Undici considerazioni di Brunello Mantelli e una Lettera all’autore di Ennio Abate
di Brunello Mantelli e Ennio Abate
Molto si dibatte sulla guerra in Ucraina e le due posizioni contrapposte (all’ingrosso: interventisti, pacifisti) duellano senza tregua sui mass media tradizionali e sui nuovi social. Prevalgono gli interventi di propaganda: ora in forme rozze, aggressive e dogmatiche ora in forme più dissimulate, ironico-sarcastiche. E, però, non mancano spunti di analisi o di riflessione, anche se sperduti nel rumore di fondo. Il documento che mi ha mandato in lettura lo storico Brunello Mantelli, “amico FB” col quale pur polemizzo ogni tanto, è a favore dell’invio di armi all’Ucraina di Zelens’kij per bloccare l’aggressione della Federazione russa di Putin. È la posizione opposta alla mia. Eppure, proprio perché Mantelli l’argomenta in modi razionali, mi è parso necessario misurarmi seriamente con i dati e l’interpretazione che egli dà di questa tragedia in corso. Gli ho perciò scritto una lettera piena di obiezioni, cercando io pure di essere puntuale e documentato. E ora, d’accordo con lui, pubblico di seguito i rispettivi testi su Poliscritture. Con due avvertenze ai lettori: – non si spaventino per la lunghezza (l’argomento purtroppo richiederebbe ben più spazio e sforzi costanti di aggiornamento); – tengano conto delle date di stesura delle Considerazioni (13 aprile) e della Lettera (20 aprile), perché gli sviluppi delle ultime settimane di guerra non sono qui esaminati. Questo scambio ha forse il merito di indicare una scelta e uno stile: è possibile ancora ragionare e riflettere anche su questioni attuali, controverse, dall’esito incerto e che scatenano passioni feroci, se ci si tiene al riparo e lontano dai talk show degli esperti (più o meno presunti) e dalle baruffe verbali tra leoni e leonesse da tastiera. E non per snobismo estetizzante. Sono, infatti, ancora una volta i troppi morti e la distruzione dei legami sociali che ci impongono di uscire dalla chiacchiera – signorile o plebea – più delirante e cinica. [E. A.]
Qualche osservazione sulla guerra in corso
di Brunello Mantelli
Postulato: il pacifismo assoluto è idea e prassi nobile, ma del tutto estranea alla cultura del movimento operaio e socialista. Il movimento operaio e socialista è da quando esiste antimilitarista e contro la guerra, ma NON pacifista, né non violento. Come potrebbe esserlo, visto che mette in conto la possibilità di una rivoluzione e non disdegna la lotta anche armata di resistenza?
Corollario: il pacifismo assoluto ha come premessa una visione irenica della società umana, dove i conflitti sono generati solo dal contrasto di idee e visioni del mondo, quindi sono superabili tramite il dialogo. Il pensiero socialista e libertario (ben distinto dal bolscevismo autoritario!) ritiene invece che in una società divisa in classi e attraversata da tensioni materialmente fondate il conflitto sia inevitabile, e che semmai obiettivo da perseguirsi sia la riduzione al minimo del tasso di violenza intrinseco ai conflitti. Un’ottica di “riduzione del danno”.
Avvertenza: sono uno storico con una certa competenza sulla Germania e l’area di lingua tedesca, non sono uno specialista né del mondo slavo, né di Impero zarista/URSS/Russia, né di Ucraina. Della lingua russa ho una conoscenza men che elementare, della lingua ucraina nulla so. Quindi ciò che dirò va preso con le pinze. Chi ne sa di più mi farà un favore se mi correggerà (solo per far qualche nome: Alberto Basciani, Simone Attilio Bellezza, Marco Bresciani, Andrea Graziosi, Alberto Masoero, Simona Merlo, Niccolò Pianciola). Allo stesso modo, avendo studiato le guerre in Europa nel secolo XX, ho una limitata conoscenza di storia militare, ma non sono uno storico militare. Chi ne sa di più, nuovamente, mi corregga (ad esempio, Marco Di Giovanni). Una fonte consigliabile dove seguire ciò che sta avvenendo (e tra Ucraina e Russia e nel mondo intero) è la rivista “Limes”, anche se trovo maggiormente convincenti le parti tecnico-analitiche (in particolare su temi di carattere militare) che le letture di taglio per così dire prospettico, dove l’impostazione radicalmente realpolitisch (di per sé sacrosanta) a volte non sembra tener conto che nella storia possono verificarsi brusche accelerazioni, nel corso delle quali la realtà inizia a premere sul pensiero, generando esiti fattuali e concettuali poco prima del tutto imprevedibili; resta poi un nodo di fondo intrinseco all’approccio geopolitico: il suo non tener conto delle Weltanschauungen dei decisori politici, le quali, pur non determinando totalmente le loro scelte, ne influenzano comunque modi, tempi, contenuti stessi, rischiando in questo modo di cadere nel mero funzionalismo.
Premessa di metodo: allo stato, non ci è concesso avere alcuna documentazione diretta dei processi decisionali che hanno portato alla guerra in corso, tanto meno del dibattito che sicuramente c’è stato all’interno dei gruppi dirigenti degli Stati coinvolti, direttamente od indirettamente. Abbiamo a disposizione tracce e indizi. Avremo le idee più chiare tra qualche anno, adesso possiamo solo fare delle ipotesi.
Puntualizzazione linguistica: sebbene sia in atto da qualche anno una forte personalizzazione della politica, credo necessario evitare ogni riferimento a persone fisiche, anche se detentrici di cariche apicali. Meglio, a mio parere, parlare di “gruppo dirigente di…”. Ciò vale per la Federazione Russa, per l’Ucraina, per gli USA, e vale pure per il passato (URSS, Germania nazista, Italia monarchicofascista e poi fascistarepubblicana, ecc.).
Prima considerazione: è assolutamente evidente che nel mondo non c’è alcun unipolarismo; l’ultimo tentativo di attribuire agli USA il ruolo di potenza egemone mondiale si è concluso con la presidenza di George Bush junior (nel 2008, cioè 14 anni fa). In seguito, e sia pur con modi, visioni, agire tra loro molto diversi, sia Barack Obama, sia Donald Trump, sia Joe Biden hanno preso atto dell’essere il mondo ormai multipolare, anche per il rischio che gli USA corrono, lo stesso rischio che ha finito col distruggere il sistema imperiale a direzione moscovita, cioè di non aver risorse sufficienti a sopportare i costi connessi con l’avere un impero dall’estensione così vasta (cfr. la lettura di Paul Kennedy sulla crisi della Spagna nel XVII secolo). Ciò detto, non sta scritto da nessuna parte che un mondo multipolare sia in sé meglio di un mondo unipolare (lo ha già scritto Lanfranco Caminiti); dal mio punto di vista ciò che conta è che vi sia pienezza dei diritti civili, politici e sociali, con al centro la libertà costituzionalmente garantita per i lavoratori salariati (a prescindere dalle forme giuridiche che il lavoro salariato – o per conto terzi – può assumere) di autoorganizzarsi in strutture del tutto indipendenti dalle autorità statuale e dal governo e di scioperare. Di fatto queste libertà, tutte queste libertà, sono giuridicamente riconosciute e possono essere praticate pienamente solo e soltanto nel cosiddetto Occidente (inteso in senso lato ed esteso). Per questo l’Occidente, con tutti i suoi limiti, è il luogo della piena civiltà. Ben più del multipolarismo in sé, credo cruciale per una sinistra socialista e libertaria, categoria in cui mi riconosco, fare di tutto perché queste libertà si estendano e si consolidino ovunque, in particolare in quei poli in cui non esistono o sono dimidiate (come ad esempio la Cina e pure l’osannato Viet Nam della mia giovinezza, dove all’indipendenza giustamente raggiunta si affianca un regime dittatoriale monopartitico ed un indice di Gini pari al 39,3 – l’Italia ha il 35,4, quindi è assai meno diseguale – ma non certo solo i due paesi ora citati), appoggiando in ogni modo quegli individui e quei gruppi organizzati di cittadini e lavoratori che pretendano sia l’habeas corpus, sia le libertà politiche e sindacali.
Seconda considerazione: va da sé che ogni grande potenza abbia rapporti complessi con le altre grandi potenze (oltre che con le potenze minori); per essere una grande potenza occorre però ci sia una qualche corrispondenza tra potenziale economico e potenziale militare, in cui ovviamente sia la prima dimensione a comandare tendenzialmente la seconda. Per questo sono oggi grandi potenze gli USA e la Cina, potenzialmente anche l’India, non lo è (ancora) l’Unione Europea, grande potenza economica ma nano militare (un po’ come fu per i decenni successivi la Seconda guerra mondiale la Repubblica federale tedesca, motore assieme alla Francia dell’Unione Europea), uno squilibrio che dovrà essere superato: supposto che l’Europa abbia una funzione profetica come luogo di mediazione dei conflitti e modello di convivenza, si ricordi quale Niccolò Machiavelli riteneva fosse l’inevitabile sorte dei profeti disarmati. Resta allo stato ancora indistinto il possibile, per non pochi versi però prevedibile, ruolo futuro dell’Africa subsahariana, potenziale grande potenza. In questo contesto la Federazione Russa rappresenta oggi un caso particolarissimo: un enorme apparato militare a cui corrisponde però una gracile struttura economica, che la avvicina a quei paesi limitatamente sviluppati il cui maggiore introito è l’esportazione di materie prime (in questo caso l’energia: metano e petrolio. Una grande Arabia Saudita, un grande Dubai). Ciò comporta che, mentre per gli USA e la Cina le spinte egemoniche possono essere sviluppate essenzialmente con mezzi economicofinanziari, di cui l’apparato militare è corollario, per la Federazione Russa l’apparato militare rischia di essere l’unico strumento tramite cui sviluppare egemonia. Questo rende la situazione assai pericolosa (l’osservazione non è mia; era stata già fatta da Peppino Ortoleva).
Terza considerazione: cosa può avere spinto il gruppo dirigente della Federazione Russa a muovere guerra all’Ucraina? A mio parere la percezione da un lato che il controllo moscovita sul proprio “estero vicino” (cioè i territori facenti parte prima dell’Impero zarista, poi dell’URSS post 1945) si stesse sfaldando (prima con le “rivoluzioni arancioni”, poi con “Euromaidan” 2014), dall’altro che né gli USA, né l’UE fossero disposti seriamente ad opporsi ad una riconquista “manu militari” dell’Ucraina. L’inazione statunitense di fronte all’uso dei gas da parte del regime siriano di Assad, nonostante la “linea rossa” tracciata da Barack Obama e poi caduta nel nulla (2012 e anni seguenti), il neoisolazionismo trumpiano, il disastroso epilogo dell’avventura occidentale in Afghanistan (2021; si noti: ad agosto gli USA lasciano l’Afghanistan, appena un mese dopo inizia la concentrazione di truppe russe ai confini dell’Ucraina), il costante aumento degli acquisti di gas e petrolio da parte dell’UE anche dopo il 2014 (nonostante l’annessione russa della Crimea e l’avvio dei movimenti separatisti, supportati dalla Russia anche militarmente con uomini e mezzi, nel Donbass) persuasero con ogni probabilità il gruppo dirigente moscovita di potersi muovere pagando un prezzo limitato. A ciò si aggiunse, presumibilmente, la previsione, che l’andamento delle operazioni avrebbe poi svelato come fallace, di una campagna che si sarebbe conclusa in pochi giorni: i servizi informativi occidentali, che aveva correttamente previsto un attacco militare russo entro il mese di febbraio, avevano anche avvisato che la direzione politicomilitare moscovita prevedeva che in sei giorni l’Ucraina sarebbe stata debellata.
Quarta considerazione: tra la capacità di resistenza ucraina (insospettata dal Cremlino, ma che si può pensare abbia creato stupori anche nelle sfere decisionali statunitensi ed europee; del resto non pochi esperti, sebbene esterni al cerchio dei decisori, avevano dichiarato di aspettarsi un collasso ucraino entro pochi giorni dall’attacco, e nei primi giorni successivi al 24 febbraio tanto Parigi quanto Washington avevano proposto a Volodymyr Zelens’kyj, e si presuppone non solo a lui, di farlo espatriare in sicurezza, presumibilmente con l’idea di fargli poi costituire un governo ucraino in esilio, cosa che presupponeva nelle due capitali si valutasse fosse impossibile alle forze armate ucraine impedire ai reparti russi la presa di Kiev) e la reazione dell’aggregato USA + UE (definibile come Occidente anche se in modo assai diverso rispetto a qualche decina di anni fa), reazione probabilmente inattesa anch’essa a Mosca, si è formato a mio parere un circolo (che io ritengo virtuoso, altri potranno chiamare vizioso) di reciproci rimandi: più l’Ucraina resiste, più l’Occidente è spinto a sostenerla (con armi e sanzioni) e viceversa.
Quinta considerazione: che Volodymyr Zelens’kyj abbia chiesto all’UE e agli USA una no fly zone è del tutto ragionevole, è il presidente di uno Stato sottoposto ad un pesante attacco militare; allo stesso modo è del tutto ragionevole che sia l’UE, sia gli USA abbiano rifiutato la no fly zone, in quanto sarebbe troppo alto il rischio di un confronto diretto tra aerei di pesi della Nato e aerei della Federazione Russa, e siano stati assai attenti nella gestione materiale del rifornimento di armi all’Ucraina, sia per motivi di ovvia riservatezza, sia per evitare un rischioso coinvolgimento troppo diretto, sia nell’attesa di constatare come sarebbe proceduto il confronto militare tra Ucraina e Russia; non per caso alla capacità ucraina di difendere Kiev e alla conseguente decisione moscovita di ritirarsi dall’hinterland della capitale puntando semmai a concentrare le proprie unità ad Est sta corrispondendo l’opzione occidentale di fornire all’Ucraina mezzi difensivo-offensivi in grado di utilizzare l’intervallo di tempo necessario al Cremlino per ridispiegare le proprie forze allo scopo di vanificare anche la “fase due” così come è stata bloccata la “fase uno” dell’ “operazione militare speciale”. C’è una logica nelle cose, piaccia o non piaccia.
Sesta considerazione: è del tutto evidente che la capacità ucraina di resistere, e quindi di cagionare all’aggressore russo una perdita non a lungo sostenibile nello stock di armamenti di cui può disporre dipende in misura essenziale dai rifornimenti di armi difensive/offensive (dall’anticarro al missile antiaereo al razzo antinave) che USA, UE e altri Stati della Nato possono metterle a disposizione. La possibilità di una pace di compromesso (ovvia e ragionevole prospettiva, posto che l’Ucraina non si è mai posta il problema di impadronirsi di porzioni di territorio della Federazione Russa, né allo stato risulta abbia condotto, salvo che in pochi, opinabili, casi, azioni di guerra in territorio russo) passa necessariamente, a mio parere, per la “debellatio” della Russia, intesa NON certo come distruzione delle sue potenzialità militari complessive, ma come raggiungimento del limite delle sue capacità di condurre offensive terrestri strategiche, e questo appare francamente obbiettivo raggiungibile, poiché tale capacità dipende dal consumo dello stock di armamenti disponibili e dalla possibilità di sostituirli in tempi rapidi, dalla sostenibilità della logistica, cioè dalla capacità di rifornire di cibo, munizioni, pezzi di ricambio, e così via le unità combattenti. Ovviamente resta l’incognita dell’armamento atomico, che però va distinto in nucleare tattico e nucleare strategico. Proprio perché Putin non è Hitler, come si affannano a ripetere molti suoi fan, si può ragionevolmente escludere che la Federazione Russa (i cui confini nessuno minaccia) possa far ricorso al nucleare strategico (= MAD, mutua distruzione assicurata); anche sul possibile uso del nucleare tattico sono leciti dubbi: a parte l’impatto estremamente negativo sull’opinione pubblica mondiale, in una campagna finalizzata a conquistare i territori dell’Est ucraino (Donbass) sì da connetterli con la Crimea, a cosa servirebbe? L’impressione è che i ripetuti segnali sul preallarme del proprio armamento atomico rappresentino dei bluff miranti a spaventare l’Occidente.
Settima considerazione: va da sé che raggiungere una sospensione dei combattimenti, sì da risparmiare vite umane ed evitare ulteriori distruzioni materiali sia quanto mai desiderabile; la chiave per un “cessate il fuoco”, anche a bocce ferme, cioè congelando le linee dove si trovano ora in attesa di definire meglio il contesto attraverso trattative, sta però tutta in mano al Cremlino. L’Ucraina ha solo la scelta tra arrendersi e resistere, scelta che ha già fatto e che – piaccia o meno – è quella di resistere. È l’aggressore solo che può far tacere le armi, posto che nessuno né lo invade, né gli chiede di arrendersi, semmai unicamente di smettere di attaccare. Se Mosca ferma i propri combattenti può, a quel punto, chiedere eventuali garanzie (tutte da discutere poi), ma non lo può fare finché le sue truppe attaccano oltre i propri confini.
Ottava considerazione: la pace è assolutamente desiderabile, ma nello stesso tempo quello che è accaduto dal 24 febbraio scorso ha cambiato irreversibilmente il quadro. Va da sé che nulla potrà più essere come prima: non sarà più concretamente pensabile che l’UE dipenda dal punto di vista energetico dalla Federazione Russa, né che produzioni chiave (dall’elettronica all’acciaio, ma anche l’agroalimentare e così via) dipendano da filiere produttive i cui terminali siano collocati in territori potenzialmente ostili (Cina, presumibilmente anche India, ma non solo). Quelle che erano richieste formulate sulla base di istanze ambientalistiche o sociali: ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, accorciare e ricomporre le catene del valore, ridurre se non fermare la delocalizzazione produttiva fonte di degrado territoriale e di svalorizzazione del lavoro finiranno con l’essere esaudite, per uno di quei paradossi di cui la storia è ricca, a causa di impellenti motivazioni militari e strategiche. La primazia del mercato, idea forza della globalizzazione e del conseguente, cosiddetto, “neoliberismo”, dovrà ridursi e il mercato stesso dovrà accettare compromessi con le esigenze del politico e dello statuale (ed attraverso essi della società civile). Va da sé che ci dovrà essere una fase di transizione, del resto già prevista per quanto riguarda il passaggio alla produzione di energia da fonti rinnovabili, e può ben darsi che ciò comporti una riduzione dei livelli attualmente raggiunti di benessere e consumi, ma la storia non è un progresso continuo; ci sono momenti e fasi di passaggio. Ciò che conta è che la transizione non significhi approfondimento delle disuguaglianze, ma semmai loro tendenziale riduzione. E questo è compito della politica nel suo più ampio significato. È inoltre possibile il ripresentarsi, sul piano e del mercato mondiale e del commercio mondiale, di questioni analoghe a quelle poste dalla crisi del 1929. Allora ci fu un venir meno, con la crisi definitiva del gold standard (già in serie difficoltà dal 1914), dell’equivalente astratto necessario allo svilupparsi degli scambi internazionali. Se ne sarebbe usciti, come è noto, solo 15 anni dopo a Bretton Woods, le cui decisioni avrebbero per altro mantenuto piena validità solo sino al 1971. Ora la latente crisi del dollar standard, succeduto di fatto al gold exchange standard, potrebbe avere un’improvvisa accelerazione dovuta a decisioni politiche, sebbene in nuce conseguenti ai mutati equilibri nell’economia globale; ciò potrebbe portare al nascere di zone di scambio distinte, ciascuna delle quali retta da una valuta (reale o virtuale) di riferimento. Resterà il problema di come regolare i flussi commerciali tra area e area. Evidente, in questo quadro, la lungimiranza, anche se magari dovuta ad eterogenesi dei fini, della decisione del nucleo centrale dell’Unione Europea di creare l’euro.
Nona considerazione: sorprende come molto poco ci sia soffermati, in particolare a sinistra, là dove dovrebbe essere usuale ragionare sulla natura sociale dei regimi, sulla natura sociale del regime che regge la Federazione Russa, la cui attuale classe dominante appare essere non una borghesia ma una cleptocrazia, un ceto cioè di ladri, i quali hanno fatto man bassa, crollata l’URSS, di pressoché tutto il suo apparato produttivo. Fenomeni analoghi si sono verificati in quasi tutti gli Stati postsovietici, Ucraina compresa, ovviamente; ma quale fu la genesi degli appropriatori, poi definiti “oligarchi”? Nella quasi totalità si è trattato di quadri medi e alti del PCUS, con una forte presenza di giovani accaparratori provenienti dal Komsomol, l’organizzazione giovanile del PCUS medesimo. Già negli anni Ottanta questi gruppi erano stati in grado, grazie a strumenti paralegali, di accumulare capitali in rubli e valute estere, e fu questo ceto a costituire la base sociale del potere di Boris El’cin, non viceversa! Di Boris El’cin Vladimir Putin sarebbe stato il delfino ed erede designato, rivelandosi certamente più abile del padre spirituale a navigare tra i pescicani oligarchi ma comunque loro espressione politica, ancorché poi capace di far acquisire all’apparato istituzionale una relativa autonomia grazie ai quadri provenienti dai servizi, i cosiddetti siloviki (gli “uomini della forza”), secondo un processo che appare per certi versi non troppo dissimile da quello descritto a suo tempo da Karl Marx ne Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte: non più, come con El’cin, un governo degli oligarchi, ma un governo per gli oligarchi (a cui si chiede in cambio fedeltà). Conseguentemente, la struttura sociale portante della Federazione Russa va letta come strettamente connessa con la materialità del ceto funzionariale e burocratico che per decenni fu l’ossatura dell’URSS e del potere del PCUS, un ceto funzionariale e burocratico che, una volta divenuto oligarchia, si è liberato in fretta di frasario e liturgia “comunisti”, identificandosi semmai in un concetto di “patriottismo antifascista” che mescola “antifascismo di Stato” staliniano e poststaliniano, nazionalismo granderusso, memoria ossificata della “grande guerra patriottica”, reminiscenze imperiali zariste, ortodossia religiosa conservatrice, slavofilia, ma affrettandosi di conserva a varare misure fiscali imperniate sulla “flat tax”, introdotta nel 2001 con un’aliquota del 13% e poi parzialmente modificata nel 2021 con l’inserimento di una seconda aliquota del 15% per i redditi annui lordi superiori ai 65.000 € (= 5 milioni di rubli). Putin per inciso divenne per la prima volta presidente russo nel 1999. Va sottolineato tuttavia che il dichiararsi “antifascista” da parte sia della cleptocrazia, sia dell’establishment russi ha funzionato e funziona egregiamente come specchietto per i tordi verso i cosiddetti “marxisti”, in particolare italici, perfettamente in realtà idealisti perché più attenti alle parole che alle cose (flat tax); specularmente, la complessità della situazione creatasi tra le due guerre mondiali e poi durante la Seconda in quello spazio tra l’Elba ed il Volga che Timothy Snyder ha chiamato “Terre di sangue” ha impedito ed impedisce alla succitata genia sedicente “marxista” di rendersi conto da un lato che qualunque movimento nazionale attivo in quegli anni si è poi trovato, dal 1939-41 al 1945, a dover scegliere tra la peste ed il colera, intendendo per peste Hitler, e per colera Stalin, da ciò sbandamenti magari col senno del poi inescusabili, ma all’occhio dello storico del tutto comprensibili, dall’altro che dopo oltre quarant’anni (cioè due generazioni) di “socialismo reale” progressivamente rivelatosi del tutto irriformabile (dall’assassinio di Jan Masaryk [1948], alla repressione armata dell’insurrezione operaia di Berlino Est [16-17 giugno 1953], al processo dalle venature antisemite contro Rudolf Slánský ed altri dirigenti comunisti cecoslovacchi, in gran parte di origine ebraica [1952], all’intervento delle forze armate del patto di Varsavia a Budapest [1956] con la conseguente esecuzione del gruppo comunista riformista guidato Imre Nagy, al successivo intervento militare a Praga (1968) contro i comunisti riformatori guidati da Aleksander Dubcek), è pienamente comprensibile tanto l’identificazione, da parte di larga parte dell’opinione pubblica degli Stati in quel quarantennio facenti parte (obbligatoriamente) del Patto di Varsavia, tra nazionalsocialismo e “socialismo reale”, quanto la ricerca di figure che, attive nel periodo interbellico e durante la Seconda guerra mondiale, siano utililizzabili, in quanto leader nazionalisti, quali icone della nazione rinata o ricostituitasi dopo la fine dell’URSS. Un’operazione quest’ultima ricca di ambiguità, come nel caso di Stepan Bandera per almeno una parte del nuovo movimento nazionale ucraino; ambiguità che dovranno essere sciolte, sebbene non sia una guerra guerreggiata il momento migliore per affrontarle, ma che per uno storico non costituiscono certo una sorpresa, e non possono diventare un alibi per nessuno. Non si dimentichi che le due guerre che noi chiamiamo “mondiali” (sebbene la prima sia stata essenzialmente un conflitto intereuropeo) se viste da punti di osservazione esterni al Nord del mondo ed in particolare da quello che era al tempo il vastissimo spazio coloniale, cioè colonizzato da potenze europee, potevano ben risultare, agli occhi dei movimenti nazionali e nazionalisti colà operanti, occasioni da non perdere per emanciparsi dai colonizzatori o comunque dai dominatori. Fu il caso delle simpatie irlandesi per gli Imperi centrali e la Germania in particolare durante la Grande Guerra, del gran muftì di Gerusalemme Muḥammad Amīn al-Ḥusaynī, del politico di punta iraqeno Rashīd ʿĀlī al-Kaylānī, del leader della sinistra del Partito del Congresso indiano Subhas Chandra Bose (a cui dopo l’indipendenza dell’India sarebbe stato intitolato l’aeroporto di Calcutta), del futuro presidente indonesiano Kusno Sosrodihardjo, più noto come Sukarno, la cui collaborazione con le autorità d’occupazione giapponesi nell’arcipelago gli avrebbero valso un’alta decorazione conferitagli dall’imperatore Hirohito nel 1943, cosa che non gli avrebbe poi impedito di diventare nel secondo dopoguerra, assieme a Tito, Nehru e Nasser, uno dei riferimenti del movimento dei non allineati, caro alla sinistra “antimperialista”. Le cose, insomma, se osservate a distanza e un po’ più dall’alto appaiono un po’ più complicate di quel che sembrino essere se viste solo attraverso lenti ideologiche.
Decima considerazione: ad unire in un comune afflato verso l’attuale volto della Federazione Russa e verso il suo gruppo dirigente settori della destra nazionalista e sovranista con settori della sinistra, tanto di estrazione PC, quanto di origine extraparlamentare, stanno profondi elementi sorprendentemente comuni, venuti alla luce all’inizio degli anni Novanta proprio con la crisi e successiva fine dell’URSS e il conseguente collasso del “socialismo reale” (il percorso cinese è stato altro e differente). La destra ha potuto in quel momento far emergere la propria profonda diffidenza e radicata ostilità verso gli USA, letti come regno dei parvenus a cui contrapporre quell’idea di Stato organico che le è assai più congeniale; la sinistra ha mantenuto l’ostilità verso l’ “imperialismo americano” che le veniva dal cosiddetto “marxismo” di matrice realsocialista che fu di fatto egemone in larga parte della sinistra nel secondo dopoguerra. Proprio qui sta il brodo di cultura del “rossobrunismo”, un’idea “etica” di imperialismo, ricondotta alla volontà politica di questo o quel gruppo dirigente. Che poi i “rossi” (o sedicenti tali) lo chiamino “imperialismo”, i “neri” mondialismo dipende dalle differenti retoriche utilizzate dagli uni e dagli altri, resta il fatto che per tutti loro (e non solo per loro) gli USA e la NATO restano il “grande Satana”. Che poi nel conflitto in corso la NATO si stia ben guardando dall’intervenire in prima persona, per ovvi motivi di ragionevolezza, e si sia limitata a fornire alle autorità ucraine armi e informazioni (come fecero URSS e Cina con il Viet Nam al tempo – anni Sessanta e Settanta, per inciso) è cosa che a costoro poco importa. Va da sé che si perda di conseguenza ogni capacità euristica che la categoria di “imperialismo”, nelle sue varie accezioni, invece possiede. Ai miei occhi appare scontato che, in questa deriva rossobrunita, ad essere egemonica non possa che essere la destra radicale, con le componenti di sinistra destinate a svolgere la funzione di “bombacci” in 64°. Per inciso, è del tutto coerente con l’idea, circolante nel gruppo dirigente moscovita, di uno spazio europeo sostanzialmente egemonizzato, tramite un articolato strumentario e con modalità ovviamente non tutte uguali, dalla Russia che il Cremlino veda con favore e sostenga in tutti i modi possibili quelle forze nazionaliste-sovraniste il cui principale nemico sia l’Unione Europea; proprio perché la prospettiva è politica e non ideologica, non vi è contraddizione alcuna, per Mosca, nel proclamare orgogliosamente il proprio “nazional-antifascismo/nazional-antinazismo” e l’appoggio aperto a partiti che si collochino alla destra estrema nello spettro politico europeo e abbiano evidenti radici nel fascismo storico, dall’ex Front National, ora Rassemblement National, francese, alla tedesca Alternative für Deutschland, agli italici Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia. Un corollario ulteriore delle considerazioni appena sviluppate è il rilevare il carattere paradigmatico della categoria di “nazismo” in un esteso sentire comune; sembra quasi che l’enfasi, per alcuni dei suoi propugnatori affatto strumentale, mentre per altri più che comprensibile, della Shoah come “male assoluto” (e se “assoluto” di per sé metastorico, quindi non analizzabile con gli strumenti dello storico), abbia perversamente generato un’idea di “nazismo” come stigma negativo “assoluto” = anch’esso metastorico, nonché un’immagine volgarizzata di “genocidio” quale da un lato etichetta connotativa di un qualche “male assoluto”, dall’altro quasi titolo di merito di un soggetto collettivo che, dall’averlo patito ne ricavi visibilità. Tutto ciò ad onta e nonostante l’impegno di una ormai quasi secolare ricerca storiografica che, nella sua assoluta maggioranza, ha identificato nel nazionalsocialismo hitleriano una forma particolarmente radicalizzata e ultradistruttiva di fascismo, la cui matrice resta il regime mussoliniano, nonché delle codificazioni date dall’ONU ed esistenti dal 1946-1948, della categoria di “genocidio”, codificazioni come è noto non prive di aporie e perciò tali da generare un forte scontento nello stesso Rafał Lemkin, il giurista polacco di matrice ebraica che era stato il creatore del termine e del concetto ad esso sotteso. Questioni, l’una e l’altra, a cui molta opinione pubblica, anche colta, appare essere tuttora impermeabile.
Undicesima considerazione: come si spiega lo schieramento, composito ma, sembra, in Italia assai numeroso, di coloro i quali hanno preferito non schierarsi per l’Ucraina, paese aggredito, preferendo optare per una posizione “pacifista assoluta”, sebbene con diverse sfumature al proprio interno: dall’augurarsi che Kiev si arrendesse, sì che le cose tornassero il più in fretta possibile “normali”; all’opporsi all’invio di armi all’Ucraina (variante un po’ ipocrita della posizione precedente, che almeno ha il pregio di essere esplicita); all’opporsi parimenti alle sanzioni economiche contro la Federazione Russa; al rifugiarsi in una astorica “deprecatio belli” (“tutte le guerre sono orrende, va da sé che in tutte accadano orrori” il Leitmotiv specifico. Che evidentemente però non vale se a venire accusati di azioni militari deprecabili sono gli USA, Israele, la Francia, la Turchia etc.); al pretendere che vari soggetti a cui si attribuisca (magari con ragione) una qualche autorità morale (l’UE, Papa Francesco; l’ONU etc.) “medino” tra i contendenti, a prescindere ovviamente dalla volontà dell’aggressore (presupposto imprescindibile, in casi del genere) di accettare una siffatta “mediazione” se diversa da una resa dell’aggredito; al chiedere comunque che al cessare dei combattimenti si torni rapidamente allo status quo ante, in modo particolare e rapido per quanto riguardi il conferimento da parte russa di gas e petrolio? Tenderei a cercane la radici in almeno tre direzioni: a) la più sconfortante: una riproposizione dell’italico motto “Franza o Spagna, purché se magna”, riconducibile al desiderio che nulla turbi il proprio particulare. Ciò spiega, mi pare, la popolarità dell’Orsini tra parecchi dei “pacifisti assoluti” prima categorizzati; b) la più preoccupante: un ulteriore rifiuto della realtà, parallelo e conseguente a quello che dall’inizio del 2020 si è sviluppato a causa della pandemia. Sul rifiuto della realtà e le sue drammatiche conseguenze ha scritto pagine fulminanti Bruno Bettelheim (cfr. in particolare Sopravvivere): di fronte alla necessità di mutare forse anche drasticamente le proprie condizioni di vita e le proprie abitudini si preferisce non adeguarsi alle circostanze, ovviamente impreviste e poco prima imprevedibili; per molti è meglio rifugiarsi nel pensiero magico: 1) non è vero quello che ci viene raccontato (vale per il virus e per le stragi di civili); 2) c’è un colpevole chiaro ed individuabile (il capitalismo – non meglio definito, il Bilderberg, la NATO, gli USA, ecc. ecc.); c) la meno evidente, ma a mio parere assai incisiva in particolare per quei settori del neo “pacifismo assoluto” che provengono direttamente dalla ex sinistra extraparlamentare: il non esser mai riusciti a fare i conti fino in fondo con la questione della violenza politica dopo che, nei secondi anni Settanta e nei primi anni Ottanta, i diversi gruppi armati, con impostazioni tra loro assai differenti se non francamente antagoniste (dalle BR a Prima Linea, passando per una pletora di differenti sigle), la teorizzarono e praticarono considerandola via maestra rivoluzionaria. A fronte del fallimento dei gruppi armati e dei disastri molteplici che la loro azione avrebbe finito col provocare, la risposta di larga parte di quella generazione politica che era cresciuta nel mito della Resistenza armata (e poi tradita), si era nutrita di slogan quali “Viet Nam vince perché spara” e poi, dopo il colpo di Stato in Cile, “mai più senza fucile” non ha saputo autocriticarsi e criticare seriamente tanto l’ “impazienza rivoluzionaria”, quanto l’ “avanguardismo armato”, preferendo far proprie, con una giravolta a 180°, parole d’ordine quali “non violenza”, “resistenza civile”, “difesa popolare non violenta”, in sé rispettabilissime ma di tutt’altra origine. Da qui i totali cecità e rigetto di fronte alla dimensione militare, purtroppo drammaticamente non eliminabile, qui e adesso, dalla storia. Alle spalle di tutti gli atteggiamenti prima descritti, comunque, sta l’irriflessa convinzione che la regressione non sia possibile, che la storia non possa tornare indietro, che a reggere le sorti dell’umanità sia il progresso, non il caos. Purtroppo, così non è. Un vecchio slogan del movimento operaio affermava: “Socialismo [NON “realsocialismo”] o barbarie”. Resta valido, credo, ma come attuare il passaggio ad un socialismo libertario (l’unico che possa essere definito tale) è questione allo stato irrisolta.
13 aprile 2022
Lettera a Brunello Mantelli
di Ennio Abate
da https://www.difesapopolo.it/Rubriche/Grande-guerra/10-gennaio-1915-lo-scambio-di-prigionieri
Caro Mantelli,
ho letto e riletto più volte le tue considerazioni. Alcuni ma pochi i punti di concordanza.[1] Il tuo documento è una conferma che siamo su posizioni diverse e contrapposte.[2] E, pur ringraziandoti ancora per avermelo inviato, non posso che ribadire il mio fraterno ma antagonista dissenso. Con sincero dispiacere, perché sei uno studioso che stimo e col quale credo di avere almeno qualche affinità di storia generazionale e un riferimento tuttora saldo a Marx.
Eccoti, dunque, anche se forse ti risulteranno scontate, le mie osservazioni al documento:
PRIMA CONSIDERAZIONE. Mi pare troppo drastica l’affermazione: «è assolutamente evidente che nel mondo non c’è alcun unipolarismo». Perché a me non pare che gli Usa abbiano accettato la realtà del multipolarismo (incipiente) o una dialettica tra Stati non guerresca. (E le ultime scelte di Biden[3] paiono confermarlo). Inoltre, all’ipotesi del multipolarismo tu non sembri credere. Non solo la sottovaluti[4] ma la escludi, in base alla – per me discutibile – attribuzione della patente di «luogo della piena civiltà» [5] al solo Occidente, mentre io mi chiederei seriamente se il multipolarismo (alla lunga, a certe condizioni e nella dimensione mondiale) non potrebbe offrire più ampi spazi d’intervento alla tua stessa prospettiva legata alla storia del movimento operaio.[6]
SECONDA CONSIDERAZIONE. Siccome la Russia ha solo questo «enorme apparato militare a cui corrisponde però una gracile struttura economica» sarebbe (automaticamente?) più propensa ad usarlo (soprattutto o in ogni caso) per costruire – come tutte le grandi e medie potenze – egemonia?[7] A me pare un’affermazione deterministica. E, perciò, mi chiedo: la Federazione russa in ogni caso ricorrerebbe alla forza militare e all’aggressione? Anche se il contesto politico internazionale fosse più favorevole a una dialettica meno guerresca tra potenze o creasse – anche per la Federazione russa – condizioni di “coesistenza pacifica”?
TERZA CONSIDERAZIONE. Accogli in pieno la tesi che vede l’attuale scontro in Ucraina come conflitto tra democrazia e autocrazia, tacendo o liquidando implicitamente tutte le analisi che insistentemente sottolineano – in termini strettamente geopolitici, di equilibrio tra potenze – il problema di una minaccia reale (non solo presunta, dunque) per la Federazione russa rappresentato dall’espansione o dall’allargamento ad Est della NATO dopo il crollo dell’Urss. Analisi di vari e per me rispettabili studiosi: Chomsky, Streeck, Visalli[8] e che a me – lettore volenteroso e attento, pur se non specialista – paiono abbastanza fondate o comunque da prendere in attenta considerazione.
Questo affrontato nella TERZA CONSIDERAZIONE è il punto dirimente per dare un giudizio sul carattere (difensivo o offensivo) di questa guerra e sulle responsabilità dei vari decisori e compartecipi; e sta anche alle base delle successive tue considerazioni.
Ora, pur infastidito dalle accuse ricattatorie e roboanti (“neneisti”, “filoputinisti”, “cacadubbi”, “vili”, ecc.), io mi sento di dire che non ho l’apparente e tetragona certezza (o la competenza) tua e di quelli che si sono decisamente schierati.
Continuo a leggere e a studiarmi un bel po’ di articoli che ogni giorno seleziono dal Web, approfondirò le contrapposte tesi, ma per ora continuo a restare ostile alla tesi che la guerra contro l’Ucraina sia il prodotto di una storia tutta endogena della Federazione russa e che sia da escludere qualsiasi condizionamento o pressione indiretta degli USA (e della NATO) nella scelta di Putin di aggredire l’Ucraina.[9]
Riferendomi ora in blocco alle CONSIDERAZIONI 4, 5 e 6, osserverei quanto segue:
– Vedo mitizzazione quando parli di una Ucraina che sorprende tutti[10] con la sua resistenza (morale e poi militare). Non credo ci si debba sorprendere se, come sostengono ancora diversi osservatori, le forniture di armi all’Ucraina erano state avviate da tempo e in coerente applicazione di strategie (egemoniche) anch’esse approntate da tempo[11] e che hanno mirato a fare dell’Ucraina una spina nel fianco della Federazione russa.
– Quella ucraina va considerata Resistenza nel senso nobile e magari un po’ ideologico, in cui la intendiamo in Italia pensando ai nostri partigiani? Su questo punto altri miei dubbi e obiezioni, che ho espresso in maniera immediata e pubblicamente, appena ho saputo di questa interpretazione (forzata e ideologica, ripeto) a Francesco Brusa,[12] “amico FB”; e prima di leggere, nei giorni successivi, le condivisibili (per me) puntualizzazioni di Alessandro Portelli e Marco Revelli.
Certo, a favore dell’appoggio all’Ucraina, Stato tra Stati, (e che, detto tra noi che veniamo da una certa storia, non ha certo obiettivi socialisti o rivoluzionari presenti invece nella resistenza al nazifascismo), resta valido l’argomento che essa, essendo stata invasa militarmente e che l’aggressore (evidente) è la Federazione russa, ha diritto a resistere. Questo mi pare sia ammesso quasi unanimemente. Anche se ci si appellasse al diritto all’autodeterminazione, resta però aperto sia il problema di contestualizzarlo questo diritto[13] e sia il problema di definire i modi più efficaci (per la popolazione civile soprattutto) di resistere, sui quali ci siamo divisi.
– Sull’uso possibile dell’atomica. La Russia bleffa solo per «spaventare l’Occidente»? Può darsi, ma sai meglio di me che gli sviluppi di una guerra sono imprevedibili; e, dunque, io sarei più cauto.
– Che sia «l’aggressore solo che può far tacere le armi, posto che nessuno né lo invade, né gli chiede di arrendersi, semmai unicamente di smettere di attaccare», non posso non chiedermi: portando a casa cosa? Ha iniziato una guerra e la ferma senza almeno un trofeo? E anche se la resistenza ucraina infliggesse colpi materiali o simbolici (alla sua immagine) di rilievo? E, tuttavia, resta il fatto che questa tua affermazione presuppone che l’aggressione sia stata esclusivamente unilaterale e del tutto irrazionale o immotivata (come nella situazione da favola del lupo e agnello di Esopo). Non c’è storia che spiega questa aggressione? Tutto era prima tranquillo e soltanto i russi hanno rotto la quiete o una situazione di conflitto che fino ad allora si svolgeva “normalmente”? Non mi pare questo il caso.
– «la pace è assolutamente desiderabile, ma nello stesso tempo quello che è accaduto dal 24 febbraio scorso ha cambiato irreversibilmente il quadro. Va da sé che nulla potrà più essere come prima: non sarà più concretamente pensabile che l’UE dipenda dal punto di vista energetico dalla Federazione Russa». È vero, ma questa nuova situazione si è verificato perché (o anche perché) è prevalsa nuovamente la spinta egemonica statunitense e l’Europa ha accettato ancora una volta di allinearsi. Ripeto, dunque la mia obiezione: per dire che nulla potrà essere come prima per esclusiva responsabilità politica della Federazione russa, bisogna dimostrare che la Nato non c’entri, non voleva espandersi, non voleva usare l’Ucraina in funzione antirussa.
Inoltre, nel tuo documento non vedo nessuna analisi delle perdite di ogni tipo che deriveranno dalla scelta delle sanzioni e dall’inasprimento su tutti i piani dei rapporti precedenti con la Federazione russa, ma soltanto un generico auspicio che «la transizione non significhi approfondimento delle disuguaglianze».[14]
– Dubbi ho anche su quanto dici della «natura sociale del regime che regge la Federazione Russa, la cui attuale classe dominante appare essere non una borghesia ma una cleptocrazia, un ceto cioè di ladri, i quali hanno fatto man bassa, crollata l’URSS, di pressoché tutto il suo apparato produttivo». Mi pare una visione unilaterale: in cosa consiste la differenza storica tra borghesia e cleptocrazia? E sono così limpide le origini storiche delle nostre borghesie che sarebbero arrivate alla «piena civiltà»? E le “accumulazioni primitive” di cui parlò Marx? I ladri comandano solo in Russia? E i nostri evasori fiscali e le nostre mafie? Sarei contento di veder applicare la stessa analisi marxista non solo alla cleptocrazia russa ma anche al complesso militare industriale statunitense, alle burocrazie UE, ecc. Se no, il discorso mi pare parziale e unilaterale: mostri la trave nell’occhio russo ma non nel “nostro” occidentale.
– Concordo, invece, sulla complessità e particolarità della situazione storica vissuta dai popoli presi tra la tenaglia di Hitler e quella di Stalin e sul giudizio negativo del “rossobrunismo”, fenomeno che vedo io pure come deriva della tradizione socialista/comunista di sinistra. D’accordo anche che l’egemonia sul “rossobrunismo” sia della Russia, ma invariabilmente mi chiedo se possiamo tacere o subire rassegnati quella statunitense. È qui che vedo una rimozione o un silenzio che non apprezzo.
– Nell’ UNDICESIMA CONSIDERAZIONE mi pare di essere di fronte ad uno sbrigativo minestrone. Nella discussione vorrei che si tenesse conto della dignità e motivazione delle singole posizioni (quella “pacifista assoluta”, quella astorica della “deprecatio belli”) e non ci si limitasse alla caricatura sprezzante.
Semplificatoria mi pare anche la trattazione dell’atteggiamento verso la violenza della generazione attiva tra fine anni ’60 e ‘70. Non è un semplice ribaltamento di quelle posizioni da sinistra extraparlamentare (una minoranza nella minoranza de resto). Come se dal mito della violenza armata si passasse oggi al mito del pacifismo assoluto. Cercherei di leggere in questi fenomeni i segni di un’inquietudine oscura che purtroppo non riesce ad avere forma nuova e s’aggrappa a simboli forse del tutto consumati.
Infine, vorrei porti una domanda: di fronte a questo scontro guerresco in atto dagli esiti imprevedibili dove potrebbe emergere o riemergere la prospettiva del socialismo che tu vuoi difendere richiamandoti al vecchio slogan del movimento operaio: “Socialismo [NON “realsocialismo”] o barbarie”?
Te lo chiedo anche in riferimento alla contrapposizione frontale che stabilisci tra pensiero socialista e libertario e «bolscevismo autoritario», che io invece considero dannosa, come tentai di dire – non so se ricordi – agli inizi dei nostri scambi su FB. Poiché un socialismo libertario (luxemburghiano) mi pare zoppo se sottovaluta la funzione dell’autorità nell’organizzazione delle lotte.
Concludendo, la mia sensazione di fronte al tuo documento è questa: pur riconoscendo che mancano molti dati per inquadrare cause profonde e implicazioni oggi poco chiare di questa guerra, da esso traspare forte una voglia di schierarsi (o la volontà di confermare l’appartenenza ad uno schieramento già deciso). C’è troppa convinzione di stare dalla parte giusta, quella della «piena civiltà». E questo rende sospettosi e arcigni verso qualsiasi sospensione del giudizio (o per incertezza psicologica o per bisogno di approfondire l’analisi con la ricerca di ulteriori dati). In questo modo, però, le ipotesi rischiano di diventare certezze; e più che assolute.
Un caro saluto
Ennio
20 aprile 2022
Note
[1] Condivido la prudenza con cui – almeno nelle intenzioni – hai affrontato la questione, la solidità senza sbavature del tuo ragionare realistico, alcuni punti di principio e di metodo («Abbiamo a disposizione tracce e indizi. Avremo le idee più chiare tra qualche anno, adesso possiamo solo fare delle ipotesi»; «la riduzione al minimo del tasso di violenza intrinseco ai conflitti»; «evitare ogni riferimento a persone fisiche, anche se detentrici di cariche apicali») e la critica al “rossobrunismo”.
[2] La mia posizione di fronte a questa guerra l’ho espressa sinteticamente sulla pagina FB di Lanfranco Caminiti così:
Ennio Abate
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SULLA GUERRA IN UCRAINA/ LETTERA A Lanfranco Caminiti
Caro Lanfranco,
mi è spiaciuta da subito la tua presa di posizione e non sono più intervenuto nelle discussioni che hai animato. Lo faccio adesso senza alcuna speranza di dialogo perché, quando i discorsi sono così contrapposti e divaricati, insistervi sarebbe – per entrambi – una perdita di tempo. Ognuno però può riflettere per conto proprio sulle fondamenta teoriche e storiche della propria e dell’altrui posizione. E allora mi limito a precisare 3 cose:
– se «da qualche parte ci dobbiamo mettere», non è detto che ci dobbiamo mettere o con Biden-Europa(attuale)-Draghi o con Putin o con Zelens’kij. Ci possiamo (dobbiamo, per me) mettere contro la NATO, contro Putin e contro Zelens’kij. Contro perché hanno scelto tutti la guerra come metodo di soluzione dei conflitti che li contrappongono e lavorano tutti per tener sottomessi i popoli. E, in particolare, dobbiamo essere contro Putin e Zelens’kij, perché fra nazional-bolscevismo zarista del primo e nazionalismo fascistoide e filo NATO dell’altro c’è poco da scegliere.
È una posizione “idealistica”, da “anime belle”?
Sì e no.
No, perché aiuta a salvare la nostra storia (le nostre “rovine”, le nostre “verità”) e la nostra prospettiva (che una volta si chiamava socialismo/comunismo e oggi non ha più un nome, è “figlia di NN”).
Sì, perché sul piano pratico non riesce a contrastare nell’immediato la guerra in corso. (Ma non lo fa neppure la tua, che sinceramente mi pare – e non c’è volontà di offesa in quel che dico – una variante dell’ interventismo dominante, pur appassionata e senza il cinismo realpolitik di altri.
– Sulla « nostra “piccola” guerra civile ideologica – del fatto che sia giusto o meno mandarle, se si approva o meno mandarle» mi chiedo: ma chi l’ha proclamata? E non è ancora una volta – per noi che veniamo dagli anni ’70 – una ennesima «falsa guerra civile»? (Cfr. F. Fortini, Note per una falsa guerra civile, 4 settembre 1977, pag. 168, in DISOBBEDIENZE 1, il manifesto, Roma 1997)
O forse peggio ancora, perché oggi non abbiamo neppure più quelle collettività politiche militanti, siamo individui più o meno isolati, voci balbettanti o smozzicate e senza una cornice teorica minima entro la quale dialogare e polemizzare senza distruggerci. (Ahimè, la polemica contro la Di Cesare!).
– Su « io sono un uomo qualunque, della strada, che sta dentro una “famiglia” concettuale che si chiama, largamente, “sinistra”», non ironizzo. Cos’è oggi la “sinistra”?
Ti chiedo soltanto di ricordare che in quella “famiglia” (spesso di accoltellatori, di stalinisti, di gesuiti rossi, ecc.) bisognava e bisogna scegliere con chi stare. Lì dentro di sostenitori di “guerre giuste” – da quella del Golfo a quella contro la ex Jugoslavia – ce n’erano e ce ne sono (ammesso che di “sinistra” si possa ancora parlare) a iosa. Io sto ancora con il Fortini di Otto motivi contro la guerra.
P.s.
OTTO MOTIVI CONTRO LA GUERRA (1990)
Stralci:
«tutto è peggio», «quasi unanimità dei giudizi», « irrilevanza delle voci differenti dal coro», «disfacimento delle sinistre» e «i ceti medioborghesi, l’Italia dei colti, il ceto politico che quasi sempre sono stati una barriera alla peggiori tendenze dell’età reaganiana, si sono trovati dalla parte di queste ultime, ben contenti che l’indecenza di un Saddam Hussein abbia provocato un generale riflesso di difesa e di protesta. Quella “unione sacra” che c’era stata solo in taluni episodi della lotta antiterrorismo sembra oggi non solo quasi rivelata nella “nazione profonda” ma confermata dalla quasi totalità dei facitori di opinione. Mi sbaglio: ci sono i preti»
( in “Disobbedienze II”, pagg. 127)
Chi avesse voglia di ricordare che cent’anni fa i socialisti cantavano: “Guerra al regno della guerra / morte al regno della morte”, mentre le sinistre italiane (e da mezzo secolo quelle sovietiche) hanno dimenticato che nella seconda strofa dell’Internazionale sta scritto che: Se codesti cannibali si ostinano / a far di noi degli eroi/ presto sapranno che le nostre pallottole / sono per i nostri stessi generali), commetterebbe un errore. L’esperienza del secolo prova che la trasformazione leniniana della guerra imperialista in guerra civile è ipotizzabile solo al di sotto di un certo livello di tecnologia degli armamenti, fin tanto che le due parti in conflitto non possono o non vogliono farne uso. Ancora due o tre decenni orsono si poteva pensare al valore esemplare dei “fuochi”, accesi e spenti in America latina o destinati a eternizzarsi come nelle guerriglie centroamericane o africane. Che alla base della guerra degli eserciti si opponesse quella dei popoli, secondo la parola di Mao e la pratica, fino a una certa data, del Vietnam. che però ha vinto solo quando ha ricevuto un certo tipo di armamento. Possesso e uso di strumenti tecnologicamente complessi implicano, in chi li guida e li usa, una modificazione analoga a quella che ha portato dall’operaio della “catena” a quello attuale, giapponese o italiano. Secondo il sarcasmo di Brecht, ai tempi di Hitler, il difetto del carrista e del meccanico era quello di poter pensare. Oggi quel “pensare-contro”, i generali odierni lo hanno eliminato proprio accrescendo la quota di “pensiero” applicato all’impiego della tecnologia militare.
( in “Disobbedienze II”, pagg. 127)
«Oggi sappiamo che non ci sono giuste guerre; ma non ci sono giuste guerre oggi, perché le finalità che le guerre di classe si sono proposte possono-debbono oggi essere combattute e raggiunte altrimenti che con le armi. E non perché la violenza sia, in astratto e sempre, il “male”. Ma perché oggi e qui essa serve ai nostri avversari; o almeno così, oggi, crediamo. La guerra del Golfo [lo stesso credo possa dirsi di questa in Ucraina. Nota di E. A.] è ignobile e va rifiutata e combattuta fino a che ci resti una parola, non perché Saddam [o Putin, aggiungo io. Nota di E. A.] sia un delinquente malvagio o perché gli Stati Uniti vogliono controllare il mondo e metterlo al proprio servizio, ma perché fa arretrare tutto quello che riteniamo buono e giusto per noi e per gli altri».
(da F. Fortini, “Disobbedienze II”, pagg. 131-132)
[3] Cfr un accenno: « a proposito del Biden mannaro, Reuters ha rivelato che il Dipartimento della Difesa incontrerà i vertici delle otto principali aziende che producono armi negli Stati Uniti (Lockheed Martin e Raytheon, ma anche Boeing e General Dynamics ed altre nell’allegato 6) per chiedere loro la possibilità di ulteriori sforzi produttivi anche se non solo per l’Ucraina. Come anticipato in altri post, attenzione all’Artico, lì si sta preparando la seconda puntata del disegno strategico americano.» ( Fagan https://www.facebook.com/pierluigi.fagan/posts/10225965846428344)
[4] «Non sta scritto da nessuna parte che un mondo multipolare sia in sé meglio di un mondo unipolare (lo ha già scritto Lanfranco Caminiti)».
[5] «Di fatto queste libertà, tutte queste libertà, sono giuridicamente riconosciute e possono essere praticate pienamente solo e soltanto nel cosiddetto Occidente (inteso in senso lato ed esteso). Per questo l’Occidente, con tutti i suoi limiti, è il luogo della piena civiltà».
[6] «credo cruciale per una sinistra socialista e libertaria, categoria in cui mi riconosco, fare di tutto perché queste libertà si estendano e si consolidino ovunque, in particolare in quei poli in cui non esistono o sono dimidiate (come ad esempio la Cina e pure l’osannato Viet Nam della mia giovinezza…. dal mio punto di vista ciò che conta è che vi sia pienezza dei diritti civili, politici e sociali, con al centro la libertà costituzionalmente garantita per i lavoratori salariati (a prescindere dalle forme giuridiche che il lavoro salariato – o per conto terzi – può assumere) di autoorganizzarsi in strutture del tutto indipendenti dalle autorità statuale e dal governo e di scioperare»
[7] Anche se attenui l’affermazione dicendo che “rischia”: « per la Federazione Russa l’apparato militare rischia di essere l’unico strumento tramite cui sviluppare egemonia».
[9] Che mi pare la tua tesi quando scrivi: «cosa può avere spinto il gruppo dirigente della Federazione Russa a muovere guerra all’Ucraina? A mio parere la percezione da un lato che il controllo moscovita sul proprio “estero vicino” (cioè i territori facenti parte prima dell’Impero zarista, poi dell’URSS post 1945) si stesse sfaldando (prima con le “rivoluzioni arancioni”, poi con “Euromaidan” 2014), dall’altro che né gli USA, né l’UE fossero disposti seriamente ad opporsi ad una riconquista “manu militari” dell’Ucraina».
[10] «la capacità di resistenza ucraina (insospettata dal Cremlino, ma che si può pensare abbia creato stupori anche nelle sfere decisionali statunitensi ed europee»
[11] Alessandro Visalli (qui):«come ricorda Mearshmeier[6] già nel 2014: “Lo strumento principale dell’Occidente per staccare Kiev da Mosca è stato lo sforzo di diffondere i valori occidentali e promuovere la democrazia in Ucraina e in altri stati post-sovietici, un piano che spesso comporta il finanziamento di individui e organizzazioni pro-occidentali. Victoria Nuland, l’assistente segretario di stato americano per gli affari europei ed eurasiatici, ha stimato nel dicembre 2013 che gli Stati Uniti hanno investito più di 5 miliardi di dollari dal 1991 per aiutare l’Ucraina a raggiungere “il futuro che merita”. Come parte di questo sforzo, il governo degli Stati Uniti ha finanziato il National Endowment for Democracy. La fondazione nonprofit ha finanziato più di 60 progetti volti a promuovere la società civile in Ucraina, e il presidente dell’associazione NED, Carl Gershman, ha chiamato quel paese “il premio più grande”.
Ma “Il triplo pacchetto di politiche dell’Occidente – allargamento, espansione e promozione della democrazia – ha aggiunto combustibile a una situazione che aspettava di infiammarsi”. Dopo la crisi che fece cadere Janukovych – continua Measrhmeier – “Il nuovo governo di Kiev era filo-occidentale e anti-russo fino al midollo, e conteneva quattro membri di alto livello che potrebbero legittimamente essere etichettati come neofascisti. Anche se la piena portata del coinvolgimento degli Stati Uniti non è ancora venuta alla luce, è chiaro che Washington ha sostenuto il colpo di stato. Nuland e il senatore repubblicano John McCain hanno partecipato alle manifestazioni antigovernative, e Georey Pyatt, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Ucraina, ha proclamato dopo la caduta di Yanukovych che era “un giorno per i libri di storia”. Come ha rivelato una registrazione telefonica trapelata, Nuland aveva sostenuto il cambio di regime e voleva che il politico ucraino Arseniy Yatsenyuk diventasse primo ministro nel nuovo governo, cosa che ha fatto”.»
[12] Scambio del 2 marzo 2022
Francesco Brusa
Io non lo so se sia controproducente o meno mandare armi all’Ucraina e al popolo ucraino. Sul piano di un realismo (geopolitico) politico, non lo sa nessuno. Ovviamente siamo tutti a favore del fatto che si formi un tavolo di trattative credibile (ma che vuol dire credibile in questo contesto?) e che questo conduca a un cessate le ostilità nel più breve tempo possibile, e penso che che le diplomazie del nostro stato e quelle europee debbano impegnarsi il più possibile perché ciò avvenga. Questa è una banalità, talmente ovvia che non bisognerebbe stare qua a ribadirla. Io però vorrei che ogni discussione, ogni presa di posizione, collettiva o personale, venga elaborata a partire da un semplice assunto non negoziabile, che non capisco come non sia altrettanto ovvio: IN QUESTO MOMENTO IN UCRAINA È IN CORSO UNA RESISTENZA NAZIONALE E POPOLARE, PARTIGIANA, CONTRO UN’INVASIONE IMPERIALISTA. Punto.Se non sappiamo riconoscere questo semplice fatto, se non sappiamo prendere parte per questa – cristallina – evidenza, e non sappiamo dunque (come fece la tradizione anti-autoritaria del ‘68 col Vietnam), “portare l’Ucraina dentro di sé”, direi che come minimo possiamo buttare al cesso tutti i libri di storia che abbiamo letto e che con gli ‘odio gli indifferenti’ di Gramsci con cui ci abbelliamo le bacheche di tanto in tanto possiamo pulirci il culo. Tutto il resto sta a zero. Le chiacchiere sull’allargamento a est della Nato, le diatribe sul Donbass, quell’unica foto del battaglione Azov che fate girare per 350mila volte e non sapete neanche voi il perché, i paragoni con Kurdistan, Palestina, ecc o qualsiasi altra situazione di conflitto che in migliaia stanno tirando fuori, non vogliono dire nulla. Non c’entrano. Sono i modi, fin troppo classici, per «far valere le grandi narrazioni contro le esperienze vive e vissute delle persone».E ve lo dice un compagno di sinistra che sta dentro l’assedio di Kiev (https://www.opendemocracy.net/…/a-letter-to-the…/…), e vabbe’, niente, un po’ troppo discutibile, e ve lo dicono le femministe russe (https://jacobinmag.com/…/russian-feminist-antiwar…), eh ma sai i contesti, e ve lo espongono con tutte le ragioni del mondo anarchici e anarchiche che hanno deciso di imbracciare i kalashnikov (https://it.crimethinc.com/…/ukraine-between-two-fires…), eh ma non so se hai letto l’intervista a D’alema e pure quella a Sergio Romano…In questi ultimi due anni di pandemia in tante e in tanti abbiamo provato a orientare il nostro discorso politico attorno al concetto di vulnerabilità, attorno a un senso di solidarietà che sia prossimo e assoluto e che potesse valere al di sopra e al di là delle convinzioni teoriche. Un senso di solidarietà che non sta sul piano della rimozione e del rintanamento, ma che prende la realtà per quello che è e trova un modo per abitarla. Che si nutra e che parte, se così dovesse essere, da un “ho sbagliato”. È lo stesso discorso che ci ha fatto stare dalla parte della navi del Mediterraneo, dalla parte di Willy massacrato di botte, per cui se tu stai affogando, se tu stai male, vieni picchiato e mi chiedi aiuto io mi fermo, torno indietro e ti do una mano. Non mi interessa chi sei, che cosa hai fatto, torno indietro e ti do una mano. E non mi interessa quindi se è più fascista/nazionalista Putin o Zelens’kij (domanda che non ha comunque ragion d’essere, neanche sul piano della mera disquisizione teorica). Mi interessa che il gesto compiuto e perpetrato da Putin sia un gesto senza possibilità d’appello fascista, infame, machista, imperialista e io per forza di cose mi devo opporre innanzitutto a quel gesto, il che significa schierarsi dalla parte di quel gesto lo sta subendo in maniera diretta. Senza se e senza ma. Il che significa schierarsi, appunto, con la resistenza: ovvero con la nazione ucraina (pur con tutti i rigurgiti che questo può provocare ad alcuni), con la popolazione ucraina, con i civili che stanno imbracciando le armi e che stanno producendo molotov per opporsi all’invasore, con i cittadini e le cittadine della Russia che tentano di contestare il proprio governo, con le reti anti-autoritarie fra Bielorussia e Polonia che danno aiuto ai profughi, con i volontari moldavi e rumeni e ungheresi che provano a fare altrettanto. Per favore, stiamo su questo piano. La diplomazia farà il suo misero corso, la retorica governativa è un simulacro vuoto che non merita neanche la nostra attenzione critica, così come agitare il problema dei guadagni dell’industria delle armi ora è solo ipocrita. Io penso che un movimento degno di essere chiamato tale, in questo momento, non possa che stare con la resistenza ucraina e ‘per’ l’Ucraina. Vorrei fare un appello: c’è un modo per farlo, concretamente? Ci sono cose che possiamo fare? Possiamo metterci in contatto con i combattenti anti-autoritari e antifascisti? Possiamo raccogliere dei fondi per finanziarli (e magari, per chi può, farlo individualmente come ho appena fatto io anche se un po’ alla cieca)? Possiamo diffondere i loro discorsi, farli girare, dargli forza? Possiamo organizzare delle carovane, delle iniziative di solidarietà per questo e non così, genericamente, contro Putin e contro la Nato? Possiamo non tacciare, meccanicamente, chi decide di partire e combattere come un “invasato” o un “guerrafondaio”? Possiamo dare voce a ogni piccolo segnale di dissenso che si leva fra gli intellettuali, i lavoratori, i cittadini in Russia e Bielorussia ed espanderlo qua, capendo cosa colpire – se qualcosa c’è – che possa far male innanzitutto a Putin?Possiamo, tutti insieme, fare un passo in questa direzione?
Ennio Abate
Scrivere:« IN QUESTO MOMENTO IN UCRAINA È IN CORSO UNA RESISTENZA NAZIONALE E POPOLARE, PARTIGIANA, CONTRO UN’INVASIONE IMPERIALISTA» è usare termini (tra l’altro perché in maiuscolo?) che si richiamano ad un passato glorioso ancora per molti, ma che non hanno più riscontro immediato nella realtà contemporanea. E mi spiace dirlo, ma il tuo è un giudizio – almeno qui – non argomentato e non un «semplice fatto». No, non bastano le parole del « compagno di sinistra che sta dentro l’assedio di Kiev» o delle « femministe russe» (come non basta certo « l’intervista a D’Alema e pure quella a Sergio Romano»). Quindi, non capisco perché tu che, pur con scetticismo («La diplomazia farà il suo misero corso»), ti dichiari all’inizio di questo articolo almeno « a favore del fatto che si formi un tavolo di trattative credibile», debba precipitarti a “prendere posizione”, ma senza accennare al ruolo degli USA, della UE, della Cina e riducendo l’«analisi concreta della realtà» soltanto al match Putin – Zelens’kij (come ci viene presentato dai mass media). Ma come si fa a non valutare gli interessi e le mosse di tutti gli attori che partecipano apertamente o occultamente, a questo conflitto? « Ci sono cose che possiamo fare?». Sì, magari tutte quelle che elenchi, ma solo dopo aver ragionato e avere afferrato una idea decente della realtà d’oggi così vagamente conosciuta nei suoi aspetti economici, sociali, geopolitici, culturali. Conoscenza indispensabile per «uscire di pianto [o di rabbia] in ragione» (Fortini).
[13] E quindi ritengo serie le obiezioni di Chomsky nell’intervista già citata: «Uno status simile a quello del Messico rispetto agli Stati Uniti, che di fatto non può aderire ad accordi militari con la Cina.…[…] Il Messico è uno Stato satellite degli Usa? Lo erano l’Austria o la Finlandia? No, erano neutrali, con l’obbligo di non aderire a una organizzazione militare ostile guidata dagli Usa che facesse esercitazioni sul loro territorio [come la Nato in Ucraina, ndr]. Una limitazione di sovranità? Sì, ma non limitava la vita di quei Paesi. Uno status che si sarebbe potuto ottenere per l’Ucraina se gli Usa lo avessero voluto».
[14] Cfr. questa conferenza che mi hanno segnalato: “Riflessioni sulla guerra. Affrontare i conflitti, disarmare le armi con Giairo Daghini, Christian Marazzi, Toni Negri (qui)
Gli ultimi 3 punti (9,10, 11) mi sembrano i più espliciti nel poggiare su scelte personali dell’autore (scelte peraltro largamente condivise da governo e partiti) e tuttavia non motivate apertamente e razionalmente.
Il sostegno con armi e denaro a Kiev (anzi: a Zelensky) viene motivato “per assurdo” (come si dimostravano alcuni teoremi di geometria alle medie) cioè esibendo l’inconsistenza ideologica e personale degli oppositori. Un esempio: invece di affermare di voler sostenere i valori democratici del governo ucraino (forse perchè poco accertabili) Mantelli accusa i pacifisti di “totali cecità e rigetto di fronte alla dimensione militare, purtroppo drammaticamente non eliminabile, qui e adesso, dalla storia”.
Non ho trovato in alcuno degli 11 punti la presentazione di ragioni politico/valoriali per sostenere fattivamente, con armi e denaro, la resistenza ucraina all’invasione.
Gli ucraini resistono. Era non così prevedibile. Quindi è pacifico che si alimenti un “circolo (che io [Mantelli] ritengo virtuoso, altri potranno chiamare vizioso) di reciproci rimandi: più lʼUcraina resiste, più lʼOccidente è spinto a sostenerla (con armi e sanzioni) e viceversa”. Il fatto assorbe ogni ragione di scelta.
Piuttosto la finale osservazione di Mantelli mi colpisce, ma sembra lasciata cadere quasi per caso, come se non fosse il vero punto di partenza, a monte, per sviluppare, a valle, la scelta di partecipare alla guerra in corso o astenersi: “Alle spalle di tutti gli atteggiamenti prima descritti, comunque, sta lʼirriflessa convinzione che la regressione non sia possibile, che la storia non possa tornare indietro, che a reggere le sorti dellʼumanità sia il progresso, non il caos. Purtroppo, così non è.”
Ecco: quali rischi terribili si connettono possibilmente a questa guerra? Ed è orientati da questi immani pericoli che l’azione da lontano degli Usa, e il governo e i partiti in Italia, hanno deciso di partecipare sostenendo attivamente Kiev?
Ho riletto con attenzione il doppio intervento di Mantelli, ma fatico a capire la logica di questo fotoromanzo:
c’è il Buono, culla della civiltà e campione della democrazia, che aiuta un gruppo di nuovi partigiani a combattere il malvagio erede degli zar. La bella Italia, tra sospiri e tentennamenti, impugna il fucile e va a combattere con loro.
I lettori di fotoromanzi (se ancora ce ne sono) sanno che non bisogna andare tanto per il sottile, ma qui si esagera un poco:
– non si capisce se il Buono, incerto se essere multipolare o unipolare, sia imperialista o meno, cosa che tutti finora davano per scontata.
– campione della democrazia non si sa bene: a casa sua forse, ma è problema loro, all’estero certamente no, visto la fraterna amicizia coi peggiori tagliagole (dai sauditi ai dittatori congolesi) e gli interventi in tutto il mondo per rovesciare con la forza governi legittimi; e ne sa qualcosa anche la bella Italia, data la regia delle bombe nelle banche e sui treni che l’hanno dilaniata (v. Commissione Stragi del Parlamento della stessa)
– anche se non si sa bene cosa intendere per democrazia, quindi nel dubbio lo spiega: la possibilità di scioperare; qua il lettore salta sulla sedia dall’emozione, chè rivive le immortali battute di Fantozzi sulla resistenza ai prepotenti mediante poderose nasate sui pugni. Ma subito si intristisce ricordando che questo è il paese dove milioni di persone fanno lavori a tempo pagati 3 euri l’ora, eccessivi per alcuni famosi personaggi che propugnano il lavoro gratis nei ristoranti e non solo, e dove le elezioni, non si sa perchè, non producono mai risultati inopportuni (e quando succede ci si pensa subito, chè il figlio di Bernardo Mattarella è sempre a disposizione..)
– ma non è solo il Buono a non essere credibile: questi nuovi partigiani nati da un golpe (del Buono) sono anche infarciti di nazisti (v. telefonata della Viktoria che detta la lista e i ruoli dentro e fuori il governo) che coi partigiani non c’entrano molto, che hanno anche bruciati vivi quelli che stavano contando le schede dei referendum separatisti, che hanno fatto più morti nella loro repressione di tutta la guerra finora. Ma in fondo non è altro che un aggiornamento della Resistenza: il 25 Aprile ha sfilato anche l’esercito, il prossimo tutti insiemi coi repubblichini..
-il cattivo invece è ovviamente imperialista data l’eredità bolscevica e zarista, su questo non ci piove; anche se gli spettatori che hanno studiato chiederebbero a gran voce che venga aggiornata la definizione: non più l’imperialismo predone ottocentesco, non più l’imperialismo finanziario novecentesco, ma l’imperialismo morale, votato al dominio del male; così poi anche Disney può fare la sua parte.
– e, dulcis in fundo, la bella Italia per imbracciare il fucile dovrebbe stracciare la sua carta fondante (dove la guerra è ripudiata, e dove l’armarsi è lecito solo contro un nemico che la invade). Nessun problema, l’impone la realtà e la trama: tanto era buona solo per giocare a Monopoli.
Di fronte a tutta questa spigliatezza qualche lettore/spettatore potrebbe rimanere sconcertato, ma subito si ricrederebbe: al botteghino questo fotoromanzo ha un successo strepitoso.
Potrà interessarle il commento che ho testè postato: un elenco di tutte le cose che la propaganda trascura, riguardo al conflitto N.A.T.O. – Russia. Cose magari risapute da chi ha un minimo di spirito critico; ma non si sa mai.
@ Paolo Di Marco
“e, dulcis in fundo, la bella Italia per imbracciare il fucile dovrebbe stracciare la sua carta fondante (dove la guerra è ripudiata, e dove l’armarsi è lecito solo contro un nemico che la invade).”
D’altronde che cosa disse il ‘guitto’ Roberto Benigni? Dico ‘guitto’ perché il ‘comico’ è tutt’altra cosa, nel senso che si fa portatore di una verità trasfigurata mentre il guitto è il portatore di una verità dettata dall’esterno. Il ‘guitto’ Benigni diceva che la nostra Costituzione è la più bella del mondo! E ha perfettamente ragione trattandosi di un mondo, quello odierno, il quale anzichè essere governato da statisti sembra essere in mano ai ‘guitti’. E costoro invece di far ridere, fanno piangere non solo per la loro pochezza (l’ultimo acquisto della squadra è Zelenskij) ma perché con quella ‘pochezza’ seducono le menti – ovviamente già appecoronate! E questa Costituzione è bella perché si suona a fisarmonica dando fiato a chi in quel momento decreta il “là”. Così si può permettere a Massimo D’Alema, l’ineffabile, di portare l’Italia, in quanto lui Presidente del Consiglio nel marzo del 1999 (Governo di Centro Sinistra), a partecipare con nostri mezzi e truppe a una operazione militare offensiva in Kosovo al seguito dei bombardieri NATO e di vantarsene orgogliosamente. Ma la nostra Costituzione è subordinata ai dictat della NATO? A quanto pare, sì. Ma il prezzo di una Alleanza (si fa per dire!) può valere la rinuncia ai propri principi costituzionali? Ed anche etici, come quando Roberto Benigni (sempre di guitti si tratta) dette un calcio alla Storia e nel suo brutto film “La vita è bella” fece entrare al campo di Auschwitz la liberazione portata dai carri armati americani anziché da quelli sovietici.
Ma, si sa, ai guitti tutto è permesso! Possono sempre cavarsela dicendo “Ma si faceva per burla!” Ma gli effetti di quella ‘burla’ la paga quel crescente gruppo di persone che viene tenuto nell’ignoranza imbesuito dalle luci dello spettacolo!
Ed è proprio allo spettacolo che il Presidente ucraino fa riferimento, è lì che trova sponda: all’Eurovision Song Contest, a Cannes ecc. ecc. Lo troviamo dappertutto a ‘sponsorizzare’. Come se non si trattasse di una guerra vera ma di una fiction! E da qualsiasi pulpito chiede/obbliga il mondo intero affinchè si adopri per annientare la Russia. E minaccia pure gli indecisi: mal gliene incoglierà! Ma questo forse è un problema suo (o di chi lo foraggia) perché non credo che il suo popolo martoriato da questa guerra (ingiusta!) voglia ciò: vuole pace, lavorare, vuole delle serie riforme sanitarie (promesse ma mai attuate), abbattimento delle mafie e lotta ai corrotti oligarchi…Da quale potere divino gli arriva tale improntitudine ed arroganza?
Fra un po’ rispolvereremo la vecchia vignetta, ambientata in Piazza San Pietro a Roma, in cui c’è un fedele che chiede all’altro “Ma chi è quella persona vestita di bianco che appare al balcone di fianco a Zelenskij?”
La finale considerazione appena accennata da Mantelli (che a reggere le sorti della storia sia il progresso e non il caos anche se purtroppo non è così) è il tema che affronta Habermas in un lungo articolo tradotto su Reset https://www.reset.it/tag/jurgen-habermas-2
Rispetto ai giovani politici del suo governo, diventati da pacifisti convinti bellicisti (al contrario degli ignoranti pacifisti nostrani, diventati imbelli assoluti da terroristi quali erano, secondo Mantelli) Habermas vecchietto come me è convinto che la guerra, al tempo nucleare non si può vincere, pena la mutua distruzione (fisica totale? o solo moralmente parziale con le bombette atomiche a raggio breve…).
La confusione tra reazione morale e azione politica spiega secondo Habermas la posizione della giovane ministra verde&liberale Anne Baerbock, così come la attuale confusione morale circa le proprie azioni armate passate spiega la scelta imbelle dei nostri “sinistri pacifisti” per Mantelli.
A quando una classe politica europea orientata su valori del presente?
Non servili, che di quelli, in questo vuoto, ce n’è a iosa…
uno scarto di lato, che illumina chi sono quelli che muovono i fili degli Zelensky e dei Draghi:
‘I helped make Haiti and Cuba a decent place for the National City Bank boys to collect revenues,” Maj. Gen. Smedley Butler, a leader of the American force in Haiti, wrote in 1935″
‘Black people were “ungovernable” and had “an inherent tendency to revert to savagery and to cast aside the shackles of civilization which are irksome to their physical nature.”
Robert Lansing, Segretario di Stato 1915, a proposito degli Haitiani
Il NYTimes, con una di quelle inchieste che lo rendono un grande giornale, con un lavoro di mesi ha trovato e pubblicato centinaia di documenti nascosti che documentano come Haiti, il primo paese dove gli schiavi hanno sconfitto gli schiavisti (francesi), è stato depredato selvaggiamente prima dai francesi con la loro banca e poi dagli americani con la loro (Citycorp).
Ma c’è un altro rapporto con l’Ucraina: semplicemente questo è un buon esempio del lavoro di storico, che troppi dovrebbero seguire.
https://www.nytimes.com/2022/05/20/world/french-banks-haiti-cic.html?unlocked_article_code=AAAAAAAAAAAAAAAACEIPuomT1JKd6J17Vw1cRCfTTMQmqxCdw_PIxftm3iWka3DIDmwaiPsSGYyMvEnXaKxoZ5451jKYX5pBOb4zRbl5z-QZP1BoT0PghKq4r6k_And_r5OvDCRx1ojRXLs8_Hi6ZTGyd-4hlfjk50rddWW9CKfA2SF3cRJnppY0IQqs0HJZlf_VA6UijIkFqPQlB594Rj4LYzDb_KW7TkUjZ6jVK03U-QI0WOpGWD3MntT667MIcg5aCl-uX2ooqC9nq4saYIVLSf65ex0we8P-gqETDXhoL-qqDp4wRIvUktZ6oCWsBMgluNnUdTu02PrUwAE&smid=em-share
Intanto un apprezzamento generale: è effettivamente uno scambio di idee che mantiene le promesse di confronto civile. Poi una nota, un aspetto su cui mi pare non si sia soffermata l’attenzione (ma nel mare di commenti mi sarà sfuggito). Ossia gli effetti che il prolungarsi della guerra potrà avere sulla stabilità dei regimi democratici europei, sulle libertà (di sciopero, di salvaguarda dei diritti ecc. ecc.) faticosamente conquistate in tempi in cui i conflitti sociali anche aspri (l’importanza delle lotte del lavoro di cui parlava Einaudi) si svolgono nell’ambito di regole di convivenza sociale riconosciute e accettate, regole che solitamente saltano in momenti di emergenza e l’emergenza non nasce solo dalla partecipazione diretta a una guerra, ma anche dall’instabilità sociale che può innescarsi da gravi crisi economiche (ne abbiamo già avuto qualche esperienza all’indomani della crisi del 2008). Sollevare questo timore –timore di un drastico impoverimento, di un aggravamento delle condizioni di vita delle popolazioni europee – viene solitamente tacciato di egoismo, di mancanza di valori. Mi ha colpito la famosa alternativa “aria condizionata o pace” perché l’ho trovata espressione della distanza abissale che esiste tra i membri dei ceti dirigenti (temo non solo italiani) e la realtà. Se la guerra si prolunga si aggraveranno le conseguenze su buona parte della popolazione, e non sarà questione di qualche grado in più nelle case d’estate o in meno in inverno. Ne accenna (ottimisticamente) Mantelli, nella sua ottava considerazione, dove dice che si dovranno ripensare fonti energetiche, rapporti commerciali ecc. e scrive che «può ben darsi che ciò comporti una riduzione dei livelli attualmente raggiunti di benessere e consumi, ma la storia non è un progresso continuo; ci sono momenti e fasi di passaggio». Ma le fasi di passaggio possono essere lunghe e avere effetti molto profondi e duraturi (dell’umana durata si parla, ovviamente: dieci, vent’anni, ma quanto basta a rovinare una generazione). Una delle eventualità non remote di questo conflitto, delle sanzioni incrociate, delle nuove forme di protezionismo commerciale, potrebbe essere una nuova crisi economica e nuova disoccupazione e da che mondo è mondo queste situazioni raramente hanno portato a processi di estensione della democrazia, ma sono state le basi e le ragioni di drammatiche involuzioni. Può darsi che queste siano ragioni egoistiche per volere la pace, ma non ho presente casi in cui l’impoverimento e il peggioramento delle condizioni di vita abbiano portato a rafforzamenti delle istituzioni in senso democratico. Già si è visto come dopo il 2008 siano cresciute forze nazionalistiche, populiste e xenofobe; non vorrei trovarmi ad assistere, prima che la fase di passaggio sia trascorsa, a un nuovo suicidio dell’Europa dopo quello del 1914-18. Questo sarebbe definitivo.
Nel momento in cui i governanti europei dimostrano di essere a libro paga N.A.T.O. (è appena di oggi la notizia che alcuni di detti governi – Polonia in primis – sarebbero pronti a far scendere aliquote delle loro truppe in campo), tale suicidio è garantito.
Del resto questa è una guerra della N.A.T.O. anche contro l’Europa, come ha dimostrato il sabotaggio dei gasdotti russi.
Poco male, comunque, vista la credibilità dell’Istituzione…
Grazie a Ennio Abate ed a tutte/tutti per i commenti. Resta una domanda a cui nessuno dei commentatori però risponde: 1) se non si mandano armi all’Ucraina, l’Ucraina sarà sconfitta; 2) se l’Ucraina sarà sconfitta, la Federazione Russa, guidata da Putin, si rafforzerà, e con essa il suo modello politico reazionario ed autoritario; 3) conviene a noi, ed al movimento operaio nel suo complesso, un rafforzamento di quel modello? Negli USA, tanto per esser chiari, sono possibili sindacati liberi. Lo stesso in UE. In Russia e in Cina NO! Tutto lì.
Sulla libertà sindacale in Ucraina meglio informarsi: https://www.glistatigenerali.com/sindacati/ucraina-una-democrazia-che-stava-per-cancellare-i-contratti-di-lavoro/
Gentile Brunello Mantelli,
sia pure tristemente, sono felice per lei perché almeno si può permettere di vivere sufficientemente sereno in quel mondo che lei ha dettagliato nei punti 1-2 e 3 e dove nessun dubbio né alcuna Storia possono fare capolino.
Le sembra ‘libertà’ il fatto che io, prima di dire qualsiasi cosa, debba premettere di essere contro Putin (qualche tempo fa dovevo premettere che ero pro-vaccino) e che debba valutare il peso delle mie parole intervenendo in Poliscritture perché un algoritmo vendicativo potrebbe decidere di silenziare il nostro caro amico Ennio? Perché le elezioni di Putin (“modello politico reazionario e autoritario”) non sono riconosciute come espressione della libera volontà del popolo mentre quelle di Zelenskij, palesemente sponsorizzate dall’Occidente (dopo il precedente ‘colpo di Stato’), invece sì? Perché in questi due anni, nel nostro ‘democratico paese’, dove “sono possibili sindacati liberi”, il nostro popolo ha gridato, sofferto, pianto, scioperato (anche con cariche della polizia) scivolando giorno dopo giorno nella miseria non solo economica (che, in parte, sta affliggendo il mondo intero) ma in quella ‘morale’, nell’isolamento sociale, nell’abbrutimento culturale? E tutto questo ‘arbitrio del potere’ non suscita indignazione alcuna? A che mi serve la ‘libertà’ di fare queste affermazioni quando cadono nel vuoto, azzerate da un annebbiamento che ha invaso le menti, costrette ad inseguire il presente e le sue mutazioni senza un progetto, il che significa mettere assieme passato presente e futuro? Perchè ci propinano sempre un emergente che ci impedisce di disporre di tempo per riflettere e pensare?
Mi torna in mente quando a Dario Fo e Franca Rame, dopo anni di ostracismo, venne concesso il visto per andare negli Stati Uniti. Quando ci raccontarono della loro esperienza in quel Paese la cosa che mi colpi fu questa: “Siamo rimasti sconvolti dal fatto che lì puoi dire di tutto, tanto non gliene importa niente a nessuno e le cose continuano come prima”.
Questo è il principio: “protesta pure, tanto il potere decisionale lo detengo io”.
Consiglio a tutti di vedere (o rivedere) il film “Quant’è bello lu murire accuso” (E. Lorenzini, 1975) quando Pisacane si fidò delle promesse dei liberali napoletani che sembravano propensi nei confronti della ‘rivoluzione’ mazziniana. Ma quando temettero per il loro potere, cambiarono idea facendo trucidare Pisacane degli stessi contadini che lui cercava come alleati.
Ad majora!!!!
Continuo a non capire quali sarebbero le migliorie rispetto al tutt’altro che perfetto Occidente apportate dal progetto politico di matrice russa o cinese. Quanto al “colpo di Stato” di piazza Maidan, vedo che le mancano i fondamentali e perciò va dietro alle cucche diffuse da russi e filorussi. Consiglio due volumi sull’Ucraina, quello di Simone Attilio Bellezza, giovane storico di valore e perfetto conoscitore delle lingue russa e ucraina e della letteratura in merito, e quello di Jurii Colombo, giornalista, madre lingua russa, a lungo corrispondente de “Il manifesto” da Mosca, espulso sui due piedi dai servizi segreti russi a guerra iniziata, nonostante sia sposato con una russa, a cui per inciso non è permesso di uscire dal paese. Mi creda, con tutti i suoi limiti (molti!) la democrazia liberale è meglio assai dell’autocrazia (non per caso Putin piace a Orban, Salvini, Berlusconi, Le Pen, Trump, ecc. ecc.)
Io dissento da molte delle considerazioni svolte da Mantelli, però non possiamo nemmeno negare i dati di realtà: il fatto che le libertà in occidente siano limitate, a volta ostacolate, altre ininfluenti, non significa che si viva in un regime paragonabile a quello russo. Le lotte politiche e sociali in Italia, per restare nel nostro paese, hanno portato a molte conquiste nei “vituperati” anni 70 (SSN, divorzio, Statuto lavoratori, legge Basaglia ecc. ecc.). Che oggi ci sia un arretramento non significa che non sia pensabile e possibile ottenere nuove conquiste. In Russia no (e nemmeno in Cina, in Turchia o in molte altre realtà dove la democrazia, formale finchè si vuole, ma che con tutti i limiti consente lotte politiche altrove impossibili. Oggi è più difficile, certo, ma questo è un altro tema). Il mio dissenso da Mantelli è tutta nella sua considerazione che, se Putin vince, “si rafforza il modello politico reazionario ed autoritario”. Non siamo, io credo, di fronte a uno scontro di civiltà (modello democratico vs. modello autoritario), ma a un tentativo di una potenza nazionalista e imperialista di riaffermare il proprio protagonismo, e anche di difendere la propria sicurezza, messa in discussione in Europa dall’ampliamento della Nato e dalla perdita di sicurezza lungo i propri confini (la Nato in fondo è pur sempre un’organizzazione militare che guarda a est). Riconoscere questo non significa riconoscere a Putin il diritto di invadere, ma dovrebbe insegnare che non si dovrebbe pensare di risolvere questo conflitto isolando o umiliando la Russia, facendo cioè l’errore fatto a suo tempo a Versailles nei confronti della Germania (e se si pensa a questa guerra come scontro di civiltà rischia di essere inevitabile pensare alla vittoria come annientamento del nemico). Da simili politiche non nasce mai nulla di buono. Certo una vittoria di Putin sarebbe deleteria per qualunque percorso democratico dentro la Russia, ma non vedo come potrebbe influenzare il “modello democratico” laddove questo esiste. La Russia non è l’Unione sovietica, che, nel bene e nel male, rappresentava (almeno alle origini) un modello politico ed economico antagonista. La Russia è una nazione che sgomita per avere o conservare un ruolo nel mondo. Certo se arrivasse a dominare l’intero globo sarebbe un disastro, ma un mondo dominato da una sola potenza, da un solo “modello” sarebbe comunque un male: anche un mondo in cui esistesse come unico quello occidentale anglosassone (libero, ma anche poco o per nulla attento alle politiche sociali, all’uguaglianza) non sarebbe un bene. Per dirla con un personaggio della Montagna magica: «farò a meno di domandare che ne sarebbe del principio del moto e della ribellione qualora la felicità e l’unione fossero realizzate. A quel punto la ribellione diventerebbe un crimine…». Per farla breve, la vittoria di Putin sarebbe ininfluente “per il movimento operaio nel suo complesso”, sarebbe influente per l’Ucraina e per gli equilibri tra USA e Russia, sarebbe una sconfitta diplomatica e politica (non militare) dell’Europa che non ha saputo proporsi e imporsi come mediatrice (oggi, ma soprattutto negli anni passati). Se Putin perde sarebbe una vittoria degli Stati Uniti (e nuovamente una sconfitta diplomatica, politica e militare dell’Europa), ma anche una vittoria della parte orientale dell’Europa, dei paesi meno democratici che fanno parte dell’unione che ne uscirebbero ulteriormente rafforzati all’interno della UE. Due scenari che dovrebbero suggerire – già da tempo – all’Europa di assumere un ruolo di mediatrice.
Come si fa a mediare con chi NON vuole mediare? Al Cremlino non han nessuna voglia di trattare, allo stato. Quanto alla tesi che il nazismo sia stato conseguenza di Versailles, è una tale sciocchezza che nessuno studioso serio oggi si sogna di sostenere. Il gruppo dirigente russo ha un progetto, è quello esposto più volte su “Ria Novosti”; lo si legga (ne circolano traduzioni, in inglese e italiano).
Oddìo… Che una vittoria della Russia non abbia conseguenze a livello geostrategico, mi sembra fuori da ogni logica: la N.A.T.O. sta conducendo una guerra di logoramento contro la Russia, per poter poi concentrarsi solo contro la Cina; e contro l’Europa, per buttarla definitivamente fuori dai giochi, sia politici (per il poco che ha contato finora), che economici.
Quanto alla Russia, ha preferito far scoppiare il bubbone dell’accerchiamento (con relativo strangolamento) da parte della N.A.T.O., giocando sul pretesto di difendere la popolazione russofona, aggredita da otto anni da tutti i governi che si erano succeduti in quel Paese.
E oltretutto, per quel che riguarda specificamente l’Italia, la dittatura strisciante con la quale ci troviamo a fare i conti, potrebbe risultare rafforzata e divenire “conclamata” (pur mantenendo sempre l’esteriorità di una democrazia, ovvio…) nel caso di una vittoria ucraina.
Non mi sembrano conseguenze di poco conto.
Perdonami, ma non ho scritto che il nazismo è stato conseguenza di Versailles, ma solo che quel modello di trattato di pace è il più sbagliato possibile (mi pare che affermare il contrario sarebbe anch’essa “una tale sciocchezza che nessuno studioso serio oggi si sogn[erebbe] di sostenere”). Quanto al resto, be’ non resta allora che sperare che Putin perda su tutta la linea augurandosi che non segua l’esempio di Sansone
Hai ragione, ho inferito, ed ho sbagliato. Vero è che molti prolungano il giudizio su Versailles facendone il prodromo del NS, ma tu non lo avevi detto. Scusa. Il trattato comunque non fu firmato, come sai, dagli USA, e la sua forma “punitiva” fu voluta fortemente dalla Francia, che si portò appresso il Belgio. In UK c’erano parecchi dubbi, e l’uscita critica di Keynes non fu il gesto isolato di uno studioso indipendente, ma rifletteva opinioni abbastanza diffuse a Westminster, dove – tra l’altro – non si vedevano affatto di buon grado idee “neonapoleoniche” invece coltivate a Parigi, dalla costruzione della “Piccola Intesa” all’appoggio nemmeno tanto velato ai secessionisti renani. Tanto è vero che, una volta consolidatasi la Russia post ottobre 1917 e guerra civile, a Londra si prese in considerazione una normalizzazione dei rapporti con Mosca anche in funzione antifrancese (per lo stesso motivo non si vide male, da Downing Street, l’arrivo al potere di Mussolini).
Figurati! Conosciamo tutti le insidie della foga delle discussioni, insidie da cui nessuno, a cominciare da me, è esente, tanto più quando il tema è vitale, e quindi appassionatamente vissuto, come in questi frangenti
una breve riflessione sulla Forza del Pensiero che riusciva a illuminare le menti persino da dietro le sbarre durante regimi autoritari, pensando agli esempi di Rosa Luxemburg e di Antonio Gramsci…Pensiero, consegnato agli scritti e non solo, che generava correnti di pensiero alternativa, traducendosi in azione attraverso, tra l’altro, ad un pullulare di stampa clandestina, certo a rischio, per i responsabili, di esilio carcere e tortura…Oggi invece si impone la forza del Pensiero mistificante, quello della propaganda governativa, di Paesi e superpotenze, che rinchiude le menti in gabbie di pensiero. Chi ne esce e vede il re nudo anche in Occidente e non solo in Oriente, non incorre in un tribunale dell’inquisizione, ma deve affrontare forme di ostracismo demonizzante ed emarginante…Il peggio è che le vittime diventano collaboratrici di ingiustizie, cioè siamo messi gli uni contro gli altri…Molta Stampa di oggi è allineata, si salvano solo alcune voci e social..Cosi’ la cosiddetta Democrazia corre su un filo strettissimo in tutte le latitudini e anche il modello nostro anglosassone, capofila gli USA, traballa non poco…Le stragi armate nelle scuole americane sono una cartina di tornasole di devianze profonde e distruttive da portare alla luce, al di là delle apparenze
Concordo con te Annamaria, che siamo in un pensiero mistificante retto da potenti stati e alleanze, che chi vede il re nudo deve affrontare ostracismo escludente, che la democrazia corre su un filo strettissimo, che il “modello” traballa non poco … e che le stragi fatte da giovani maschi negli Usa hanno delle motivazioni radicate nel modello.
Ma, siccome allora mi direbbero che “sto con Putin”, posso solo denunciare una crisi terribile del nostro ex-dominio occidentale (e motivata e fondata sadio quanto!) e… stare a guardare il nostro… non dirò sfacelo ma almeno scacco … e rassegnare il futuro in mani … quali? Il Fato (chi mai lo pronunciò … al futuro?) o la Punizione, o la Giustizia Storica?
O il Nulla e la Forza?
Mantelli continua a parlare di un mondo immaginario che nulla c’entra con la situazione di fatto: la Russia non vuole esportare nessun modello, e non c’entra nulla con l’imperialismo vecchio e nuovo; e i dati parlano del fatto che Putin non è il protagonista se non indirettamente (come Canfora ci ha detto chiaramente più volte).
Il quadro sul campo sono gli Stati Uniti che han preso l’iniziativa, hanno accerchiato la Russia ed eliminato l’Europa (che nei suoi momenti migliori, con la Merkel, si era rivota ad Est). Il resto sono tattiche e favole.
Rispetto alla ‘democrazia liberale’ ho postato il riferimento a una bella inchiesta su Haiti del NYTimes, ricchissima di documenti, che ci mostra cosa significa veramente quando è applicata all’estero
Come dire? Quello che scrivi lo pensiamo in molti. Questo anche mostra il limite sostanziale della nostra vita democratica, dato che i grandi media non danno di noi nessun conto. Mi chiedo, distrattamente, che senso abbia per noi parlarci addosso… se non, appunto, farlo. Ma la possibilità di modificare l’opinione pubblica -che, si suppone, sia in rapporto diretto con la vita politica- è quasi zero. Trasmissioni dirette: figli nipoti amicizie… ma fin dove arrivano?
Ria Novosti lo hai letto o no? Parrebbe di no. Leggilo allora. Quanto a Canfora, va letto quando scrive di Grecia classica, non quando parla di cose che non sa.
Ria Novosti è un’agenzia di stampa: magari un riferimento-link più preciso aiuterebbe;
ma ho letto anche i documenti della Rand Corporation su cosa fare in Ucraina per distruggere la Russia- in entrambe i casi penso che tra progetti e realtà ci siano spesso differenze; quindi invece di fare illazioni mi baso sui documenti che dicono quello che è successo e non su quello che si sarebbe voluto che succedesse.
Un documento chiave mi sembra la telefonata tra Viktoria Nuland e Pyatt dove si decide chi farà parte del nuovo governo dopo piazza Maidan: dopo averla sentita difficile dire che non fosse un golpe.
Ma la cosa preoccupante è che in tutta l’analisi-discorso-romanzo la Nato sparisce, se non come emanazione dell’impero del bene. E con lei tutto il quadro geopolitico e di contesto.
Cioè quello che rende gli accadimenti storia.
E che è esattamente il punto che Canfora sottolineava: non per l’antichità, ma come guida di metodo per tutti gli storici.
Ria Novosti del 3 aprile 2022, articolo di Timofey Sergeytsev. Ne esistono traduzioni in inglese e italiano. L’originale russo è comunque visibile. Titolo: “Cosa dovrebbe fare la Russia con l’Ucraina”.
Accetto la definizione di Euromaidan 1914 come “colpo di Stato” solo se formulata da chi ritenga che gli avvenimenti dell’ottobre 1917 in Russia siano stati, essi pure, un “colpo di Stato”. Altrimenti NO.
APPUNTO 1
A VOLO/ HABERMAS /“ETICA DEL DISCORSO”
I discorsi sono procedure, cioè procedimenti speciali, nei quali può essere tematizzato e verbalizzato l’oggetto del contendere. I discorsi si alimentano dei dissensi – sia manifesti sia latenti – che sono impliciti a ogni proposta controversa di ordinamento sociale. Nei discorsi Habermas fa valere la prassi argomentativa teorizzata con i criteri della cosiddetta “etica del discorso”: tutti i partecipanti, quali soggetti di linguaggio e di azione, hanno la stessa chance di prendere la parola. Tutti possono far uso della possibilità di affermare qualcosa e chiedere spiegazioni. Tutti obbediscono al principio della sincerità (Wahrhaftigkeit) anche verso sé stessi, neutralizzando ogni meccanismo coattivo sia dentro sia fuori del discorso. Habermas sa bene che nessuna comunicazione reale può – di fatto – rispettare completamente tutti gli esigenti presupposti di un discorso. Tuttavia è possibile raggiungere un certo avvicinamento a questi presupposti ideali. Così il discorso teorico ha la funzione di esaminare le pretese di verità. I discorsi pratici devono chiarire le pretese riguardanti la giustezza normativa.
Nota
Habermas ammette di avere rinunciato a una filosofia (teleologica) della storia su base empirica quale quella teorizzata da Marx: “Ho anche rinunciato al concetto hegelo-marxiano di totalità sociale, ancora sotteso ai miei saggi Theorie und Praxis” (Luchterhand 1963, trad. it. Prassi politica e teoria critica della società, introd. di G. E. Rusconi, il Mulino 1973). Anche il concetto di ideologia, assolutamente centrale in Adorno, viene da Habermas abbandonato: “Per un verso la coscienza pubblica dell’elettorato politico non si struttura più a partire da visioni-del-mondo religiose o filosofiche”. Per l’altro verso, è oggi molto più istruttivo studiare la mistificazione con cui certe informazioni vengono (per motivi d’interesse) trascelte, nascoste, represse: “Si tratta di strategie che, in una sfera pubblica dominata dai mass media, vogliono nascostamente catturare l’attenzione del pubblico (una risorsa sempre scarsa e appetibile). Depistaggio, frammentazione, distrazione e divertimento sono strategie che condizionano la mutevole emotività della coscienza pubblica assai meglio che la tradizionale ‘ideologizzazione’. Una teoria della società che volesse fondarsi sulla critica dell’ideologia rischierebbe oggi di mancare il bersaglio” (così Habermas, citato in Smail Rapic, a cura di, Habermas und der historischer Materialismus, cit., p. 201).
(https://www.reset.it/caffe-europa/addio-passato-habermas-oltre-la-scuola-di-francoforte)
APPUNTO DUE
Come c’era da aspettarsi le posizioni contrapposte sulla guerra in Ucraina si sono ripresentate – inconciliabili – anche in questa discussione pur pacata nei toni rispetto ad altri contesti. Io ho detto la mia nella Lettera a Mantelli e non ho altro da aggiungere. Rilevo solo che vivo con tormento queste divisioni fra compagni o ex compagni. E le ritrovo un po’ dappertutto in giro. In questo secondo appunto – sempre indirettamente – riporto l’attenzione su una riflessione di Pierluigi Sullo (dalla sua pagina FB) che , senza dimenticare la tragedia della guerra in corso, ha il merito (per me) di mettere a fuoco queste divisioni scavando sia sulla storia dell’Urss che su alcune dinamiche interne di un giornale (il manifesto), che molto ha contato nella mia formazione di immigrato al Nord.
Pierluigi Sullo
(da https://www.facebook.com/pierluigi.sullo/posts/5368587473199132)
I paleocomunisti
Ho notato che la formula “paleocomunisti” ha avuto una certa fortuna. L’avevo coniata per l’articolo (il “post”) che trattava il tema dell’antipatia “di sinistra” nei confronti degli ucraini, ed è stata usata da molti come arma polemica. Non era la mia intenzione, anche se l’espressione ha un suono sprezzante, perciò tento qui di spiegare cosa volevo dire.
(Credo che sarà una lunga spiegazione, perciò chi sopporta solo gli epigrammi o i telegrammi o le invettive, si disinteressi. E lo stesso chi usa solo insulti o insinuazioni: sto cercando di ragionare, con permesso).
Lo spunto, microscopico, me lo ha fornito Andrea Colombo, ex co-redattore del manifesto fino a vent’anni fa (credo che lui ci scriva ancora e buon pro gli faccia). In una delle tante polemiche suscitate da quelle considerazioni sull’antipatia ecc., nella pagina di un amico che aveva condiviso quell’articolo, Andrea ha scritto (cito a memoria ma sono sicuro dell’esattezza): “Gigi (cioè io, ndr) un tempo scriveva una marea di cazzate, vedo che non ha perso l’abitudine. Perciò ho dovuto fargli la guerra”. E, di fronte all’obiezione di qualcun altro sul tono torppo brutale, lui replica: “Anche in guerra ci si può rispettare, infatti gli voglio bene”.
Certo, in una guerra si può stabilire un virile rispetto reciproco tra i combattenti, perfino a partire da un giudizio così totalmente negativo, “una marea di cazzate”. che peraltro lui non mi aveva mai manifestato. Ma io mi sono chiesto: perché tanta virulenza? Possibile che nei circa quindici anni in cui abbiamo lavorato nella stessa redazione, Andrea Colombo abbia sempre considerato solo “cazzate” quel che dicevo o scrivevo? E posso adoperare questa avversione per capire meglio, indagando sul passato di una redazione che si presentava come la più plurale e dialogante e attenta alle novità come quella del manifesto dell’epoca?
Bene, Andrea Colombo è stato parte di una delle fazioni in cui si era frammentato il mitico “collettivo”. Lui apparteneva a una storia di estrema sinistra piuttosto combattiva, quella di Potere operaio (se non sbaglio). Niente di male, il giornale, sulla radice del gruppo dissidente espulso dal Partito comunista, aveva raccolto giovani, sessantottini, di varia provenienza. Io per esempio venivo dal Quotidiano dei lavoratori, il giornale di Avanguardia operaia (che per le origini dei suoi fondatori, a Milano nel ’68, non aveva mai frequentato lo stalinismo, dettaglio utile per il seguito del ragionamento).
Come Andrea c’erano altri, in redazione, con quella origine, che a un certo punto, metà anni ottanta, fecero una scissione intestina di tipo negriano fondando una loro rivista, “Luogo comune”, capitanata da una persona squisita nei modi e coltissima come Paolo Virno, e, quando la rivista chiuse, mantennero il controllo (in gran parte) delle pagine culturali e della casa editrice che portava il nome del giornale (c’era anche Severino Cesari, che presto andò a fondare Einaudi Stile libero).
Era un’epoca in cui avevamo a che fare con le macerie degli anni settanta, il che favoriva gli esodi in questa o quella direzione. Per esempio, un gruppo molto compatto era quello che chiamerei degli “antimperialisti”, che controllavano di fatto la sezione esteri e che in nome dell’opposizione all’imperialismo americano pendevano dalla parte di Saddam Hussein, nel ’91, e di Milosevic, con lo scoppio della guerra civile jugoslava. Stefano Chiarini era uno di loro, e fu molto coraggioso, restando a Baghdad sotto le bombe e i missili americani, unico giornalista occidentale insieme a quello della Cnn, e quando finalmente tornò e io proposi alla casa editrice di rielaborare e pubblicare i suoi reportage in un libro (avevo anche il titolo, non originalissimo: “Hotel Baghdad”) andai a sbattere contro un muro, mai e poi mai un libro di Chiarini (Stefano qualche anno dopo morì prematuramente).
Non solo. Quando il Partito comunista decise di cambiare nome, man mano si creò, nella generazione di redattori successiva a quella dei sessantottini, una forte simpatia per i tentativi di uscire dal “comunismo”. Era la stagione della “terza via” incarnata da Blair e Clinton, e in Italia da Veltroni e D’Alema. Al punto che Stefano Menichini, capofila di questa corrente, qualche anno dopo divenne il direttore di “Europa”, il quotidiano rutelliano della Margherita.
Infine, c’eravamo noi, che tenevamo il “centro” del giornale, dal punto di vista della sua fabbricazione quotidiana, che credevamo di stare nel solco della tradizione del giornale, comunista sì ma aperto alle novità e cambiamenti culturali, da Praga in poi, e quindi ci occupavamo di tutto quel che di nuovo c’era nella società, dagli ambientalisti (dopo Chernobyl) ai migranti, dalle nuove guerre alla questione delle droghe, ecc. Forse è questa la “marea di cazzate” di cui parla Colombo, non so. E certo lui e i suoi amici erano molto impegnati a trovare il “soggetto” della rivoluzione, e lo trovavano via via nei lavoratori precari o nel “general intellect”, e così via.
L’espressione più efficace la trovò Rossana, a un certo punto. Disse: questo non è un giornale, ma una federazione di pagine. Voleva dire che ciascun gruppo, ciascuna tendenza culturale e politica, aveva conquistato un pezzo di giornale e lo gestiva a modo suo, alzando altrettanti piccoli muri di Berlino per difendere il suo territorio.
A che serve, questa descrizione poco nostalgica? A mostrare, forse, come ogni luogo di sinistra, o comunista, si frazionasse fatalmente in correnti o sette. La stessa cosa che è sempre avvenuta nei partiti, nei sindacati, perfino nelle associazioni culturali. E questo è il lascito, uno dei più velenosi, dello stalinismo, che, consci o meno che si fosse, ha costituito lo scheletro del comunismo novecentesco. Io stesso ebbi una grande sorpresa quando mi fu regalato, molti anni fa, un grosso volume con gli scritti scelti di Lenin. Del fondatore dell’Unione sovietica conosciamo in genere le intransigenze, le durezze, l’impeto che gli consentì di lanciare i soviet contro il governo di Kerenskij (e fu non un colpo di stato, ma il compimento di una rivoluzione che bolliva in tutto l’immenso paese, come dimostrò la vittoria dell’Armata Rossa nella guerra civile che fu scatenata contro la neonata repubblica sovietica). In quel volume trovai uno degli ultimissimi articoli di Lenin pubblicato sulla Pravda, in cui si trova questa frase: “… Una volta che il potere dello Stato è nelle mani della classe operaia… effettivamente, non ci resta che da organizzare la popolazione in cooperative”. L’articolo è complesso, ovviamente, ma il punto centrale è sicuramemte questo.
(Volendo, ci sono anche gli appunti a proposito delle nazionalità nella nuova Unione sovietica, dove Lenin dice che non basta l’uguaglianza formale tra tutte le nazionalità, ma ci vuole “una certa ineguaglianza” a favore delle nazioni più piccole e a sfavore della “grande nazione”, che inevitabilmente le opprime. E cita esplicitamente ucraini, georgiani e tatari. E dunque la nazionalità ucraina effettivamente esisteva, agli occhi di Lenin).
Stalin ignorò, una volta diventato capo supremo, questa visione di Lenin. L'”accumulazione originaria” per creare l’industria pesante fu fatta non coinvolgendo i contadini e favorendo le loro cooperative, ma a mano armata, sequestrando i raccolti e reprimendo chi si opponeva, e costringendo i contadini via via a lavorare le le aziende agricole di stato, i kolkoz. Da cui la grande carestia che, specie in Ucraina, negli anni trenta provocò milioni di morti. E lo stesso accadde ovunque, nel mondo comunista, dove prevalse la ragione di Stato sovietica, che giustificava ogni crimine, dallo sterminio dei comunisti tedeschi al momento dell’accordo con Hitler, alla caccia al trotskista nella Spagna che difendeva la repubblica, e infiniti eccetera. E anche lo stile, diciamo così, comunista si adeguò, e perfino Gramsci rischiò di essere espulso dal Pci, mentre si trovava in carcere.
Come diceva Rossana, il movimento comunista del Novecento ha suscitato smisurate speranze e mobilitato enormi masse di esseri umani, perché il comunismo, cioè l’eguaglianza, è una aspirazione perenne dell’umanità, come disse una volta Etienne Balibar, da San Francesco in poi. Ma lo stalinismo aveva un lato oscuro, come si constatò nel ’78, quando la stessa Rossana organizzò a Venezia un convegno sui paesi del “socialismo reale”, in cui parlarono molti dissidenti di sinistra dell’est europeo.
Va bene, ma che c’entra con l’Ucraina? Lo scenario del secolo scorso, da una parte il capitalismo e dall’altro il “mondo socialista” , è stato così solido e così longevo, che molti ragionano oggi come quel conflitto esistesse ancora. Questo non vuol dire non vedere come gli Stati uniti, con il loro braccio armato, la Nato, cercano di puntellare un’egemonia, su mezzo mondo, durata settant’anni, commettendo una infinità di crimini, dall’Iraq all’Afghanistan, all’America latina. Ma bisogna vedere che la Russia di Putin ha mantenuto viva solo la brutalità dello stalinismo (oltre all’imperialismo zarista), e che la Cina è un paese super-capitalista e super-armato, e gigantesco, che opprime dissidenti e popoli (come gli Uiguri), molto lontano dalla Cina della Rivoluzione culturale e delle comuni agricole, su cui ci eravamo entusiasmati mezzo secolo fa.
Ecco, quelli che vivono e pensano nel passato sono i paleo-comunisti. Però: esiste la possibilità di pensare, e agire, un comunismo nuovo, che si affranchi da quella eredità velenosa? Secondo me sì, se ne può parlare, a patto di gettar via le macerie.
Visto il post di Sullo con i commenti relativi, mi chiedo se in effetti si possano separare “macerie” da… ? Qualche muro ancora in piedi? Che lapsus, niente muri!
Edifici, forse. Case comuni. Ma case separate da… un paesaggio?
Capanne? O i superbi edifici dritti contro o verso il cielo delle capitali postcomuniste? Insomma: non capisco il senso della parola macerie.
Cambiando discorso, il tema è: chi fa(ceva) la storia? I partiti, i capi, i lavoratori, i popoli, le speranze, gli ideali… il denaro, le riserve, le risorse… E oggi? Il DoD negli Usa che fa la guerra a Putin sostenendo l’ideale di libertà del popolo ucraino?
E che c’entrano i paleo o post comunisti, in quanto attori storici, oggi, nella crisi terribile in cui -forse- stiamo scivolando tutti e intendo tutti?
Mi pare: meno di niente.
” non capisco il senso della parola macerie.” (Fischer)
Meglio (più nobile e letterario e meno da rottamatori) il termine *rovine*.
Fortini, Extrema ratio. Note per un buon uso delle rovine, Garzanti, Milano 1990.
E poi il Rinascimento non venne fuori dallo studio delle *rovine* degli antichi?
In qualsiasi disegno nuovo di edificio vengono integrate anche alcune *rovine*.
Continuità/discontinuità.
P.s.
Per scherzare: Vedere Putin! Vedere Biden! Vedere Macron! Vedere Xi Jinping!
Poi nella serie “vedere” tizio e caio ci penso. Ma intanto: macerie e rovine non sono lo stesso concetto: macerie indica materiale scaduto non utilizzabile, rovine qualcosa che rimane da costruzioni reali.
Macerie del comunismo indica materiali non adatti alla costruzione dello stesso.
Rovine del comunismo indica le nuove costruzioni in cui si è trasformato.
Quelle “macerie” infatti non le riconoscevo: da quando quelle costruzioni mal fatte non funzionavano più?
Era da allora che si preparavano rovine?
La mia passione per la filosofia della storia. Scusami, neh?
Usciamo fuori dalle metafore. La questione seria è stata posta in uno scambio (improvvisato) fra me, Mantelli e Sullo sotto l’articolo sulla pagina FB di quest’ultimo che ho sopra riportato. Ne copio gli interventi finora comparsi:
Brunello Mantelli
Intervento, questo di Pierluigi Sullo, molto interessante. Casomai troppo breve, non troppo lungo! Solo due dubbi: uno, già enunciato da altri, non riesco a vedere una cesura netta tra Lenin e Stalin (e nemmeno tra Stalin e Trockij, al di là che uno fece uccidere l’altro). Il nodo, credo, è stato il bolscevismo; il secondo dubbio riguarda l’usabilità del termine “comunismo”. Troppo a lungo è stato identificato, e per molti ancora si identifica, con il “socialismo reale” e con l’URSS. Come spiegare a chi, nell’Europa a Est di Jalta, ha vissuto per oltre 40 anni = 2 generazioni sotto regimi oppressivi, polizieschi, di minoranza, sedicenti “comunisti che noi siamo sì comunisti ma di altra specie. Non gira.
Ennio Abate
a Brunello Mantelli
“il secondo dubbio riguarda l’usabilità del termine “comunismo”. Troppo a lungo è stato identificato, e per molti ancora si identifica, con il “socialismo reale” e con l’URSS. ”
Ma dietro quel nome noi che ne conosciamo la storia ci vediamo ancora una “sostanza” salvabile o da salvare o no? Coi limiti del ragionamento analogico mi viene da pensare che nel ‘500 il cristianesimo era sputtanato dalla gestione della Chiesa di Roma ma i movimenti protestanti riuscirono a spiegare che erano sì cristiani “ma di un’altra specie”.
Comunque mi fa piacere che Pierluigi Sullo scavi su queste divisioni dolorose e pensi ancora a un “comunismo nuovo”. Io da isolato in questi decenni di sfascio ho tentato di proporre invano una riflessione a partire da un testo solo in apparenza minore di Franco Fortini, commentandolo in vari articoli. Segnalo solo il primo:
Appunti politici (3): “Comunismo” di F. Fortini
https://www.poliscritture.it/2017/02/09/appunti-politici-3-comunismo-di-f-fortini/
Brunello Mantelli
a Ennio Abate
Ennio, i riformatori, da Lutero in poi, si differenziarono anche sul nome: non più: “cattolici apostolici romani”, ma “evangelici”. Noi, allo stato, non possiamo (e non dobbiamo, credo) più definirci comunisti, ma qualcos’altro: socialisti libertari, ad esempio.
Ennio Abate
a Brunello Mantelli
E perché non comunisti libertari? Non è che solo i comunisti storici hanno i loro scheletri negli armadi e i socialisti no.
Comunque, la questione va oltre il nome. O , se si recuperasse la sostanza reale dei conflitti in atto, si riuscisse a ricostruire un progetto innovativo per agirvi attivamente e con indipendenza (non da tifosi), si potrebbe portare persino il nome vecchio. Sarebbero le nuove lotte a fare la differenza da quelle del passato.
Pierluigi Sullo
a Ennio Abate
Caro Ennio, grazie, non conoscevo quel testo di Fortini. E caro Brunello. vediamo, ci siamo definiti in tanti modi, nei secoli, noi che eravamo per l’eguaglianza. Qualcosa uscirà.
Brunello Mantelli
a Ennio Abate
Se la questione va oltre il nome, perché starsene appiccicati al nome: “comunisti”???
Brunello Mantelli
a Pierluigi Sullo
Dobbiamo farlo uscire noi. Un nome che segni prima di tutto la cesura più netta con la storia dell’URSS post Kronstadt 1921. Sennò il morto risucchierà il vivo. Spot pubblicitario: date un’occhiata a “Officina Primo Maggio”, sito e rivista stampata (arrivata ora al numero 4): https://www.officinaprimomaggio.eu/ Fine spot pubblicitario (NB: l’asse portante di OPM è un gruppo di trentenni. Noi cariatidi diamo una mano ).
Ennio Abate
a Brunello Mantelli
“Se la questione va oltre il nome, perché starsene appiccicati al nome: “comunisti”???”
La questione ANDRA’ oltre il nome soltanto se, come ho detto sopra, riusciremo a recuperare “la sostanza reale dei conflitti in atto”. Non possiamo “farlo uscire noi” (Sullo) a capriccio o a casaccio. Nel frattempo dobbiamo usare i vecchi nomi (comunisti sì, socialisti sì, anarchici sì) perché ancora ci servono per intenderci (almeno tra chi proviene da una stessa storia). Basta non ridursi alle vecchie risse che in vecchi nomi possono riattizzare. Continuità/discontinuità…
Brunello Mantelli
a Ennio Abate Comunisti no! Anche perché dobbiamo parlare anche con i compagni dell’ex sfera egemonica sovietica, dove il concetto di “comunismo” fa piuttosto orrore.
Ennio Abate
a Brunello Mantelli
Ma se quelli dell’ex sfera egemonica sovietica sono “compagni” stanno negli stessi casini (non solo linguistici) in cui siamo noi ad Occidente!
“Compagni”, grazie a dio, è denominazione non riservata ai comunisti. “Genossen” = compagni, in tedesco, si chiamano tra loro pure i membri della SPD, che non essendo un PD qualsiasi ha mantenuto immagini, parole termini propri al movimento operaio (oltre a gestire la casa-museo di Karl Marx a Treviri, posto che ritengono Karl Marx il loro capostipite). Si può essere “Genossen” senza essere comunisti.
La socialdemocrazia da un lato, l’anarchismo dall’altro hanno le loro colpe, ma il GULag e lo sterminio di buona parte dei comunisti non allineati col Vozd li ha fatti solo il realcomunismo sovietico (ed i suoi vari imitatori).
Consegnamolo alla storiografia, come il fascismo, e andiamo oltre.
“La socialdemocrazia da un lato, l’anarchismo dall’altro hanno le loro colpe, ma il GULag e lo sterminio di buona parte dei comunisti non allineati col Vozd li ha fatti solo il realcomunismo sovietico (ed i suoi vari imitatori).
Consegnamolo alla storiografia, come il fascismo, e andiamo oltre.” (Mantelli)
Mentre sono d’accordissimo con la prima affermazione del tuo commento ( “Compagni”, grazie a dio, è denominazione non riservata ai comunisti.”), dissento da questa. Per alcuni motivi. Tra i primi che mi vengono in mente:
1. non tutti i comunisti rientrano nella categoria del “realcomunismo sovietico ([e dei] suoi vari imitatori).
2. Io ho in mente Fortini come “comunista speciale” che scriveva:
Sempre sono stato comunista.
Ma giustamente gli altri comunisti
hanno sospettato di me. Ero comunista
troppo oltre le loro certezze e i miei dubbi.
Giustamente non m’hanno riconosciuto.
La disciplina mia non potevano vederla.
Il mio centralismo pareva anarchia.
La mia autocritica negava la loro.
Non si può essere un comunista speciale.
Pensarlo vuol dire non esserlo.
Così giustamente non m’hanno riconosciuto
i miei compagni. Servo del capitale
io, come loro. Più, anzi: perché lo dimenticavo.
E lavoravano essi; io il mio piacere cercavo.
Anche per questo sempre ero comunista.
Troppo oltre le loro certezze e i miei dubbi
di questo mondo sempre volevo la fine.
Ma anche la mia fine. E anche questo, più questo,
li allontanava da me. Non li aiutava la mia speranza.
Il mio centralismo pareva anarchia.
Com’è chi per sé vuole più verità
Per essere agli altri più vero e perché gli altri
siano lui stesso, così sono vissuto e muoio.
Sempre dunque sono stato comunista.
Di questo mondo sempre volevo la fine.
Vivo, ho vissuto abbastanza per vedere
da scienza orrenda percossi i compagni che m’hanno piagato.
Ma dite: lo sapevate che ero dei vostri, voi, no?
Per questo mi odiavate? Oh, la mia verità è necessaria,
dissolta nel tempo e aria, cuori più attenti ad educare.
3. Faccio riferimento alle ricerche storiche portate avanti da Pier Paolo Poggio in “L’altro Novecento. Comunismo eretico e pensiero critico” (Jaca Book 2010) e allo sforzo presente in questo volume nei capitoli “Comunisti eretici”, “Marxisti eterodossi”, “L’antistalinismo”, “Un’altra idea di rivoluzione”.
4. Mi pare una scorciatoia o, peggio, una rimozione volerlo consegnare alla “storiografia”. Quale poi? Quella che l’ha assimilato al fascismo e al nazismo sotto l’etichetta ambigua del ‘totalitarismo’ e ha liquidato proprio quell’istanza profonda che quel movimento reale aveva espresso, schiacciata – è vero – da una parte consistente di quelli che vi avevano aderito o l’avevano cavalcato? (Qui ancor rimando al volume di Poggio, ma credo che ci siano state anche altre ricerche degne di attenzione come quella della Rita di Leo, “L’esperimento profano: dal capitalismo al socialismo e viceversa” …).
5. Oltre alla storiografia (non neutra) continua ad esistere – insistente, ossessivo, goebbelsiano – un “uso pubblico della storia” che agita il fantasma del comunismo imponendone la versione del “Libro nero del comunismo” a fini politici e propagandistici immediati e che non può essere sopportato o sottovalutato .
APPUNTO 3
(In riferimento a molte discussioni che si sono fatte e si vanno facendo sulla guerra in Ucraina)
SEGNALAZIONE/AL VOLO
Parole e pietre
di Claudio Vercelli
Le parole sono pietre, diceva Carlo Levi. E tali rimangono, malgrado il nostro tempo, quello che stiamo vivendo, le abbia erose, rimodellate, soprattutto levigate al punto tale da renderle ininfluenti. Non per questo non offendono o non feriscono. Semmai, una volta lanciate, colpiscono senza produrre altro effetto che non sia una qualche lesione in chi ne è bersagliato. Non mutano nulla che non sia la condizione di chi le subisce, in una sorta di piccola (o grande) lapidazione. Viviamo un tempo di inflazione. Non solo quella economica, della quale ci accorgiamo un po’ tutti. È inflazione, infatti, il processo di perdita di valore di un bene, ossia il suo maggiore prezzo a parità di quantità. L’inflazione delle parole è un fenomeno a sé stante, dove ad andare perduta non è la quantità come tale ma, piuttosto, la qualità – quindi il significato – di espressioni di senso condiviso. Il fenomeno inflattivo, infatti, è sempre e comunque un decremento di valore in quanto tale. Più che mai, allora, ciò che manca non sono le parole medesime, semmai scientemente ripetute, troppo spesso, con colpevole e livoroso candore, ma la loro veracità, veridicità e, con esse, al medesimo tempo la cautela attraverso la quale dovrebbero venire pronunciate. Oggi molte parole e tante immagini girano vorticosamente, si consumano nel momento stesso in cui vengono pronunciate o messe in circolazione, si frantumano in mille pezzi. In buona sostanza, non comunicano nulla. Sono come dei gusci vuoti, degli involucri senza polpa. Anche per questo, allora, fanno ancor più male quando vengono gettate contro qualcuno, a mo’ di anatema. Offendono non perché dicano qualcosa di significativo ma proprio per la loro feroce irrilevanza: è come se dichiarassero, in ragione della loro stessa inconsistenza, che chi ne viene bersagliato è egli medesimo una sorta di nullità, intercambiabile al pari delle parole pronunciate e dei loro mutevoli, incostanti e insinceri attributi di senso. La vera lesione non è mai generata dalla durezza di una pietra ma dal fatto che essa ferisca senza che sussista altra ragione che non sia il gusto di offendere in quanto tale.
( da https://moked.it/blog/2022/05/29/parole-e-pietre/?fbclid=IwAR2VciX2CJQ9mefIFERcwsfsMgKQVphYx9GLbpxOM-sP7JvJvq3szSzki5g)
E così eccomi finalmente in grado di postare le mie idee rispetto alle considerazioni di Mantelli. Vedrò di inserirle anche nel blog, dove il dibattito può essere più approfondito che in un social. Spiace di esser costretto a dividerlo qui in più parti.
1) – Io credo che il blocco angloamericano che si riconosce nella N.A.T.O., più che evitare il mondo multipolare sia interessato a far sì che nessuno tra i poli in questione possa prevalere al punto tale, da incrinare oltre un certo punto il suo proprio tornaconto.
Per questo sta optando per la soluzione della “guerra infinita”, cioè il modello esportato finora nel Terzo Mondo (Corno d’Africa, Libia, Afghanistan fin che non li hanno cacciati): una soluzione fluida che permette a chi è al potere di continuare i propri affari nella maniera migliore, sfruttando la logica del “tutti contro tutti”; e che è iniziato appunto ben prima dell’attuale crisi in Europa, cioè subito dopo l’attentato alle Torri gemelle.
Certo, a Washington e a Londra qualcuno penserà che se si riuscisse davvero a far fuori la Russia, attraverso la guerra per procura condotta dall’Ucraina, poi si riuscirà a far fuori pure la Cina: ma si sa che c’è sempre chi sogna di aver tutto, quindi la realtà sarà differente, almeno da questo punto di vista; e quel “Secolo americano”, che appunto si preconizzava dopo quell’attentato come un periodo di assoluta supremazia statunitense, rimarrà nel mondo dei sogni di qualche psicopatico d’oltreoceano.
Venendo al panegirico dell’Occidente relativo ai al suo amore verso i lavoratori, in questo caso sono d’accordo che detti lavoratori debbono potersi organizzare in maniera indipendente dallo Stato: perché questo significa “indipendente da qualsiasi forza politica”. Chiunque non viva in una realtà parallela, infatti, sa che non c’è discontinuità fra la politica “delle Destre” e quella “delle Sinistre”, malgrado le alternanze al governo degli ultimi decenni. Pertanto solo in questo modo essi potranno avere un minimo di libertà di manovra, anche se è difficile immaginare ciò a scala nazionale.
Per la verità è anche difficile immaginare che la maggioranza degli italiani abbia sufficiente senso di responsabilità, da percorrere questa strada; visto che pure quella che chiamo “minoranza sana del Paese”, pare alquanto restia ad accettare l’idea che chi ci governa sia solo un dipendente di altri poteri, ai quali la maggioranza dà il proprio (più o meno decerebrato) consenso.
2) – A me sembra che ultimamente l’egemonia N.A.T.O. sia portata avanti in maniera forse più militare, che economica; anche se forse dovrei scrivere che, una volta fallita la penetrazione economica, si apre l’opzione militare. Il che, forse, da che mondo è mondo non è una grande novità. Dopotutto la vecchia U.R.S.S. non si comportò diversamente; e quanto alla Cina l’opzione militare nei confronti di Formosa è sempre sul tavolo, anche se altrove si è sempre comportata diversamente.
Comunque rimane l’equivoco sul peso che l’Europa “Unita” potrà mai avere, anche economicamente e politicamente: l’attuale guerra contro la Russia è anche una guerra contro l’Europa (capito il senso della Brexit?), con i governanti dei vari Stati totalmente asserviti alla politica N.A.TO. e quindi pronti per essere coinvolti in detta guerra anche sul campo. La qual cosa per gli Angloamericani sarebbe una goduria.
E ricordo a quanti hanno visto negli U.S.A. un Paese amico dell’Europa, che sono proprio loro il Paese che maggiormente la sta osteggiando da decenni.
3 e 4) – La discesa in campo della Russia è dovuta alla precisa percezione che, completamente circondati da basi N.A.T.O. e con i colpi di Stato portati avanti dall’Occidente dovunque fosse possibile negli Stati ai suoi confini, era solo questione di tempo perché venisse strangolata e smembrata. A questo punto, perso per perso, Putin ha ritenuto conveniente agire: anche perché 8 anni di violenze contro la minoranza russofona in Ucraina erano un motivo più che accettabile, anche alla luce delle “guerre umanitarie” portate avanti con pretesti simili dalla N.A.T.O.
Ricordo che di tali violenze pure i nostri servili giornalisti davano puntualmente notizia, finché la discesa in campo della N.A.T.O. non li ha obbligati ad appiattirsi sulle veline stilate altrove. Chi dimentica questo particolare, o vive – di nuovo – in un mondo tutto suo, o è in malafede.
Vero anche che si prevedeva a Mosca una guerra di breve durata; e lo sarebbe stata, se non fosse intervenuto l’Occidente coi suoi armamenti: l’interesse per una guerra di logoramento (e in seconda battuta, di annientamento) nei confronti della Russia era un’occasione da non perdere, anche in funzione di indebolire indirettamente la Cina e di lanciare un ammonimento ai cosiddetti “BRICS”.
Va detto che il logoramento potrebbe ritorcersi anche contro la N.A.T.O.: se l’offensiva ucraina che sta per iniziare non produrrà i risultati sperati (e se li produrrà, attenti che rischiamo di trovarci sotto un regime ancor più “diversamente democratico” di quello in cui siamo ora), poiché la guerra è prima di tutto una faccenda economica, molte delle parti in gioco qui in Occidente potrebbero cominciare a chiedersi se ne vale la pena.
5, 6 e 7) – Tutto quanto scritto in questi punti, va rivisto nell’ottica della “guerra per procura”, che non funziona precisamente come ce la raccontano in TV.
Per esempio, gli armamenti: a parte le considerazioni che ho fatto prima, è vero che tali armi sono stati dati a Zelensky sotto l’assicurazione che sarebbero state usate solo per difendersi; peccato che le abbiano già immortalate in azione all’interno dei confini russi, sia come droni, che come armi terrestri in dotazione alle forze paramilitari che, sul terreno, hanno iniziato a compiere raid contro le città immediatamente oltre il confine russo-ucraino.
Se l’uso delle armi vendute è relativamente controllabile in un conflitto tra belligeranti “tradizionalmente inteso”, in una guerra per procura può letteralmente accadere di tutto; a maggior ragione se entrano in gioco combattenti non inquadrati in maniera ufficiale. A questo punto bisognerebbe anche capire se la N.AT.O. è preoccupata (per capirci, se uso armi italiane per colpire la Russia, noi italiani dovremmo essere un pochino preoccupati), o non vedeva l’ora che accadesse questo, secondo la logica del “tanto peggio, tanto meglio” che finora – anche in funzione antieuropea – ha seguito.
Anche sulla faccenda delle conquiste territoriali ci sarebbe da discutere: l’Ucraina sarebbe ben felice di strappare la Crimea alla Russia e l’Occidente (che non ha mai riconosciuto il referendum col quale quella regione è ritornata alla madrepatria) penso che si volterebbe volentieri dall’altra parte.
Quindi dobbiamo ricordarci che questa è vista dalla N.A.T.O. come una guerra di logoramento: e questo tipo di guerra, più dura meglio è: alla faccia della volontà di facciata di augurarsi la soluzione diplomatica.
(segue)
(SECONDA PARTE)
– Chiederei cortesemente a qualcuno che gestisce questa pagina (Ennio?) di ELIMINARE il doppione parziale della prima parte, che compare per colpa dell’idiota elettronico, col quale si devono fare i conti – purtroppo – specialmente quando si opera in rete.
Segnalo anche che tutte queste considerazioni non sono ancora apparse sul blog originario (assieme ad altre risposte a commenti di altri utenti di detto blog), perché pare che il “cervellone” me le qualifichi come spam, anche se di commenti su quel blog ne ho inseriti da anni.
Forse il sacro algoritmo che deve governare le nostre vite ha agito in questo modo, essendo chiaro che non sono uno che lecca il oluc alla N.A.T.O.? E chissà mai, di questi tempi diversamente democratici…
– Sulle questioni prettamente economiche io ho molto meno esperienza e conoscenza che di quelle geopolitiche; però – senza ricordare che “se un uomo con le sanzioni incontra un uomo con le materie prime, quello con le sanzioni è un uomo morto” – sulla base di quello che leggo in giro penso che:
– Il distacco dal dollaro nelle transazioni internazionali è proprio quello che la N.A.T.O. teme forse di più e proprio le sanzioni hanno dato un’accelerazione al processo. Anche l’uso di una qualsiasi “moneta altra” è massimamente malvisto: non dimentichiamo che l’idea di creare una moneta unica per l’Africa Settentrionale fu uno dei motivi che spinsero la N.A.T.O. a rompere gli indugi per eliminare Gheddafi.
– Da questo punto di vista non è che, a bocce ferme, l’euro se la passerebbe meglio del dollaro: prima di tutto perché l’Europa s’è impiccata alla N.AT.O., quindi la sua moneta non sarebbe vista tanto meglio di quella americana, da quelle Nazioni che se ne vogliono staccare. Inoltre, come il dollaro, viene stampata a vanvera senza alcun legame con il classico corrispettivo in oro: in altre parole potrebbe diventare carta straccia da un momento all’altro.
9 e 10) – Premesso che leggere di un italiano che pontifica sulle ruberie di altri governi è – come minimo – comico, bisognerebbe anche chiedersi a chi fece comodo che certe persone prendessero il potere nell’ex Unione Sovietica e in altri Stati limitrofi.
Vogliamo ricordare che il corrotto e alcoolizzato El’cin fu il cocco dell’Occidente?
E che Zelensky ha alle sue spalle altrettanti oligarchi locali che la controparte; e che è dentro un sistema di società “a scatole cinesi”, che non è certo uno specchio di legalità?
E parliamo di certe “nostalgie” politiche…
Se guardiamo a ottant’anni fa è anche ovvio che, secondo la logica che “il nemico del mio nemico è mio amico”, certe popolazioni che avevano un conto aperto con lo Stalinismo (gli Ucraini, ma anche i Kazaki) provarono una certa simpatia per Hitler; e non dimentichiamo quanti intellettuali, nei loro rispettivi Paesi, rimasero in un primo momento abbagliati da Nazismo e Fascismo al loro sorgere; salvo finire poi nella Resistenza, quando i nodi vennero al pettine.
Però forse sarebbe meglio guardare queste simpatie al giorno d’oggi, quando anche l’altra logica (quella del “si stava meglio, quando si stava peggio”) non vale proprio.
E se l’estensore delle considerazioni che sto commentando si meraviglia di quello che non farebbe – a livello di analisi della Russia – certa “Sinistra”; io mi meraviglio che chi sostiene l’Ucraina come un baluardo di libertà, non trovi “dissonante” la militanza attiva nel partito neonazista statunitense di tale Victoria Nuland: nota paladina della democrazia e – fra le persone ad alto livello nell’amministrazione Biden – tra quelle che sostennero apertamente la necessità di distruggere la Russia.
Mi chiedo anche se non si meraviglia di quella nota e democratica istituzione ucraina, che è il “Myrotvoretz”.
Libero poi di schierarsi – come chiunque altro che ragioni in maniera bipolare – dalla parte che preferisce…
11) – Questo punto è un po’ particolare da discutere, perché di questo schieramento filo-Putin l’estensore delle considerazioni ha fatto di ogni erba un fascio.
In parte ha ragione, perché – saltate le ideologie e non ancora ritornata l’irrazionalità delle religioni a condizionare la maggioranza delle persone – vi si trova davvero “di tutto e di più”. Ma io anziché andare per etichette (sovranisti / no-vax(?) / ecc.), preferisco far notare da un lato che siamo sempre dentro il teatrino delle parti, con molti soggetti che tentano di avere, col loro schierarsi, un briciolo di visibilità mediatica, o una per quanto sgangherata poltroncina: quanto accaduto alle recenti elezioni è – per me – paradigmatico.
Dall’altra parte che siamo in un periodo di massima confusione, nella quale, dovunque ci si volga, si trova assieme tutto e il contrario di tutto.
Proprio la recente “pandemia” ha fatto saltare tutti gli schemi: il discorso sarebbe lunghissimo (come quello sul sovranismo), ed è per questo che non voglio diventare dispersivo, essendolo già i social per natura. Ma non è che tra quelli che hanno rifiutato l’inoculazione e le scelte idiote (e criminali) del governo, riusciamo a individuare un minimo comun denominatore: troviamo accanto allo specialista plurilaureato, la massaia che ha appena la terza media; sovranisti (o peggio…) con antagonisti di lungo corso; e via discorrendo… Ma forse è più interessante notare come anche nell’altro schieramento ci si trovi nella medesima situazione.
Questa scelta, basandosi sull’uso o il non uso del pensiero critico, ha travalicato in sostanza tutte le categorie: sociali, politiche economiche; e credo che varrà ormai per tutte le contrapposizioni, come quella N.AT.O. / Russia, di cui ci stiamo occupando. E non è che lo veda come un male: sappiamo che il caos è indispensabile per creare qualcosa; e che del caos siamo appena all’inizio di quello che si spera essere il colpo di coda finale. L’importante è sforzarsi di creare qualcosa che non vada nella direzione di ciò che desidera chi ci governa davvero.
Scritto questo, l’analisi del fenomeno trattato in questo suo “punto 11” meriterebbe tutto un articolo a parte.
Questo intervento di Rizzi è condivisibile anche perchè cita fatti e cose, allegramente assenti dagli interventi di Mantelli; confesso che nel rileggere il tutto mi provoca ancora un senso di fastidio l’incipit di questi..potranno criticarmi ‘tizio e caio e…’..che tanto echeggia l’arroganza dei Lord inglesi, che solo i pari possono giudicare. Unito all’insofferenza per i fatti concreti, così da espellere totalmente dal quadro i venti anni di strangolamento progressivo della Russia da parte della Nato, che anno dopo anno mangiava gli alfieri/stati avversari e li metteva nel proprio campo..fino ad arrivare alla regina Ucraina e a mettere in Zugzwang la dirigenza russa. E così la reazione, ripeto reazione, russa diventa intervento imperialzarista che vuole imporre al mondo i propri valori (sembra di essere tornati ai tempi di Radio Europa Libera e della propaganda CIA). Quindi una narrazione che trasforma la storia in ideologia e, come in tutte le favole che si rispettano, impone che ci si schieri coi buoni contro i malvagi.
Ma in questa favola ci sono altri due elementi in particolare che non sono veri:
-non è vero che siamo in un mondo multipolare, se come tale si intende la presenza di potenze imperialiste concorrenti: nel mondo reale di oggi c’è un solo paese che controlla i mercati finanziari, c’è un solo paese che impone la sua presenza militare in tutti i continenti, c’è quindi un solo imperialismo ed è quello USA, come la guerra per procura alla Russia dimostra e come dimostra la dichiarazione di guerra alla Cina (per ora solo commerciale ma arrogante ed assai pesante).
– non è vero che la nostra condizione ‘occidentale’ abbia più libertà sostanziali di quelle esistenti altrove: ci siamo illusi durante una fase di relativo benessere che a questo corrispondesse qualcosa di più dei decimi di scelta nella riproduzione allargata delle merci, e non ci accorgiamo che i sindacati sono scomparsi, o perchè non coprono la maggioranza dei lavoratori o perchè è una coperta immobile e acquiscente. E intanto le cosiddette elezioni portano regolarmente al governo- in tutti i momenti che contano- mostri dei fumetti, dal cavalier mafia alla barbie fascista.
Ma soprattutto non capisco perchè mai salti sempre fuori questo vizio, nostalgico di tempi e responsabilità passate, di prender sempre posizione: per il momento accontentiamoci di capire a far capire al meglio quello che succede realmente, chè basta e avanza se ben fatto.
Eh, qui ci sarebbe da fare un lungo discorso su quello che chiamo “pensiero bipolare”: cioè quello che riduce tutto alla formula “o/o”; ogni tanto mi capita di parlarne, magari prima o poi succederà anche con questi commenti…
Comunque volevo puntualizzare che un “organismo complesso” come un pianeta non diventa “multipolare” da un momento all’altro: ci sono altri attori abbastanza influenti da far sì che il mondo vada in quella direzione; e questo è sufficiente. Chiaro che l’Asse U.S.A.-G.B. non vuole ciò, chiaro che alla lunga gli altri attori (Cina in primis) vorrebbero diventare egemoni, magari tra qualche decennio.
Ma questa soluzione fluida è già sufficiente per non far parlare più di mondo bipolare (come quello ai tempi della Guerra Fredda), o unipolare: cioè quello che sognavano gli U.S.A., quando tentarono di dar vita al “secolo americano”.
1) – Io credo che il blocco angloamericano che si riconosce nella N.A.T.O., più che evitare il mondo multipolare sia interessato a far sì che nessuno tra i poli in questione possa prevalere al punto tale, da incrinare oltre un certo punto il suo proprio tornaconto.
Per questo sta optando per la soluzione della “guerra infinita”, cioè il modello esportato finora nel Terzo Mondo (Corno d’Africa, Libia, Afghanistan fin che non li hanno cacciati): una soluzione fluida che permette a chi è al potere di continuare i propri affari nella maniera migliore, sfruttando la logica del “tutti contro tutti”; e che è iniziato appunto ben prima dell’attuale crisi in Europa, cioè subito dopo l’attentato alle Torri gemelle.
Certo, a Washington e a Londra qualcuno penserà che se si riuscisse davvero a far fuori la Russia, attraverso la guerra per procura condotta dall’Ucraina, poi si riuscirà a far fuori pure la Cina: ma si sa che c’è sempre chi sogna di aver tutto, quindi la realtà sarà differente, almeno da questo punto di vista; e quel “Secolo americano”, che appunto si preconizzava dopo quell’attentato come un periodo di assoluta supremazia statunitense, rimarrà nel mondo dei sogni di qualche psicopatico d’oltreoceano.
Venendo al panegirico dell’Occidente relativo ai al suo amore verso i lavoratori, in questo caso sono d’accordo che detti lavoratori debbono potersi organizzare in maniera indipendente dallo Stato: perché questo significa “indipendente da qualsiasi forza politica”. Chiunque non viva in una realtà parallela, infatti, sa che non c’è discontinuità fra la politica “delle Destre” e quella “delle Sinistre”, malgrado le alternanze al governo degli ultimi decenni. Pertanto solo in questo modo essi potranno avere un minimo di libertà di manovra, anche se è difficile immaginare ciò a scala nazionale.
Per la verità è anche difficile immaginare che la maggioranza degli italiani abbia sufficiente senso di responsabilità, da percorrere questa strada; visto che pure quella che chiamo “minoranza sana del Paese”, pare alquanto restia ad accettare l’idea che chi ci governa sia solo un dipendente di altri poteri, ai quali la maggioranza dà il proprio (più o meno decerebrato) consenso.
2) – A me sembra che ultimamente l’egemonia N.A.T.O. sia portata avanti in maniera forse più militare, che economica; anche se forse dovrei scrivere che, una volta fallita la penetrazione economica, si apre l’opzione militare. Il che, forse, da che mondo è mondo non è una grande novità. Dopotutto la vecchia U.R.S.S. non si comportò diversamente; e quanto alla Cina l’opzione militare nei confronti di Formosa è sempre sul tavolo, anche se altrove si è sempre comportata diversamente.
Comunque rimane l’equivoco sul peso che l’Europa “Unita” potrà mai avere, anche economicamente e politicamente: l’attuale guerra contro la Russia è anche una guerra contro l’Europa (capito il senso della Brexit?), con i governanti dei vari Stati totalmente asserviti alla politica N.A.TO. e quindi pronti per essere coinvolti in detta guerra anche sul campo. La qual cosa per gli Angloamericani sarebbe una goduria.
E ricordo a quanti hanno visto negli U.S.A. un Paese amico dell’Europa, che sono proprio loro il Paese che maggiormente la sta osteggiando da decenni.
3 e 4) – La discesa in campo della Russia è dovuta alla precisa percezione che, completamente circondati da basi N.A.T.O. e con i colpi di Stato portati avanti dall’Occidente dovunque fosse possibile negli Stati ai suoi confini, era solo questione di tempo perché venisse strangolata e smembrata. A questo punto, perso per perso, Putin ha ritenuto conveniente agire: anche perché 8 anni di violenze contro la minoranza russofona in Ucraina erano un motivo più che accettabile, anche alla luce delle “guerre umanitarie” portate avanti con pretesti simili dalla N.A.T.O.
Ricordo che di tali violenze pure i nostri servili giornalisti davano puntualmente notizia, finché la discesa in campo della N.A.T.O. non li ha obbligati ad appiattirsi sulle veline stilate altrove. Chi dimentica questo particolare, o vive – di nuovo – in un mondo tutto suo, o è in malafede.
Vero anche che si prevedeva a Mosca una guerra di breve durata; e lo sarebbe stata, se non fosse intervenuto l’Occidente coi suoi armamenti: l’interesse per una guerra di logoramento (e in seconda battuta, di annientamento) nei confronti della Russia era un’occasione da non perdere, anche in funzione di indebolire indirettamente la Cina e di lanciare un ammonimento ai cosiddetti “BRICS”.
Va detto che il logoramento potrebbe ritorcersi anche contro la N.A.T.O.: se l’offensiva ucraina che sta per iniziare non produrrà i risultati sperati (e se li produrrà, attenti che rischiamo di trovarci sotto un regime ancor più “diversamente democratico” di quello in cui siamo ora), poiché la guerra è prima di tutto una faccenda economica, molte delle parti in gioco qui in Occidente potrebbero cominciare a chiedersi se ne vale la pena.
5, 6 e 7) – Tutto quanto scritto in questi punti, va rivisto nell’ottica della “guerra per procura”, che non funziona precisamente come ce la raccontano in TV.
Per esempio, gli armamenti: a parte le considerazioni che ho fatto prima, è vero che tali armi sono stati dati a Zelensky sotto l’assicurazione che sarebbero state usate solo per difendersi; peccato che le abbiano già immortalate in azione all’interno dei confini russi, sia come droni, che come armi terrestri in dotazione alle forze paramilitari che, sul terreno, hanno iniziato a compiere raid contro le città immediatamente oltre il confine russo-ucraino.
Se l’uso delle armi vendute è relativamente controllabile in un conflitto tra belligeranti “tradizionalmente inteso”, in una guerra per procura può letteralmente accadere di tutto; a maggior ragione se entrano in gioco combattenti non inquadrati in maniera ufficiale. A questo punto bisognerebbe anche capire se la N.AT.O. è preoccupata (per capirci, se uso armi italiane per colpire la Russia, noi italiani dovremmo essere un pochino preoccupati), o non vedeva l’ora che accadesse questo, secondo la logica del “tanto peggio, tanto meglio” che finora – anche in funzione antieuropea – ha seguito.
Anche sulla faccenda delle conquiste territoriali ci sarebbe da discutere: l’Ucraina sarebbe ben felice di strappare la Crimea alla Russia e l’Occidente (che non ha mai riconosciuto il referendum col quale quella regione è ritornata alla madrepatria) penso che si volterebbe volentieri dall’altra parte.
Quindi dobbiamo ricordarci che questa è vista dalla N.A.T.O. come una guerra di logoramento: e questo tipo di guerra, più dura meglio è: alla faccia della volontà di facciata di augurarsi la soluzione diplomatica.
(SECONDA PARTE) – Chiederei cortesemente a qualcuno che gestisce questa pagina (Ennio?) di ELIMINARE il doppione parziale della prima parte, che compare per colpa dell’idiota elettronico, col quale si devono fare i conti – purtroppo – specialmente quando si opera in rete.
Segnalo anche che tutte queste considerazioni non sono ancora apparse sul blog originario (assieme ad altre risposte a commenti di altri utenti di detto blog), perché pare che il “cervellone” me le qualifichi come spam, anche se di commenti su quel blog ne ho inseriti da anni.
Forse il sacro algoritmo che deve governare le nostre vite ha agito in questo modo, essendo chiaro che non sono uno che lecca il oluc alla N.A.T.O.? E chissà mai, di questi tempi diversamente democratici…
8) – Sulle questioni prettamente economiche io ho molto meno esperienza e conoscenza che di quelle geopolitiche; però – senza ricordare che “se un uomo con le sanzioni incontra un uomo con le materie prime, quello con le sanzioni è un uomo morto” – sulla base di quello che leggo in giro penso che:
– Il distacco dal dollaro nelle transazioni internazionali è proprio quello che la N.A.T.O. teme forse di più e proprio le sanzioni hanno dato un’accelerazione al processo. Anche l’uso di una qualsiasi “moneta altra” è massimamente malvisto: non dimentichiamo che l’idea di creare una moneta unica per l’Africa Settentrionale fu uno dei motivi che spinsero la N.A.T.O. a rompere gli indugi per eliminare Gheddafi.
– Da questo punto di vista non è che, a bocce ferme, l’euro se la passerebbe meglio del dollaro: prima di tutto perché l’Europa s’è impiccata alla N.AT.O., quindi la sua moneta non sarebbe vista tanto meglio di quella americana, da quelle Nazioni che se ne vogliono staccare. Inoltre, come il dollaro, viene stampata a vanvera senza alcun legame con il classico corrispettivo in oro: in altre parole potrebbe diventare carta straccia da un momento all’altro.
9 e 10) – Premesso che leggere di un italiano che pontifica sulle ruberie di altri governi è – come minimo – comico, bisognerebbe anche chiedersi a chi fece comodo che certe persone prendessero il potere nell’ex Unione Sovietica e in altri Stati limitrofi.
Vogliamo ricordare che il corrotto e alcoolizzato El’cin fu il cocco dell’Occidente?
E che Zelensky ha alle sue spalle altrettanti oligarchi locali che la controparte; e che è dentro un sistema di società “a scatole cinesi”, che non è certo uno specchio di legalità?
E parliamo di certe “nostalgie” politiche…
Se guardiamo a ottant’anni fa è anche ovvio che, secondo la logica che “il nemico del mio nemico è mio amico”, certe popolazioni che avevano un conto aperto con lo Stalinismo (gli Ucraini, ma anche i Kazaki) provarono una certa simpatia per Hitler; e non dimentichiamo quanti intellettuali, nei loro rispettivi Paesi, rimasero in un primo momento abbagliati da Nazismo e Fascismo al loro sorgere; salvo finire poi nella Resistenza, quando i nodi vennero al pettine.
Però forse sarebbe meglio guardare queste simpatie al giorno d’oggi, quando anche l’altra logica (quella del “si stava meglio, quando si stava peggio”) non vale proprio.
E se l’estensore delle considerazioni che sto commentando si meraviglia di quello che non farebbe – a livello di analisi della Russia – certa “Sinistra”; io mi meraviglio che chi sostiene l’Ucraina come un baluardo di libertà, non trovi “dissonante” la militanza attiva nel partito neonazista statunitense di tale Victoria Nuland: nota paladina della democrazia e – fra le persone ad alto livello nell’amministrazione Biden – tra quelle che sostennero apertamente la necessità di distruggere la Russia.
Mi chiedo anche se non si meraviglia di quella nota e democratica istituzione ucraina, che è il “Myrotvoretz”.
Libero poi di schierarsi – come chiunque altro che ragioni in maniera bipolare – dalla parte che preferisce…
11) – Questo punto è un po’ particolare da discutere, perché di questo schieramento filo-Putin l’estensore delle considerazioni ha fatto di ogni erba un fascio.
In parte ha ragione, perché – saltate le ideologie e non ancora ritornata l’irrazionalità delle religioni a condizionare la maggioranza delle persone – vi si trova davvero “di tutto e di più”. Ma io anziché andare per etichette (sovranisti / no-vax(?) / ecc.), preferisco far notare da un lato che siamo sempre dentro il teatrino delle parti, con molti soggetti che tentano di avere, col loro schierarsi, un briciolo di visibilità mediatica, o una per quanto sgangherata poltroncina: quanto accaduto alle recenti elezioni è – per me – paradigmatico.
Dall’altra parte che siamo in un periodo di massima confusione, nella quale, dovunque ci si volga, si trova assieme tutto e il contrario di tutto.
Proprio la recente “pandemia” ha fatto saltare tutti gli schemi: il discorso sarebbe lunghissimo (come quello sul sovranismo), ed è per questo che non voglio diventare dispersivo, essendolo già i social per natura. Ma non è che tra quelli che hanno rifiutato l’inoculazione e le scelte idiote (e criminali) del governo, riusciamo a individuare un minimo comun denominatore: troviamo accanto allo specialista plurilaureato, la massaia che ha appena la terza media; sovranisti (o peggio…) con antagonisti di lungo corso; e via discorrendo… Ma forse è più interessante notare come anche nell’altro schieramento ci si trovi nella medesima situazione.
Questa scelta, basandosi sull’uso o il non uso del pensiero critico, ha travalicato in sostanza tutte le categorie: sociali, politiche economiche; e credo che varrà ormai per tutte le contrapposizioni, come quella N.AT.O. / Russia, di cui ci stiamo occupando. E non è che lo veda come un male: sappiamo che il caos è indispensabile per creare qualcosa; e che del caos siamo appena all’inizio di quello che si spera essere il colpo di coda finale. L’importante è sforzarsi di creare qualcosa che non vada nella direzione di ciò che desidera chi ci governa davvero.
Scritto questo, l’analisi del fenomeno trattato in questo suo “punto 11” meriterebbe tutto un articolo a parte.
Ancora sul multipolarismo: usando ancora categorie datate ma utili come quella classica di imperialismo, i fatti ci parlano di un solo impero, quello americano, dove l’elemento della presenza militare mondiale è il sigillo di garanzia.
Chè poi il mondo sia intrecciato a vari livelli è ovvio, basti pensare alla Cina e ai suoi legami profondi anche con gli stessi USA; ma anche qui la guerra di Novembre di Biden “li faremo restare all’età della pietra” sul fronte tecnologico con tutta l’arroganza del modo in cui è stata fatta ci parla di un pollaio con un gallo solo.
Eviterei di parlare di caos in termini generici, perchè qui di caos non vi è molta traccia: il tallone di ferro imperiale ha ridotto le variabili al disotto di quelle necessarie per generarlo.
Uso volutamente termini un poco antiquati perchè questa guerra è stata un brusco risveglio dalle illusioni sul futuro e la complessità che erano maturate negli ultimi decenni; fra l’altro ha fatto anche sparire il discorso sul clima, e con questo l’ultima possibilità di orizzonti secolari per il futuro umano.
PS: come mai l’intervento di Rizzi è stato ripostato pari pari?
Premesso che il mio intervento è stato ri-postato pari pari, probabilmente perché il computer fa il k**** che vuole (sorvolo sui casini nati sia sulla pagina FB che qui, per vedere le mie cose inserite correttamente), io credo invece che dobbiamo per prima cosa disancorarci dalle “categorie datate ma utili”.
Ok, col termine “imperialismo” si è identificata l’area dominata dagli statunitensi; ma se guardiamo ai mezzi impiegati, non è che l’U.R.S.S. a suo tempo disdegnasse l’uso della forza, non appena fosse ritenuto necessario. E forse ciò era “meno necessario”, proprio in virtù del controllo draconiano esercitato sulla libertà di pensiero in quel “impero”. E dopotutto appena crollato il Comunismo, la Federazione Russa sentì il bisogno di farsi un proprio Vietnam e si fiondò in Afghanistan.
Possiamo insomma discuterne, ma non è che per essere “un polo di riferimento a livello mondiale in campo politico ed economico”, si debba essere “imperialisti”; per lo meno non alla vecchia maniera, cioè mostrando i muscoli ad ogni minima occasione.
Perciò continuo a vedere il mondo suddiviso in un’area di influenza N.A.T.O. (statunitense è limitante, visto il peso che hanno assunto all’interno di essa G.B. e Commonwealth), una russa (con questo Paese che aveva reiniziato una crescita in tutti gli ambiti, prontamente contrastata dall’accerchiamento N.A.T.O., dai vari colpi di Stato primaverili e dagli attacchi “per procura” nelle sue aree di influenza, a cominciare dalla Siria), una cinese (in continua espansione con mezzi non militari, ma se non è un “polo” la Cina, non so che cosa sia), quella europea (che sta sparendo: perché l’Europa, essendosi appiattita sulle posizioni della N.A.T.O. sarà di fatto fagocitata da essa, in caso di una sua vittoria; mentre rischia seriamente la distruzione fisica, nel caso che questa guerra per procura sfugga di mano); infine i BRICS, che sgomitano per avere un posto al sole; e che, specie in Sud America hanno grandi opportunità: ovviamente contrastate in tutti i modi dagli U.S.A. e aiutati dalla Cina; quest’ultima con la non tanto segreta speranza di mantenerli in un prossimo futuro nella sua orbita.
A me sembra che più “multipolare di così…
Anche se lasciamo perdere le categorie, dobbiamo sempre porci la domanda: chi comanda?
Sul piano militare mondiale c’è una sola potenza, gli USA con la loro immensa catena di centinaia di basi militari; la Cina non ne ha nessuna e idem la Russia.
Poi c’è la gestione del capitale finanziario, che, ci ricorda Graeber,. fin dall’antichità non sopravvive senza una forza militare.
Certo ci sono stati periodi bifronti (Arrighi nel Lungo secolo ventesimo) come quando Genova comandava il mondo col commercio e la finanza e usava la Spagna come potenza militare e insieme massa economica, ma gli USA sono entrambe le cose.
I cinesi certo sono una potenza economica, ma la sberla che Biden gli ha dato ci ricorda che alla fine il primo punto è quello che decide.
Poi possiamo anche non chiamarlo imperialismo, ma è tutto tranne che multipolare.
PS: È buffo questo disaccordo quando sul resto concordiamo, ma credo che per troppo tempo abbiamo dato per scontato una narrazione sul multipolarismo che ce lo dava come dato di fatto; e le vecchie categorie invece hanno fatto di nuovo capolino; anche perchè, trattandosi di sistemi complessi, diverso è il mondo in cui separi finanza, industria ed esercito da quello in cui i tre fanno un tutt’uno.
Buffo sì, ma in fondo normale che si abbiano due diverse interpretazioni dello stesso concetto: per me si tratta di avere diversi “poli”, nessuno dei quali prevale interamente sugli altri; può essere che uno è egemone dal punto di vista economico, un altro da quello militare e così via: ma nessuno ha l’egemonia totale, se no tale multipolarità salterebbe.
In altre parole la differenza – a mio parere – la fa la fluidità della situazione: meno soggetti ci sono, minor fluidità c’è. Tenendo presente che nemmeno il mondo in versione bipolare era esattamente in equilibrio: gli Stati Uniti erano comunque più forti del blocco sovietico, quello che mise le cose in equilibrio (per modo di dire) fu la consapevolezza del reciproco olocausto nucleare, se il confronto fosse sfuggito di mano.
E val la pena di notare che pure un mondo unipolare (come quello vagheggiato dai teorici del “secolo americano”) durerebbe in effetti ben poco: come insegna la logica dello yin e dello yang, immediatamente si innescherebbe una reazione caotica, per rimettere le cose in equilibrio. L’unipolarità è un punto di arrivo, non di partenza; ma questo gli psicopatici criminali che in maggioranza ci governano, che si tratti di “Reich millenario” o di “secolo americano”, non lo capiscono.
Beninteso, ho scritto questo per spiegarmi con tutti, senza voler per forza tirare dalla mia parte qualcuno.
Mi scuso se insisto, ma credo che il punto in questione sia di una certa importanza: nel nostro universo economia, finanza ed armi sono intrecciati e inscindibili nel determinare il potere. Lo sono sempre stati nella storia moderna (torno a citare Arrighi), e nonostante economia e finanza siano diventati diversi dai tempi di Hilferding rimane determinante il ruolo delle armi. Se no la guerra pacifica (per ora) di Biden alla Cina rimarrebbe incomprensibile, così come il ruolo della Nato nel distruggere l’economia europea in questi giorni. Non capisco che ruolo possa avere la metafisica dello yin e yang a negarlo o un caos invocato, mi si permetta, un poco a casaccio. Nel nostro mondo, dove (come aveva già visto Lenin) non puoi separare i tre componenti, c’è una sola potenza egemone: tutti gli intrecci produttivi e finanziari che percorrono il pianeta e sembrano farne un organismo unico e interconnesso nei momenti decisivi vengono messi in ombra dal fattore armi, che ritorna tutto il gioco in mano agli stati nazione; e le redini all’unico che ha eserciti distribuiti su tutto l’orbe terracqueo.
Un altro elemento che è entrato di soppiatto nel discorso è l’abbassamento delle pretese ‘democratiche’: non più caratterizzate come superiori per la libertà di decidere del proprio destino, ma semplicemente per il diritto di organizzarsi in sindacati. Mi sembra un passo indietro non da poco, anche perchè, dato che il compito dei sindacati è di migliorare le condizioni materiali dei lavoratori, un estimatore del ‘socialismo reale’ potrebbe ben sostenere che a questo ci pensava già lo stato ‘socialista’; e se guardiamo al fatto che il crollo del regime ‘sovietico’ (sostituito da un ‘capitalismo per bande’) ha distrutto il 90% della ricchezza del paese e ridotto di altrettanto il tenore di vita gli operai ; o se guardiamo a quello che resta del sindacato in Italia e negli USA ci troveremmo in grave imbarazzo a contestarlo.
Mah, la vediamo in maniera differente, punto e basta: formazione culturale differente, esperienze differenti… Non insisto, per me l’importante è che chi ci legge si sia fatto un’idea delle nostre diverse posizioni e decida di conseguenza.
Il richiamo al rapporto yin/yang è stato fatto perché è quello su cui si basano tutto l’Universo e tutte le sue manifestazioni: un ciclico svolgersi di avvenimenti attorno a due opposti, che possono anche essere “ordine e caos”.
Il quale non è mai invocato a casaccio: arriva quando serve. E adesso sembra essere il momento giusto.
Sui Sindacati sono ancora più radicale di lei: per quanto siano nati con le migliori intenzioni e abbiano ottenuto molte vittorie, specie in passato, tanto nel mondo socialista che in quello capitalista sono da un bel pezzo solo emanazioni di chi gestisce il potere.
Anche questo aspetto della società è, pertanto, tutto da ricreare, più che da riformare. E’ il bello del caos…