Del discorso lungo e di quello corto

SEGNALAZIONE A CURA DI E. A.

di Pierluigi  Fagan
(https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10225285387377293)

Stralci:

1.
del libro [“Il capitalismo della sorveglianza” di S. Zuboff] mi interessa rilevare un altro aspetto. Il libro sviluppa 539 pagine nette, al netto cioè delle note. Non è né noioso, né difficile da seguire, anzi, merito dell’autrice è quello di dipanare la matassa con accorta lentezza ritornando più volte sui punti precedenti di modo da costruire nel tempo, la struttura di ciò che intendeva comunicare. Sono quindi 539 pagine “necessarie”. Necessarie all’autrice per dirci ciò che aveva da dirci, necessarie al lettore per assorbire informazioni, tesi, concetti e struttura del discorso. Discorso riferito a fatti, molti fatti, interpretati e giudicati con parziale giustificazione del sistema mentale dell’autrice quanto ad interpretazione e giudizio. L’autrice è docente di psicologia sociale ad Harvard, ma si è immersa a fondo nell’argomento riportandoci non solo analisi ma fatti con analisi. La parte della sua immagine di mondo dedicata a questo lavoro di analisi, dichiara esplicitamente il debito di conoscenza con Marx, Durkheim, Weber, Arendt, Polanyi forse più di ogni altro.

2.
L’informazione di massa, nei media moderni o in quello ultra-moderno di Internet (social, blog etc.), veicola solo i concetti. Spesso neanche quelli, si va direttamente al giudizio. Ma cosa capisce la gente dei concetti se non è stata esposta al processo di condensazione del discorso lungo in quello breve che è appunto il concetto? O peggio cosa capisce di un giudizio se non ha neanche il concetto per non dire del discorso lungo che questo vorrebbe zippare?

3.
quali sono i rapporti tra i nostri discorsi brevi e quelli lunghi nel dibattito pubblico?

Oggi abbiamo folle che credono alla scienza ed altri che non ci credono a priori. Cinquanta anni fa era consenso diffuso almeno nelle vaste platee critiche (che erano più vaste delle attuali) il concetto di “non neutralità della scienza e degli scienziati”. Il che però non significava pensare a priori che qualsiasi informazione scientifica fosse una bufala ideologica. Di nuovo, il discorso lungo predispone ad assorbire informazioni, schemi interpretativi, riferimenti su cui applicare la lente critica per filtrare il tutto e discernere il grano dal loglio, facendosi una opinione. Il discorso breve invece dà l’illusione di avere un concetto, quindi una conoscenza, ma in realtà dà solo un geroglifico il cui senso e significato non si ha. Tale geroglifico inserito nel giudizio dato dalla fonte a cui prestiamo credibilità a priori, determina la nostra illusione di conoscenza.

4.
[Ci sono] discorsi lunghi [quello climatico, come quello economico, ambientale, geopolitico, politico e sociale, tecno-scientifico, filosofico o qualsivoglia altro, che] richiedono tempo, tempo per conoscere, digerire, elaborare, sintetizzare, costruire sintesi di sintesi, dibattere con altre menti. Tempo che mediamente nessuno ha poiché nel nostro ordinamento il tempo è denaro ed il denaro è la fiche del gioco, gioco sociale che non possiamo non giocare sebbene il casinò non l’abbiamo scelto noi, ci siamo stati “gettati”.

5.
Noi viviamo in una società che si dice dell’informazione, ma il sottostante è una società dell’ignoranza. La società dell’informazione è una società dei discorsi brevi, dei concetti (se ti va bene, più spesso delle sole “asserzioni”), dell’illusione di sapere ciò su cui esprimiamo giudizi. Questa grande illusione della società dell’informazione, che scambia la conoscenza con l’informazione, il discorso lungo con quello breve, copre una società profondamente ignorante, siamo nella palese diseguaglianza della conoscenza da cui ogni altra sopravviene.

La società è profondamente ignorante per il semplice fatto che i discorsi lunghi presuppongono il tempo ed il tempo è una risorsa scarsa passibile di usi alternativi, ma non scelti in libertà perché il contratto sociale (oggi derogato sistematicamente da élite strette tra ignoranza ed irrisolvibile conflitto di interessi) impone che più metà del tempo di veglia sia dedicato a procurarsi le fiche del gioco, che poi è la nostra stessa esistenza; quindi, un gioco “che non si può non giocare”.

6.
Il rischio adattivo che corriamo perché siamo capitati in un mondo sempre più complesso ovvero fatto di questioni molteplici la cui conoscenza presupporrebbe molto tempo, è che questo mondo va da una parte; e dall’altra va la nostra illusione di partecipare al discorso pubblico, alimentata da asserzioni senza concetto o concetti senza conoscenza nel turbinio informativo a cui ci dedichiamo quando non abbiamo altro da fare, oltretutto convincendoci che l’informazione del discorso breve possa surrogare la conoscenza del discorso lungo.

APPENDICE

Rapporto Censis

Roma, 3 dicembre 2021 – Gli italiani e l’irrazionale. Accanto alla maggioranza ragionevole e saggia si leva un’onda di irrazionalità. È un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste. Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. Si osserva una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste. Dalle tecno-fobie: il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone. Al negazionismo storico-scientifico: il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna. La teoria cospirazionistica del «gran rimpiazzamento» ha contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica: identità e cultura nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, portatori di una demografia dinamica rispetto agli italiani che non fanno più figli, e tutto ciò accade per interesse e volontà di presunte opache élite globaliste. L’irrazionale ha infiltrato il tessuto sociale, sia le posizioni scettiche individuali, sia i movimenti di protesta che quest’anno hanno infiammato le piazze, e si ritaglia uno spazio non modesto nel discorso pubblico, conquistando i vertici dei trending topic nei social network, scalando le classifiche di vendita dei libri, occupando le ribalte televisive.

(https://www.censis.it/rapporto-annuale/la-societ%C3%A0-irrazionale?fbclid=IwAR2z-uYxsYedonalkIuMhajwUm-2OiZ_n31wrbuPnGQDre2dOmp-L3rvmuU)

2 pensieri su “Del discorso lungo e di quello corto

  1. Un certo aristocraticismo di Fagan. Il tempo lungo è un lusso per la maggioranza, quindi ci si deve fidare dei concetti ricevuti da chi ne dispone. Ecco il problema: una volta gli “intellettuali” erano persone serie (sarà poi vero?) e ci si poteva fidare. Oggi anche i terrapiattisti si riferiscono a qualcuno e si fidano dei “loro” intellettuali (risate). Del resto persino medici e scienziati no-vax sono ufficialmente considerati degli imbecilli, e ci si dovrebbe fidare di chi li bolla come tali? La mediazione tra chi dispone di tempi lunghi e di concetti, e chi deve accontentarsi del sintetico, è saltata per aria. E’ questo il problema.
    Vero è anche che Fagan, rispondendo a un commentatore, scrive che i processi di riduzione, quelli che portano a costruire i concetti del tempo breve, andranno discussi. Comunque sia chiaro: io so pochissimo di chimica, e mi devo fidare di chi me ne dà concetti, e questo vale per tutto. Ma di chi possiamo fidarci, non avendo il tempo di approfondire i concetti pure necessari per vivere?

  2. DA POLISCRITTURE 3 SU FB

    **AL VOLO/ GRAZIE, PATRIOTI!**

    ***”Ma l’Italia è andata addirittura indietro: in trent’anni i salari dei lavoratori italiani sono diminuiti del 2,9% (!!!). ” (Marco Revelli)***

    il focus puntato sulle condizioni materiali delle persone, in particolare dei lavoratori che costituiscono la maggioranza della popolazione e che hanno subìto per almeno tre decenni ingiustizie e spoliazioni, rappresenta un insperato ritorno di un barlume di razionalità e di ragionevolezza – il riaffacciarsi della vecchia vituperata ma spesso salvifica Ragione illuministica – nella notte dei sabbah e dei riti del potere.

    Stupisce, in tale contesto – e anche questo è il sintomo della “crisi della Ragione” in atto – lo stupore della massime autorità di governo competenti in materia. Il “non capisco le motivazioni dello sciopero” del ministro del Lavoro, Orlando, che pur qualcosa dovrebbe sapere delle condizioni di vita di quelli che costituiscono nel bene o nel male l’oggetto delle decisioni del suo Dicastero. Soprattutto l’”incredulità di Draghi” – è un titolo di Repubblica -, che le cronache descrivono come “irritato”, in qualche reportage addirittura “irato” (“L’ira di Draghi”, il Messaggero). E la sua sentenza: “E’ immotivato”. Sarebbero questi gli “statisti”? O anche solo gli “economisti”?

    Mario Draghi, se non altro per il mestiere che ha fatto per tutta la sua vita precedente, dovrebbe saper leggere i numeri. Ebbene, gli suggeriamo di dare un’occhiata a qualcuno dei tanti dati che potrebbero illuminarlo: per esempio alla serie storica elaborata dall’Ocse (non dal Centro Studi della Cgil) sulla dinamica dei salari medi annuali nei rispettivi Paesi nell’ultimo trentennio (1990-2020). Potrà vedere a occhio nudo che l’Italia si colloca all’ultimo posto tra i 23 membri censiti, l’unico con un valore negativo! Sono cresciuti tutti: chi molto (la Korea fa segnare un +92%), chi con un valore medio (il Regno Unito +44%, la Germania e la Francia rispettivamente +33% e +31%), chi pochino (la Spagna col suo +6%). Ma l’Italia è andata addirittura indietro: in trent’anni i salari dei lavoratori italiani sono diminuiti del 2,9% (!!!).

    (da https://ilmanifesto.it/la-lotta-sindacale-rimette-il-paese-con-i-piedi-per-terra/?fbclid=IwAR2RbDTEAGE95DUawVnjftBmhI-QubiPhOVljaU8fhHtRbg1rpKYDFDcbSI)

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