di Donato Salzarulo
1.- Non ricordo bene il mio primo incontro col mare. Sicuramente avvenne in occasione della gita di terza media a Bari e alle Grotte di Castellana. Ma forse ci siamo incontrati prima, durante la fanciullezza, in una visita di qualche giorno agli zii residenti a Napoli. Stupore e diffidenza furono le emozioni che ne ricavai.
Poi venne l’adolescenza e la gioventù, venne la voglia di abbronzatura e delle corse sulla spiaggia o lungo la battigia.
Poi venne l’incontro con mio cognato, uomo di mare rispetto al mio Io di montanaro, coi suoi tentativi falliti d’insegnarmi a nuotare. Imparai a fare il morto e continuai ad accoccolarmi o a bagnarmi nell’acqua fino al punto in cui toccavo. Da più di un decennio non ci provo più e, se mi capita di dover accompagnare la tribù familiare in qualche località marina, sulla spiaggia non ci metto piede.
Ho passato tre volte lo Stretto di Messina, sono stato una settimana a Lipari e ho girato per le isole Eolie. Sono stato anche una settimana a Capri. Ho salutato il “confine della Terra” in Portogallo e ho passeggiato per quindici giorni lungo il Malecon dell’Avana e per altri quindici giorni sulla spiaggia di Vancouver. Per curiosità ho fatto una crociera verso Ibiza e Barcellona su una di quelle navi-edificio e, per quanto mi riguarda, ho messo la croce. Il mare, come dice la canzone, mi piace d’inverno e, da oltre vent’anni affitto, da dicembre a giugno, una casa a Pietra Ligure, dove trascorro parte della mia esistenza.
Ho incontrato il mare?… Sì e no. Più di no che di sì. Il mare questo sconosciuto, popolato da vongole, seppie, alici, sarde, orate così gradevoli al mio palato, questa massa d’acqua sempre in movimento, questo ritmo che ora m’incanta ora mi spaventa. I surfisti, le vele, le barche in darsena, la voglia di mettersi in viaggio e partire per l’ignoto…
Il mar d’amore
oggi scintilla argenteo.
La droga è il libro.
Così sono finito tra le pagine dell’ultimo libro di Roberto Casati: «Oceano. Una navigazione filosofica» (Einaudi, 2022)
2.- Appena l’ho visto, esposto in libreria con la sua bella foto in copertina (una finestra da cui si guarda il mare), l’ho preso in mano e, come faccio di solito, sono andato all’Indice: totale otto capitoli nominati con dei verbi a ritmo alternato: uno-due, uno-due, uno-due, uno-due. Ho pensato subito al movimento delle onde: I) Incontrare– II) Cercare, immaginare, III) Pensare – IV) Salpare, osservare, V) Nascere – VI) Usare, rispettare, VII) Soccorrere – VIII) Approdare – ripensare…
Impossibile non fantasticare su queste parole che indicano azioni positive, verbi per così dire vitali. Che vita sarebbe la nostra senza incontrarsi? Come potremmo trascorrere bene i nostri giorni – pochi o tanti che siano – senza continuare a cercare e a immaginare? Come potremmo affrontare gli svariati problemi che ci attanagliano senza pensare? Come potremmo vivere bene senza mettere in conto il nostro desiderio di salpare (possibilmente per scelta e non per costrizione) e osservare nuove situazioni e nuovi mondi? Nascere. Sì, nascere perché non si nasce una volta sola; non si nasce il giorno in cui siamo stati dichiarati all’anagrafe…e usare, rispettare, soccorrere. Soccorrere, soprattutto, in mare. Tutti abbiamo negli occhi le immagini delle migliaia di naufraghi inghiottiti dal mare durante le traversate sui gommoni. O, mentre scrivo, le immagini di chi proviene dalla guerra d’invasione dell’Ucraina…
Poi ho sfogliato le pagine dei Ringraziamenti, delle Note al testo e dei Riferimenti bibliografici. Questi ultimi, davvero tanti. Ne ho scorso l’elenco: pochi i titoli a mia conoscenza: La Sirenetta di Andersen, Il barone rampante di Calvino, La città del sole di Campanella, Robinson Crusoe di Defoe, La terra desolata di Eliot, ecc. Moltissimi, invece, quelli mai sentiti nominare. Scopro, ad esempio, che un filosofo a me sconosciuto, Gunter Scholtz ha pubblicato nel 2016 una filosofia del mare (Philosophie des Meeres) e una scrittrice, Cécile Guerard una Piccola filosofia del mare, pubblicato da Guanda nel 2010. Il primo, leggo nelle pagine iniziali del libro, «è un percorso storico su quello che i filosofi hanno scritto sul mare», il secondo «è un’esplorazione in punta di piedi». Da entrambi, è questo il punto, si ricava soprattutto «che il mare non è diventato un oggetto filosofico se non sporadicamente e mai in modo unitario.». Infine, titoli ai quali mai avrei pensato: Manuale di navigazione astronomica semplificata scritto da Di Franco, Fare il punto: Una storia a ritroso della localizzazione dal GPS a Tolomeo di Giudici, L’ultimo spazio di libertà: Un approccio umanistico e culturale alle geografie del mare di Squarcina, ecc.
La mole bibliografica dice già molto sull’impianto interdisciplinare del libro e sull’attenzione a tutto campo dell’autore, che già m’aveva affascinato con un suo lavoro di qualche anno fa: Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere (Laterza, 2013). Inutile dire che dovrebbe essere sul tavolo di qualsiasi docente e dirigente scolastico.
3 – Insomma, è un libro da comprare: primo perché non so quasi nulla sul mare, secondo perché della scrittura di Roberto Casati ho un ricordo positivo. Del resto, leggiucchiando, sempre in libreria le prime pagine, sono rimasto affascinato dall’esergo («Non avrei mai potuto riportarti a riva da quella distanza. Era l’unico modo. Solo tu potevi rientrare») e dalle prime sette righe del paragrafo iniziale:
«Le rotte della vita vanno in direzioni aleatorie, errano, ritornano su se stesse, e uno degli strani vantaggi dell’approdo in una rada sicura proprio un attimo primo del calar del vento, la sera, è che a guardarsi alle spalle i momenti che sembravano segnare un finale di partita ridiventano nella memoria delle semplici battute d’arresto.».
Questa è poesia oltre che proverbiale saggezza filosofica.
Compro il libro e, tornato a casa, m’immergo con entusiasmo nelle sue pagine.
4 – Il titolo è “Oceano” perché Casati propone come “prima riconcettualizzazione”, l’eliminazione di una distinzione tra mare(mari) e oceano (oceani). Essa non corrisponde a nessuna differenza utile e «ci impedisce di vedere l’unità del sistema oceanico, perfettamente stabilita dal punto di vista fisico e biologico (non conoscono frontiere le correnti, gli scambi di temperatura, di salinità, di ossigeno e di carbonio, le migrazioni del vivente), e implicitamente accettata da chi naviga su lungo corso (da ogni porto da cui si salpa si raggiunge ogni altro porto)» (pag. 14-15).
Sistema unitario, il mare viene spesso psicologizzato (“pauroso”, “temibile”, “ruggente”, “vindice”, “piatto”, “calmo”, “mosso”, “agitato”) e pensato come un unico essere: un Titano, secondo la mitologia greca. In fondo, un po’ lo è: le acque di Oceano, al di là delle denominazioni che convenzionalmente gli diamo in prossimità o fra le terre, coprono per quasi due terzi il nostro pianeta.
Il sottotitolo, “Una navigazione filosofica”, è un sintagma metaforico. Ma è una metafora vissuta, nel senso che l’autore non è uno di quei filosofi che produce filosofia soltanto dopo aver letto decine e decine di libri, averli compresi, interiorizzati e meditati. Lui fa anche questo. Ma in questo caso la navigazione filosofica cresce e si arricchisce con l’esperienza di due lunghi viaggi oceanici compiuti come ricercatore/marinaio nel 2017 e nel 2019 a bordo di Albatros, una barca d’acciaio di quaranta tonnellate, classificatasi undicesima alla gara di vela ARC 2019.
«Accarezzo da svariati anni l’idea di un laboratorio di scienze umane a vela. Ci sono molte barche e navi che fanno indispensabile ricerca oceanografica rilevando misure fisiche, biologiche, climatiche. Ma se il fattore umano è determinante per la crisi ambientale, e l’oceano è il primo obiettivo di tutte le politiche dei prossimi anni, si dovrebbero portare ricercatori di scienze umane e sociali in mare, per aiutare a ridurre la distanza cognitiva che lo rende invisibile.» (pag. 181)
5 – Due sono le ragioni esplicite alla base di questo libro:
a) La prima è la crisi ambientale, l’urgenza di affrontarla. Il mare è stato pensato come risorsa inesauribile, ma gli ultimi secoli hanno mostrato che, come altre risorse, non è senza fondo. È limitata, finita. E di fronte ai vari inquinamenti (di plastica, di mercurio, ecc.), al riscaldamento degli oceani, allo sviluppo disordinato delle coste, all’esaurimento delle riserve di pesca, non possiamo continuare con la nostra noncuranza. Dobbiamo fare nostro “lo sguardo dell’orata”, cioè di chi effettivamente abita il mare.
b) La seconda è legata alla natura stessa del mare, che è «un mondo altro, differente; radicalmente differente. Questa differenza è una sfida per la conoscenza e per i concetti che usiamo per descriverlo. Dobbiamo accettare fino in fondo questa alterità. Non è riducibile, né ha senso cercare di ridurla. Non possiamo assimilare il mare, pertanto dobbiamo vivere con qualcosa che non possiamo assimilare. Questo ci può anche istruire su altri tentativi di ridurre o addomesticare l’alterità: lo straniero, gli altrui esseri viventi, chi la pensa diversamente da noi, la nostra stessa condizione di non immortali che ci appare inaccettabile.» (pag. 13).
L’ipotesi di Casati, a questo punto, è che la filosofia e il mare siano legati a doppio filo, nel senso di un confronto e interazione con qualcosa che non comprendiamo e che, data l’urgenza della crisi, abbiamo il dovere di comprendere per cambiare noi stessi, i nostri concetti, le nostre pratiche.
«La filosofia non è solo una forma di conoscenza o di organizzazione della conoscenza: interviene nella pratica. Una migliore visione dei nostri concetti, l’uso auspicabile di concetti migliori, porta con sé la promessa o quantomeno la speranza di azioni migliori. Dato che poche cose hanno un potere trasformativo come le idee, poche cose smuovono i continenti come le idee e le ideologie che le organizzano, e poche cose hanno la forza delle idee messe in prospettiva. Si può parlare di una filosofia situata, alla cerniera tra percezione e azione.» (pag. 14)
[Ho letto queste parole e questi giri di pensieri prima dell’invasione russa dell’Ucraina. E nella mia mente avevano assunto una colorazione benevolmente “neutra”… Le rileggo ora, mentre scrivo questa nota, e mi convinco che idee e ideologie possono anche essere molto cattive e muovere eserciti, carri armati, missili…Possono produrre aggressioni, paure, ferite, morti, stragi…E sicuramente non sono soltanto loro che spingono all’azione gli esseri umani…]
6 – Dovrei, a questo punto, sintetizzare un po’ i contenuti di questo libro, i temi che affronta. La verità è che sono tanti e non ho voglia di trasformare questa nota in un saggio breve. Mi limiterò, perciò a fare qualche esempio:
a) Rievocando la figura di Ulisse, Casati sottolinea come la conoscenza sia una forma d’azione, il risultato di una ricerca: «Non puoi stare a casa se vuoi conoscere, e devi essere preparato a pagare un prezzo altissimo», come capita, appunto all’eroe itacense nell’interpretazione dantesca. «La sfida che il mare pone alla conoscenza è titanica».
b) Vivere in terra, vivere in mare aperto. Due mondi completamente diversi.
«Il mare aperto è un deserto umano che non offre riparo dal sole, è senza ombre e senza odore, ha un colore indefinito e cangiante, è fatto di un’acqua che non si può bere, è in continuo movimento, è battuto da venti violenti che sollevano onde maestose – vere e proprie colline liquide che non aspettano altro che di crollare su se stesse -, è dominato da correnti alle quali non si può opporre forza, nasconde abissi perigliosi, ed è chiuso in ogni direzione da un orizzonte uniforme poverissimo di informazioni. Ci presenta una superficie paradossale su cui non ci possiamo incamminare ma che essendo priva di ostacoli ci lancia un invito irresistibile» (pag. 21)
Perché andarci? Perché vivere mesi in mare aperto, se non per un grande desiderio di avventura e conoscenza?…
c) Gli esseri viventi possono avere comportamenti “filopatrici” e “disperdenti”. I primi per riprodursi ritornano al nido, se mai se ne sono mossi. I secondi per riprodursi vanno sistematicamente Ci sono anche i “filopatrici migratori”…Io sono sicuramente tra questi…Ma, dopo aver letto questo libro, mi piacerebbe diventare un disperdente!
d) La più grande epopea marittima di tutti i tempi è stata la colonizzazione della Polinesia.
e) Il mare è importante soltanto in quanto rende possibile la barca (dichiarazione del navigatore francese Eric Tabarly). Da qui la necessità di elaborare una “filosofia della nave” che ancora manca. Bellissima questa citazione di Foucault:
«La nave è un frammento galleggiante di spazio, un luogo senza luogo, che vive per se stesso, che si autodelinea e che è abbandonato, nello stesso tempo, all’infinito del mare […] comprenderete il motivo per cui la nave è stata per la nostra civiltà […] il più grande serbatoio di immaginazione. La nave è l’eterotopia per eccellenza. Nelle civiltà senza navi, i sogni si inaridiscono, lo spionaggio sostituisce l’avventura e la polizia i corsari» (in esergo, pag. 71)
f) La “filosofia della nave”, meglio: quella che si impara a bordo di Albatros, è fatta di tanti punti legati alle necessità della navigazione a vela: sapere che ogni gesto è di sopravvivenza, che la barca è anche un’abitazione, ma che sono tante le differenze con una casa, che essa è il trionfo del riuso e del riadattamento, che è un groviglio di vincoli, che la navigazione ha il suo linguaggio tecnico, per cui su una barca invece che di “corda” si parlerà «di drizza, scotta, cima, messaggero, sagola, gomena, stroppo, barbetta, traversino, amantiglio, borosa, matafione, codetta» (pag. 84). Poi «si passa sottovento o sopravvento a un’isola o un’altra imbarcazione o – se ci si muove in coperta -all’albero della barca. Si orza o si poggia, ovvero si porta la prua della barca verso il vento o la si allontana dal vento. Si passa da un’andatura di bolina a una di traverso», ecc.
g) Di mare si è vissuto e si vive. Non siamo stati soltanto “cacciatori-raccoglitori”, ma anche pescatori. La storia della pesca è lunga e secondo l’archeologo Brian Fagan può essere scandita in quattro tappe: a) opportunistica b) di sussistenza individuale, c) di sussistenza collettiva d) e infine industriale. Il mare è quindi una risorsa, veramente un’ultrarisorsa, perché sembra – come altre (irraggiamento solare, movimenti di massa d’aria e d’acqua, ecc,) – caratterizzata da inesauribilità (quantomeno a scala umana) e capacità di perdono rispetto al modello della Natura-giacimento e della logica estrattiva. Ma non è così. Il mare non è infinito, e se ci appare illimitato corrisponde all’illimitato della «superficie di una sfera, dove il nostro movimento non incontra mai un bordo, ma dove lo spazio è sempre finito» (pag. 132).
h) Il mare si presta a rappresentazioni conflittuali «la vera emergenza di una riflessione filosofica sul mare nasce nell’età moderna e dalla pressione mercantile, e dal conflitto tra le nazioni per la sovranità sul mare, nel momento in cui si è posto il problema del suo sfruttamento e controllo non a caso il più esteso testo filosofico sul mare, Mare liberum (La libertà dei mari), viene scritto all’inizio del diciassettesimo secolo da un filosofo del diritto, Ugo Grozio, per difendere gli interessi del suo sovrano. Il mare vi è visto come uno spazio su cui correre liberamente; ma è solo un suo aspetto, che per quanto importante è comunque parziale e non può esaurire tutta la complessità del mondo marino.» (pag. 12).
La “navigazione filosofica” di Casati si muove proprio in direzione di questa complessità e non è priva di considerazioni politiche del tipo: «La politica inizia nel momento in cui accettiamo che tra noi e il nostro interlocutore ci siano delle differenze irriducibili; in cui smettiamo di argomentare a vuoto, di ostinarci a convincerlo che ha torto. È quanto ci rendiamo conto di questa differenza non aggirabile che dobbiamo dare vita al gesto politico e cominciare a lavorare insieme» Sarebbe bello se davvero si potesse fare così!…
7 – Al di là dei tanti dubbi e perplessità che possono legittimamente sorgere durante la lettura, questo libro è una miniera, scritto in un modo davvero affascinante. Attento al lato narrativo della nostra mente («la nostra vita è intrecciata di storie che le danno senso e la orientano»), l’autore racconta, ricorda, argomenta, disegna. Ci fa incontrare il mare, ci fa vivere a bordo di Albatros, ci fa riflettere e allestisce “negoziati concettuali” alternando brani narrativi con altri più argomentativi. Quanto mai attento alle onde sonore del linguaggio ci regala passaggi memorabili. Due esempi soltanto:
«La percezione in mare è una sfida. La mente dei terrestri, abituata a montagne, sassi, alberi, cose materiali, cerca affannosamente forme stabili, e vi trova al meglio dei quasi-oggetti: le onde. Hanno forma e dimensione, un luogo; non sono come i numeri o i sogni e tuttavia non sono delle vere e proprie cose. La loro ontologia è sempre dubbia, c’è chi le ha rubricate nei “disturbi” o “perturbazioni”; generano un’irresistibile illusione di materia in movimento: ci sembra che un’onda porti con sé e muova tutta l’acqua che la costituisce, ma ogni istante un’onda è costituita da acqua nuova, se ne nutre, l’abbandona, ne sposta un poco e rimesta quella che rimane.» (pag. 49)
Certo, le onde in mare aperto, magari durante un groppo come quello descritto a pagina 41 e seguenti dall’autore, non sono come quelle che quotidianamente vedo infrangersi sugli scogli di Pietra Ligure. Non regalano quel “sentimento del sublime” che «sgorga quando il senso del sé, che include il sé corporeo, si contrae e si raccoglie come in un guscio di noce di fronte a un ambiente vissuto come sovrastante, smisurato, non negoziabile.» (pag. 65). Però questo sentimento neanche a noi è negato, «noi della razza / di chi rimane a terra».
Non ho più l’età né la salute per un «ritorno atlantico» o, come si chiama in gergo, Transat retour.
“Filopatrico migratore” devo accontentarmi di un sublime più domestico, di qualche haiku del tipo:
Se vuoi ti regalo
l’ascolto della risacca
l’onda incantata
All’orizzonte
vanno le nostre vele
verso l’azzurro
Lo stesso sempre
il mare non appare
sempre lo stesso
Giuro, però!….Se torno a nascere, imparerò a nuotare come un’orata e farò lo skipper…
Marzo 2022