di Donato Salzarulo
Non si placa l’emorragia di gennaio Chissà il cervello, mi dico, apprensivo, chissà se prima o poi un grumo di sangue non esploderà sul più bello fra i neuroni e mi lascerà silenzioso a vegetare, per me che parlare parlare è la torta del cuore. A mia madre certe volte il sangue affiorava spontaneo sui denti. I capillari scoppiavano spesso. Aveva lividi sulle braccia, sul collo, sulle gambe. Seguiva una terapia anticoagulante. Temeva urti, tagli, impatti violenti. L’esistenza emorragica. Portava sempre con sé fazzoletti di carta. Il cuore esplose all’alba del diciannove aprile del Novantanove. Le lasciò un rivolo di sangue all’angolo sinistro delle labbra e la trasferì altrove.
All’avvento drammatico dell’ictus cerebrale segue la morte o la perdita di funzioni neurologiche quale la parola. Qui tu fai sorgere il dubbio : è più’ giusto morire subito o lentamente nella disperazione della perdita della parola?
Trovo questa poesia molto visiva e ringrazio l’autore per questo esempio di scrittura poetica così preciso da cui si può solo imparare. Troppo spesso si leggono in rete dei semplici “a capo” che vengono spacciati per poesia. Il tema della malattia e del dolore viene rappresentato in una formula originale con una ricerca linguistica che crea inaspettati rapporti semantici. Si realizza così un tessuto narrativo di un’esperienza individuale che diventa emblema e racconto collettivo. In questa forma poetica avverto nessi post-moderni o di post-modernità ma non si esce dal tempo. Il tempo ritmico è scandito alla perfezione di chi conosce e ha studiato a fondo il linguaggio poetico. Il tempo ritmico ci parla anche del tempo individuale della fine che arriva per tutti come un embolo improvviso, un cuore che espode nell’ultimo suo battito. Ed ecco che un’esperienza linguistica monologica è diventata plurilogica. Perché ognuno di noi farà i conti con l’unicità della fine. Grazie
la poesia di Donato mi colpisce molto in quanto, con pacatezza e lievità di scrittura, ci parla di un destino comune (lasciando perdere per una volta l’spetto sociale) ad ogni corpo da cui, come da un vaso, travasano sangue e linfa, prendendo strade inconsuete per l’organismo. Ogni essere vivente dovendo pure ritornare alla terra! “L’esistenza emorragica” ci coinvolge emotivamente quando si tratti del corpo di un caro familiare o di noi stessi, avvertendo le avvisaglie di un progressivo, spesso poi repentino, liquido abbandono. Un’esperienza che vede disfarsi un corpo, per contrasto, puo’ anche ricordare la gestazione, la nascita…Ma questo ci accomuna al pianeta: penso alle isole Tonga che l’eruzione vulcanica di questi giorni ha incenerito, senza crudeltà del tutto indifferente ai destini individuali…Grazie
Effusione: il sangue sostituirà il linguaggio, la sua consistenza strutturata e aerea.
La notizia è certa: non si placa l’emorragia di gennaio, e non è ancora finito! Speriamo nel “mese” prossimo, ma la figurazione finale di uno sciogliersi di tutte le differenze organiche e organizzate nell’entropia (=emorragia) lascia tracce di sé sui fazzoletti di… carta scrittoria.
Ringrazio Domenico, Giulia, Annamaria e Cristiana per i loro preziosi commenti.
A Domenico confesso che preferirei una morte improvvisa, all’alba. Insomma un arresto cardiaco come mia madre, invece di un ictus cerebri come mio padre, che perse la parola.
A Giulia che i suoi giudizi mi fanno un po’ “arrossire”. Troppo esaltanti. Leggendo e rileggendo il commento mi ha suggerito – non so perché – gli ultimi due versi di “Falsetto”, una notissima poesia di Montale: “Ti guardiamo noi, della razza / di chi rimane a terra”. Ovviamente, non so se Giulia sia un’Esterina. In ogni caso, la ringrazio assai per i suoi giudizi lusinghieri
Condivido le annotazioni di Annamaria. “Un’esperienza che vede disfarsi un corpo, per contrasto, può anche ricordare la gestazione, la nascita…” Vero. Si potrebbe andare anche oltre. Penso a Giovanni 12, 24-26: “se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Lo so che non siamo chicchi di grano. Ma ogni morte, per quanto dolorosa, può forse portare il suo frutto.
Cristiana, con la sua chiave di lettura, mi ha fatto venire in mente l’espressione metaforica “buttare il sangue” per dire che si è faticato molto. In fondo, per scrivere una poesia, tante volte si butta il sangue. E questo sangue sono parole e pensieri.
Ancora mille grazie per i vostri commenti