COMMENTO VELOCE
“Secondo gli ultimi dati Istat, il numero dei lettori in Italia diminuisce. Nel 2016 solo il 40,5 per cento degli italiani ha letto un libro, mentre il mercato digitale è in crescita […] Che dai quattordici ai diciannove anni si legga pochissimo è uno dei sintomi più inquietanti e scoraggianti” ( Berardinelli)
Da “Giornalismo culturale. Un’introduzione al millennio breve” di Alfonso Berardinelli (qui) ripreso dalla pagina FB di Annamaria Pagliusano
Parte dei fenomeni denunciati esistevano già prima della digitalizzazione dei saperi. Non sono imputabili ad essa, ma alle strutture classiste della società. Che magari la digitalizzazione sta rafforzando e meglio occultando (per assenza di lotta di classe organizzata, di politica non populistica, etc.).
Berardinelli non dice cose false, ma troppo di buon senso (snobistico). E’ uno che, rispetto ai chiacchieroni, parla sulla base di una buona documentazione. Ma la sua interpretazione dei fenomeni in corso non va in profondità. Per cui insiste pure lui su molti luoghi comuni. E soprattutto cede alla nostalgia idealizzante: ah, il lettore-studioso di una volta! (quello forse della sua giovinezza).
Terra terra. È troppo chiedersi se – per caso, eh! – i giovani (e i vecchi, meno gli adulti che lavorano) non leggano comunque? Certo, non o meno libri cartacei e non i classici della letteratura delle ex patrie lettere, ma altri testi. Magari di solito brevi (come sui social). E ancora: in tutto quello che leggono (non dai libri) non possono mai trovare spunti – anche casuali, anche minimi – per far scattare nelle loro menti e nei loro discorsi un pensiero insolito o un’idea non conformista, se non proprio originale? Quanti (di ogni età) navigando in rete, incuriositi o interessati, leggono anche testi lunghi, magari dopo esserseli scaricati? E i tanti scriventi, su cui Berardinelli ironizza, davvero non leggono mai? E, ammesso in teoria che non leggano, non pensano? Mai? E’ reale poi una divaricazione così estrema tra scrittura e lettura? Per cui o tutti a scrivere o tutti a leggere? Boh!
Laudatores temporis acti:
Berardinelli: “Ah, non c’è più il lettore di una volta!”
Abate: “Ah, non c’è più la lotta di classe di una volta!”
Postmodern Laudatrix:
Grammann: Che bello questo eterno presente
Antiberardinelliana: “…o tutti a scrivere o tutti a leggere?” e, come al solito, nessuno capace di far di conto.
ANTIBERARDINELLIANA 2
«Sarà perché apprezzo il genere del diario-pamphlet, ma mi viene in mente che a molti dei nostri narratori improvvisati è come se mancasse la pratica del diario, dello scrivere nel modo più semplice e diretto che cosa si vede, che cosa si pensa, che cosa si teme, che cosa si vorrebbe.»
(Contro la retorica torniamo al diario di Alfonso Berardinelli
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/contro-la-retorica-torniamo-al-diario?fbclid=IwAR3qVlA3Rg_MbBT0PUXaRUd3Mq5GW92ALdD10DCRzFLouEHyi2F3DpSzjUg)
Ma il diario (e anche il riordinadiario) non bastano. Non fanno narratorio ( e di per sé non fanno i conti (indispensabili) con la storia (o le storie, per i non occidentalocentrici).
ANTIBARRA SU FB
Adriano Barra
D’accordo con Berardinelli. Con un’aggiunta: non c’è niente di più triste di un diario. Il coraggio della tristezza. Meglio la spavalderia, direbbe Barbero.
Ennio Abate
“Il coraggio della tristezza”?
“Se il desiderio si presenta come un conatus puramente individuale, il soggetto non assume quella dimensione collettiva che gli permette di uscire dalla dinamica neoliberista dell’adattamento sociale.”
(Le passioni tristi di Benasayag
di Pietro Barbetta (2016)
ttps://www.doppiozero.com/rubriche/4270/201602/le-passioni-tristi-di-benasayag?fbclid=IwAR3HY06TZs1vygEg_yN2JvVHDeowd7QG7hnySIVDQpAx68SPVd79e4MXIy0)
l’unico che previde tutto, pure il futuro
https://it.wikipedia.org/wiki/Prefazioni_(Kierkegaard)
ANTIBARRA+ANTIBERARDINELLIANA (SULLA PAGINA FB DI ADRIANO BARRA)
(continuazione)
Adriano Barra
” La pratica del diario, dello scrivere nel modo più semplice e diretto che cosa si vede, che cosa si pensa, che cosa si teme, che cosa si vorrebbe. “. ” Il monologo ostinato “, avrebbe detto Fortini. ” El parlava da per lu “, avrebbe detto Jannacci. Bei tempi, quelli.
Ennio Abate
Si può scrivere anche un articolo o un saggio o un manifesto o una poesia “nel modo più semplice e diretto” (e non si deve ricorrere necessariamente o esclusivamente al diario per ottenere quest’obiettivo).
Certo, Fortini praticava *anche* il “monologo ostinato” ma accanto al saggio, agli articoli per “il manifesto”, etc. A parlare a un possibile “noi” non rinunciava anche quando “monologava”.
Una cosa io temo: che la forma diario possa essere una forma di autoreclusione troppo “intelligente”, “triste”, “saggia”: berardinelliana, insomma.
Adriano Barra
Quando torno a casa pubblico il Fortini del ” monologo ostinato “. Per intanto ti dico che l'” autoreclusione ” di Berardinelli mi sembra piuttosto relativa, visto che scrive sui giornali, va ai festival etc.
Ennio Abate
Attendo per Fortini. L’autoreclusione di Berardinelli per me è – da come si vede – una posa.
P.s.
E pensa che il povero Sandro Briosi, quando Berardinelli aveva lasciato “sdegnosamente” l’università, l’aveva preso sul serio. Ci dev’essere un articolo su “L’immaginazione”…
Adriano Barra
Ecco.
——————————————————————————————————————-
Stefano Guarini
Comunque, su Berardinelli, basterebbe notare che – come Agamben, Canfora, Ginzburg e pochissimi altri – non va in televisione. Sarà anche una posa, ma intanto non lo conosce quasi nessuno, mentre Cacciari, Barbero e Galimberti sono delle celebrità. Poi, in definitiva, sarebbe banalmente da valutare quello che scrive o dice. Ps. Immagino che lasciando l’università abbia anche rinunciato a qualche vantaggio economico, o no?
Ennio Abate
Ma lo scopo ultimo è diventare “una celebrità”? E gli intellettuali vanno distinti tra quelli che vanno o non vanno in televisione? Io li misurerei per quel che riescono a mostrare della realtà che sopportiamo.
P.s.
Se Berardinelli ha rinunciato a qualche vantaggio economico lasciando l’università sono fatti suoi. Avrà soppesato la scelta e non è che poi si è trovato sul lastrico. Dargli una patente di nobiltà d’animo o di moralità per questo gesto mi pare un errore di valutazione. Tanto l’università s’è degradata lo stesso malgrado il suo “bel gesto”. E a fare le spese di questo degrado sono in tanti. Troppo comodo consigliare più lettura invece che corsi di scrittura, quando non si è contrastata a sufficienza la Restaurazione nelle università e o ci si è accomodati nello specialismo o ci si è adattati alle tribune de Il Foglio, L’Avvenire, etc. Quindi di che parliamo?