale non si attiva sulla carenza del servizio pubblico e la ristrutturazione del sistema economico (che rende tanti, ed in particolare giovani, in condizioni di debolezza tale da non poter sopportare due o tre mesi di arresto di attività) e dei vincoli finanziari (che impediscono il supporto che in Cina è stato garantito dal primo giorno).
– (nel pubblico, si intende, ben meritata). (perché questa è sempre, nella sua più intima essenza sociale) e immaginandosi come ‘ribelli’ che combattono lo Stato (il quale non fa nulla di diverso da quel che deve fare).
Bensì si attiva intorno a parole d’ordine coerenti con il sottostante senso comune sedimentato in questi ultimi decenni:
–
A questo senso comune si trovano uniti sul piano sociologico:
– marginali (resi tali dall’organizzazione economica),
– fortemente abbienti (spesso in posizione di imprenditori e/o di rentier che non vogliono sopportare limitazioni).
Sul piano culturale:
– liberisti conseguenti,
– libertari di destra e sinistra.
——
Chiarisco:
1) allo stato il GP è un dispositivo di distrazione a bassa efficacia e non sicura necessità (ma la distrazione è andata perfettamente a segno anche a causa della reazione), ma in linea di principio la circostanza che chi non si vaccina (e non dimostra in altro modo di non essere portatore del virus) possa essere oggetto di qualche precauzione non è sbagliato.
2) Mentre il Fatto 1 è sostanzialmente vero, il Fatto 2 e 3, in diversa misura, non sono correttamente espressi. In questa forma lavorano con una logica binaria troppo semplificata. E’ illogico, oltre che non sufficientemente dimostrato, che chi è vaccinato ed ha avuto una normale reazione contagi nello stesso modo (ci sono parecchi studi i quali mostrano che il virus fatica a replicarsi e resta nelle vie superiori, la carica è inferiore e decade da 5 a 10 volte più velocemente, dunque nel complesso contagia molto di meno). I giovani e molto giovani potrebbero essere esposti alle contrindicazioni di lungo periodo, anche gravi.
3) Naturalmente ciò non implica che tutte le misure siano logiche ed appropriate (non lo sono mai, in quanto esito di una logica ibrida come quella politica). Non mi sembrano necessarie le mascherine per i professori vaccinati, è grave la costruzione di una simbolica e di una separazione tra ‘puri’ ed ‘impuri’ che va combattuta aspramente.
4) E’ evidente che la decisione di vaccinare è una scelta dalla potente funzione mistica, esibisce i simboli della competenza, distingue tra buoni e cattivi (o tra puri ed impuri), e che divide. Ma soprattutto che unisce. Ovvero funge da dispositivo di potere e creazione di coesione indicando un nemico interno sul quale concentrare il male. Si tratta di un dispositivo tipico del politico.
5) Dunque il vaccino è un dispositivo tecnico efficace, necessario, compatibile con le nostre ‘libertà’ (anzi volte a salvaguardale nella misura del possibile), ma ANCHE un regolatore sociale e un produttore di potere.
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6) Come si reagisce? Non urlando
Svolgendo una critica razionale, ordinata, non reattiva (rispondendo dichiarando ‘impuro’ quel che altri chiamano ‘puro’ e viceversa), e cercando di mettere il potere di fronte alle proprie reali contraddizioni che sono:
– la mancanza di investimenti strutturali,
– la conservazione di aree di privilegio intoccabili come le imprese,
– il rifiuto di riorganizzare la produzione e riproduzione sociale per rendere più capace il mondo di affrontare le crisi, non solo sanitarie.
a) Grazie innanzitutto al commento di Subhaga: sentire stimolato il proprio narcisismo fa sempre piacere. Ma è un narcisismo particolare che si basa su una ‘condivisione ludica’. Mi piace il fatto che Subhaga abbia colto la ‘verve’ nel tentativo di rappresentare un vissuto drammatico con uno stile scorrevole, aiutato anche dall’intercalare dialettale romanesco che permette di sorridere oltre che di far riflettere. D’altronde allo Jovinelli si esibì uno dei nostri più grandi comici, Ettore Petrolini che, con il suo grandioso “Nerone”, ci fece molto divertire ma, per chi volle, anche pensare, fare dei collegamenti che, a tutt’oggi, ci permettono di aprire gli occhi su molte cose.
b) Un grazie anche a Elena per le sue osservazioni che hanno alimentato un narcisismo di tipo diverso, vale a dire quello del piacere del confronto: Aristotele diceva che l’essere umano è politico in quanto mediante i “logoi”, i ragionamenti e le discussioni, si può trovare un terreno di scambio proficuo.
Anch’io partirei da quello stesso “cappello” che ha individuato Elena, la incisione di Goya del 1797. La mia lettura era legata sia alla metabolizzazione di alcuni dibattiti in ambito psicoanalitico sul rischio (e il significato) delle ipostatizzazioni, e sia il mio aver colto il messaggio della poesia di R. Frost, “La strada non presa”: per cui ho preferito scegliere quella ‘meno battuta’ al posto dell’altra più frequentata. Ma il mio intento, qui, non era quello di dare spazio al pensiero psicoanalitico (scrive Elena: “L’approccio psicoanalitico all’interpretazione letteraria è stato sdoganato da tempo”), quanto stimolare l’osservazione a partire da un’altra prospettiva in modo da evitare sia gli scogli di Scilla (il fascino dell’assolutismo) sia i gorghi di Cariddi (il relativismo spinto), sottraendoci al loro fascino.
Pertanto, non solo l’interpretazione della litografia di Goya poteva ricondursi ad un attacco contro l’oscurantismo ma, nello stesso tempo, si poteva contemplare anche un altro aspetto: il “sogno” della Ragione di diventare (in modo giacobino?) il motore dell’Universo non poteva che creare mostri. Non dimentichiamo che l’opera dell’artista apparteneva alla serie dei “Capricci”, ovvero ‘scherzi’ connessi all’uso dell’immaginazione, della fantasia. E, poiché, spesse volte il vero artista “vede prima”, chissà che non intravedesse e mostrasse – attraverso le sue caricature grottesche che svelavano le ipocrisie – anche quelle che si sarebbero ripetute da lì in poi. Senza dubbio queste mie possono essere mere ipotesi. Pur tuttavia penso che certi sviluppi storici sorretti dalla bandiera della ‘Dea Ragione’ non fossero molto graditi a Goya. Ma, ovviamente, il compito dell’artista non dovrebbe essere quello di indottrinare bensì di aprire un’altra prospettiva: che possa essere più o meno proficua… si vedrà.
Elena si chiede: “La critica al razionalismo, scientismo e politica Covid è annunciata nel racconto, oltre che dall’insofferenza del protagonista alle misure anti-Covid, dalla critica del “luogo comune”, esemplificata dall’ostracismo ideologico di cui è vittima innocente la zia Amalia. Avremmo quindi, paradossalmente, che la ragione, che all’inizio dei suoi fasti fu applicata proprio a combattere e smantellare il pregiudizio e il luogo comune, si trova alla fine nello stesso riprovevole calderone e addirittura equiparata alle bisacce del diavolo”.
Sì, è così. Si tratta dei paradossi della Storia quando uno ‘strumento’, un ‘mezzo’ diventano feticci. Così abbiamo a che fare con persone “più realiste del Re”, rivoluzionari che, per difendere la rivoluzione, diventano conservatori o, peggio, reazionari, ecc. ecc.
Certo, c’è sempre il problema del ‘tradimento’ dell’interpretazione letteraria. Scrive Elena, a proposito del racconto “Il contadino e la Legge”: “non credo che Kafka avesse in mente che si può fare qualche cosa”. E, in effetti, tenendo conto della produzione di Kafka, nemmeno io lo credo. Il fatto è che lui ci affida un personaggio, proiezione dell’autore, senza dubbio. Il quale personaggio però non è lui, nel senso che non può rappresentare la totalità di J. Kafka. Inoltre i personaggi, come Pirandello ci insegna, tendono anche a liberarsi dal loro autore, a voler avere una vita propria … Per questo è possibile fare ipotesi sui personaggi ‘sganciandoci’ in parte dall’autore.
Le ipotesi, sempre soggettive, differiscono però dalle “opinioni”, soggettive anch’esse. Le ipotesi attendono il confronto con il reale mentre le opinioni esprimono già un ‘criterio’ di lettura del reale e pertanto rischiano di trasformarsi in ‘convinzioni’ – morali, politiche, religiose – e perciò non sottoposte al dubbio e al confronto. Elena si chiede: “In che modo una conoscenza si distingue dall’opinione?”. La conoscenza non è un risultato definito una volta per tutte bensì un processo che deve innanzitutto delimitare l’ambito nel quale la processazione si farà in quanto ogni ambito ha le sue specificità e i suoi strumenti: quello scientifico e quello artistico. Nel mentre la scienza ‘dimostra’, l’arte invece ‘mostra’ (ovviamente con i limiti legati alla variabilità delle interpretazioni che sono soggettive, qualitative e non quantitative).
c) Un ringraziamento a Ennio, il “segnalatore folle” (così lui si autodefinisce), il quale, avendo aperto alla discussione non una finestra ma una intera vetrata di palazzo coinvolgendo anche altri commentatori (Paolo Di Marco e Cristiana Fischer, che pur ringrazio), pur tuttavia ha concentrato il focus su un aspetto non centrale nell’economia del mio scritto. Non era nelle mie intenzioni esprimere una “critica veemente alla comunità scientifica e alle scelte politiche”, come commenta Elena Grammann – altrimenti avrei scritto un saggio caratterizzato da dimostrazioni quantitative, verificabili o confutabili, oppure un articolo da ‘opinionista’-, ma soltanto ‘descrivere’ o ‘mettere in forma’ un pensiero legato al disagio, fornire una serie di osservazioni. Comunque raccolgo quanto afferma Paolo di Marco: “ma ricordiamo sempre che la scienza è semplicemente il modo migliore che abbiamo per conoscere”. Certamente, ma è un ‘modo’ o uno ‘strumento’, se vogliamo, per cercare di capire e operare delle trasformazioni. E se sappiamo che la medicina (idem la psicoanalisi) non è una scienza esatta – e pertanto i suoi dati sono facilmente manipolabili perché no, anche dalla politica – gli studiosi non dovrebbero lanciarsi in affermazioni apodittiche che verranno modificate non da prove scientifiche bensì dalla oscillazione dei vari movimenti popolari.
Se il Dott. Rasi, ex direttore dell’EMA (dopo le costanti pressioni legate all’osservazione che il vaccino non protegge né dalla possibilità di infettare né da quella di essere infettati) afferma che però ci difende dal virus, dalla sua aggressività anche mortale, mi sta bene (fra l’altro verrebbe sottolineato il beneficio individuale e non più ‘sociale’, ovvero quello di proteggere gli altri). Però vuole strafare quando afferma che il nostro compito è appunto quello di sconfiggere questo nemico, il virus. Ma la natura del virus è quella di ‘virusare’, di trasformarsi sempre, e pertanto dovremo adattarci a quelle trasformazioni, studiarle senza scatenare i nostri deliri onnipotenti di ‘sconfiggere il male’.
d) In particolare ringrazio Cristiana per l’aver colto due aspetti:
1) l’importanza data alla ‘scelta’ la quale ‘deve’ (o dovrebbe) essere individuale, altrimenti non ci si responsabilizza mai rispetto agli errori che invece vengono ascritti a qualcun altro. A quanto pare, purtroppo, sembra essere questo lo sport attuale preferito.
2) la parte dolente ma non nihilista di questo racconto: “Quel timore di fondo percorre l’incontro dei due vecchi amici, che si scambiano idee con pathos e rispetto”. Infatti i due amici cercano di confrontarsi come ‘soggetti pensanti’ e non come ‘soggetti ideologizzati’ che non possono mettere in discussione le loro esperienze passate.
e) Ringrazio anche Paolo per la sua notazione: “Essere precisi in questo caso è tutta la differenza, perchè è nelle pieghe dell’imprecisione che si annidano le paure per la Libertà, l’Integrità…che altrimenti non avrebbero solida ragion d’essere”. Più che alla ‘precisione’ mi richiamerei al rispetto della chiarezza onde evitare, nei limiti del possibile, le connaturate ambiguità del linguaggio.
Una ambiguità che invece sembra attraversare le modalità di funzionamento del Governo che cerca il consenso (mai come oggi assistiamo ad una esplosione di ‘sondaggi’ sulle preferenze!) o la benevolenza. E ciò non può che richiamarmi a Kant quando, nel 1784, scriveva: “Un governo fondato sul principio della benevolenza verso il popolo, come il governo di un padre verso i figli, cioè un governo paternalistico in cui i sudditi, come figli minorenni che non possono distinguere ciò che è loro utile o dannoso… è il peggior dispotismo che si possa immaginare”
NOTA
La precisazione di Elena è più che pertinente quando segnala che il termine sueño viene usato indistintamente per significare sia sonno che sogno ma che la strada scelta fu, nella indeterminatezza, di previlegiare la ‘vulgata’ più corrente, ovvero ‘sonno’.
Segnalo che anche nella Lingua friulana si usa indistintamente il termine ‘sium’ per significare sia il sonno che il sogno. Con una particolarità che riguarda l’introduzione dell’articolo nel parlato di alcune fasce montane e/o rurali per cui ‘el sium’ sarebbe ‘il sogno’, il contenuto, se così lo vogliamo chiamare, mentre, nella parlata gergale appunto, c’è ‘la sium’ per indicare, al femminile, il sonno, il contenitore, quasi una pancia che permette al ‘sium’ di manifestarsi.
29.08.2021
Aiuto!!! Io ho troppo pochi assoni in testa per riuscire a seguire la complessità di pensiero di Elena Gramman che slittando da un termine all’altro mi fa capire che scienza è sinonimo di scientismo così come razionalità è sinonimo di razionalismo. Io fino ad ora avevo creduto che fossero dei concetti completamente diversi. Ma deve essere perché, da incolta, ritenevo che a termini diversi corrispondessero significato diversi. Invece anche Paolo di Marco mi ha fatto capire che vaccinazione e green pass sono sostanzialmente la stessa cosa. Pensare che io, da sempliciotta, credevo che il vaccino fosse uno strumento sanitario e il green pass fosse uno strumento politico. Anzi, avevo paura che, poiché buona parte dei vaccinati possono comunque trasmettere il virus, il green pass desse assieme a loro anche al virus una maggiore facilità di circolazione, vuoi perchè favorisce un (non -) uso più disinvolto della mascherina, vuoi perché i portatori-vaccinati hanno meno sintomi che segnalino il contagio, vuoi perché possono sostano nei luoghi al chiuso. Mi rendo conto di avere sbagliato tutto.
Quanto a chi obbliga chi, devo ammettere che mi son sentita europeista quando mi sono accorta che il Regolamento Europeo 953/2021 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 14 giugno 2021 dichiarava che “ E’ necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate perché … hanno scelto di non essere vaccinate”. Mi sono sentita europeista perché nella versione italiana della Gazzetta Ufficiale europea era sparita (omessa? dimenticata?censurata?) proprio la frase riferita a coloro che “hanno scelto di non essere vaccinate”. Ma capisco che è un atteggiamento screditato alla Cacciari. Io, nazionalisticamente, devo allinearmi con chi condanna la libertà di scelta.
Mi scuso per essere intervenuta senza invito in questo salotto.
In realtà volevo solo dire che il racconto di Rita Simonitto mi è piaciuto per la delicatezza con cui si approccia a sentimenti complessi, per averci ricordato quanto sia amaro e imbarazzante ritrovarsi vicini ad amici dai quali siamo separati dal fiume dei vissuti.
Poi mi sono lasciata prendere la mano. E’ questo un periodo che sento troppe certezze da parte di chi si richiama alla scienza. Credevo che le certezze appartenessero alle religioni ed alle ideologie, non alla scienza, che è ricerca continua. Io da parte mia ho tanti dubbi, sopratutto sull’abbraccio soffocante del pensiero unico.
Maria Zorino
Dimenticavo,
anche scienza e scientismo per me non sono sinonimi, ma non mi ricordo chi devo citare per potermi aggrappare all’ipse dixit (si dice così, vero, tra persone colte …. da frenesia da linciaggio)
Buona continuazione
Maria Zorino
«da incolta…da sempliciotta…Mi scuso per essere intervenuta senza invito in questo salotto…In realtà volevo solo dire che…ma non mi ricordo chi devo citare per potermi aggrappare all’ipse dixit (si dice così, vero, tra persone colte» (Zorino)
Ma perché tanto spreco di falsa modestia per dire che non è d’accordo con Tizia o Caio? Si tranquillizzi: qui il bello è che non siamo mai d’accordo e cerchiamo di capire il perché.
Si chiama “ironia”. E’ stato un moto spontaneo dell’animo a fronte di tanti Soloni, di tante certezze e di (co)tanto concordante disaccordo.
Ma è ben vero che fra tante persone colte mi sono sentita quella che l’unica cosa che sa è di non sapere.
Maria Zorino
Voglio dirti, Maria Zonino, perché metterti tanto in prima persona? Con varie aggiunte. Porta la tua posizione all’incontro con altri che sono come te. Scusa la “sgridata”, ma non sentirti fuori, non lo sei.
Ringrazio Maria Zorino perché, al pari di Subhaga e di Cristiana, ha cercato di mettersi in contatto con lo spirito del racconto raccogliendone un’altra sfumatura: “quanto sia amaro e imbarazzante ritrovarsi vicini ad amici dai quali siamo separati dal fiume dei vissuti”.
Sì, è imbarazzante scoprire ad una certa età quello ‘svelamento’ che aveva in parte tenuto lontane le persone solo perché ideologicamente orientate in modo diverso. Ma era l’ideologia a separare: se rimangono integre alcune capacità personali (la disponibilità al contraddittorio, la curiosità, il dubbio), lo ‘svelamento’, per quanto doloroso, non equivale alla disillusione. E quindi si può pensare ad andare avanti, “Semprechè la realtà lo permetta”.
Ringrazio Maria anche perché ha saputo esprimere meglio di me la differenza fra il dispositivo sanitario (l’invito a vaccinarsi) e il dispositivo politico (l’obbligo del green pass).
Non capisco invece l’intervento di Ennio, e me ne stupisco. Perché dovrebbe sapere che è proprio la persona di cultura che utilizza l’artificio retorico della ‘stoltezza’ al fine di mostrare certe contraddizioni dell’interlocutore ma senza entrare a piedi pari nell’agone polemico.
Anche il ‘mostrare’ dovrebbe essere utile a capire certi ‘perché’.
… già: tra il ‘mostrare’… e l’arrabbiarsi: quindi il parteggiare, quindi lo stare in posizione precaria o in sicurezza, quindi prescindere o impegnarsi, quindi appartarsi o confluire; la morale suppongo si svolga anche in rapporto a raggruppamenti, dove le ipotesi personali … se non affogano stentano ad affiorare. Vecchia storia di noi nati dal mare.
“Ringrazio Maria anche perché ha saputo esprimere meglio di me la differenza fra il dispositivo sanitario (l’invito a vaccinarsi) e il dispositivo politico (l’obbligo del green pass). Non capisco invece l’intervento di Ennio, e me ne stupisco. Perché dovrebbe sapere che è proprio la persona di cultura che utilizza l’artificio retorico della ‘stoltezza’ al fine di mostrare certe contraddizioni dell’interlocutore ma senza entrare a piedi pari nell’agone polemico. Anche il ‘mostrare’ dovrebbe essere utile a capire certi ‘perché’.” (Simonitto)
A me è parso che Maria Zorino enfatizzasse la differenza tra se stessa e i ” tanti Soloni” nei modi tipici e sarcasticamente ambivalenti della storia di sinistra da cui proveniamo [1] e ho voluto “tranquillizzarla”.
Non la conosco e però sono quasi certo che non è così “incolta” e “sempliciotta” come dice di essere.
Inoltre mi pare evidente che sulla questione del vaccinarsi e del Green pass ormai ci siamo/ci hanno divisi: vaccinati (più o meno convinti) e non vaccinati (più o meno convinti). E, dunque, questa divisione pesa. Anche quando non prendiamo le posizioni più estreme e fanatiche dei due “partiti” che si fronteggiano. Anche quando non entriamo “a piedi pari nell’agone polemico”.
E nella divisione in atto la cultura non c’entra o c’entra fino ad un certo punto. Perché i “colti” stanno in entrambi gli schieramenti. Ad es. condivido quanto ho appena letto su una pagina FB: “Il novello no-vax più attivo e capace di orientare l’opinione pubblica, ma anche di distorcere l’informazione scientifica sui temi, è un individuo al di sopra di ogni sospetto. Tendenzialmente è un uomo, di età compresa tra i 35 ed il 49 anni, con un buon livello di istruzione – la maggior parte sono riusciti ad ottenere un diploma, ma in molti hanno una laurea – e con un reddito superiore alla media nazionale. I motivi alla base dell’approccio antiscientifico non c’è più la contrapposizione tra ignoranza e conoscenza”.
Forse c’entra di più, invece, una tendenziale contrapposizione nella società che comunque non riesce a chiarirsi in progetto politico adeguato, perché il mutamento che stiamo vivendo è ancora poco decifrabile. E, perciò, sulle tante questioni particolari abbiamo schieramenti contrapposti: ad es., sull’immigrazione o ora i profughi dall’Afghanistan) “cattivisti” e i “buonisti”; sulla pandemia vaccinisti e no-vax. E ci fronteggiamo senza riuscire né a prevalere né a convincere.
[1]
Ai vecchi tempi, come ricordava Fortini in un articolo su “Disobbedienze”, nelle assemblee c’era sempre qualcuno che si alzava e all’oratore “colto” ingiungeva :«Parla più semplice sono un operaio, non ho studiato, io». Ma spesso, a lamentare l’incomprensibilità degli «studiati» (o degli “intellettuali”) erano proprio gli «studiati».
Rita, Cristiana, Ennio, tante facce dell’accoglienza.
Ha un sapore del tutto diverso il confrontarsi – non importa se scherzoso o belluino- condividendo un’utopia oppure un ricordo, come accade nel racconto di Rita.
Rimane, tuttavia, quando anche le idee diventano riflessi condizionati di un certificato di esistenza, l’umano stringersi assieme, in bilico tra il rifugiarsi nell’abbraccio e il desiderio di provarci di nuovo … a passare dal sonno dei dormienti di Eraclito al sogno di una utopia ( anche se – questa volta – negativa).
Maria Zorino
Visto che la discussione su vaccinazione e Green Pass è partita in questa sede ( in parte impropria), aggiungo qui un interessante scambio appena letto su FB.
Mi spiace Cristiana, resto in sintonia con Finelli e Toffanin e, ora che leggo di più, con Alessandro Visalli. Certo, i timori e gli allarmi di Cacciari e Agamben non sono del tutto campati in aria, ma essi stanno “in aria” rispetto alle considerazioni più realistiche di Finelli, Toffanin e Visalli.
AL VOLO DA UNA PAGINA FB
Alessandro Visalli. E dunque comprendere perché il nostro tempo, storico e culturale, si sia connotato, sempre più, per una moltiplicazione e ipertrofia dei diritti individuali del singolo, di contro ai diritti comuni e sociali”. richiamati nelle poche righe apparse nel sito dell’Istituto italiano per gli studi filosofici?
Bravo Roberto Finelli che nel post allegato produce una critica filosofica serrata alle posizioni aristocratiche di Agamben e Cacciari (sulla pandemia, ma non solo).
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L’importate studioso marxista (con Tania Toffanin) inquadra nella sua essenza la battaglia che è stata condotta, di volta in volta, contro la malattia (ovvero la sua esistenza), i lock down, la tracciabilità, le mascherine, i vaccini, e le certificazioni (per fare una breve carrellata delle diverse trincee di volta in volta occupate e poi superate) come, testualmente, una “rivendicazione di libertà individuale, sottratta ad ogni condizionamento e mediazione con la libertà collettiva, in un richiedere verosimilmente assai dimentico della definizione data, ormai tempo addietro, da Franco Fortini, secondo cui
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Una battaglia incentrata sulla libertà personale in un contesto (quello occidentale e benestante), in cui questa è consolidata nella struttura istituzionale e normativa (se pure costantemente da riconquistare e rivendicare). Una battaglia, quindi, che segnalerebbe, per i due studiosi, in sostanza un abuso di rivendicazione. Abuso sia sotto il profilo della discriminazione lamentata sia della libertà ferita.
Nell’articolo le posizioni della coppia Agamben/Cacciari (nel famoso testo pubblicato dall’Istituto Studi Filosofici di Napoli), che attaccano questioni di legittimità sostanziale (e non formale, sul cui piano un DL è perfettamente autorizzato da norma, prassi e costituzione, se del caso più di innumerevoli altri) nella disciplina del Green Pass sono stigmatizzate da Finelli e Toffanin come semplici Boutade (il riferimento specifico è la chiamata in causa di
Cina e Russia e l’equiparazione alla stella gialla) in quanto completamente dimentiche del piano fattuale nel quale si muove la vicenda. Proprio la presenza di duri fatti, come lo stato miserando della sanità occidentale e della funzione pubblica (trasporto, istruzione) in generale o la condizione effettiva del lavoro (carenza di applicazione delle pur esistenti norme sanitarie e di sicurezza), aprirebbero piuttosto ben più sostanziali piani di denuncia e rivendicazione.
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MA, al contempo, agirebbero come necessarie precondizioni indispensabili ad allentare misure di sanità pubblica che restano altrimenti utili proprio ad evitare mali maggiori (quali i lock down). Secondo la formula degli autori sul punto: “Il buon stato di salute del sistema sanitario è la precondizione per allargare la sfera dei diritti e per ampliare quell’autodeterminazione alla quale Agamben e Cacciari fanno continuamente riferimento ma in termini sostanziali non solo formali.”
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Se quindi c’è discriminazione (e c’è), questa è piuttosto da trovare nella diversa disponibilità di sicurezza e di presidi effettivi in relazione a discriminanti di classe, razziali, di cittadinanza (che qui non dovrebbe contare, essendo il diritto alla vita prioritario), eventualmente di genere (anche se non vedo come), ma anche e soprattutto territoriali (in relazione alla del tutto disuniforme qualità dell’assistenza in termini di qualità e quantità nelle diverse parti del paese).
Se, ancora, c’è limitazione della libertà, sostanziale e non formale, questa è da rintracciare nei luoghi del lavoro (con riferimento a talune, assurde, rivendicazioni datoriali e ad alcuni dispositivi punitivi messi in essere dagli stessi). E’ il caso di ricordare che abbiamo in Italia (ed in Europa) un utilizzo dei vaccini disponibili vicino alla totalità e una popolazione vaccinata di poco superiore alla metà, dunque chi non è vaccinato non può essere considerato automaticamente renitente (a parte che è allo stato un suo diritto).
Cito ancora, sul punto:
“Non sono forse altre le forme fattuali della discriminazione nel nostro paese (e non solo)? Classe, genere e razza sono categorie superate forse nelle riflessioni che hanno a che vedere con norme e pratiche discriminatorie? In quali termini la pandemia sta intaccando la popolazione sulla base di un’analisi di classe, di genere e di razza? Ce lo vogliamo chiedere o pensiamo davvero che la pandemia, come tutte le patologie, agisca su tutte e tutti allo stesso modo? O forse la discriminazione espressa da Agamben e Cacciari vale solo per maschi, adulti, bianchi e di classe agiata?! Ancora: la pratica discriminatoria secondo i due inflitta dallo Stato all’individuo come si pone di fronte all’interesse collettivo? Chi sarebbero dunque quei
Non c’è richiamo alla collettività negli scritti di Agamben e Cacciari. Il perno delle loro invettive è l’individuo e l’attacco all’autodeterminazione individuale.”
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Infine, bisogna sottolineare che spostare tutta l’attenzione (coerentemente con una impostazione filosofica profondamente nutrita di elitismo, come mostrano gli autori), solo sulla rivendicazione del primato dell’individuo a far premio su ogni altra determinazione e fattualità (rivendicazione che tratta egualmente l’ineguale, e dunque esita necessariamente, come da secoli, nel consolidare le gerarchie), fa perdere la possibilità di rimettere in questione l’essenziale. Che non è la possibilità, per chi può, di godere dell’organizzazione sociale esistente e dei suoi privilegi, quanto di rimettere in questione stili di vita, modalità di consumo, organizzazione della produzione e della riproduzione.
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Come scrivono i nostri: “Questa pandemia sta sollevando molti interrogativi, anche di portata radicale se la vogliamo cogliere, rispetto ai nostri stili di vita e di consumo, al rapporto con il territorio e, ultimo ma non ultimo al rapporto tra produzione e riproduzione sociale. Le riflessioni di Agamben e Cacciari sono in questo senso del tutto superate dagli eventi. Ci riportano indietro di mezzo secolo quando il paradigma della crescita illimitata era egemone e con esso l’idea di poter gestire la natura e i rapporti con l’ecosistema in modo del tutto dispotico”.
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Quindi:
“Il loro discorso rispecchia la schizzinosità di una classe agiata abituata al benessere, assicurato da uno stato sociale che, nonostante i ripetuti attacchi, ha garantito la copertura universalistica del diritto alla salute”.
SINISTRAINRETE.INFO
Roberto Finelli e Tania Toffanin: Sul privilegio
Sul privilegio Note critiche su Agamben-Cacciari di Roberto Finelli e Tania Toffanin Abbiamo inteso di scrivere qualche riflessione insieme su quanto Giorgio Agamben e Massimo Cacciari hanno pubblicato il 26 luglio sul sito dell’Istituto It…
Cristiana Fischer
Sulle poche righe di Agamben-Cacciari km di scrittura da quel di’. Sensatamente i due avvertono che l’obbligo del green pass può configurare una esclusione per una parte di popolazione. Infatti l’obbligo non c’è, ancora. Inoltre i due ricordano che il vaccino non ha avuto la sperimentazione sui tempi lunghi. Osservazioni sensate, forse troppo presto, contro cui si lanciano bordate esagerate.
Alessandro Visalli
dicono ben altro
Cristiana Fischer
in generale nei loro scritti, certo. In quelle righe no. Credo che il massiccio attacco ripetuto ai due filosofi, soprattutto ad Agamben, sia proprio parte di quel senso comune plumbeo scienza (vaccino) + paternalismo governativo che è quanto i due segnalavano come un rischio da cui guardarsi. Infatti il vaccino non ha le certezze taumaturgiche attribuitegli, e il governo sfugge la responsabilità di obbligare per legge. Tutto procede implacabilmente sul “come se”: come se scegliessimo liberamente di vaccinarci, come se il vaccino fosse risolutivo. E intanto piccoli obblighi si moltiplicano, piccole bugie e incoerenze si ripetono.
Alessandro Visalli
In quelle righe eccome. Ora, francamente, non ho tempo e voglia di occuparmi di fare una esegesi del testo (ho meglio da fare), ma non vedo alcun ‘senso comune plumbeo della scienza’ (salvo che in qualche giornalista o qualche esagitato) e certamente nessun ‘paternalismo’. Mi fa specie che qualche volta parli di socialismo. Segnalo che socialismo e liberalismo non sono sinonimi. Il vaccino è certamente risolutivo, come tutti i farmaci non ha il 100% di efficacia e come tutti esistono effetti avversi in pochi casi (di qualche ordine di grandezza inferiori a quelli che sarebbero effetti del virus, anche a lungo termine). Chi si aspetta che qualcosa abbia efficacia totale per essere accettabile ha, lui sì, una visione della scienza del tutto obsoleta (tutta la ricerca scientifica è ormai probabilistica e non deterministica). Il vaccino è, allo stato delle cose attuale, la migliore opzione (l’altra è il lock down, che evidentemente ami). Prego non cominciare con il vangelo (cure, contagiosità dei vaccinati, trombosi, libertà) perché ho poco tempo ed ancora meno pazienza.
Cristiana Fischer
sono vaccinata e non ho quindi problemi sul vaccino, Esistono ASSOCIAZIONI DI MEDICI che curano, almeno fino a un certo punto, i malati di covid, non solo con “tachipirina e vigile attesa”.
Agamben e Cacciari sono filosofi e concludono così: “Il bisogno di discriminare è antico come la società, e certamente era già presente anche nella nostra, ma *il renderlo oggi legge* è qualcosa che la coscienza democratica non può accettare e contro cui deve subito reagire”. E’ il green pass per legge che può diventare stumento di discriminazione e strumento di controllo. Avvertire del RISCHIO insito in certe misure è da filosofi. ALTRO NON C’E’.
E’ invece preoccupante la furia di attaccare l’avvertimento che i due hanno dato. Perché tanto compatto accanimento? io me lo chiedo, tu evidentemente no.
Alessandro Visalli
Che noia.
Cristiana Fischer
che simpatico! invece il lungo pippone di Finelli-Toffanin allieta per leggerezza.
Cristiana Fischer
https://www.journal-psychoanalysis.eu/
JOURNAL-PSYCHOANALYSIS.EU
Alessandro Visalli
Tutti sempre a dire che la burocrazia è lenta, poi una volta che viene accelerata non va bene. Si vede che piacevano i lock down. A me stavano sulle scatole.
Giovanni Pellegrini
Caro Alessandro Visalli ho letto con piacere l’articolo anche perché stimo Fineschi come curatore di una bella edizione di “Zur Kritik des Hegelschen Staatsrechts”. Sono rimasto tuttavia completamente deluso dalla linea argomentativa che costituisce una vera e propria “μετάβασις εἰς ἄλλο γένος” rispetto alle questioni teoriche effettivamente in ballo e che non centra nessuno dei punti filosofico-giuridici sollevati dai due autori, di cui – sia chiaro – io non sono un alcun modo né “discepolo” né estimatore, ma che meritano una attenzione più mirata. Potremmo anche discuterne più approfonditamente ma sinceramente il livello della analisi critica è talmente triviale (sostanzialmente una critica superficiale alla ontologia dell’Altrove e la riduzione del discorso alla m’era centralità dell’individualismo metodologico) che non credo ne valga neppure la pena.
Alessandro Visalli
non sollevati in quel testo, immagino. Comunque indubbiamente questo è un testo polemico, non teoretico, ci vuole ben altro spazio.
Giovanni Pellegrini
testo polemico, ma per nulla centrato. Sulla mia bacheca ho postato, anche assieme ad un collega, più di una riflessione sugli aspetti giuridici e filosofico-politici della scelta di adottare il Green Pass. Qui vale solo la pena ricordare che la teoria dei “nudge”, a cui la scelta è ispirata, è un caposaldo dell’approccio ultraliberale alla politica e che una critica radicale alle limitazioni delle libertà costituzionali è perfettamente compatibile con una visione comunitarista della polis. Certo non con un approccio marxistoide di tipo moraleggiante che, peraltro, è quello assunto da tutta la sinistra italiana, compreso quella sedicente antagonista.
Alessandro Visalli
sarò marxstoide, che ti devo dire.
Cristiana Fischer
Sulla bacheca di un altro (EB) hai trovato altri discussori della tua posizione catafratta. Sei meno duttile in questa sede.
Giovanni Pellegrini
a Alessandro Visalli
il problema non è il marxismo, che come filosofia politica è sbagliato ma ha anche molti elementi utili. E la mia critica ovviamente non è rivolta a te. Il problema è il “moraleggiante” che si insinua nelle pieghe della riflessione “di sinistra” sul tema pandemia. I vaccini si sono dimostrati un efficacissimo dispositivo di protezione individuale. Ogni riferimento alla protezione della comunità e al bene collettivo della salute pubblica è un insopportabile moralismo che peraltro nasconde, dal lato governativo, l’ostinato rifiuto di invertire sul serio il trend degli investimenti strutturali sulla sanità pubblica. Fineschi, correttamente, ne parla ma non vede la contraddizione rispetto alla difesa di uno strumento in ultima analisi culturalmente “individualista” e economicamente “pro-deflazionista” come il Green Pass.
Pasquinelli Mauro
Quindi per te Alessandro i Dpcm del governo, dei servi della finanza mondiale, hanno agito nel senso di tutelare l’interesse collettivo e sociale. Si evince da tutta la tua critica che interpola domande giuste a sentenze favorevoli alla gestione pandemica dei dominanti
Alessandro Visalli
Va beh.
Divertiti
Stamane leggo sul Sussidiario un articolo di Alberto Contri, che denuncia “una sorta di infezione delle coscienze” seguita alle polemiche su vaccino e green pass. E riporta queste espressioni di 4 personaggi in qualche modo noti:
“Dal 5 agosto starete agli arresti domiciliari chiusi in casa come sorci” (Roberto Burioni). “Mi divertirei con birra e popcorn a vederli morire come mosche” (Andrea Scanzi). “Rider, sputate nel cibo che consegnate ai no-vax” (David Parenzo). “Madonna come vorrei un virus che ti mangia gli organi in dieci minuti riducendoti a una poltiglia verdastra che sta in un bicchiere per vedere quanti inflessibili no-vax restano al mondo”. (Selvaggia Lucarelli a Heather Parisi).
Nemmeno io cambio parere sul significato del breve scritto di Agamben-Cacciari, che hanno dato un avviso: “Il bisogno di discriminare è antico come la società, e certamente era già presente anche nella nostra, ma il renderlo oggi legge è qualcosa che la coscienza democratica non può accettare e contro cui deve subito reagire.”
La violenza verbale degli “illuminati” sta prendendo, come si vede, un deriva intollerabile. Chi è responsabile di questo, se non la massiccia propaganda destinata alla grandissima maggioranza della popolazione, quella che passa in tv, propaganda che non va affatto per il sottile? Infatti i due non mettono in discussione la necessità di vaccinarsi: “Nessuno invita a non vaccinarsi! Una cosa è sostenere l’utilità, comunque, del vaccino, altra, completamente diversa, tacere del fatto che ci troviamo tuttora in una fase di ‘sperimentazione di massa’ e che su molti, fondamentali aspetti del problema il dibattito scientifico è del tutto aperto ” (Cacciari Agamben).
La sperimentazione di massa richiede anche una conoscenza degli effetti a lunga distanza, e questo allo stato è ovviamente impossibile. Su questo piano però si comprendono i rifiuti a vaccinarsi di alcuni, non pochi, medici e scienziati, e non solo di sciamannati no vax.
Non solo Contri (“quindi non è vero che è l’unica arma che abbiamo, dati i crescenti successi di diverse terapie precoci che verranno presentate all’International Covid Summit che si terrà a Roma dal 12 al 14 settembre”), ma altri danno conto di farmaci, già in fase di sperimentazione, anti-Covid: ne ho letto ieri con qualche maggiore dettaglio, ma purtroppo non ho salvato la notizia.
Mi chiedo a questo punto che senso abbia, invece di prendere maledettamente sul serio questo avviso: “La discriminazione di una categoria di persone, che diventano automaticamente cittadini di serie B, è di per sé un fatto gravissimo, le cui conseguenze possono essere drammatiche per la vita democratica. Lo si sta affrontando, con il cosidetto green pass, con inconsapevole leggerezza”, si preferisca cavarsela con accuse di tono psicologistico “Il loro discorso rispecchia la *schizzinosità* di una *classe agiata* abituata al benessere”, che finiscono nel richiamo retorico a “uno stato sociale che, nonostante i ripetuti attacchi, ha garantito la copertura universalistica del diritto alla salute”, come se i due, vaccinati, lo avessero attaccato.
Invece, espressamente lo ri-dichiaro, si stanno addensando e legittimando, fantasie separatorie tra i “puri” e “illuminati” e gli arretrati individualisti ignoranti e bercianti, e chi più ne ha più ne metta, sulla scia di Selvaggia Lucarelli &co.
cara Cristiana, ti accennavo già altra volta che Cacciari-Agamben dicono cose non vere e quindi il loro discorso è meramente ideologicico:
– non siamo in una ‘sperimentazione di massa’: l’approvazione di emergenza, diventata definitiva per il Pfizer alcuni giorni fa, ha accorciato i tempi burocratici, non l’elemento cardine, cioè il numero di soggetti di controllo. Che sono stati (e poi la pratica di massa l’ha confermato) decine di migliaia. Più di Salk e trivalente.
Le conseguenze a lungo termine rimangono fuori..ma solo un paranoico può pensare ad effetti strani ed imprevisti dopo milioni di vaccinazioni.
– i ‘dubbi di molti scienziati’ non esistono: certo, molti parlano, ma non ci sono pubblicazioni con dati a sostenerli. Quindi siamo fuori dalla scienza. Ti faccio l’esempio del buon Montagnier, premio Nobel per l’HIV: ha fatto dichiarazioni roboanti..e nessuna pubblicazione. Sono andato a vedere i suoi ultimi lavori pubblicati ed erano penosi: esperimenti strampalati sulla telepatia fatti con scarti di cantina. Liberissimo di farli..poco serio a pontificare sul virus senza basi.
– Il che riporta il discorso al problema di gestione della pandemia, come ai tempi del colera: quali sono i criteri di pubblica utilità che rendono necessario limitare la libertà di movimento? È lecito che degli operatori sanitari non si vaccinino?
Queste sono le domande serie. Il guaio è che la situazione così nuova e inaspettata ha fatto perdere a molti il senso della misura..e dato a molti balbuzienti la possibilità di comiziare
@ Paolo Di Marco: Mi piace la tua fiducia, in fondo anche io faccio parte della stessa cultura illuministo/critica.
E’ troppo pensare che la vita ecceda la conoscenza? Non lo credo, che sia troppo.
Ne deriva, filosoficamente, che all’esperienza individuale si debba piegare, per apprendere, il sapere che procede formalizzando.
E’ come una esperienza in corporibus vivorum che sta procedendo nei millenni: dici che abbiamo raggiunto la coincidenza? Che la conoscenza ha raggiunto l’essere (oh dio, che parola!) o almeno la vita?
Io credo fermamente -deve avere a che fare col mettere al mondo la vita, che è delle donne- che non ancora il sapere la possiede… e quindi la tratterrebbe, la disporrebbe… il che peraltro si sforza di fare!
“Vitalismo” politico?
Forse. Ma anche diffidenza.
p.s.: quel demente di (un mio stretto parente) rifiuta di vaccinarsi, lui, la moglie e la bambina, perchè la sua amica medica, che ha lavorato ed è in contatto con Pittsburg, ha sollevato dei seri dubbi sulle conseguenze a lungo periodo che potrebbero avere farmaci che agiscono sull’Rna messaggero, perchè, dice, si ignora se e come potrebbero interferire con il nostro dna. Io preferirei che si arrivasse al vaccino obbligatorio, per costringere il mio stretto parente, ma devo contemporaneamente impormi di ignorare l’esistenza di quell’eventuale problema… La situazione è seria e la retorica sta a zero, dei pro dei contro, dei ni, dei boh vax. E se si vuole giocare a 3pallex1soldo contro le teste di Agamben-Cacciari, vuol dire che si ha tempo da perdere.
Purtroppo il fatto di essere medici oggi non è un vaccino contro l’ignoranza: ci sono medici omeopatici, quantistici, astrologisti…e superstiziosi.
E soprattutto ignoranti. Altrove ho già lanciato strali contro anche i nostri responsabili anche del CTS, che parlano molto e leggono poco.
Quella dell’RNA è una sciocchezza da bocciatura al 1° anno… non hanno letto o non hanno capito come funziona.
Ho letto anche io tanti link su rna e dna. Ma non sono biologa. Perché non consigliano il vaccino ai bimbi? Perché tanto/i cancro/i al presente?
La PADRONANZA sui corpi non ci credo che corrisponda a piena conoscenza. Superstizione religiosa da parte mia, con anima che deborda dal corpo?
Può essere.
Ma anche una sorda e cieca fiducia sulla capacità vitale di proseguire senza farci regolare dall’ultima conoscenza scientifica …
solo una nota sul cancro: se è vero quello che sostiene Davies il cancro è la risposta ‘individualista’ delle cellule ad aggressioni esterne. E sono queste le maggiori indiziate dell’aumento: dall’aria inquinata che respiriamo nelle città alle acque altrettanto inquinate, ai cibi ricchi di sostanze alteranti e tossiche….a cui aggiungiamo una vita innaturale e ricca di stress, che producono altre condizioni tossiche endogene..Una diversa consapevolezza di sè e del corpo dovrebbe aiutare, ma non è sufficiente; per certi versi il problema assomiglia ad insegnare la matematica ad una classe di bambini dei ghetti più miseri..qualche volta ci riesci, ma sembra un miracolo
personalmente ho optato per il vaccino, ma non ho fugato tutti i miei dubbi, percio’ rispetto i dubbi, o anche le certezze diverse dalla mia, di altri. Intanto distinguo i NO VAX dai NO PASS, comunque una minoranza che, forse, non presa di petto dal governo e non aizzata da certa destra, non avrebbe reagito, in alcuni casi, in maniera aggressiva. D’altra parte spesso sono stati discriminati e insultati, come untori…”La colonna infame” da evitare. D’altra parte non credo che la “disobbedienza” sia solo una reazione legata alla paranoia e alla superstizione, magari in alcuni casi, quando penso a medici ed insegnanti che hanno preferito dare le dimissioni dal lavoro piuttosto che adeguarsi alle nuove disposizioni governative…Forse con piu’ rispetto reciproco si evitavano le estremizzazioni. Non viviamo un periodo facile
Mi sembra che molti sovrappongano occhiali ideologici a un problema essenzialmente pratico:
-dato per vero che il virus esiste e fa male e spesso uccide (e non diamolo per scontato, chè molti lo negano)
– e ribadito che fa male anche ai giovani (c’è stato e persiste un equivoco dovuto ad un effetto di mascheramento statistico: dopo il primo anno di lockdown nelle statistiche Istat la mortalità dei giovani appariva inalterata, il che ha fatto dire che non li colpiva. In realtà il lockdown aveva provocato un drastico calo degli incidenti tipici giovanili, come quelli di moto ed automobili, che quindi compensava i malati/morti da covid , con percentuale significativa anche se più bassa degli anziani)
– pongo come esemplare il mio problema personale: sono anziano e fragile, in altri termini se mi becco il Covid ci resto; sono anche vaccinato, ma se incontro la variante delta l’efficacia della mia protezione scende dal 93% al 70% (grosso modo)
– aggiungo che studi recenti riducono grandemente l’efficacia della mascherina (dallo 0 (zero) di uno studio USA/CDC al 10% di uno studio indiano per le chirurgiche, un poco meglio per le altre)
-quest’estate ho preso un traghetto per la Sardegna, senza circolazione d’aria interna e pieno di giovani senza mascherina: ho corso un grosso rischio che con il bollino verde avrei evitato; le misure di salute pubblica (ruolo precipuo di ogni stato) servono proprio a scongiurare questi rischi. (E altrettanto vale quando vado in ospedale o alle poste o in ogni ufficio pubblico). Al ritorno il 1 Settembre era in vigore il bollino verde. Forse (se tutto era in regola..) ho corso meno rischi.
Ribadisco che gli stati nascono e conservano la propria funzione proprio in queste circostanze. E non capisco i contorsionismi pseudo costituzionali dei Cacciari-Agamben e simili. Nel mio articolo parlando dei tumori ricordo che l’organismo pluricellulare nasce storicamente dall’unione di più cellule, che rinunciano a qualcosa della propria vita isolata per acquisire altri vantaggi. Per lo stato è lo stesso, e la salute e la sua difesa sono uno dei vantaggi centrali. Forse ce n’eravamo dimenticati, ma scomodare i trattati mi sembra superfluo.
Mi permetto sommessamente di intervenire in questo ‘dibbattito’.
Anche se avrei preferito discutere sulle suggestioni suscitate dal MIO racconto, mi sono sentita tirare per la giacchetta e dirottare la mia attenzione su qualche cosa di ‘fuori tema’. E dirò che non solo il disturbo – legato al cambiare registro del discorso – ma anche la sensazione che il ‘nucleo’ della distrazione aprisse un ginepraio inestricabile che pure, paradossalmente, attirava i commenti uno dietro l’altro – così come fa il serpente che ipnotizza la rana perché arrivi, senza ribellione alcuna, dritta dritta nelle sue fauci (e addio gracidare liberamente, sia pure nello stagno) – non mi hanno fatto una buona impressione!
Come dire: se non si parla della pandemia non si saprebbe di che altro parlare? O, se si parla di altro, si tratta di un ‘altro’ già incasellato in schemi?
Per rispetto nei confronti dei commentatori, ho comunque cercato di attivare la mia attenzione cercando di leggere (quasi) tutto, anche se ciò mi è costato un impegno di tempo non indifferente dato il mio precario stato di salute e la mia vista che regge poco allo sforzo. Ma il mal di testa che ne è derivato non lo posso attribuire soltanto alle mie personali difficoltà ma – anche per rimanere ‘in tema’ con il mio racconto – con il confrontarmi, impotente, con una trasformazione che chiamerei quasi ‘genetica’, se non temessi di essere associata a quei no-vax invasati che lanciano anatemi contro i vaccini a RNA messaggero come se rappresentassero una potenziale (o, addirittura, certa) modifica del nostro DNA.
Ciò che mi ha colpito (e ferito profondamente) di questa trasformazione epocale, a cui la pandemia ha dato il tocco finale, è il lento degradare della cultura (intesa come articolazione di memoria, trasformazione, evoluzione) passando dalla ‘partigianeria’ (è legittimo prendere parte), alla faziosità (di matrice soprattutto ideologica e quindi ipostatica), ad una contrapposizione regressiva di stampo tribale dove istinti primordiali si combattono per una supremazia e pertanto non scendono in campo per promuovere una trasformazione evolutiva ma solo per produrre una alternanza di potere.
Le persone (intellettuali e non) oggi si raggruppano per ‘bande’ che sostengono i vari schieramenti, si guardano in cagnesco, e le loro parole d’ordine fanno accapponare la pelle. Qui sotto qualche esempio tratto dallo scontro in merito sia ai vaccini che al lasciapassare (termine che, in sé, ha un vago sentore totalitario: richiamare invece alla responsabilità individuale, all’uso della mascherina quando ci sono gli assembramenti sia che le persone siano vaccinate o tamponate, dato che anche in quel caso ci si può contagiare e contagiare, no?).
Citazioni dai pro-vax:
– “Mi divertirei a vederli morire come mosche.” (Andrea Scanzi, giornalista)
– “Sono dei criminali, associazioni organizzate contro lo Stato, vanno perseguiti come si fa con i mafiosi.” (Matteo Bassetti, infettivologo)
– “Vanno messi agli arresti domiciliari, chiusi in casa come sorci.” (Roberto Burioni, virologo)
– “Gli insegnanti contro il vaccino vanno licenziati” (R. Burioni)
– “I rider devono sputare nel loro cibo.” (David Parenzo, giornalista)
– “Ricettacolo di casi psichiatrici. Devono ridursi a poltiglia verde.” (Selvaggia Lucarelli).
– “I no-vax sono come evasori curati con le nostre tasse” (Burioni)
A cui fanno da contrappunto quelle dei no-vax:
– “Muore un vaccinato? Bene: uno di meno” (= “è morto un poliziotto in più rispetto ai nostri. Siamo i più forti!” Chi ha la mia età si ricorda a chi faccio riferimento)
– La parola d’ordine è “colpire, colpire, colpire. Andare casa per casa”.
– “Ve la faremo pagare”. “Vi aspettiamo sotto casa!”.
– “Infame, devi crepare” (rivolto a Di Maio)
– “Ti taglio la gola. Non siamo a Kabul ma in Via Trastevere a Roma”.
Ora io mi chiedo com’è che è avvenuta questa ‘tribalizzazione”? Come è iniziata? Forse quando alla contrapposizione dialettica che si confronta sui contenuti si è dato spazio alla denigrazione della persona con ogni mezzo, anche giudiziario? Oppure quando si è previlegiato l’etichettare (senza se e senza ma) piuttosto che intraprendere la strada più impervia del dubbio e dell’interrogarsi? Oppure ancora quando si è alzato il vessillo della omogeneizzazione (= pensiero unico) a discapito delle differenze di pensiero e dell’individuo? E, infine, quando si sono imposte delle risposte evitando di dare spazio alle domande perchè, come scriveva Maurice Blanchot (critico letterario e filosofo francese): “La réponse est le malheur de la question” (La risposta è la sfortuna della domanda)?
Chi ha favorito questa discesa agli inferi lasciando che proliferasse la perdita di ogni assunzione di responsabilità? L’importante è ‘sfangarla’?
Che triste questa nemesi storica dove i cosiddetti rivoluzionari sono diventati conservatori e reazionari! Ma non è stata l’emergenza Covid 19 a provocare tutto ciò: ha solo tolto la copertura alla ipocrisia che nascondeva questo progressivo decadimento. “Andrà tutto bene! Siamo i migliori!”. La stessa ipocrisia che sbandiera a destra e a manca la ‘tutela della salute – quale? solo quella fisica o anche quella psichica e lavorativa – dei cittadini” e che mi richiama tanto l’arbitrio di chi dice: “lo faccio per il tuo bene”!
Nello stesso tempo, aver stracciato il Velo di Maya non deve portare al birignao della disillusione bensì allo sgomento che può stimolare nuove scelte.
“Anche se avrei preferito discutere sulle suggestioni suscitate dal MIO racconto, mi sono sentita tirare per la giacchetta e dirottare la mia attenzione su qualche cosa di ‘fuori tema’”.
Ma è davvero fuori tema la discussione seguita al tuo racconto? Non è anche il progressivo decadimento della ragione come esercizio personale -a rischio e nel confronto- ciò a cui si arrendono i due amici sotto la pioggia che deve entrare nell’auto? I due non hanno nemmeno potuto compiere il passaggio tra “ipotesi” (perché è il confronto col reale che si è perso nelle nebbie indifferenziate del nostro presente da allora…) e “opinioni”: hanno solo potuto esercitare la “critica” in favore di Pasolini e dell’uno verso l’altro, in quanto da allora le opinioni hanno compiuto la parabola e si sono trasformate quasi sempre in “convinzioni morali, politiche, religiose” come appunto questo clima intorno al covid dimostra.
Mi pare infatto che il mood del tuo racconto corrisponda al tono pessimistico del tuo recente commento: “pur nella convinzione della giustezza della battaglia, la battaglia era persa”, avevi scritto.
E allora? Allora il fatto dei 33 commenti sopra, non tutti rivolti al racconto, bene si attagliano tuttavia al suo significato.
(Vero è però che, come sottintende Elena Grammann nel suo lontano commento, in letteratura la libertà di utilizzare posture e figure è responsabilmente sovrana, e quindi l’autonomo piano narrativo, questo, è stato poco interrogato.)
@ Simonitto
Cara Rita,
anche se può non sembrare e malgrado non pochi incidenti di percorso, continuo a fare il possibile perché Poliscritture sia spazio plurale e allo stesso tempo critico e accogliente/dialogante.
Anche a me Il dibattito (non caricaturarlo!) non è parso fuori tema. L’aggancio al tuo racconto c’era. Ad es. in questi due passaggio: 1. «Altro che ‘isolamento’! Altro che ‘riscoprirete la vostra interiorità’, come venne propagandato per sostenere le chiusure domiciliari antipandemia»; 2. « Oggi si è aggiunto un altro fattore: il terrore del contatto, quello dell’attacco pandemico, dell’essere un untore in senso stretto o in senso lato, anche soltanto portando qualche pensiero non accreditato!…». E Elena Grammann l’aveva ben rilevato: «La critica al razionalismo, scientismo e politica Covid è annunciata nel racconto, oltre che dall’insofferenza del protagonista alle misure anti-Covid)».
Poi – è vero – il racconto è stato scavalcato e del tutto trascurato. Ma per l’urgenza reale che si ha di capire quanto possiamo ancora oggi contare sul pensiero scientifico di fronte alla minaccia della pandemia e se sopportare o rifiutare o individuare una quasi impossibile alternativa non puramente ideologica alle discutibili e ambigue misure governative (e non solo sul Green Pass).
Forse sarebbe stato meglio dirottare gli interventi o le (mie) segnalazioni in un altro articolo, ma penso di poter dire che davvero nulla hanno da spartire né con la mutazione genetica o antropologica (Pasolini) in corso né col fanatismo dei commenti contrapposti che hai riferito.
Interroghiamoci, dunque, sulla “tribalizzazione”. Ma senza sensi di colpa. Posso escludere che vi abbiamo contribuito. Ed essa, tra l’altro, non è cosa degli ultimi tempi. Basti pensare al maccartismo, allo stalinismo; e negli anni ’70 da noi anche solo al caso 7 aprile. Comunque, non partirei dallo «sgomento», ma ancora una volta dalla ragione. «Di pianto in ragione» (Fortini).
Rispondo prima a Cristiana (non se ne dolga Ennio per questo ‘scavallamento’ di ruoli!!!)
Cara Cristiana, seleziono questo tuo passo:
“Mi pare infatti che il mood del tuo racconto corrisponda al tono pessimistico del tuo recente commento: “pur nella convinzione della giustezza della battaglia, la battaglia era persa”, avevi scritto”.
Purtroppo, negli ultimi anni, ci siamo abituati alla “lettura trasversale” che permette di leggere un libro e poi commentarlo senza rompersi i sissi nel ponderare le singole parole. Cristiana, ho apprezzato i tuoi commenti precedenti e anche lo spirito di quest’ultimo. Ma volevo farti rilevare che la chiusa del mio racconto apriva alla speranza e che in questo mio ultimo intervento, al posto dei birignao disfattisti, proponevo un ‘sano’ (anche se drammatico) confronto con la realtà presente senza ricorrere agli “ismi” taumaturgici.
Hai perfettamente ragione quando sostieni: “Ma è davvero fuori tema la discussione seguita al tuo racconto? Non è anche il progressivo decadimento della ragione come esercizio personale – a rischio e nel confronto- ciò a cui si arrendono i due amici sotto la pioggia che deve entrare nell’auto”.
Senza dubbio non è ‘fuori tema” la discussione che presenta, correttamente, una delle prospettive da cui si guarda la realtà, bensì il fatto che “quella prospettiva” diventi l’unica attraverso la quale si possa leggere la realtà. E’ l’imposizione del pensiero unico (o con me o contro di me) che mi spaventa.
Non sono né una nihilista né una pessimista, ma ciò che mi turba non è tanto questa deriva culturale (che può anche starci all’interno dei corsi e ricorsi storici) quanto la distrazione (o la malafede) di chi non vuole vedere.
Il lavoro del lutto è un processo importante perché ci permette di capire che cosa tenere e che cosa lasciare. Ma questo lavoro sembra oggi impossibile perché ognuno si sente vincitore e pertanto non ha perso nulla.
Quanto alla tua corretta segnalazione “I due non hanno nemmeno potuto compiere il passaggio tra “ipotesi” (perché è il confronto col reale che si è perso nelle nebbie indifferenziate del nostro presente da allora…) e “opinioni”: hanno solo potuto esercitare la “critica” in favore di Pasolini e dell’uno verso l’altro, in quanto da allora le opinioni hanno compiuto la parabola e si sono trasformate quasi sempre in “convinzioni morali, politiche, religiose” come appunto questo clima intorno al covid dimostra”, io sottolineerei che è proprio il fatto di non aver “potuto” operare in un certo modo e di averne consapevolezza oggi a rendere drammatica quella consapevolezza, a giochi ormai fatti. Ma ciò, come dicevo, non toglie la speranza di poter imparare dagli errori.
@ Ennio
Anche se in questi giorni si sono avvicendati altri interessanti articoli, prendo comunque spazio non per riaprire la discussione sul mio lavoro ma solo perché dovevo a Ennio una risposta. Ed eccomi qua.
Ennio, tu scrivi: “Anche se può non sembrare e malgrado non pochi incidenti di percorso, continuo a fare il possibile perché Poliscritture sia spazio plurale e allo stesso tempo critico e accogliente/dialogante.
Anche a me Il dibattito (non caricaturarlo!) non è parso fuori tema”.
Certamente che la poliedricità degli interventi, caratterizzata da visioni prospettiche diverse, non può che arricchire un testo. Però, Ennio, perdonami: non sono una esordiente di primo pelo che si affaccia ad un ‘dibbattito’ (e non si tratta di ‘caricatura’ ma, se sei onesto, ti puoi accorgere che di dibattito non c’è l’ombra. Utile lo stesso, ci mancherebbe altro, almeno qualche idea circola ma… dibattito, sinceramente, no: uno entra con le sue posizioni e ne esce tale e quale!).
Dicevo dunque, non sono una di primo pelo che non capisce dove la musica vuole andare a suonare: si parla, si parla, si parla ma, gattopardescamente, nulla cambia! Anche se non voglio (né posso) fare la ‘mosca cocchiera’, concedimi almeno di segnalare questo!
I miei accenni alla odierna situazione sociale, ovviamente, non potevano non essere collegabili, ça va sans dire, agli effetti di una certa gestione della pandemia. Però, se ciò era presente nel testo, non ne costituiva l’ossatura “concretamente”, bensì cercava di rappresentare in modo SIMBOLICO tutto ciò che si correla alla perdita della socialità: “distanza fisica” artatamente presentata come “distanza sociale” e che prelude alla percezione dell’altro come potenziale pericolo. L’uso della terminologia non è un optional ma ha una certa funzione, ovvero quella di trasmettere dei messaggi – Marshall McLuhan – che passano inconsciamente. E invece ho assistito (un po’ allibita, direi) all’avvio di una ‘singolar tenzone’ tra Guelfi e Ghibellini, fra sostenitori di una fazione e quelli di un’altra.
Nello stesso tempo, sottolineo che il mio era un racconto e non un testo né scientifico (non ne ho le competenze) né ‘giornalistico’ (anche se ricordo di aver pubblicato, proprio su Poliscritture, una disamina relativa alla gestione della pandemia dal titolo “Su la mascherina ma giù la maschera dell’ipocrisia”) e pertanto, fra i commenti, mi hanno impensierito alcuni passaggi.
Uno di questi (che anche tu riporti) è di Elena Grammann (persona che stimo e di cui ho apprezzato validi lavori narrativi).
Ennio, quando leggo questa tua affermazione: “E Elena Grammann l’aveva ben rilevato: «La critica al razionalismo, scientismo e politica Covid è annunciata nel racconto, oltre che dall’insofferenza del protagonista alle misure anti-Covid» rimango basita.
Mi stupisce davvero questa sua posizione “talebana”, come se il ‘mostrare’ una situazione problematica e pesante significasse tout-court mostrare insofferenza, intolleranza. E lo stupore era legato non solo al fatto che nello scritto non figurava (proprio perché non lo penso) nessuna critica da parte mia né verso la razionalità né verso la scienza, ma anche perché non mi sono ritrovata nella immagine che mi ero fatta di Elena. Ma da dove mai è scaturita la sovrapposizione che lei fa tra razionalità e razionalismo, tra scienza e scientismo che invece io cercavo di mantenere separati? Intendendo gli “ismi” come superfetazioni che si allontanano dal luogo originario? Voglio credere che ci sia stata una svista… a volte càpita.
Quanto alla domanda che tu poni: “Ma per l’urgenza reale che si ha di capire quanto possiamo ancora oggi contare sul pensiero scientifico di fronte alla minaccia della pandemia”, la trovo più che legittima, ma la scienza si deve confrontare nei luoghi a lei deputati e non certo nei talk show dove si scatenano le tifoserie di stampo più politico che scientifico. Il modello divulgativo ‘stile Internet’ espone i soggetti a confusione se non sono supportati da una guida competente. Così la vulgata che il vaccino anti Covid 19 fosse come un uovo fresco di giornata, e pertanto guardato con sospetto, non corrisponde al vero: è invece frutto di anni di sperimentazioni sui virus SARS-CoV e MERS-CoV ma l’emergenza pandemica ha accelerato esponenzialmente i tempi di applicazione con tutte le problematiche che ciò comportava. Ed era proprio per questo che risultava importante tenere conto degli effetti collaterali che si rilevavano sul campo e non negarli o minimizzarli. Perché la ricerca continua, questa è la funzione della scienza, tollerare il dubbio e porsi delle domande. Ma se questo interrogarsi viene sentito come minaccia contro la scienza, non stiamo parlando più di scienza ma di ‘fede religiosa’. In aggiunta, anche se sembra paradossale, è nella confusione che può navigare bene chi ha più potere: se non altro nella gestione delle comunicazioni (atte a disinformare nella loro contraddittorietà).
Un’altra notazione riguarda la tua citazione di Fortini quando sostieni: “Comunque, non partirei dallo «sgomento», ma ancora una volta dalla ragione. «Di pianto in ragione» (Fortini).”
Credo che partire dallo ‘sgomento’, dal ‘pianto’ sia la base necessaria onde permettere alla ragione non di ‘metterci il cappello sopra’ ai problemi (= soluzione onnipotente) ma di trovare nessi, legami, ovvero un senso che non risponda soltanto ad una necessità individuale (ipse dixit) ma che abbia anche una portata collettiva.
Solo partendo dallo sgomento, dall’orrore e dal pianto nel renderci conto di aver utilizzato la Ragione come grimaldello per giustificare azioni altrimenti ingiustificabili potremo restituire alla ragione la sua potenzialità di strumento trasformativo anziché distruttivo.
Quanto al “Interroghiamoci, dunque, sulla “tribalizzazione”. Ma senza sensi di colpa. Posso escludere che vi abbiamo contribuito.”, voglio chiarire questo.
Non ritengo utile utilizzare il concetto di “colpa” perché attinge alle parti più arcaiche della nostra formazione di specie e risente di una forte impronta religiosa. Preferisco utilizzare il richiamo al senso di ‘responsabilità’, che ha caratteristiche più mature in quanto ogni individuo si confronta con se stesso, con le sue potenzialità ed i suoi limiti. Oltretutto il “senso di colpa” ha una tendenza ‘virale’ a circolare, non si ‘becca’ mai: “se non è colpa mia sarà colpa di qualcun altro (magari del ‘sistema’)” e così non se ne esce mai fuori. Mentre il senso di responsabilità circoscrive, implica un lavoro critico che coinvolge il sé e la circostanza.
E, caro Ennio, qualche responsabilità l’abbiamo avuta anche noi, anche se eravamo presi da tutt’altro. La responsabilità ci permetterebbe di evitare gli errori mentre il senso di colpa no: ce ne laviamo le mani o lo scarichiamo su altri.
Non avevo intenzione di riprendere il discorso. Tuttavia mi pare che, essendo stata ripetutamente tirata in ballo, un chiarimento si imponga. Sono stata rimproverata – in primis da una scalmanata da cui mi aspettavo sinceramente che Simonitto prendesse le distanze, se non altro per decenza – di confondere scienza con scientismo, razionalità con razionalismo ecc.
Rileggendo il mio primo e unico commento, trovo che ho sempre parlato di “scientismo”, “razionalismo spinto” e politichismo, e non mi pare di aver confuso proprio un bel niente.
L’unico punto eventualmente da chiarire è il seguente: “Non entrerò nel merito della critica veemente di Simonitto alla comunità scientifica e alle scelte politiche” (E.G.). E chiarisco: in un racconto il cui protagonista – chiaramente portaparola dell’autrice – si lamenta forte e piano del lockdown e delle sue spiacevoli conseguenze, cioè si lamenta delle conseguenze di scelte politiche effettuate, sulla base dello stato delle cose, su indicazione di un CTS che fa riferimento alla comunità scientifica, mi era parso che anche quest’ultima rientrasse nell’oggetto globale della geremiade. Forse, a scanso di equivoci, il passaggio dalle acquisizioni scientifiche (non criticate) alle loro applicazioni pratiche (criticate, o se non si vuole parlare di critica, mal sopportate) poteva essere maggiormente evidenziato. Immagino però che sarebbe stato difficile precisare in che modo da una conoscenza scientifica acquisita: il Covid 19 è estremamente infettivo e per diverse fasce di popolazione potenzialmente letale, si potesse passare a un’applicazione pratica diversa da: è in tutti i modi necessario mantenere una distanza fisica fra le persone.
Quanto allo stupore di Simonitto: “Mi stupisce davvero questa sua posizione “talebana”, come se il ‘mostrare’ una situazione problematica e pesante significasse tout-court mostrare insofferenza, intolleranza”, mi risulta difficile pensare che una situazione possa essere rappresentata come “problematica e pesante” senza che ciò comporti insofferenza. Il suo personaggio infatti trasuda insofferenza: per Simonitto sana insofferenza.
E insomma, per finirla, come sarebbe da intendere il seguente passaggio: “Recitare Pasolini “Io sono una forza del passato./ Solo nella tradizione è il mio amore./Vengo dai ruderi, dalle chiese, /dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati “, sarebbe stato quantomeno anacronistico in questo dannato maggio 2020, visto che la tradizione (il nostro essere sociali, le nostre ‘chiese’, da intendersi come ‘ecclesia’, luogo di incontro) era stata sacrificata sugli altari di una scienza trasformatasi in ‘scientismo’ e pertanto volatile, umbratile, schiava di una politica diventata essa stessa politicismo?” (neretto mio) se non come una critica alla comunità scientifica? (Quando oltretutto alla politica veniva e viene rinfacciato di essere e essere stata schiava della scienza?)
E veniamo al racconto. A mio modesto, personalissimo e sindacabilissimo modo di vedere, ci sono state infilate troppe cose. Maldestramente collegate e per nulla amalgamate. Troppo sbilanciate nelle proporzioni, troppo poco centripete perché possa apparire un portato simbolico che vada oltre i fenomeni toccati, cioè principalmente il lockdown. Il lettore non può che attaccarsi a quello che emerge dai flutti: critica del razionalismo spinto e scientismo, critica del luogo comune (che peraltro mette insieme piuttosto discutibilmente il luogo comune politico e il luogo comune sanitario, con nobile disprezzo per chi ci tiene a tenere le distanze: comportamento raccomandato dalla comunità scientifica che dunque viene criticata), panegirico della libertà (quale libertà? di infettarsi o non infettarsi? temo che non sia così che funziona). Questo è quello che, a mio parere, un lettore di buona volontà poteva desumere dal racconto, e questo è quello che ho scritto nel mio commento.
Spero di avere chiarito il mio punto di vista. Aggiungo che non interverrò più sull’argomento.
Nemmeno io interverrò più. Non posso però esimermi dal ringraziare Elena per la Lectio magistralis. Mi sarà molto utile per interpretare i mala tempora currunt.
Vorrei ringraziare Draghi perchè sta dando una identità unitaria agli italiani. Con l’introduzione del green pass e la delega al comune cittadino dei controlli su chi lo possiede e chi no sta trasformando gli italiani in poliziotti e giudici. Immagino che la ricetta verrà esportata da altri governanti in altri Stati come a suo tempo è stato esportato il berlusconismo. (L’Italia ha un gran fiuto e spesso arriva prima degli altri, non solo nella moda, ma anche nei regimi.)
Tanti, i motivi che rendono appetibile per molti governi questa ricetta che coopta gli italiani come ”servitori dello Stato” e compie quella rivoluzione che l’Italia aspettava dai tempi dell’Unità d’Italia (celebre il detto “ abbiamo fatto l’Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”):
– Trasforma politicamente degli individui scompaginati in cittadini di uno Stato etico che fornisce loro un forte legame come quello tra i crociati contro il feroce Saladino (il virus che cavalca sulla groppa di chi non ha il green pass).
– Santifica l’ego trasformandolo in “noi”. L’inoculazione di un vaccino che protegge se stessi dalla morte (ma non dalla circolazione pandemica) viene transustanziato attraverso il green pass in un atto di solidarietà comunitaria (anche verso chi non lo vuole e quindi va trasformato).
– Trasforma atteggiamenti pre-politici istintuali di caccia all’altro/diverso in istituzioni pedagogiche statualmente legalizzate di rieducazione all’inclusione sociale.
– Trasforma antropologicamente gli italiani notoriamente autocritici e paciosi in persone fiere (stanno dalla parte dei giusti e dei migliori), sicure di sè (hanno delle conoscenze certe), responsabili (firmano la propria responsabilità su eventuali eventi avversi provocati dai vaccini circolanti in Italia), potenti Napoleoni (decidono su inclusioni ed esclusioni ad esempio chi entra in mensa e chi no), guerriere (usano il green pass contro i reprobi). E questa nuova dignità è distribuita uniformemente a tutti, per quanto diversamente abili possano essere.
– Trasforma psicologicamente. Indica come capri espiatori i non possessori di green pass (magari vaccinati naturalmente perché guariti dal Covid o perchè sono riusciti a farsi Sputnik , o semplicemente perché così hanno scelto) su cui proiettare i disagi più intimi della fatica di vivere.
– Trasforma moralmente: finalmente si espellono dalla comunità i colpevoli, gli untori, i diversi, coloro che vivono sulle spalle degli altri, come chi non possiede il green pass e tuttavia pretende di entrare all’anagrafe a richiedere la propria carta d’identità.
– Trasforma culturalmente: fa sentire tutti scienziati (che è un notevole passo in avanti rispetto a tutti allenatori). La democratizzazione della scienza va di pari passo con la democratizzazione della logica. Risultato: si pensa che il green pass diventi lo scudo sanitario che impedisce al virus di circolare.
– Rende tutti più generosi, ma anche più severi. Se chi ha il green pass è al di sopra della pandemia che colpisce solo chi non lo possiede, è evidente che si vuole imporre il green pass ai recalcitranti per pura generosità. Ma qualcuno comincia a valutare chi ha diritto alle cure ospedaliere e chi no perché “se l’è andata a cercare”. (Andranno esclusi anche quelli che sono andati “volontariamente” a lavorare all’Ilva?).
– Trasforma socialmente: finalmente viene superato il gap tra chi se la tira come élite intellettuale e la grande massa degli analfabeti da telefonino.
– Trasforma ideologicamente: gli ultimi scampoli di chi si sentiva di sinistra e la marea montante di chi si sente di destra si uniscono in una unica STASI.
– Costruisce una identità nazionale. Ce ne freghiamo del Regolamento europeo (953/2021) contro la discriminazione di chi “per scelta non si è vaccinato”. (Infatti avevamo già cancellato questa frase nella versione italiana della Gazzetta ufficiale europea.)
– Infine ci libera dagli insegnamenti dei cattivi maestri del sospetto e ci educa all’investimento fiduciario a tutto tondo. L’ultimo baluardo critico, la scienza, inopinatamente definita a suo tempo come falsificabile, diventa una certezza indiscutibile ( e guai a chi osi dire “Eppur si muove!”). Ne consegue che il suo linguaggio serio e complesso, la matematica- per cui anche Einstein ha dovuto chiedere aiuto a dei professionisti – viene volgarizzato in una aritmetica da operetta, dove non è nemmeno importante che chi dà i numeri non sommi telefoni con zucche (sui media e sui telefonini la chiamano statistica!!!).
Chissà cosa succederà se e quando passerà l’obbligo vaccinale: diventeremo tutti delatori? Tutti carnefici?
Sto preparando le valigie.
Maria Zorino
P.S. la lettera è ironica, ma anche sconsolata. Se non fossi pensionata dovrei decidere tra conservare il diritto al lavoro (su cui è fondata la Repubblica italiana) e conservare il diritto alla salute ( pure previsto dalla ns. Costituzione) perché dovrei rivaccinarmi – con effetti imprevedibili sul mio corpo – visto che il vaccino Sputnik non è valido per quel green pass che, qui in Italia, per la mia categoria, è già diventato un presupposto per poter essere ammessi a lavorare.
@ Maria Zorino
Lo dico sempre amichevolmente: di fronte alla sua “lettera ironica” preferisco – contraddicendo quanto ho scritto rispondendo a Rita Simonitto – « partire dallo ‘sgomento’, dal ‘pianto’».
Cara Rita, il tuo richiamo (a me e alla mia “lettura trasversale”) per cui la “drammatica consapevolezza, a giochi ormai fatti … non toglie la speranza di poter imparare dagli errori”, non mi pare poi troppo fondato. Raccolgo un po’ di espressioni correnti nel tuo racconto improntate, direi, a una speranza che invece non c’è.
*”passato ormai ininfluente che però li richiama ma a cui non vogliono lasciarsi andare
* quando la ‘Ragione’ occupa un posto non suo … costringe il reale nella tenaglia assolutista del pensiero unico … Il ‘Sogno’ … della Ragione di poter controllare tutto fa sì che si produca una aberrazione, in quanto viene millantato come reale – solo perché risponde ai canoni della ‘ragionevolezza’- ciò che invece è molto distante dal reale.
* La Ragione deificata, timorosa della libertà individuali … ha cercato di omologare i nostri sogni, li ha vincolati al giogo della maggioranza (è la quantità che fa testo, non la qualità), ed è da questa costrizione che poi si scatenano i deliri? E, a fare da insano contrappunto, la visceralità ostile ad ogni limite, ad ogni regola…libertà, libertà, libertà”
Come non convenirne…
* forse è meglio parlare … anche se ciò è più difficile.
* poter accampare dei diritti a fronte di Legge e Libertà. Buttai giù uno schema per le prossime lezioni a scuola
* cadde un silenzio inquietante, come se ognuno di loro due avesse toccato qualche cosa di significativo, di importante. Ma nello stesso tempo si fosse giocato anche le sue ultime cartucce: pur nella convinzione della giustezza della battaglia, la battaglia era persa.
* Ma Albert Einstein diceva: “Follia è ripetere sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”. E invece il ‘contadino’ ripete…ripete…”
Capisco che la conversazione tra i due vecchi amici non è monocorde, e che c’è un minimo di concorde-disaccordo tra i due. Ma che da queste tristissime bordate sparse nel testo, che non attengono alla trama ma al tono diffuso che ispira il testo stesso, il/la lettrice approdi a lidi di speranza appare come minimo difficoltoso. Infatti anche tu, che hai intitolato “Le bisacce del diavolo” il racconto e non “Foglie verdi rinate”, concludi con:
*Quanta pazienza, quanta fiducia (e speranza), quanto tempo sarà necessario per far vedere che le bisacce del diavolo non contenevano monete sonanti ma solo foglie secche?”
Quelle ci sono: foglie secche. Né ci immaginiamo monete sonanti. Speriamo, sì, di tenere il diavolo con le sue borse truffaldine al largo: chi? Forse i prossimi che verranno.
@ Rita Simonitto
Non c’è un gran «dibattito» qui su Poliscritture? Non ne vedo, però, neppure in altri luoghi, reali o virtuali. E sarà vero che «uno entra con le sue posizioni e ne esce tale e quale!», ma direi che persino dai monologhi (miei o altrui) qualcosa s’impara.
Sulla gestione governativa della pandemia – lo ripeto – dissentiamo ( per gradi o sfumature) ma non ho visto fanatismo nei commenti contrapposti che qui sono apparsi.
Sì, la scienza la fanno gli scienziati e il confronto tra loro avviene « nei luoghi a lei deputati» ma, siccome in questo momento i nostri corpi sono sotto minaccia di un virus ignoto e in mutamento, non mi infastidiscono più di tanto neppure le tanto vituperate opposte tifoserie vax e no vax.
Tra noi che siamo intervenuti traspare la scelta ideale e pratica che abbiamo fatto con maggiore o minore convinzione; ed essa è – in senso lato – comunque riconducibile ad uno o all’altro schieramento. Mi sembra, però, che ci sia ancora la possibilità di ragionare sui limiti e le zone d’incertezza reali dell’una (vax) e dell’altra (no vax) scelta. Quindi dove sarebbe la«‘singolar tenzone’ tra Guelfi e Ghibellini, fra sostenitori di una fazione e quelli di un’altra»?
Resto in disaccordo sul « partire dallo ‘sgomento’, dal ‘pianto’». Né capisco perché ragionare sia (in ogni caso? in automatico?) «‘metterci il cappello sopra’ ai problemi».
Sulle responsabilità. Sì, mettiamo tra parentesi il concetto di ‘colpa’, ma per assumermi le mie (o del gruppo politico a cui ho partecipato), vorrei fosse precisato dove avrei/avremmo «utilizzato la Ragione come grimaldello per giustificare azioni altrimenti ingiustificabili» e quale sarebbe il « tutt’altro» da cui ero o eravamo presi.
E dietro a questo nostro “dibbattito” c’è questo problema. L’articolo lo pone con chiarezza. Sulle conclusioni (“Ci vorrebbe un partito socialista ecologista capace, al tempo stesso, di un’opposizione mirata e di una progettualità ad ampio raggio”) dubito.
SEGNALAZIONE
Politica e conflitto sociale oggi
di Rino Genovese
https://www.terzogiornale.it/2021/09/10/politica-e-conflitto-sociale-oggi/#continua
Stralcio:
Sarà ciò che il nostro Guido Ruotolo chiama lo “spontaneismo della rete” a dar vita a fenomeni come quelli cui stiamo assistendo, certo è che il passaggio dalle invettive a trecentosessanta gradi, e dagli insulti ad personam, all’incitamento a prendere le armi – da parte di “comuni cittadini”, come li definisce la polizia, cioè non facenti parte di gruppi organizzati –, denota la tendenza a un salto di qualità. Non siamo più alle chiacchiere da bar e al discorso complottista attraverso cui esprimere il proprio risentimento contro i potenti, ma dinanzi a qualcosa che va prendendo la forma di un – sia pure scomposto – conflitto sociale vero e proprio. Sono individui soli, frammentati e dispersi nel cyberspazio di una comunicazione senza capo né coda, che però, con un estremo grido, si muovono verso una qualche forma di organizzazione.
La cosa è visibile ormai da anni, per quanto riguarda l’Europa, soprattutto in Francia: movimenti sociali del genere “gilet gialli”, e oggi del tipo “no vax” e “no pass”, si autoconvocano mediante la rete, dandosi periodicamente appuntamento in piazza, quando non nelle rotonde per mettere su un blocco stradale, senza che vi sia una chiara direzione in queste agitazioni prive di leader, senza una precisa linea politica, con un’ambiguità di fondo che fa sì che partiti e gruppi, di destra e di sinistra, siano al loro rimorchio (per lo più nella speranza di lucrare qualche voto, quando sarà).
In un certo senso è l’esplosione di un sociale allo stato puro. Qualcosa che nasce sì dall’inevitabile individualismo contemporaneo – in cui ciascuno è un momento effimero o tutt’al più un nodo nell’enorme congerie delle comunicazioni, senza appartenenze sociali precostituite –, ma che prende poi la piega di un movimento capace di durare. Se si pensa, tuttavia, che la scintilla che innescò il conflitto dei “gilet gialli”, nel 2018, fu data dalla protesta contro una tassa sui carburanti (presentata dal governo come “ecologica”) che penalizzava soprattutto la Francia rurale, costretta spesso a muoversi in automobile per la mancanza di una rete di trasporti locali efficiente, appare evidente il tratto da antica jacquerie presente in origine in quel movimento.
Ciò che ne seguì – la violenza urbana in particolare contro le cose, anche per il successivo intervento nelle manifestazioni dei giovani del “black bloc”, e la reazione delle forze dell’ordine, messe sì alla prova, comunque non in grado di evitare eccessi repressivi – diede il segno di una diffusa collera anti-istituzionale che non riusciva però a trovare una sponda politica, e neppure a produrre da sé una politica. I movimenti sociali odierni, per così dire, sono ciechi: riescono sì ad aprire un conflitto, sono perfino capaci di durare, ma il passaggio alla politica non sanno cosa sia. Lo abbiamo appreso dall’esperienza francese. Un presidente della Repubblica come Macron, un mediocre centrista giovatosi dell’autodissoluzione del Partito socialista nel periodo della disastrosa presidenza Hollande, attaccato da tutte le parti, è oggi al quaranta per cento nei sondaggi per le elezioni che si terranno nella primavera del 2022. Sarà lui, secondo le previsioni, a superare il primo turno e a vedersela al ballottaggio con Marine Le Pen, la quale, a quel punto, sarà la candidata dell’anti-sistema. Bel risultato, non c’è che dire, per una divisa e dispersa sinistra francese che, a quanto pare, non riuscirà ad altro se non a presentarsi con quattro o cinque candidati.
Il passaggio alla politica – diciamo pure, dal conflitto sociale allo scontro politico, che non è soltanto elettorale ma è anche elettorale – è ciò che i movimenti non riescono a fare. In Italia la situazione è differente da quella francese: la presenza dell’estrema destra nelle piazze “no vax” e “no pass” è più marcata, e c’è addirittura una sponda politica nel governo che dà voce alle loro rimostranze. Ma la questione decisiva è un’altra. Chi, quando e come, cercherà di orientare il malessere sociale provandosi a distoglierlo dal discorso irrazionale più o meno complottista, più o meno naturaliter di estrema destra, in direzione di una linea politica costruttiva, di opposizione o di governo?
Gli anarchici (moderati o radicali che siano) dovrebbero trovarsi a loro agio nel recepire una protesta acefala, sempre che nel frattempo abbiano aggiornato i loro strumenti comunicativi dal ciclostile a Internet. Ma nemmeno loro sembrano avere una qualche presa, per tacere della sinistra tradizionale di estrazione socialista e comunista, ammesso che qualcuno di quei militanti un po’ rétro sia ancora in circolazione. Non v’è dubbio, però, che la questione si pone, ne parlava Mario Pezzella in un suo intervento qualche giorno fa su “terzogiornale”: come uscire dalla falsa alternativa che fa di qualsiasi critica alla campagna vaccinale il pretesto per un’agitazione scomposta o, dall’altro lato, per la riaffermazione delle pretese virtù del sistema?