di Ennio Abate
Attirato da un post su FB, ho chiesto l’”amicizia fessbucchiana” a XY. Ieri sera, di fronte ad un articolo sulla sua pagina, in cui si lamentava – riporto a memoria perché non l’ho copiato – di non avere un posto in cui discutere coi compagni su cosa fare, sul venir meno della democrazia, etc., mi sono ricordato della «ingenua paginetta» (così un commento del tempo) del 7 agosto 2012, che avevamo pubblicato in vari blog o siti che avevano accettato di ospitarla con questa avvertenza: «I suoi promotori la intendono come un primo “segnale di fumo” di un dissenso diffuso da rendere manifesto e ragionato; e s’impegnano a migliorarne contenuti e formulazione con quanti vorranno aderire o discuterla».
Preso da senile entusiasmo – beh, uno che ancora riflette sui libri di Marx di questi tempi è rara avis da seguire, borbottavo tra me – ho lasciato sulla pagina di XY questo commento:
Qualche secolo fa, nel lontano agosto 2012, io e vari amici (oggi dispersi o operanti da isolati sul Web) promuovemmo un manifesto intitolato “Noi accusiamo!”. Perché non riprovarci, magari con altri nomi e parole e concetti? E’ il ‘noi’ che manca prima ancora del posto in cui trovarsi.
Con il testo del manifesto del 2012:
Noi accusiamo! Noi firmatari intendiamo esprimere la nostra indignazione per il silenzio ambiguo, quasi una complicità, con cui il ceto intellettuale sta rispondendo alla delicatissima e cruciale fase storica, politica, economica, giuridica e culturale che attraversa l’Italia. Ci riferiamo a tutti gli intellettuali che godono di maggiore visibilità sui media e sul web, che continuano a “distrarsi” e a intrattenere l’opinione pubblica su questioni di natura letteraria e artistica, di per sé pur valide e importanti, ma che diventano chiacchiera, se trattate senza un legame preciso con i problemi sociali irrisolti o in via di peggioramento per le pesantissimo misure economiche di austerità e sacrifici a senso unico (le cosiddette “manovre lacrime e sangue”) imposte ex novo dall’attuale governo Monti o mutuate dal precedente governo Berlusconi. Tacendone, non dichiarando onestamente se tali manovre le si condivide o le si rifiuta, *parlando d'altro*, è come se gli intellettuali si riducessero a fioristi che decorano e nascondono le piaghe di una polis sempre più in decomposizione. Dalla nostra collocazioni di intellettuali meno visibili o invisibili accusiamo e chiediamo da questi nostri colleghi una parola chiara: un si o un no al governo Monti, che sarebbero entrambi dignitosi e accettabili; mentre, invece, indegno e miope è il rifugiarsi nel silenzio imbarazzato o protervo di chi crede di non poter essere più contestato e di non dover rendere conto se non alla sua cerchia più vicina. Chiediamo, dunque, ai singoli esponenti del ceto artistico e intellettuale di esprimersi sulla situazione politico-economica attuale, di fare sentire la propria voce, di dichiarare apertamente la loro posizione. Perché, dinanzi a una situazione di gravissima crisi sociale, politica ed economica come l’attuale, nessuno ha il diritto di sottrarsi con il silenzio. Non comunque coloro che vantano il valore conoscitivo, culturale e artistico universale della parola. Adesioni: Franz Amigoni Roberto Buffagni Marco Gaetani Gianfranco La Grassa Paolo Lezziero Gianmario Lucini Giuseppe Natale Piero Pagliani Angela Passarello Massimo Ragnedda Flavio Rurale Rita Simonitto Lucio Mayoor Tosi Franco Tagliafierro Augusto Vegezzi Marcello Corsi Salvatore Dell'Aquila Stefano Guglielmin Giorgio Linguaglossa Alberto Panaro Angela Passarello Armando Penzo Franco Pisano
Stamattina vado sempre sulla pagina di XY per vedere che reazioni c’erano state al mio commento e mi accorgo che ha cancellato il post di ieri sera (coi vari i commenti, compreso il mio). Così, dunque, va la vita (e la comunicazione) al tempo delle votazioni per il presidente della repubblica italiana. Mi resta la piccola soddisfazione di aver recuperato per l’archivio di Poliscritture “Noi accusiamo!” del 2012, svanito con la perdita del sito 2010-2013. Che ripropongo, assieme al testo in Appendice, come memento di «come ci siamo allontanati» (Fortini a Sereni).
APPENDICE
8 settembre 2012 – Intervista a Ennio Abate su «Noi accusiamo!». ( SU MEGACHIP, testo ora cancellata o inaccessibile)
Ci spiega in due parole cos’è “Poliscritture” e chi sono i promotori di quest’appello?
«Poliscritture» – così scrivemmo nel numero zero del 2004 – è rivista semestrale e sito (www.poliscritture.it) di un «Laboratorio di ricerca e cultura critica». Raccoglie scritture plurali (di politica, filosofia, letteratura, poesia, arte, scienze e storia), che cercano nella liquidità delle mode, delle crisi, dei conflitti passati e presenti i punti d’appoggio per ripensare una cultura (antica e nuova) della polis, cioè della piena democrazia.
Dei tre promotori dell’appello, due – io e Toffoli – siamo redattori della rivista, il terzo – Bugliani – è un collaboratore, spero sempre più assiduo. L’idea dell’appello è nata su spinta di Bugliani e forse troppo a ridosso delle vacanze, ma abbiamo pensato di farlo circolare subito, considerandolo aperto – com’è tuttora – a successive integrazioni o eventuali correzioni. «Poliscritture» del resto non ha struttura aziendale o parapartitica. I singoli redattori e collaboratori decidono se partecipare o meno a un’iniziativa come questa o ai temi dei «cantieri» di «Poliscritture», fissati comunque in incontri di redazione. Ne abbiamo uno in corso su Franco Fortini (18 interventi sono già sul sito qui e confluiranno, filtrati, nel n.9 cartaceo) e altri due (sulla paura e su guerre vecchie e nuove) verranno “aperti” subito dopo.
Chi sono per voi gli “intellettuali”? Che senso ha oggi rivolgersi a questo soggetto culturale e se esiste come tale quale dovrebbe essere il suo ruolo? Per tornare sulla questione coi termini di una passata diatriba, Lei ritiene che gli intellettuali debbano continuare, magari meglio, a suonare il piffero (stonato) della rivoluzione o farsi parte attiva di un reale rinnovamento culturale della società, in modo autonomo dalla politica?
Potremmo rispondere che sono i discendenti di quelli che furono gli intellettuali nelle epoche che ci hanno preceduto, a partire, all’ingrosso, da Zola, di cui riecheggiamo (al plurare) il Je accuse. Sono tutti quelli che hanno facoltà di leggere, scrivere e far di conto, anche se, come diceva Gramsci, nella vita sociale e nella divisione del lavoro «non tutti svolgono la funzione di intellettuali». A questa facoltà andrebbe aggiunto il coraggio. Ce ne vuole almeno un po’ per criticare razionalmente i potenti (grandi o piccoli) che condizionano negativamente la vita di tutti noi. Oggi più che in passato esistono, dunque, tantissimi intellettuali (tradizionali, knowledge workers), ma non può esserci più (o è diventato improbabile) quel riconoscibile «soggetto culturale» capace di criticare adeguatamente il potere o i poteri e a cui, in passato, i partiti socialisti e comunisti avevano voluto affidare la funzione di “pifferi” della rivoluzione o della modernizzazione.
I poteri (capitalistici) sono diventati più oscuri e illeggibili e hanno fagocitato quegli stessi partiti assieme alla massa degli intellettuali, tradizionali e nuovi. Restano potenzialmente e ovunque gli intellettuali “critici”, i quali dovrebbero autonomizzarsi non soltanto «dalla politica» (che passa in minima parte oggi attraverso i partiti), ma autonomizzarsi, come ha ben detto di recente Giorgio Agamben, dall’intera religione del capitalismo, « una religione e la più feroce, implacabile e irrazionale religione che sia mai esistita».
Nel vostro appello c’è un riferimento preciso al “ceto artistico”, Lei pensa che l’arte possa esercitare ancora un ruolo emancipatore degli individui e di stimolo per le coscienze intorpidite da una certo tipo di “cultura” massmediologica odierna?
Il riferimento al ceto artistico nasce dalla convinzione che l’arte ha sempre avuto una funzione importante di conoscenza storica e sociale (basti pensare anche solo alle opere letterarie e artistiche del Novecento: Proust, Kafka, Joyce, Brecht, Lu Hsun, Faulkner, Picasso, Klee, Mahler, Strawinsky…) e di memento della pienezza e felicità possibili per i singoli e le collettività. Non è che scrittori e artisti possano surrogare una politica precipitata in una palude melmosa o inventare, da soli, una nuova, immaginaria polis. Ma, essendo costruttori di realtà linguistiche (siano esse il linguaggio dei suoni, delle immagini o della letteratura) ed essendo soprattutto la lingua fatto sociale, possono più di altri disinquinare i linguaggi massmediatici che entrano nelle menti di tutti. E perciò l’attuale silenzio sulla drammatica realtà sociale che stiamo vivendo è più intollerabile – come si è detto nell’appello – in quanto viene da coloro che «vantano il valore conoscitivo, culturale e artistico universale della parola». Non vorremmo che dietro a questo silenzio ci sia una sorta di alibi per cui, dato che il cosiddetto mandato sociale degli intellettuali e dell’artista non può essere più quello della storia novecentesca, si è tutti – visibili o meno visibili – in libera uscita e ciascuno è tenuto solo a farsi gli affari propri. Tra l’altro la mercificazione della cultura e dell’arte, eliminando persino il dilemma tra acquietarsi sull’esistente o contrastarlo contribuisce potentemente a rafforzare quella «dittatura dell’ignoranza», di cui spesso gli stessi intellettuali e artisti lamentano i danni. Così la ricerca di un nuovo che non sia conforme alla religione del capitalistico officiata dai grandi mercanti e speculatori, diventa impossibile.
Un’ultima domanda. Nell’orizzonte culturale e politico odierno c’è spazio secondo Lei per pensare ad un grande progetto di rinascita dell’uomo e della società che non si esaurisca nel governo dell’economia ma si ponga come obiettivo la costruzione di una nuova pòlis?
Dopo il fallimento di socialismo e comunismo l’idea di una nuova polis rischia di essere intesa come l’ennesima utopia. Scalderebbe ben poco i cuori “occidentali” troppo disincantati o troppo depressi. Peggio ancora sarebbe stilare a freddo progetti o programmi, che ribaltino semplicemente i discorsi e i linguaggi massmediali mantenendosi sullo stesso piano di genericità astratta. Oppure costruire una nuova mitologia o incitare a una nuova fede nel futuro. C’è invece da contrastare, come detto, l’intera religione capitalistica. E abbiamo bisogno per ora soprattutto di critica intelligente e di una buona (non populistica) demolizione delle ideologie dominanti. Solo man mano che esse procederanno si vedrà se la costruzione di una nuova polis si porrà; e concretamente, non nei vecchi modi idealistici e utopistici. Meglio attenersi a un saldo realismo, come suggeriva in altra difficile epoca Franco Fortini:
…c’è da tornare ad un’altra pazienza
alla feroce scienza degli oggetti alla coerenza
nei dilemmi che abbiamo creduto oltrepassare.[*]
[*] Forse il tempo del sangue…da L’ospite ingrato in F. Fortini, Poesie scelte (1938- 1973) a cura di P.V. Mengaldo, Oscar Mondadori 1974
Non so cosa dire. Il 2012 è lontano, il presente è infingardo più sabbie mobili. Ritirarsi in giardino per chi ce l’ha e sperare di passare la bandiera (ma quale? strappata, irriconoscibile, travisata) a chi?
Letto con enorme ritardo (ma oramai sono in ritardo con tutto). Io anziché in giardino spero di andare a vangare un “toco” di piana per poi seminarvi un riquadro di verdure.