di Annamaria Locatelli
NEL BOSCO ANTICO
Anno 2050…autunno piovoso. Il bosco offre un tappeto di foglie multicolori: il sentiero ne è disseminato, ma ne restano ancora sugli alberi, piccole fragili bandierine già arrese. Alle zampe di agili o pigri animali, le foglie non scricchiolano più, la pioggia le ha rese flosce e marce, quasi una poltiglia di fango giallo-verde mescolato al terriccio. Una stradina costeggia il bosco e un’altra lo attraversa: ad un tratto, alla svolta di un’audace curva, si congiungono, quasi vanno a sbattere muso contro muso, come due animali fuggitivi e disorientati. Nessun paia di occhi a testimoniare l’incontro, solo felci e muschio.
Ma quelle due strade hanno fissato un incontro per sempre: rigide, immobili. Si toccano, si attraversano per poi divergere di nuovo. Chissà se hanno pattuito un’intesa, si sono confidate un segreto o solo sfiorate per perdersi una volta per sempre…Presenze, presenze. Gli alberi sono quelle più antiche: dominatrici possenti vite, hanno generato altre vite. Formiche, uccelli, insetti, piccoli mammiferi e poi fiori, arbusti…un mondo completo, anche se marcescente. Il torrente, scendendo dal monte e srotolando macigni, si è affacciato alla scena ancora prima del bosco: intorno a lui tutto è germogliato…di presenza in presenza un’infinita catena a ritroso, senza poter risalire al Big Bang. Ripercorrendola in avanti, per ultimo è apparso l’uomo che ha sentito il bisogno di tracciare una o più strade nel bosco. Eppure prima di lui nessuno vi si era mai perso. Chi volava sopra, chi lo attraversava con la lentezza della lumaca, chi con la velocità della lepre, senza bussola e punti cardinali. Era sempre la propria casa: non ci si allontanava mai, non ci si perdeva mai. A volte si mangiava, a volte si veniva mangiati: sempre si andava a concimare la terra. E arrivò l’uomo! Non è riuscito ad essere con la natura, ha voluto dominarla…ma le stradine, in fondo, sono solo una tenera cosa, un bisogno di esserci, di facilitare il cammino, senza disturbare.
In quel bosco, ai piedi delle montagne, a parte le due stradine, lascito di antichi pastori che un tempo conducevano i loro greggi sulle alture e sentiero prediletto di persone solitarie e di innamorati, non c’erano tracce di opere umane.
L’autunno é avanzato e si intravedono i primi segnali dell’inverno imminente. Gli animali più pigri si preparano al lungo letargo, gli uccelli migratori hanno già spiccato il volo per terre lontane, le farfalle, dalla breve vita, sono scomparse e l’edera, cadute le foglie, ha cessato di ricoprire i tronchi e le verzure di delicate campanelle bianche, screziate di rosa, in un abbraccio mortale.
C’è un’attesa nell’aria, nel silenzio incantato, silenzio che la sottile pioggia non riesce a turbare. La natura tutta sembra interrogarsi sul suo destino: vivrò o non vivrò? E’ struggente e spasmodica la richiesta di una risposta che tarda ad arrivare…e tutto è sospeso nell’aria, come per il primo giorno del mondo. Però allora il mondo si apriva alla speranza di un’eterna primavera, ora invece presentimenti di morte si stampano nella linfa verde e nei corpi dei piccoli insetti e degli animali del bosco. Gli alberi piangono le loro lacrime di pioggia e di freddo, le goccioline a rivoletti si inseguono sui tronchi squamosi, sui rami, sulle foglie ingiallite e vanno a penetrare nella terra scura…scoiattoli, talpe, serpentelli si acciambellano nelle loro recondite tane e rifiutano agli occhi la luce…ne hanno vista e vista e basta una volta per tutte! Lasciateci dormire in santa pace! Noi veniamo forse a disturbare il vostro sonno? Scusate, scusate. I dialoghi sommessi nel bosco…
E le due stradine che si incrociano sempre rigide a fiutare la metamorfosi – soltanto un mese prima tutt’intorno c’erano movimento, vita, musica di uccelli, colori e profumi inebrianti – pensano di essere solo loro uguali nel tempo, mentre lì tutto si trasforma. Certo sono opera dell’uomo, l’essere che pretende di incidere sulla natura “ per sempre”, l’essere che pretende di essere immortale.
Ma ad un tratto, nel silenzio tintinnante, un garrito squarcia l’immobilità del cielo e il pesante grigiore: la macchia scura di un rondone taglia in due lo spazio, segnando nel cielo, come a specchio, la traiettoria del piccolo sentiero che attraversa il bosco, una freccia saettante.
Nello stesso tempo una farfalla vola al limitare del bosco, sulla piccola strada che costeggia il tratto boschivo. Il rondone, in una delle sue acrobazie, si abbassa nel volo, quasi radendo il suolo, e va a raccogliere tra le ali nere quelle della bianca farfalla. Forza e delicatezza si incontrano in un abbraccio improvviso e disorientante di corpi vivi nel volo. Ciascuno dei due esseri si sorprende imbarazzato e desideroso di recuperare il suo spazio, la sua integrità, e si ritrae ma subito dopo freme dal desiderio di replicare il contatto. Farfalla e rondone sono dei sopravvissuti, i loro simili hanno già concluso la breve esistenza oppure sono migrati in terre lontane, dal clima accogliente. Solo loro sono rimasti a quelle latitudini, nel rigore dell’inverno imminente. Ma perché? Perché non seguire il comportamento dei compagni che da tempi remoti si ripete e che attiene alla conservazione della vita? Un mistero unisce le due creature in un insolito e comune destino! Forse un’amnesia dell’istinto destinata a portarli a morte certa? Oppure un atto coraggioso di volontà, la bacchetta magica di tutti i giorni? L’incontro inaspettato ha scatenato mille dubbi e ciascuno teme sadiocosa. Lunghi e incerti sguardi…Incomincia il rondone con un timido rito di corteggiamento, vola intorno alla farfalla, ma non è abituato a volare basso e a percorrere piccoli spazi concentrici, bensì a puntare all’immenso cielo azzurro intrecciando con i compagni mille trine nere. Solo così si sentiva libero e felice, ma ora una forza irresistibile lo porta in altra direzione. Anche la piccola farfalla, del resto, lo asseconda e cerca di elevare il suo volo quasi all’altezza dei rami più bassi degli alberi, colta da ugual sentimento. Il rondone vede la farfalla tremare di gioia, allora distende le sue ali protettrici e la farfalla prontamente vi si incunea, e non più per caso, sentendosi entrambi pervadere da un senso di accoglienza. Cercano ora un rifugio nella fessura del tronco di una vecchia quercia e a lungo si raccontano…Le stradine del bosco sbirciano in tutte le direzioni, vorrebbero divincolarsi, rincantucciarsi l’una nell’altra, ma si sono perse d’immobilità…
L’INVITO
La donna si sveglia di soprassalto, guarda l’orologio: è mattina tarda ormai! Quella notte aveva sofferto di insonnia, i soliti pensieri fissi che le disturbavano il sonno! Era sola e viveva di preoccupazioni e di ansie. Riusciva comunque a sognare in quelle poche ore di sonno dall’alba al risveglio, e non sempre erano sogni rassicuranti! Quella notte, infatti, una invasata ipnotizzatrice le aveva letteralmente inculcato la paura folle di avere ormai poco tempo di vita e di dover portare a termine con urgenza una missione: scrivere un testo teatrale per uno spettacolo che si doveva rappresentare su un grande palco, in una regione imprecisata del mondo, in una località ancora meno definita. Nella mente della donna tutto era vago, il sogno lo era per i suoi contorni indistinti, ma nello stesso tempo il messaggio trasmessole aveva una forza assoluta e un mandato indiscutibile. Pertanto la signora si preparò un caffè molto forte e si mise subito al lavoro. Lei non era una scrittrice, tuttavia prese un foglio ed una penna e pensò: qualcosa mi verrà in mente…Dopo un’ora la pagina era ancora del tutto bianca, tra l’altro nessun suggerimento le era stato fornito sul soggetto. Sconforto e terrore cominciarono ad impadronirsi di lei. L’orologio scandiva senza tregua il trascorrere del tempo e lei non riusciva a sfornare la più piccola idea! Era una questione di vita o di morte arrivare al più presto allo scopo…ma perché, se doveva comunque morire? I sogni vai a capirli! Bisognava almeno pensare ad un nome, ad un titolo che l’avrebbe magari ispirata e poi forse tutto sarebbe stato più semplice. La donna strinse forte la penna nel pugno e scrisse di getto una sola parola: Pagnotta. Fu come accendere uno schermo: apparve il Paggio Pagnotta di dimensioni umane, pervaso da un intenso profumo di menta e avvolto da un mantello di color verde, dal bavero rubino. Incantevole ed enigmatico…la piccola stanza si allargò e prese le dimensioni di una vasta foresta profumata, attraversata da un impetuoso corso d’acqua!
Lo strano essere, mangereccio e fluviale, si rivolse direttamente alla donna molto sorpresa (aveva, nonostante l’aspetto, la voce severa):
– Ero qua ad osservarti da molto tempo, tu non mi vedevi, ma poi mi hai invocato, eccomi qua: hai bisogno di aiuto e l’avrai, ma devi anche farti guidare…le cose non vanno mai o quasi mai secondo i piani degli uomini! Ma sbrigati, hai già perso troppo tempo in cose ingannevoli. Ti suggerirò le informazioni esatte che da tempo cercavi. Prendi la mappa della Terra, c’è un luogo, piccolo punto del nostro pianeta, dove sei attesa. E’ situato in prossimità del mare e verdi colline lo incorniciano. Là si erge un palco costruito dalla natura: uno spiazzo elevato e protetto da antichissimi lecci e querce. Vai e saprai: ti aspetta un velivolo e il pilota è già pronto a condurti!-
La donna si sente confusa e smarrita: dovrebbe partire subito, lasciare tutto per una destinazione ignota e per una missione ancora più ignota? Ha un momento di esitazione, ma sa di non avere alternative, il suo cuore batte forte, ha molta paura ma deve. All’ultimo momento afferra una borsettina con qualche soldo e una carta d’identità, non poteva sapere di qualche controllo di frontiera. Intanto l’autorevole e appetibile Paggio si rende di nuovo invisibile e la donna spaventata si precipita all’esterno dove una cornacchia dalle ali spiegate la incoraggia impaziente a salirle sul dorso. Solo un fugace pensiero: ma quanto scomoda sarò? Si vola! Si vola! La signora prova a rilassarsi perché deve pur affrontare la situazione con calma; le penne del capo, a cui è aggrappata, sono alquanto ruvide! Intanto ha il tempo di riflettere con apprensione che, se ci doveva essere una rappresentazione, di essa esisteva solo il titolo: Pagnotta, ma senza testo, ovvero molto conciso. Qualcuno avrebbe provveduto a tutto, spera, l’importante ora era restare calmi e farsi trasportare! Non si può scegliere il mezzo di trasporto come è inutile opporsi al destino. Tira un profondo respiro, ma è troppo presto per prendere fiato, l’uccello è investito da tremende scariche elettriche e una formidabile tempesta si abbatte sul piccolo velivolo. Fortunatamente il pilota – quanto lo stava rivalutando il suo uccello trasportatore!- sa tenere la rotta e passa indenne tra bagliori sinistri e sconquassi…Il cielo ora si rischiara e appare molto in basso la Terra, tra bianchi vapori; la cornacchia si appresta ad atterrare e la donna vede avvicinarsi la meta. Si tiene stretta, trema, ma l’atterraggio è abbastanza indolore, solo un divertente ruzzolone alla fine. Quando sbarca, si aggiusta i capelli, raccoglie la borsettina e vorrebbe ringraziare il volatile ma non ne ha il tempo, subito un gran rumoreggiare di mare e di genti la travolge: vede molte persone, centinaia, migliaia, sedute in cerchio intorno a un grande palco naturale. Dal colore della pelle, dagli abbigliamenti e dal risuonare delle più svariate lingue, capisce che provengono da ogni angolo del pianeta. Anche lei si ritrova seduta tra loro, è una di loro: una donna bianca del vecchio continente…Tutti giunti lì dalle regioni più lontane e, viene a sapere – le barriere linguistiche azzerate – con un invito particolare tutti sollecitati a scrivere il testo per una rappresentazione. Nessuno, si capiva dai volti preoccupati, era riuscito a portare a termine la consegna. Il mare ai piedi della grande collina occhieggiava tra scintillii di luce e sembrava divertito. Tra i mille interrogativi dei presenti, all’improvviso si fa silenzio e una quasi certezza: era quello l’incantevole spettacolo promesso, si presentava ai loro occhi: genti e mare da amare… Già scritto il copione, a caratteri di liquide onde increspate, un gigante a tracciarne la trama? Lor solo chiamati a rifletterlo: insieme autori, attori e pubblico? Ormai era lì e non le dispiaceva; sciogliere l’intero enigma era impossibile, pensa la donna. Quanto era lontano il suo piccolo mondo! Poteva anche sbarazzarsi della borsettina, nessuno lì chiedeva documenti, si sentiva a casa e si rifletteva in tutto ciò che vedeva, non distingueva più onde occhi mani…e infine: ”Pagnotta per tutti!”
Tutto è animato, perfino le stradine del bosco si personalizzano e vivono, con intenzione e consapevolezza, come le onde, gli uccelli, gli insetti. L’immaginazione perfora il velo su cui si presenta un mondo -natura e rapporti- opaco e statico; invece tutto, dietro il velo, si muove in incroci di solidalità e piacere reciproco.
Senza contare l’entrata sorprendente di “Pagnotte per tutti!”, vero colpo di scena narrativo!
grazie, Cristiana, per la lettura e il “movimentato” commento…
Mi offre lo spunto per esporre qualche riflessione sulle due fiabe dallo stile, diciamo, demodé… Scopro di averle scritte nella forma, o meglio nella reminescenza, della narrazione orale…avevo, nella sfera familiare, due nonne (una contadina, una migrante) e una zia affittacamere che avevano il gusto di raccontare. Anche l’osteria era un eterno e animato palcoscenico di storie realistiche e fantasiose…I canovacci erano mutevoli, come nella tradizione orale…Mia nonna Maria veniva a trovarci ogni tanto e, sapendo del nostro desiderio di racconti, esordiva: ” ecco per voi la pastocia della cagnulina!”, in dialetto cremasco, sua terra di origine…raccontava, raccontava, poi smetteva per sfinimento, allora noi bambine a tirarla per la veste: “ancora una, ancora una!”…La zia affittacamere ci terrorizzava con la sua “Storia dei sette cimiteri…”, da farsela addosso!