Ci sono fenomeni antropici che costringono a interrogarsi sulla psiche umana: comprenderli appare spesso difficile, talvolta risulta profondamente inquietante, ma non di meno necessario se non si vuole cadere nella facile tentazione di sbarazzarcene frettolosamente etichettandoli come “disumani” – il che costituisce una chiara contraddizione in termini dato che è di comportamenti umani che parliamo e che, per dirla con Publio Terenzio Afro, “humani nihil a me alienum puto“, neppure le sue più efferate nefandezze.
L’indagine di alcuni di questi fenomeni costituisce una delle due direttrici attorno alle quali si snoda il volume collettaneo Diritti umani e intervento psicologico, a cura di Pietro Barbetta e Gabriella Scaduto, con prefazione di Fausto Pocar e postfazione di Luigi Zoja, edito da Giunti (2021, pp. 220, euro 22); l’altra l’analisi delle ricadute psicopatologiche, e più in generale sul disagio esistenziale, di chi ne è stato vittima. Il testo ricostruisce e indaga esperienze tra loro anche molto diverse quali il fenomeno dei disaparecidos argentini, le pratiche e i luoghi di tortura, i genocidi – con particolare attenzione a quello armeno –, le persecuzioni razziali, gli stupri di guerra, i diritti violati dei bambini, i comportamenti omofobici, la violenza sui minori, la psicologia e il diritto dell’emergenza (di particolare attualità) e, più in generale, le pratiche di violazione dei diritti umani nel mondo.
Tredici contributi per questo molto eterogenei, dei quali non è possibile rendere conto nemmeno sinteticamente nel breve spazio di questo contributo, nei quali è possibile scorgere due principali movimenti: da una parte un’analisi, a partire da Al di là del principio di piacere di Freud (1920), dell’esistenza di pulsioni distruttive, autodistruttive e di morte nella psiche umana – che potrebbero idealmente concludersi con il riconoscimento di Un terribile amore per la guerra di James Hillman (2005) – integrate però da uno sguardo più ampio sulle dinamiche socio-culturali che li innervano, sulla scia dei contributi della Scuola di Francoforte e degli studi su La personalità autoritaria e su Autorità e famiglia, per non ridurli a patologie individuali ma a prodotti preoccupanti di un ambiente evidentemente disfunzionale; dall’altra, l’indagine sulle conseguenze esistenziali e sulle possibilità di una loro presa in carico e riparazione, dal punto di vista clinico, politico, giuridico e formativo, con particolare attenzione agli scenari futuri, in chiave anche apertamente pedagogica.
Il primo movimento indaga come sia stato possibile “pensare e mettere in atto processi razionali, imprenditoriali, in grado di usare la tecnica e manipolare la scienza ai fini distruttivi: la chimica (i gas per lo sterminio), la logistica, (le tecniche di massacro di massa), la biologia (le teorie sulla degenerazione e sull’esistenza di razze umane), la medicina (il concetto di eutanasia), la morale (“se potessero parlare ci chiederebbero di sopprimerli”) e anche la psicologia (il QI come misurazione genetica dell’intelligenza)”; la seconda prova ad offrire strumenti affinché simili scenari non si ripetano, o meglio, affinché le coscienze dei singoli individui e delle collettività, sviluppino anticorpi più solidi rispetto al passato, a partire da testimonianze e laboratori ispirati proprio alla cura di chi ne è stato vittima. Appare in entrambi i casi evidente la necessità di lavorare a una consapevolezza maggiore della relazione ricorsiva che lega esperienze individuali e tessuto collettivo, anche e soprattutto culturale, prima ancora che politico e terapeutico – naturalmente indispensabili.
In questo senso risulta particolarmente interessante il contributo di Gabriele Nissim su La filosofia di Gariwo. Educare, con la memoria dei giusti, all’ottimismo e alla responsabilità. Gariwo è infatti l’acronimo di Garden Rightous Worldwide una onlus fondata a Milano nel 1999 che promuove un approccio pedagogico che contrasta il diffusissimo vissuto d’impotenza dei singoli di fronte a scenari avvertiti come enormemente più grandi di loro, dimostrando come il ruolo attivo di alcuni “giusti” si sia rivelato determinante per la sorte di un considerevole numero di persone durante le stagioni più buie della persecuzione umana nei diversi genocidi della storia.
(Da Psiche e violenza di Moreno Montanari (qui))