Riordinadiario 10-22 giugno 2022
di Ennio Abate
1.
Nel 1998 seguii a Milano un convegno su «Il desiderio dissidente. Il pensiero e la pratica di Elvio Fachinelli» e ne feci un resoconto (qui) che mi pare ancora punto fermo della mia riflessione su di lui. In un’ottica forse “scuolocentrica” (era il mio ultimo anno d’insegnamento, accennavo anche al «dibattito-scontro culturale, politico e pedagogico fra Fachinelli e Fortini», che ho ripreso nelle ultime settimane pubblicando la prima parte (qui).
2. L’ho segnalata a Giorgio Majorino, fresco “amico FB”. E riporto le sue tre note di commento:
Giorgio Majorino
Ma, ovviamente, conoscevo bene Fachinelli, e non solo per l'amicizia con mio fratello, ma anche perché ho fatto degli incontri "professionali" con lui. E, pur riconoscendo, anche qui ovviamente, tutta la sua intelligenza, capivo che c'era qualcosa che ci divideva. Ed era, pensandoci adesso, il suo odio-amore per la psicoanalisi. Non si capiva bene se la valorizzasse come strumento basilare per la conoscenza reale o come residuo di un pensiero conservativo, del quale bisognava utilizzarne dei frammenti ancora di valore. Per me, allevato inizialmente dalla sociologia (mi sono laureato, a Giurisprudenza, in Sociologia del Diritto) e poi approdato (ma era un mio antico interesse di quindicenne) alla psicoanalisi fino a farla diventare una professione, mi sembrava strana, questa commistione tra il sociologico (cioè quello che accadeva in comportamenti e ideologie, allora) e lo psicoanalitico. Sono stato sempre convinto, anche se so che non è molto accettabile, della frammentazione (leggi: schizoide..) della personalità. In parole povere: quando faccio le pizze, sono un pizzaiolo. Quando vado allo stadio, sono un tifoso più o meno su di giri. In tutti e due i casi mi sento me stesso ma in effetti sono altri due (e poi anche molti altri) anche se unificato anagraficamente. Quando lavoro (o meglio lavoravo) con i pazienti, sono perfettamente consapevole (ho l'occhio sociologico sempre attento) di tutto il mondo socio-economico-politico nel quale sono immersi, ma, non solo i miei interventi ma, soprattutto, le mie riflessioni sono soltanto psicoanalitiche. Per quello c'era qualcosa che non mi andava in Fachinelli ed anche, pur riconoscendone tutti i meriti fondamentali, con l'Antipsichiatria basagliana, ne percepivo una tendenza alla mescolanza. Insomma io, a differenza di mio fratello (e la rivista Manocomete ne è stata una prova) sono restato uno "specialista", con tutti i suoi limiti e con una bella tendenza schizoide. Questa della separazione tra sociologia e psicologia è tipica di Durkheim che ovviamente mi ha influenzato e del suo derivato, Levi-Strauss.
3.
È uscito di recente «Esercizi psicanalitici» ultima pubblicazione di scritti di Elvio Fachinelli. Così commentata sulla sua pagina FB (7 giugno 2022) da Lea Melandri:
«Non sapevo di questo libro e non so che articoli o scritti di Elvio vi siano stati raccolti. So e non posso dimenticare che DUE VOLUMI, in cui ero riuscita a raccogliere i libri e gli scritti giornalistici di Elvio Fachinelli, oltre a vari saggi, con due mie ampie Prefazioni, lavoro di anni, sono rimasti bloccati alla Bollati Boringhieri, per il veto opposto dall'Adelphi, l'ultimo editore dei suoi libri. Quella grande raccolta di scritti (circa 600 pagine) è conservata nel mio archivio personale, ma non posso pubblicarli. Ad altri evidentemente è stato permesso, sia pure alla spicciolata, per l'intraprendenza di Recalcati. Mi fa piacere comunque che gli scritti di Elvio tornino in circolazione. Lo stesso farò per le mie "Prefazioni", per chi avesse interesse e curiosità di leggerle».
Ed ha linkato tre suoi articoli sulla figura di Fachinelli: qui, qui, qui
4.
Mi sono procurato «Esercizi psicanalitici» in epub. Un po’ prevenuto ho letto la prefazione di Recalcati. Di lui ho apprezzato in passato alcune lezioni su Lacan seguite su You Tube, ma continuo a disapprovare le sue opinioni politiche da psicanalista istituzionalizzato e il suo ruolo di star della comunicazione mediatica. Trovo, però, la sua esposizione del percorso psicanalitico di Fachinelli abbastanza rispettosa ma neutra, distanziata, in fondo opaca. Indica bene le differenze tra Lacan e Fachinelli.[i] Si sofferma su questioni interne al lavoro psicanalitico,[ii] sulla separazione incolmabile se non tragica tra io e noi teorizzata da Freud,[iii] sull’importanza per Fachinelli dell’infanzia come «estasi» e «gioco»[iv] ma espone le posizioni più critiche di Fachinelli nei confronti dell’Istituzione della psicanalisi col condizionale.[v] E mi è parso più propenso a seguire Fachinelli nella facile polemica contro Verdiglione, esempio di fossilizzazione della sovversione o dell’eresia interna alla SPI. [vi] Non storicizza, non prende (almeno qui) una posizione chiara a favore di Fachinelli.
5.
Dalla nota del curatore, Dario Borso:
«Il grosso è costituito da undici diari di oltre duecento fogli da raccoglitore 24×15 cm cadauno, la cui completa trascrizione digitale assomma a 1.900.000 battute, spazi compresi. Vergati con grafia minuta e tenuti insieme con lo spago, essi coprono il periodo febbraio 1971-dicembre 1988, sviluppandosi su tre linee parallele: lavoro (appunti delle sedute, abbozzi di saggi e articoli, scalette d’interventi); cultura (schede e considerazioni su libri letti – psicanalitici, scientifici, letterari); costume (tra il politico e il sociologico). Da questo materiale ho isolato i quattordici nuclei più compatti, integrandoli con dodici testi già pubblicati ma introvabili, e ho titolato il tutto Esercizi di psicanalisi per l’onnipresente taglio sperimentale oltreché per la vastità dei temi trattati».
Controllando le date: 2 del 1974; 1 del 1965; 5 del 1975; 4 del 1976; 3 del 1978; 3 del 1979; 2 del 1980; 2 del 1982; 1 del 1984, del 1987, del 1988 e del 1989.
6.
Uno stralcio dal testo «Mastodonti», Cronaca, uscita il 30 maggio 1982 su “L’Espresso”, del V Congresso nazionale della Società psicoanalitica italiana, svoltosi a Roma il 29 maggio-1 giugno 1982.
«la psicanalisi negli ultimi anni è diventata, anche in Italia, parte integrante della cultura cosiddetta dominante, della cultura che passa attraverso i media ma anche attraverso le università e i centri culturali; si potrebbe anzi dire che, di questa cultura, la psicanalisi sia ormai un perno essenziale. I mastodonti che nella prima età del secolo occupavano l’orizzonte si sono miseramente afflosciati… Domanda: la psicanalisi è, in quanto istituzione e concezione ormai riconosciuta, uno dei nuovi mastodonti culturali? Il fatto che la psicanalisi sia oggi portata dalla cultura perlomeno nella stessa misura in cui è portatrice di cultura dovrebbe far riflettere. In termini psicanalitici, questo significa infatti che la nebulosa psicanalitica, come l’ho chiamata anni fa, si dispone in larga misura dalla parte delle resistenze alla stessa psicanalisi. L’effetto è paradossale, ma non nuovo: basti pensare a quel che è successo al marxismo nel passaggio da teoria rivoluzionaria a dottrina dello Stato. Freud parlava di possibili guerre in nome della scienza; piuttosto, sono colpito dalla prospettiva di una pace degli spiriti amministrata in via diretta o indiretta dalla psicanalisi.» […]Da questa espansione della nebulosa deriva poi che l’argomento psicanalitico, spostato via via dal suo centro, risulta spesso frivolo e occlusivo insieme. Frivolo, perché cade dal cielo su mondi nuovi, in cui si muove come una farfalla di stagione (vi sono artisti che espongono “ipotesi lacaniane”: a quando una fisica bioniana?). Occlusivo, perché chiude spazi che sarebbero aperti ad altri tipi di indagini e di curiosità. Insomma, un discorso che si vuole scientifico diventa un omogeneizzato culturale. È la conseguenza inevitabile di ogni acquisizione teorico-scientifica o invece una segreta disponibilità all’ideologia?»
7.
Insoddisfatto dalla presentazione di Recalcati e dall’impressione di frammentarietà dei testi pubblicati (comunque interessanti. Mi viene in mente una vecchia lettura de «Lo spettro della psicanalisi» fatta negli anni Novanta. Si trova nel III volume degli «Scritti diversi» che Michele Ranchetti mi aveva donato. Ricordo che dava una visione d’insieme e storica del movimento psicanalitico; e che indicava alcune ragioni della sua crisi e della sua scarsa incidenza sulla cultura italiana del Novecento. Indicava anche un nodo di problemi, su cui Ranchetti stava lavorando prima della sua morte. Le sue riflessione (non solo quelle sulla psicanalisi) mi hanno sempre catturato. Forse perché ho accostato – chissà perché e non so con quanta fondatezza critica – la crisi del comunismo a quelle crisi di cui Ranchetti si occupava come studioso: questa della psicanalisi; e quella del cristianesimo (tema – quest’ultimo – sul quale ero tornato di recente (qui e qui). Siccome una visione storica della psicanalisi mi pare assente dagli attuali discorsi degli psicanalisti (alla Recalcati, alla Benvenuto, per dire di due di cui ho letto qualcosa) e in «Esercizi psicanalitici» compare per cenni, mi faccio un ripasso di «Lo spettro della psicanalisi».
8.
In questa raccolta di saggi e interventi Ranchetti ha per me ilcoraggio di smantellare i luoghi comuni di uno psicanalismo “diffuso” o di massa, che in passato io pure ho subìto. Tra i temi che affronta ne scelgo tre da riassumere:
a. Inconsistenza del movimento psicanalitico in Italia. Da noi – dice Ranchetti – l’introduzione della teoria freudiana è stata schiacciata dalla filosofia idealistica, dal marxismo (ufficiale, aggiungo io) e dalla cultura universitaria; mentre, più astuta e vigile, la cultura cattolica la accolse prontamente ma per integrarla e subordinarla al suo tradizionale discorso religioso di «cura delle anime», enfatizzandone l’aspetto terapeutico e neutralizzandola, invece, come strumento conoscitivo, che nella sua indipendenza poteva entrare in competizione con la sua dottrina. Per la Chiesa cattolica, infatti, la psicanalisi era accettabile solo come sapere alleato della religione cattolica nel perfezionamento dell’Io [vii].
A questa introduzione “debole” della psicanalisi contribuì nel secondo dopoguerra anche Cesare Musatti, che della psicanalisi italiana è considerato il patriarca. Ranchetti lo riptiene responsabile di aver divulgato un Freud semplificato [viii] e di aver voluto conciliare la psicanalisi con i saperi accademici preesistenti, accettando dunque di buon grado anche la sua «medicalizzazione».
La stessa pubblicazione in italiano dell’opera omnia di Freud, voluta da Paolo Boringhieri, affidata a Musatti e alla SPI (e a cui collaborarono sia Fachinelli che lo stesso Ranchetti), presenta per lui parecchi limiti. Furono espunti importanti scritti freudiani considerati sbrigativamente “pre-psicanalitici” e altrettanto importanti epistolari; e fu accantonata (se non occultata) la relazione tra le opere di Freud e il (fondamentale per Ranchetti) movimento psicanalitico che tentò di espandersi da Vienna in Svizzzera, in Germania e poi negli Stati Uniti. Musatti, insomma, privilegiò il solo Freud come autore e scrittore facendone un monumento di dottrina; e la psicanalisi in Italia è stata ridimensionata anche da un esponente così in vista della cultura laica e di sinistra a mera tecnica terapeutica, facilmente convivente con le scienze. E nelle varie scuole di psicanalisi che si sono sviluppate è finita per prevalere sempre più l’attenzione alla vendibilità di una psicanalisi attualizzata e dimentica della sua primitiva e sconvolgente indagine sulle radici della sofferenza umana (pagg. 189-191).
b. Necessità di una storia della psicanalisi. Nei suoi ultimi anni di vita Ranchetti ha lavorato in questa direzione, pur riconoscendo che una storia della psicanalisi è quasi impossibile. Aveva perciò iniziato ricerche parziali (ipotizzando, ad esempio, l’esistenza di inediti di Freud) e progettato un’altra edizione, storica stavolta, delle opere di Freud dopo la classica Standard Edition di Strachey. E aveva molto insistito sull’importanza (trascurata) della storia “politica” del movimento psicanalitico e sul ruolo di guida autorevole e autoritaria svolto dal suo fondatore. (Lo si desume dalle sue lettere circolari miranti a stabilire una sorta di disciplina partitica (pag. 164)) su quelli che Ranchetti definisce «più che compagni correligionari (tutti ebrei)» o, addirittura, «banda di ladroni», nata in ambienti culturali poco qualificati e che aveva bisogno di un riconoscimento. A suo parere si è voluto dimenticare che le origini della disciplina stavano nella ricerca di qualcosa di nascosto e persino illecito da parte di un gruppo di scienziati che di scientifico, in senso tradizionale, non avevano molto.
Ranchetti denuncia anche che quel movimento fu interrotto e non fu più ripreso. Dopo la prima guerra mondiale, infatti, per lui non si può più parlare di movimento psicanalitico. (pag. 134). E con l’avvento di Hitler, l’esodo dalla Germania in America degli psicanalisti ebrei o l’adesione di alcuni psicanalisti al nazismo («il fatto più grave è il tentativo operato in Germania di far confluire la psicanalisi come deutsche Seelekunde nel sistema sanitario nazista», pag. 136), quel progetto – la «metapsicologia di Freud» che voleva essere una specie di “controstoria” del mondo alternativa a quella costruita nell’itinerario narrativo ebraico-cristiano e si proponeva come “spiegazione generale della realtà storica (pag. 135) – fu “decostruito” e ridotto a disciplina particolare fra discipline.
Dalla complicata storia del movimento psicanalitico creato e diretto da Freud fino alla sua morte – denuncia Ranchetti – risulta che la psicanalisi è stata bruscamente isolata dal flusso degli eventi storici. Ed è così diventata anch’essa una disciplina perenne, come la filosofia perenne di cui si è servita la Chiesa cattolica per conservarsi intatta nei secoli (pag. 134). Le sue stesse categorie interpretative non sono state più interrogate alla luce della storia, tanto che i suoi diversi dizionari sembrano riferirsi ad una scienza astratta e le figure della malattia descritte da Freud sembrano corrispondere a modi perenni di presenza del male mentre appartengo alla società del loro tempo e non del nostro( pag. 131).
Da qui, credo, derivano le critiche di Ranchetti alle successive alleanze della psicanalisi con altre scienze o alle sue alleanze con altre dottrine (marxismo compreso). E anche i suoi giudizi forse troppo taglienti su Lacan (uno che per Ranchetti più che ritornare a Freud è stato un’alternativa a Freud e ha alimentato con le sue suggestioni esoteriche un’ accolita di privilegiati che “si autorizzavano da se stessi” )e anche su Basaglia (che per lui si mosse in direzione contraria a Freud mirando a cambiare il mondo senza capirlo e riducendo la rivoluzione psichiatrica alla chiusura dei manicomi [xv].).
c. Psicanalisi come anti-etica. Per Ranchetti la psicanalisi ha operato uno smascheramento che non è approdato però a nessun “vero” vero. Freud ha rotto un equilibrio, ha toccato qualcosa, varcato una soglia, messo in crisi le ragioni del vivere, ma non le ha sostituito con altre ragioni. Ha mischiato momenti materialistici con motivazioni etiche e metapsichiche, ma ha lasciato la psicanalisi in un disordine disciplinare, poiché non esiste una dottrina (pag. 172). Si può parlare di una scienza duale e accostarla alla confessione e al rapporto d’amore. L’ unico suo oggetto reale è restato il singolo paziente. E la psicanalisi non serve tanto per comprendere la “realtà” ma per cogliere l’effetto della realtà sul paziente. I casi clinici studiati da Freud mostrano una indifferenza rispetto al giudizio morale ( pag. 97). Essa poteva forse diventare una nuova scienza che non sta sullo stesso piano né delle scienze naturali né di quelle umane (pag. 105). Per cui, se è impossibile il giudizio di realtà e la realtà prescinde dalla verità, è impossibile fare riferimento a qualcosa di certo. E anche chiedersi cos’è la psicanalisi ? è una domanda che non trova una risposta esaustiva (pag. 139). E, dunque, in psicanalisi non si sa davvero cosa sia la verità (pag. 142).
9.
Ranchetti sa interrogare Freud avendo alle spalle la sua formazione di storico del cristianesimo. Resta il fatto che l’entusiasmo rivoluzionario del movimento psicanalitico sorto nello stesso clima eccezionale delle avanguardie storiche, è stato frenato e poi bloccato. (Mi verrebbe da aggiungere: come la contestazione di Fachinelli, come quella di Sanguineti e del Gruppo 63, come i tentativi della nuova sinistra del ’68-’69) o quella che in questo libro esprimeva Ranchetti).
Oggi in tempi tornati di guerra che peso possono più avere le idee di Freud, di Fachinelli, di Ranchetti (e io dico pure quelle di Fortini e del comunismo)? Nel mio percorso culturale per uscire da un generico “psicanalismo” e farmi un’idea più approfondita e critica della psicanalisi ho dovuto faticare non poco e aspettare la fine della militanza in Avanguardia Operaia (e del mio primo matrimonio). Fachinelli, come ho detto, non l’ho mai conosciuto ma è entrato nei mie pensieri per quel suo scritto del ’68 e la sua polemica con Fortini. Poi gli accenni a lui in qualche colloquio con Giancarlo Majorino, la lettura di «La Freccia ferma» e «La mente estatica», l’inseguimento della sua figura – come ancora vado facendo, attraverso saggi e testimonianze (di Benvenuto, Barbetta, Lea Melandri e dell’amico Federico La Sala). Ma ci sono troppi scritti di psicanalisti che non ho letto e non riuscirò più a leggere.
Perché, comunque, tanta attrazione per questo lato della cultura del Novecento che mi è rimasto più oscuro ma non estraneo di quello marxista? Non so se sia possibile o impossibile il confronto che vado tentando nel mio scritto «Fachinelli e/o Fortini?». Sono due mondi che non si sono incontrati. Eppure, forse proprio per gli zig zag della mia formazione – cattolica a Salerno in gioventù, marxisteggiante nel mio “immigratorio” a Milano e nella sua periferia – ho una sorta di strabismo culturale che mi spinge a riflettere con la medesima attenzione e passione su orientamenti e figure diverse e sicuramente in attrito (psicanalisi e marxismo, Fachinelli e Fortini, Fortini e Ranchetti). Le distanze restano. E allora? Oscillare? Tentare di conciliare? Insistere a interrogare? Restare epigoni che ce la meniamo ancora su vicende e problemi divenuti “antiquati” nell’indifferenza dei nostri figli e nipoti?
10.
Insistendo a guardare – sempre strabicamente – sia nel campo della psicanalisi sia in quello del marxismo , ecco due ultimi spunti ( uno tratto da uno scritto di Jacque-Alain Miller, uno che fa riferimento al lavoro su Marx di Roberto Fineschi) per continuare a interrogarmi:
La psicoanalisi cambia - è un dato di fatto. E' cambiata, faceva notare con malizia Lacan, nella misura in cui fu anzitutto praticata da Freud in solitario e in seguito è stata praticata in coppia. Ma ha conosciuto altri cambiamenti che possiamo constatare leggendo Freud, e addirittura quando leggiamo e rileggiamo il primo Lacan. Essa cambia effettivamente, malgrado il nostro attaccamento a termini e schemi antichi. Si tratta di uno sforzo continuo per rimanere il più vicino possibile dell'esperienza, per dirla senza andare a sbattere contro il muro del linguaggio. Per aiutarci a superare questo muro, ci vuole un (a)muro[13], intendo dire un termine agalmatico che buca questo muro. E questo termine io lo trovo nel parlessere. (qui)
Il volume si chiude con due sezioni almeno parzialmente collegate e intitolate, rispettivamente, «Concetti chiave» e «Storia della ricezione». Parzialmente intrecciate perché entrambe evocano la questione del rapporto tra Marx e il marxismo. In particolare, per quel che riguarda la prima delle due sezioni (che prende in esame concetti assai problematici come «materialismo storico», «materialismo dialettico», «lotta di classe», «rivoluzione», «comunismo», «metodo dialettico», «alienazione e feticismo della merce», «valore-lavoro e trasformazione”), Fineschi opera in maniera quasi chirurgica riportando a Marx ciò che è di Marx ed effettuando una lettura contrastiva tra le categorie effettivamente elaborate da Marx e quelle successivamente sviluppate, approfondite e divulgate dal marxismo. In queste pagine, Fineschi tocca temi che hanno avuto un peso assai rilevante nella storia del marxismo senza trarre conclusioni affrettate, ma mostrando bene la complessità teorica delle questioni dibattute. Fineschi sottolinea come su molte di esse sia difficile trovare una risposta definitiva, anche perché Marx si è semplicemente limitato, per così a dire, a lasciarci una «cassetta degli attrezzi», fra l’altro assemblata per uno scopo preciso: l’analisi del modo di produzione capitalistico. È cosa nota, infatti, che l’edificio teorico della critica dell’economia politica è rimasto qualcosa di sostanzialmente incompiuto (e ciò è vero non solo per i libri secondo e terzo, ma anche per il primo libro del Capitale). A ciò hanno contribuito, oltre che le vicende esistenziali (gli impegni politici, le difficoltà economiche, i problemi di salute), anche la forte sensibilità autocritica e la grande scrupolosità teorica di Marx. Comprendere a fondo i lineamenti e la maturazione della critica dell’economia politica di Marx, dunque, significa anche seguire il «filo conduttore» dei suoi studi, oltre che confrontarsi con un metodo di lavoro estremamente travagliato, sempre aperto al ripensamento e all’integrazione di nuovi spunti teorici. In questo senso, la nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels (la seconda Marx-Engels-Gesamtausgabe, nota con l’acronimo di MEGA2, la cui pubblicazione, ancora in corso, è iniziata nel 1975), insieme a una serie di materiali precedentemente inediti, ha messo sul tavolo anche la necessità di una rinnovata interpretazione di Marx e della sua opera. La MEGA2 rappresenta dunque uno strumento necessario per approntare nuove lenti analitiche in grado di indagare i lineamenti di fondo e il senso complessivo di quella che, a ragione, può essere considerata l'opera principale di Marx. (qui)
Note
[i] « per Lacan il “dire” della madre – lalangue – incide sulla vita del soggetto prima della parola e del linguaggio. Fachinelli resta palesemente insoddisfatto dalle risposte di Lacan, che sembra mantenersi, almeno in questa circostanza, legato al quadro edipico della psicanalisi. Al contrario, la ricerca di Fachinelli mira a spingersi al di là dell’Edipo, dunque al di là delle colonne d’Ercole del verbale». E questo “oltre” sarebbe un inconscio non fatto «solo di significanti, come invece ritiene Lacan, […]solo di rappresentazioni, come invece ritiene Freud, […]. Si tratta forse, si chiede, di un “inconscio d’immagini”? Non a caso, ribadisce, l’inconscio freudo-lacaniano sarebbe del tutto “iconofobico”, nel senso che “l’immagine vi ha uno statuto secondario”, solo “strumentale”, mentre questo “altro inconscio” verso il quale Fachinelli si muove si nutre di immagini».
[ii] « nel rapporto tra analista e analizzante non si deve misconoscere che il corpo sia sempre in gioco. Innanzitutto quello che egli [Fachinelli] definisce come “il corpo d’amore”. È la dottrina ridotta a “macchina morale” che evita di pensare e di praticare l’incontro con questo “corpo d’amore”», sulla impossibile (se non tragica) separazione freudiana tra io e noi»;
[iii] «Se l’individuo non può essere separato dal suo contesto sociale – tesi freudiana: l’individuale è già da sempre sociale –, tra queste due polarità – tra il singolare dell’individuale e l’universale del sociale – nessuna armonia è prevista. Il tragico consiste nella morsa della ripetizione che trascina la vita nell’“isolamento, nella separazione, nella morte, nella dipendenza, nell’impotenza”»
[iv] « “Straordinaria capacità […] di demolire in un attimo ogni fissità funzionale degli oggetti e delle situazioni. Tutto è preso, cambiato, lasciato in una rapida corsa”. L’analista non dovrebbe imparare dall’estasi dell’infanzia? Non dovrebbe “recuperare e praticare il gesto infantile del gioco”? ’infanzia non è più solo una tappa della nostra vita destinata a essere superata dalla sua maturazione stadiale, bensì una risorsa costantemente presente. Essa non coincide con quella perversa-polimorfa del bambino freudiano, né con quella infernale – schizoparanoica – del bambino kleiniano, né, infine, con il “corpo in frammenti” del bambino lacaniano. L’infanzia gli appare piuttosto come un luogo benjaminiano, una fonte inesauribile di possibilità, una promessa del futuro»
[v] «la sua [della psicanalisi] progressiva istituzionalizzazione ha danneggiato la scoperta originaria di Freud: quella dell’inconscio come forza generativa. Anziché favorire il dispiegamento di questa forza, essa, già con Freud e ancora di più dopo Freud, ne avrebbe, nel giudizio critico di Fachinelli, incoraggiato l’ostruzione».
[vi] «Non erano più le procedure burocratiche a spegnere lo slancio sovversivo della ricerca psicanalitica – come avveniva tradizionalmente in seno alla SPI –, ma era l’eresia sovversiva che si rivelava assai peggiore dell’ortodossia che criticava spietatamente».
[vii] Ranchetti critica un certo Ancona, erede all’Università cattolica di Milano di Padre Gemelli, che distingueva un Io “naturale”, che migliorerebbe con l’uso della religione, e un Io perverso, che verrebbe curato dalla psicanalisi. (Ranchetti, Lo spettro della psicanalisi, in «Scritti diversi III», pag. 149, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2000).
[viii] (Ranchetti, Lo spettro della psicanalisi, in «Scritti diversi III», pag. 56, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2000).
APPENDICE AGGIUNTA IL 24 GIUGNO 2022
Soltanto oggi sono riuscito a leggere l’intervista di Massimo Cappitti a Michele Ranchetti pubblicata su L’Ospite ingrato con data 7 del 2005. In essa Ranchetti viene interrogato anche su Freud, il movimento psicanalitico, la metapsicologia di Freud. Cioè sui temi de “Lo spettro della psicanalisi” qui sopra da me riassunti. Mi pare doveroso riportare qui questa parte dell’intervista per agevolare l’approfondimento delle questioni [E.A.]
MC.: Più volte ricordi l’originaria intenzione della psicoanalisi di Freud, una sorta di ambizione di riscrivere la storia del mondo. Freud ha proposto la psicoanalisi come alternativa non solo alle discipline consolidate, ma anche come concorrente della religione ebraico-cristiana stessa. MR.: A conferma di quello che tu mi fai dire, c’è uno scritto che è stato riscoperto recentemente come minuta teorica, inviato da Freud a Ferenczi, che avrebbe dovuto far parte degli scritti di metapsicologia19 che Freud aveva intenzione di scrivere e che non sono forse stati scritti e comunque non si sono conservati. Quindi del grande progetto della metapsicologia sono rimasti solo alcuni piloni senza il ponte che li rinforza e li connette. L’ultimo di questi piloni è una lettera da lui inviata a Ferenczi, all’epoca il più vicino dei suoi collaboratori. Tra l’altro, lo stesso Ferenczi aveva scritto sulla metapsicologia durante la stesura di questi testi da parte di Freud. Il testo di cui parlo si intitola Sintesi delle nevrosi di traslazione,20 che è stato pubblicato anche in italiano, alcuni anni fa, con nessuna eco, non nell’ambito dell’edizione completa di Freud ma a parte, perché ritrovato dopo. Si tratta del progetto di una ricostruzione della storia del mondo che si confronta con il progetto della storia sacra e con il progetto della storia evolutiva darwiniana con elementi tratti da Lamarck. Questo si sapeva ed è una conferma dell’intenzione, che tu mi fai dire e che io ridico con te, della volontà di essere un’alternativa radicale, non nell’ambito della sofferenza umana o della concezione stessa del dolore. È il passaggio che Freud ha sempre tentato di fare, dal caso singolo all’umanità, dove il rapporto, il confronto diretto, tra paziente e analista si allarga a tutti gli uomini, secondo scansioni che non sono più rappresentate da ere geologiche o dallo sviluppo di certi organi o dall’abbandono di certi altri, ma da comportamenti generali dell’umanità. Questa è la Sintesi delle nevrosi di traslazione. Naturalmente è indicata come una situazione aberrante perché tutta la situazione è aberrante, non si distingue da un percorso di normalità. Allora si vede proprio il tentativo rozzo, riconosciuto dallo stesso Freud come fantasioso e non fondato su nessuna prova verificabile, di scandire la storia dell’umanità in processi che si sviluppano in relazione alle fasi della malattia, come se le tipologie della malattia corrispondessero a momenti della storia. Allora la storia è la storia del genere umano, che è la storia delle malattie del genere umano, che è la storia dell’umanità. Si tratta della costruzione di un’antropologia che non è affatto connessa con uno sviluppo di tipo superiore, di tipo religioso, di affidamento, ma che contiene in sé le ragioni del proprio sviluppo, della propria modifica, della propria metamorfosi. Trovo questo di un fascino incredibile. È certo campato in aria, come si direbbe, perché non c’è nessuna evidenza, ad esempio non si può riconoscere il comportamento dell’orda barbarica nell’uccisione del padre. E io ritengo che Freud abbia avuto l’ambizione di costruire questo modello e che non sia riuscito a farlo, e che non sia escluso che qualcuno, grazie anche al ripensamento e alla riconsiderazione del suo pensiero, possa aggiungere qualche addendo a questo progetto. MC.: Mi sembra di capire però che le resistenze maggiori provengano proprio dagli psicoanalisti. Il progetto è come se morisse con Freud, con le sue esitazioni. MR.: Il progetto è morto con lui, ma non parlerei di esitazione. Il progetto freudiano, che è un progetto di una psicologia generale,21 è contenuto già, secondo me, nel primo dei suoi scritti che segnano il passaggio dagli scritti preanalitici agli scritti analitici o psicologici. Questo progetto non è stato pubblicato, è una minuta anche questa, comunicata però a Fliess, ed edita solo nel 1950, dopo la sua morte. Era un progetto di psicologia generale che teneva conto degli studi di neurologia che lui aveva fatto e questo avviene prima della fine del XIX secolo. Questo progetto non viene abbandonato ma trasferito nella prima delle opere di Freud, come capitolo settimo della Traumdeutung,22 dove ne recupera le tesi centrali. Poi c’è un periodo di assenza della metapsicologia. C’è l’esperienza clinica, in particolare gli studi sull’isteria, la vita quotidiana interpretata secondo il lapsus, il motto di spirito, ecc.23 Poi nel 1915, in occasione della frantumazione dell’ordo universale e quindi in occasione della guerra, quando gli equilibri consolidati si frantumano e la conflittualità non si manifesta solo individualmente, Freud24 riprende il progetto della metapsicologia e scrive alcuni di questi saggi. Che fossero un progetto generale viene dato per certo perché lui ne parla come tale con i suoi corrispondenti. Non ce la fa, nel senso che lo abbandona e lo rimanda. E siamo arrivati al 1922 circa. Poi c’è un’altra flessione, in un certo senso, durante la quale questo progetto rimane conosciuto ma non esplicitato. Poi, prima di morire, nel Compendio di psicoanalisi lo riprende e siamo nel 1938.25 Quindi non c’è mai un abbandono di questa progettazione ma la sua ripresa in chiave diversa. La mia tesi, che forse è più facile da formulare che da verificare, è che ci sia sempre la progettazione di una metapsicologia che regge l’edificio della psicoanalisi e che questo progetto derivi dall’ambito terapeutico e dalla clinica individuale, per essere una sorta di arco sopra le esperienze terapeutiche particolari. Ora, questo progetto è stato abbandonato con la morte di Freud. MC.: Questo perché? Per la natura del movimento psicoanalitico? Intanto c’è il nazismo. MR.: Ci sono molte ragioni. C’è una ragione pratica che consiste nel fatto che gli psicoanalisti – medici e non medici – viennesi e berlinesi appartenevano alla religione ebraica, quindi il movimento è stato distrutto dal nazismo. C’è stato un esodo, quindi, che non è stato indolore, nel senso che alcuni sono morti, in realtà molto pochi numericamente, ma gli altri non hanno potuto che trasferire armi e bagagli. Quando sono stati accettati nei paesi dove la campagna razziale non esisteva, in particolare in Inghilterra, meno in Francia, soprattutto negli Stati Uniti, hanno dovuto pagare lo scotto di non essere, come era avvenuto molti anni prima, appartenenti a una religione particolare. Inoltre, negli Stati Uniti non era permesso l’esercizio della psicoanalisi se non ai medici. Nell’ambito delle discussioni che sono intervenute prima dell’esodo, quindi prima della campagna razziale, prima del nazismo, gli americani hanno sostenuto, a differenza di alcuni europei e a differenza della volontà di Freud, che la psicoanalisi poteva essere esercitata solo dai medici. Quelli che sono andati in America, che non erano medici, lo sono dovuti diventare per poter esercitare la psicoanalisi. E l’esercizio della psicoanalisi nell’ambito della medicina è diventata una professionalità interna alla medicina stessa, che aveva come fine la cura. Non puoi inserire in una cura un progetto eversivo. Poi ci sono anche altre motivazioni. Probabilmente perché non era possibile istituire un rapporto molto stretto tra l’esito terapeutico e l’appartenenza di questo esito a un progetto generale. L’esito terapeutico non dipendeva da un ambito generale di appartenenza. E poi da resistenze di altro tipo. MC.: Questo ha significato la dissoluzione della psicoanalisi in una tecnica. MR.: Sì, la tecnica è l’unica cosa che presenta un minimo di interesse per l’esercizio della psicoanalisi. MC.: Mi sembra infatti che gli psicoanalisti riflettano poco sul lavoro che fanno. Del resto leggevo quanto hai scritto a proposito di Musatti e della Società psicoanalitica italiana, la indifferenza della seconda e lo «scetticismo relativizzante»26 del primo rispetto alla proposta di traduzione di Freud. MR.: Non interessa nulla. Del resto è una cosa che riguarda anche la cultura generale, a parte il marxismo, che non so bene cosa sia. Per esempio, quando Wilhelm Reich ha cercato di convertire Freud al socialismo nel nome della rivoluzione, Freud ha risposto dicendo: la psicoanalisi è una rivoluzione e io non devo appartenere a nient’altro che alla rivoluzione psicoanalitica. Qualsiasi “e” aggiunto è una contraddizione in termini. I grandi movimenti, a parte il marxismo, si sono sviluppati tutti in quegli anni e sono inconcepibili adesso. Ti ricordo che anche il surrealismo, anche il dadaismo avevano questa ambizione generale di essere movimento a tutto tondo, volevano rifare il mondo e tutti questi si sono esauriti con gli anni 1930 e anche prima. In realtà il grande crogiuolo è avvenuto tra il 1910 e il 1925. MC.: Però è sorprendente quanto gli psicoanalisti rimuovano una parte come se quella riflessione di Freud appartenesse alla filosofia di Freud e loro, in realtà, si occupino d’altro. MR.: Come se fosse possibile scindere le cose. Lo si può notare quando leggi i contributi che sono pubblicati sui giornali specialistici, dove ci sono dei riesami di casi clinici. Il conduttore della psicoterapia trasmette alla rivista il caso e una sua spiegazione del caso. Ho anche assistito a certi dibattiti su un caso clinico: sono persone intelligenti, brave e simpatiche, e non è un modo di dire, è vero. I riferimenti che fanno, però, sono di una elementarità miserabile e vanno tutti nella persuasione della necessità del contenimento della forma eversiva e del comportamento al di fuori della norma, che deve essere reso compatibile con la vita del singolo nell’ambito della famiglia o del luogo di lavoro. Tutte le punte vengono smussate in relazione alla normalità che ti permette la efficienza del singolo come padre, come figlio, come sorella, ecc. Un ribadimento dei ruoli e basta. Non hanno nessun bisogno di cercare oltre: se una persona non può dormire la notte perché ha delle difficoltà sul lavoro, o prende un sonnifero, oppure si cercherà di smussare le sue manifestazioni di aggressività in modo che possa il giorno dopo tornare al lavoro. Di più no. E ancora senti dire cose che fanno ridere, del tipo: lei è stato coccolato troppo poco da piccolo. Sarà anche vero, ma sono cose che evidentemente hanno un valore provvisorio, di contenimento e giustificazione ma non risolvono certamente il problema, non dico tanto il problema terapeutico ma anche quello della comprensione. In questo momento storico, se dici che una persona non è stata abbastanza coccolata dal padre sapendo che il padre è divorziato da anni oppure è scappato con l’amante maschile, è semplicemente ridicolo. Sono categorie interpretative che hanno lo stesso rilievo che potevano avere le categorie interpretative al momento della società tribale o del primo capitalismo, o come quelli che parlano di classe operaia adesso per risolvere i problemi del mondo: non c’è più! MC.: Come ha reagito la comunità psicoanalitica al tuo progetto di ripubblicazione di questi scritti?27 MR.: Non ha reagito per nulla e credo sia impossibile che reagirà e sarebbe più probabile un risentimento, in senso tecnico, da parte della società culturale in generale. Questa seconda ipotesi urterebbe, e questa è la difficoltà in cui mi dibatto, con la volontà di questa comunità di fare il saggio interpretativo, l’introduzione, che è la prima cosa che ti chiedono per la collaborazione. Io dico: no, si fa alla fine e sarà di cinque pagine. Mentre è la lettura di questi testi e il contorno di testi coevi che costituiscono gli elementi del dibattito. La prospettiva filologica e interpretativa ridotta per la produzione degli strumenti di lavoro è totalmente estranea sia alla Società psicoanalitica che alla società culturale. Allora dove mettiamo Thomas Mann, che ha scritto cose molto intelligenti sulla psicoanalisi e ne è stato evidentemente influenzato? Si potrebbe parlare di questo in forma di saggio. Ma se vai a pescare un articolo di Thomas Mann su Freud trovi qualcosa all’interno di un’interpretazione e quindi non è materia primaria. La letterina di Lou Andreas-Salomé è molto meno intelligente di Thomas Mann, però quella è tessuto produttivo e non ricettivo, interpretativo. Probabilmente c’è qualcosa di prima mano nell’ambito del dadaismo e del surrealismo. C’è Erich Muhsam che aveva partecipato alla Repubblica dei Consigli in Baviera nel 1919, morto impiccato: c’è una sua ostilità verso la psicoanalisi che è forse equiparabile a un elemento primario, perché si trova su una rivista di quel tempo. Sto guardando se posso inserirlo nel progetto. O anche una figura come Otto Gross, nota molto più come anarchico, bohémien, produttore di figli con tutte le amanti, però ha anche prodotto dei materiali straordinari che non sono mai stati ripubblicati in Germania. Allora questo fa sì che i collaboratori del progetto siano tutti degli incompetenti, più o meno, non sono dei praticanti o dei medici. L’unico medico è Marco Conci, che ha chiesto di occuparsi della riedizione dei casi clinici, la cui ripubblicazione non avevo previsto, ma che, invece, sono materiali primari su cui tutti noi lavoriamo. MC.: Freud l’hai letto abbastanza tardi. MR.: Molto tardi e l’occasione è abbastanza pratica. Avendo perso tutti i lavori a Milano, dovendo trasferirmi qui a Firenze per ragioni di sopravvivenza, licenziato in tronco dalla Feltrinelli, avevo un rapporto di collaborazione e di simpatia con Paolo Boringhieri, che faceva parte della sinistra cristiana, pur essendo protestante e non cattolico. Allora mi sono offerto di dargli una mano per l’edizione di Freud che lui stava inaugurando, dato che sapevo un po’ il tedesco. Così ho cominciato a leggere Freud, occupandomi della revisione delle traduzioni. MC.: È strano che nessuno psicoanalista conoscesse il tedesco. Anche perché i termini hanno una pregnanza fondamentale. MR.: La dice lunga, come si dice. C’è una storia della psicoanalisi in Italia dove non solo Freud è stato letto direttamente poco, ma è stata esclusa radicalmente l’idea di movimento, mentre si parla di movimento psicoanalitico in Francia in parte, in Germania in parte, certamente molto in Austria, non ce n’è traccia in Italia, non sanno cosa sia, e non c’è nulla neanche in Inghilterra. La grande edizione di Freud esclude il movimento psicoanalitico come se non ci fosse. Questa edizione dovrebbe cercare di far vedere che è esistito un movimento psicoanalitico. Non a caso Freud ha organizzato i mercoledì di discussione, le associazioni, i convegni, le riviste, ha pubblicato i suoi testi con una propria casa editrice. La strategia di Freud è totalmente assente dalla storia della psicoanalisi, mentre è fondamentale. Va ricostruito questo contesto e quello al quale si contrappone. Tu fai l’opera omnia e tutto questo viene perso. Certo, non tutto è ricostruibile, però in gran parte sì. Infatti nei due volumi in preparazione c’è una precisa cronologia e una sistemazione di questi elementi. Sono ancora inediti, per esempio, i suoi giudizi sui renitenti alla leva e i suoi giudizi – anche quelli non sono editi, o meglio lo sono fuori dall’opera omnia – sul matrimonio e sul divorzio. La psicoanalisi come autorità interviene nell’esercizio della vita civile, è interessantissimo. MC.: In questo senso si propone come un’alternativa altrettanto credibile. MR.: Sì, altrettanto credibile fino al punto che una persona che ragiona come sei tu, e non ce ne sono tante, capisce che c’è anche una contraddizione. Quando uno ammazza la moglie allora chiamano lo psicologo – e tutto questo viene percepito come naturale e non capisco perché – per verificare se è capace di intendere e volere, e già nella verifica della disponibilità di intendere e volere c’è contraddizione. Intendere e volere sono di per sé lese dall’atto. La responsabilità giuridica interviene nel momento in cui la situazione originaria è stata interrotta. Ci sono delle contraddizioni che convivono ma che si escludono. Perché se non è capace di intendere e volere non è punibile? E perché invece se è capace è punibile? Questo mettere in discussione le strutture operative dell’ordine civile è il compito che si è assunta la psicoanalisi. Adesso è un compito parallelo, il che è una contraddizione perché annulla la colpa o la pone in sede completamente diversa, che non è quella punitiva. Foucault, per esempio, non si sa come possa servire. Perché, dov’è che opera? Ci vuole la versione un po’ italianistica di Basaglia che, però, non ha fatto scuola neanche lui. Ha aperto i manicomi e lasciare all’aperto è una grande cosa ma non vuol dire intervenire nel problema. Ho avuto la disgrazia o la fortuna di vedere dei malati mentali gravi, anche in famiglia. Non si sa cosa fare. Tu agisci con la ragione su una cosa che ragione non contiene. Però non puoi rinunciare alla ragione, quindi lo punisci perché non hai altra alternativa che quella di far fuori l’oggetto del disturbo, oppure lo giudichi negativamente, introducendo la morale che non ha nulla a che fare e così via. Del resto Freud ha fatto tutta la sua campagna, altra cosa che non si sa, in contraddizione con la parallela campagna di Gross padre, che ha redatto l’elenco di tutte le malattie mentali passibili di punizione. Gross ricostruiva l’eziologia criminale, mentre, nello stesso tempo, Freud la distruggeva. E Gross figlio ne ha fatto le spese. MC.: Quindi la tua attenzione alla psicoanalisi è nata quasi casualmente. MR.: Poi naturalmente è diventata non casuale. Però anche durante la prima edizione delle opere di Freud le resistenze sono state fortissime. L’unico che partecipava al progetto era Fachinelli. MC.: Che però è una figura molto diversa. MR.: Anche di rilievo teorico. Ha scritto cose molto belle che adesso, naturalmente, nessuno conosce. Penso alla esperienza di Erba voglio,28 all’antipsichiatria. È stato l’unico che ha creduto nell’esercizio della psicoanalisi come attività civile e non solo terapeutica.
Note
19 S. Freud, Metapsicologia, in Id., Opere, 8. 1915-1917: Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1976, pp. 13-118 (Pulsioni e loro destini, pp. 13-35; La rimozione, pp. 36-48; L’inconscio, pp. 49-88; Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno, pp. 89-101; Lutto e melanconia, pp. 102-118).
20 S. Freud, Sintesi delle nevrosi di traslazione: un manoscritto inedito, a cura e con un saggio di I. Grubrich-Simitis, Torino, Boringhieri, 1986.
21 S. Freud, Progetto di una psicologia, in Id., Opere, 2. 1892-1899: Progetto di una psicologia e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1968, pp. 195-284.
22 S. Freud, L’interpretazione dei sogni, in Id., Opere, 3. 1899: L’interpretazione dei sogni, Torino, Boringhieri, 1966.
23 J. Breuer, Freud S., Studi sull’isteria, in Id., Opere, 1. 1886-1895: Studi sull’isteria e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1967, pp. 162-439; S. Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, in Id., Opere, 4. 1900-1905: Tre saggi sulla teoria sessuale e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1970, pp. 53-297; S. Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, in Id., Opere, 5. 1905-1908: Il motto di spirito e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1972, pp. 3-211.
24 S. Freud, Metapsicologia, cit.
25 S. Freud, Compendio di psicoanalisi, in Id., Opere, 11. L’uomo Mosè e la religione monoteistica e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1979, pp. 569-634.
26 M. Ranchetti, Scritti diversi, III. Lo spettro della psicoanalisi, a cura di F. Milana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2000.
27 S. Freud, Testi e Contesti, a cura di M. Ranchetti, 3. Scritti di metapsicologia (1915-1917), 5. Sulla storia della psicoanalisi. Per la storia del movimento psicoanalitico. La questione dell’analisi laica, Torino, Bollati Boringhieri, 2005.
28 Per questa esperienza, si veda il libro a cura di E. Fachinelli, L. Muraro Vaiani e G. Sartori, L’erba voglio. Pratica non autoritaria nella scuola (Torino, Einaudi, 1971), che raccoglie le relazioni e i contributi di due convegni che si erano tenuti a Milano in giugno e settembre 1970. Sull’onda del successo di questo libro nacque la rivista bimestrale «L’erba voglio», di cui usciranno, tra il 1971 e il 1977, ventotto numeri, e a partire dal 1976 si affiancherà alla rivista una collana di libri.
da https://www.ospiteingrato.unisi.it/intervista-a-michele-ranchetti-2/
Vorrei aggiungere qualche annotazione sugli esordi di Fachinelli. Ed esattamente alla sua partecipazione alla rivista “Il corpo”(1965-1968). Rivista fondata , insieme a lui, da altri intellettuali di ambiti diversi e cioè: L.Amodio, S.Caprioglio ,G.Dolfini, G.C.Majorino.
Rivista che si proponeva proprio come un sistema di “poliscritture”, che poteva anche correre il rischio ,come poi accade, di un’incomprensione ed indifferenza derivata o meglio condizionata dall’esigenza imperante(allora e anche adesso) della monotematicità nonché, probabilmente , dalla avversità al suo indirizzo. . Se facciamo una riflessione sugli aspetti sociologici dell’oggetto rivista come costitutivo di questo gruppo di fondatori, ci appare significativo proprio il suo periodo di esistenza:1965-1968. Fachinelli e gli altri , tutti unificati da un pensiero critico sociale e politico appaiono come precursori (probabilmente come tante altre iniziative simili) di quel cambiamento epocale che denominiamo ’68’. E, secondo me, non solo per i contenuti che possiamo anche considerare veramente eterogenei , quanto soprattutto dall’essersi riuniti in un gruppo unificato e orientato, più o meno consapevolmente, ad un’azione sociale comune. Con il ’68’ questa funzione si esaurisce poiché ben altri raggruppamenti e relazioni irrompono in modo travolgente. Allora ognuno andrà per la propria strada (sia pure mantenendo rapporti reciproci di forte amicizia).
SEGNALAZIONE
APPENDICE AL MIO ARTICOLO AGGIUNTA IL 24 GIUGNO 2022
Soltanto oggi sono riuscito a leggere l’intervista di Massimo Cappitti a Michele Ranchetti pubblicata su L’Ospite ingrato con data 7 del 2005. In essa Ranchetti viene interrogato anche su Freud, il movimento psicanalitico, la metapsicologia di Freud ed altro. Cioè sui temi de “Lo spettro della psicanalisi” qui sopra da me riassunti. Mi pare doveroso riportare qui questa parte dell’intervista per agevolare l’approfondimento delle questioni. [E.A.]
MC.: Più volte ricordi l’originaria intenzione della psicoanalisi di Freud, una sorta di ambizione di riscrivere la storia del mondo. Freud ha proposto la psicoanalisi come alternativa non solo alle discipline consolidate, ma anche come concorrente della religione ebraico-cristiana stessa.
MR.: A conferma di quello che tu mi fai dire, c’è uno scritto che è stato riscoperto recentemente come minuta teorica, inviato da Freud a Ferenczi, che avrebbe dovuto far parte degli scritti di metapsicologia19 che Freud aveva intenzione di scrivere e che non sono forse stati scritti e comunque non si sono conservati. Quindi del grande progetto della metapsicologia sono rimasti solo alcuni piloni senza il ponte che li rinforza e li connette. L’ultimo di questi piloni è una lettera da lui inviata a Ferenczi, all’epoca il più vicino dei suoi collaboratori. Tra l’altro, lo stesso Ferenczi aveva scritto sulla metapsicologia durante la stesura di questi testi da parte di Freud. Il testo di cui parlo si intitola Sintesi delle nevrosi di traslazione,20 che è stato pubblicato anche in italiano, alcuni anni fa, con nessuna eco, non nell’ambito dell’edizione completa di Freud ma a parte, perché ritrovato dopo. Si tratta del progetto di una ricostruzione della storia del mondo che si confronta con il progetto della storia sacra e con il progetto della storia evolutiva darwiniana con elementi tratti da Lamarck. Questo si sapeva ed è una conferma dell’intenzione, che tu mi fai dire e che io ridico con te, della volontà di essere un’alternativa radicale, non nell’ambito della sofferenza umana o della concezione stessa del dolore. È il passaggio che Freud ha sempre tentato di fare, dal caso singolo all’umanità, dove il rapporto, il confronto diretto, tra paziente e analista si allarga a tutti gli uomini, secondo scansioni che non sono più rappresentate da ere geologiche o dallo sviluppo di certi organi o dall’abbandono di certi altri, ma da comportamenti generali dell’umanità. Questa è la Sintesi delle nevrosi di traslazione. Naturalmente è indicata come una situazione aberrante perché tutta la situazione è aberrante, non si distingue da un percorso di normalità. Allora si vede proprio il tentativo rozzo, riconosciuto dallo stesso Freud come fantasioso e non fondato su nessuna prova verificabile, di scandire la storia dell’umanità in processi che si sviluppano in relazione alle fasi della malattia, come se le tipologie della malattia corrispondessero a momenti della storia. Allora la storia è la storia del genere umano, che è la storia delle malattie del genere umano, che è la storia dell’umanità. Si tratta della costruzione di un’antropologia che non è affatto connessa con uno sviluppo di tipo superiore, di tipo religioso, di affidamento, ma che contiene in sé le ragioni del proprio sviluppo, della propria modifica, della propria metamorfosi. Trovo questo di un fascino incredibile. È certo campato in aria, come si direbbe, perché non c’è nessuna evidenza, ad esempio non si può riconoscere il comportamento dell’orda barbarica nell’uccisione del padre. E io ritengo che Freud abbia avuto l’ambizione di costruire questo modello e che non sia riuscito a farlo, e che non sia escluso che qualcuno, grazie anche al ripensamento e alla riconsiderazione del suo pensiero, possa aggiungere qualche addendo a questo progetto.
MC.: Mi sembra di capire però che le resistenze maggiori provengano proprio dagli psicoanalisti. Il progetto è come se morisse con Freud, con le sue esitazioni.
MR.: Il progetto è morto con lui, ma non parlerei di esitazione. Il progetto freudiano, che è un progetto di una psicologia generale,21 è contenuto già, secondo me, nel primo dei suoi scritti che segnano il passaggio dagli scritti preanalitici agli scritti analitici o psicologici. Questo progetto non è stato pubblicato, è una minuta anche questa, comunicata però a Fliess, ed edita solo nel 1950, dopo la sua morte. Era un progetto di psicologia generale che teneva conto degli studi di neurologia che lui aveva fatto e questo avviene prima della fine del XIX secolo. Questo progetto non viene abbandonato ma trasferito nella prima delle opere di Freud, come capitolo settimo della Traumdeutung,22 dove ne recupera le tesi centrali. Poi c’è un periodo di assenza della metapsicologia. C’è l’esperienza clinica, in particolare gli studi sull’isteria, la vita quotidiana interpretata secondo il lapsus, il motto di spirito, ecc.23 Poi nel 1915, in occasione della frantumazione dell’ordo universale e quindi in occasione della guerra, quando gli equilibri consolidati si frantumano e la conflittualità non si manifesta solo individualmente, Freud24 riprende il progetto della metapsicologia e scrive alcuni di questi saggi. Che fossero un progetto generale viene dato per certo perché lui ne parla come tale con i suoi corrispondenti. Non ce la fa, nel senso che lo abbandona e lo rimanda. E siamo arrivati al 1922 circa. Poi c’è un’altra flessione, in un certo senso, durante la quale questo progetto rimane conosciuto ma non esplicitato. Poi, prima di morire, nel Compendio di psicoanalisi lo riprende e siamo nel 1938.25 Quindi non c’è mai un abbandono di questa progettazione ma la sua ripresa in chiave diversa. La mia tesi, che forse è più facile da formulare che da verificare, è che ci sia sempre la progettazione di una metapsicologia che regge l’edificio della psicoanalisi e che questo progetto derivi dall’ambito terapeutico e dalla clinica individuale, per essere una sorta di arco sopra le esperienze terapeutiche particolari. Ora, questo progetto è stato abbandonato con la morte di Freud.
MC.: Questo perché? Per la natura del movimento psicoanalitico? Intanto c’è il nazismo.
MR.: Ci sono molte ragioni. C’è una ragione pratica che consiste nel fatto che gli psicoanalisti – medici e non medici – viennesi e berlinesi appartenevano alla religione ebraica, quindi il movimento è stato distrutto dal nazismo. C’è stato un esodo, quindi, che non è stato indolore, nel senso che alcuni sono morti, in realtà molto pochi numericamente, ma gli altri non hanno potuto che trasferire armi e bagagli. Quando sono stati accettati nei paesi dove la campagna razziale non esisteva, in particolare in Inghilterra, meno in Francia, soprattutto negli Stati Uniti, hanno dovuto pagare lo scotto di non essere, come era avvenuto molti anni prima, appartenenti a una religione particolare. Inoltre, negli Stati Uniti non era permesso l’esercizio della psicoanalisi se non ai medici. Nell’ambito delle discussioni che sono intervenute prima dell’esodo, quindi prima della campagna razziale, prima del nazismo, gli americani hanno sostenuto, a differenza di alcuni europei e a differenza della volontà di Freud, che la psicoanalisi poteva essere esercitata solo dai medici. Quelli che sono andati in America, che non erano medici, lo sono dovuti diventare per poter esercitare la psicoanalisi. E l’esercizio della psicoanalisi nell’ambito della medicina è diventata una professionalità interna alla medicina stessa, che aveva come fine la cura. Non puoi inserire in una cura un progetto eversivo. Poi ci sono anche altre motivazioni. Probabilmente perché non era possibile istituire un rapporto molto stretto tra l’esito terapeutico e l’appartenenza di questo esito a un progetto generale. L’esito terapeutico non dipendeva da un ambito generale di appartenenza. E poi da resistenze di altro tipo.
MC.: Questo ha significato la dissoluzione della psicoanalisi in una tecnica.
MR.: Sì, la tecnica è l’unica cosa che presenta un minimo di interesse per l’esercizio della psicoanalisi.
MC.: Mi sembra infatti che gli psicoanalisti riflettano poco sul lavoro che fanno. Del resto leggevo quanto hai scritto a proposito di Musatti e della Società psicoanalitica italiana, la indifferenza della seconda e lo «scetticismo relativizzante»26 del primo rispetto alla proposta di traduzione di Freud.
MR.: Non interessa nulla. Del resto è una cosa che riguarda anche la cultura generale, a parte il marxismo, che non so bene cosa sia. Per esempio, quando Wilhelm Reich ha cercato di convertire Freud al socialismo nel nome della rivoluzione, Freud ha risposto dicendo: la psicoanalisi è una rivoluzione e io non devo appartenere a nient’altro che alla rivoluzione psicoanalitica. Qualsiasi “e” aggiunto è una contraddizione in termini. I grandi movimenti, a parte il marxismo, si sono sviluppati tutti in quegli anni e sono inconcepibili adesso. Ti ricordo che anche il surrealismo, anche il dadaismo avevano questa ambizione generale di essere movimento a tutto tondo, volevano rifare il mondo e tutti questi si sono esauriti con gli anni 1930 e anche prima. In realtà il grande crogiuolo è avvenuto tra il 1910 e il 1925.
MC.: Però è sorprendente quanto gli psicoanalisti rimuovano una parte come se quella riflessione di Freud appartenesse alla filosofia di Freud e loro, in realtà, si occupino d’altro.
MR.: Come se fosse possibile scindere le cose. Lo si può notare quando leggi i contributi che sono pubblicati sui giornali specialistici, dove ci sono dei riesami di casi clinici. Il conduttore della psicoterapia trasmette alla rivista il caso e una sua spiegazione del caso. Ho anche assistito a certi dibattiti su un caso clinico: sono persone intelligenti, brave e simpatiche, e non è un modo di dire, è vero. I riferimenti che fanno, però, sono di una elementarità miserabile e vanno tutti nella persuasione della necessità del contenimento della forma eversiva e del comportamento al di fuori della norma, che deve essere reso compatibile con la vita del singolo nell’ambito della famiglia o del luogo di lavoro. Tutte le punte vengono smussate in relazione alla normalità che ti permette la efficienza del singolo come padre, come figlio, come sorella, ecc. Un ribadimento dei ruoli e basta. Non hanno nessun bisogno di cercare oltre: se una persona non può dormire la notte perché ha delle difficoltà sul lavoro, o prende un sonnifero, oppure si cercherà di smussare le sue manifestazioni di aggressività in modo che possa il giorno dopo tornare al lavoro. Di più no. E ancora senti dire cose che fanno ridere, del tipo: lei è stato coccolato troppo poco da piccolo. Sarà anche vero, ma sono cose che evidentemente hanno un valore provvisorio, di contenimento e giustificazione ma non risolvono certamente il problema, non dico tanto il problema terapeutico ma anche quello della comprensione. In questo momento storico, se dici che una persona non è stata abbastanza coccolata dal padre sapendo che il padre è divorziato da anni oppure è scappato con l’amante maschile, è semplicemente ridicolo. Sono categorie interpretative che hanno lo stesso rilievo che potevano avere le categorie interpretative al momento della società tribale o del primo capitalismo, o come quelli che parlano di classe operaia adesso per risolvere i problemi del mondo: non c’è più!
MC.: Come ha reagito la comunità psicoanalitica al tuo progetto di ripubblicazione di questi scritti?27
MR.: Non ha reagito per nulla e credo sia impossibile che reagirà e sarebbe più probabile un risentimento, in senso tecnico, da parte della società culturale in generale. Questa seconda ipotesi urterebbe, e questa è la difficoltà in cui mi dibatto, con la volontà di questa comunità di fare il saggio interpretativo, l’introduzione, che è la prima cosa che ti chiedono per la collaborazione. Io dico: no, si fa alla fine e sarà di cinque pagine. Mentre è la lettura di questi testi e il contorno di testi coevi che costituiscono gli elementi del dibattito. La prospettiva filologica e interpretativa ridotta per la produzione degli strumenti di lavoro è totalmente estranea sia alla Società psicoanalitica che alla società culturale. Allora dove mettiamo Thomas Mann, che ha scritto cose molto intelligenti sulla psicoanalisi e ne è stato evidentemente influenzato? Si potrebbe parlare di questo in forma di saggio. Ma se vai a pescare un articolo di Thomas Mann su Freud trovi qualcosa all’interno di un’interpretazione e quindi non è materia primaria. La letterina di Lou Andreas-Salomé è molto meno intelligente di Thomas Mann, però quella è tessuto produttivo e non ricettivo, interpretativo. Probabilmente c’è qualcosa di prima mano nell’ambito del dadaismo e del surrealismo. C’è Erich Muhsam che aveva partecipato alla Repubblica dei Consigli in Baviera nel 1919, morto impiccato: c’è una sua ostilità verso la psicoanalisi che è forse equiparabile a un elemento primario, perché si trova su una rivista di quel tempo. Sto guardando se posso inserirlo nel progetto. O anche una figura come Otto Gross, nota molto più come anarchico, bohémien, produttore di figli con tutte le amanti, però ha anche prodotto dei materiali straordinari che non sono mai stati ripubblicati in Germania. Allora questo fa sì che i collaboratori del progetto siano tutti degli incompetenti, più o meno, non sono dei praticanti o dei medici. L’unico medico è Marco Conci, che ha chiesto di occuparsi della riedizione dei casi clinici, la cui ripubblicazione non avevo previsto, ma che, invece, sono materiali primari su cui tutti noi lavoriamo.
MC.: Freud l’hai letto abbastanza tardi.
MR.: Molto tardi e l’occasione è abbastanza pratica. Avendo perso tutti i lavori a Milano, dovendo trasferirmi qui a Firenze per ragioni di sopravvivenza, licenziato in tronco dalla Feltrinelli, avevo un rapporto di collaborazione e di simpatia con Paolo Boringhieri, che faceva parte della sinistra cristiana, pur essendo protestante e non cattolico. Allora mi sono offerto di dargli una mano per l’edizione di Freud che lui stava inaugurando, dato che sapevo un po’ il tedesco. Così ho cominciato a leggere Freud, occupandomi della revisione delle traduzioni.
MC.: È strano che nessuno psicoanalista conoscesse il tedesco. Anche perché i termini hanno una pregnanza fondamentale.
MR.: La dice lunga, come si dice. C’è una storia della psicoanalisi in Italia dove non solo Freud è stato letto direttamente poco, ma è stata esclusa radicalmente l’idea di movimento, mentre si parla di movimento psicoanalitico in Francia in parte, in Germania in parte, certamente molto in Austria, non ce n’è traccia in Italia, non sanno cosa sia, e non c’è nulla neanche in Inghilterra. La grande edizione di Freud esclude il movimento psicoanalitico come se non ci fosse. Questa edizione dovrebbe cercare di far vedere che è esistito un movimento psicoanalitico. Non a caso Freud ha organizzato i mercoledì di discussione, le associazioni, i convegni, le riviste, ha pubblicato i suoi testi con una propria casa editrice. La strategia di Freud è totalmente assente dalla storia della psicoanalisi, mentre è fondamentale. Va ricostruito questo contesto e quello al quale si contrappone. Tu fai l’opera omnia e tutto questo viene perso. Certo, non tutto è ricostruibile, però in gran parte sì. Infatti nei due volumi in preparazione c’è una precisa cronologia e una sistemazione di questi elementi. Sono ancora inediti, per esempio, i suoi giudizi sui renitenti alla leva e i suoi giudizi – anche quelli non sono editi, o meglio lo sono fuori dall’opera omnia – sul matrimonio e sul divorzio. La psicoanalisi come autorità interviene nell’esercizio della vita civile, è interessantissimo.
MC.: In questo senso si propone come un’alternativa altrettanto credibile.
MR.: Sì, altrettanto credibile fino al punto che una persona che ragiona come sei tu, e non ce ne sono tante, capisce che c’è anche una contraddizione. Quando uno ammazza la moglie allora chiamano lo psicologo – e tutto questo viene percepito come naturale e non capisco perché – per verificare se è capace di intendere e volere, e già nella verifica della disponibilità di intendere e volere c’è contraddizione. Intendere e volere sono di per sé lese dall’atto. La responsabilità giuridica interviene nel momento in cui la situazione originaria è stata interrotta. Ci sono delle contraddizioni che convivono ma che si escludono. Perché se non è capace di intendere e volere non è punibile? E perché invece se è capace è punibile? Questo mettere in discussione le strutture operative dell’ordine civile è il compito che si è assunta la psicoanalisi. Adesso è un compito parallelo, il che è una contraddizione perché annulla la colpa o la pone in sede completamente diversa, che non è quella punitiva. Foucault, per esempio, non si sa come possa servire. Perché, dov’è che opera? Ci vuole la versione un po’ italianistica di Basaglia che, però, non ha fatto scuola neanche lui. Ha aperto i manicomi e lasciare all’aperto è una grande cosa ma non vuol dire intervenire nel problema.
Ho avuto la disgrazia o la fortuna di vedere dei malati mentali gravi, anche in famiglia. Non si sa cosa fare. Tu agisci con la ragione su una cosa che ragione non contiene. Però non puoi rinunciare alla ragione, quindi lo punisci perché non hai altra alternativa che quella di far fuori l’oggetto del disturbo, oppure lo giudichi negativamente, introducendo la morale che non ha nulla a che fare e così via. Del resto Freud ha fatto tutta la sua campagna, altra cosa che non si sa, in contraddizione con la parallela campagna di Gross padre, che ha redatto l’elenco di tutte le malattie mentali passibili di punizione. Gross ricostruiva l’eziologia criminale, mentre, nello stesso tempo, Freud la distruggeva. E Gross figlio ne ha fatto le spese.
MC.: Quindi la tua attenzione alla psicoanalisi è nata quasi casualmente.
MR.: Poi naturalmente è diventata non casuale. Però anche durante la prima edizione delle opere di Freud le resistenze sono state fortissime. L’unico che partecipava al progetto era Fachinelli.
MC.: Che però è una figura molto diversa.
MR.: Anche di rilievo teorico. Ha scritto cose molto belle che adesso, naturalmente, nessuno conosce. Penso alla esperienza di Erba voglio,28 all’antipsichiatria. È stato l’unico che ha creduto nell’esercizio della psicoanalisi come attività civile e non solo terapeutica.
Note
19 S. Freud, Metapsicologia, in Id., Opere, 8. 1915-1917: Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1976, pp. 13-118 (Pulsioni e loro destini, pp. 13-35; La rimozione, pp. 36-48; L’inconscio, pp. 49-88; Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno, pp. 89-101; Lutto e melanconia, pp. 102-118).
20 S. Freud, Sintesi delle nevrosi di traslazione: un manoscritto inedito, a cura e con un saggio di I. Grubrich-Simitis, Torino, Boringhieri, 1986.
21 S. Freud, Progetto di una psicologia, in Id., Opere, 2. 1892-1899: Progetto di una psicologia e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1968, pp. 195-284.
22 S. Freud, L’interpretazione dei sogni, in Id., Opere, 3. 1899: L’interpretazione dei sogni, Torino, Boringhieri, 1966.
23 J. Breuer, Freud S., Studi sull’isteria, in Id., Opere, 1. 1886-1895: Studi sull’isteria e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1967, pp. 162-439; S. Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, in Id., Opere, 4. 1900-1905: Tre saggi sulla teoria sessuale e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1970, pp. 53-297; S. Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio, in Id., Opere, 5. 1905-1908: Il motto di spirito e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1972, pp. 3-211.
24 S. Freud, Metapsicologia, cit.
25 S. Freud, Compendio di psicoanalisi, in Id., Opere, 11. L’uomo Mosè e la religione monoteistica e altri scritti, Torino, Boringhieri, 1979, pp. 569-634.
26 M. Ranchetti, Scritti diversi, III. Lo spettro della psicoanalisi, a cura di F. Milana, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2000.
27 S. Freud, Testi e Contesti, a cura di M. Ranchetti, 3. Scritti di metapsicologia (1915-1917), 5. Sulla storia della psicoanalisi. Per la storia del movimento psicoanalitico. La questione dell’analisi laica, Torino, Bollati Boringhieri, 2005.
28 Per questa esperienza, si veda il libro a cura di E. Fachinelli, L. Muraro Vaiani e G. Sartori, L’erba voglio. Pratica non autoritaria nella scuola (Torino, Einaudi, 1971), che raccoglie le relazioni e i contributi di due convegni che si erano tenuti a Milano in giugno e settembre 1970. Sull’onda del successo di questo libro nacque la rivista bimestrale «L’erba voglio», di cui usciranno, tra il 1971 e il 1977, ventotto numeri, e a partire dal 1976 si affiancherà alla rivista una collana di libri.
da https://www.ospiteingrato.unisi.it/intervista-a-michele-ranchetti-2/
preziosi questi aggiornamenti su Freud: quello che Ranchetti ci dice fa capire molto della psicanalisi e della sua gestione, aggiunge una dimensione in più fondamentale e in un certo senso la riconnette, su questo nuovo mondo a più dimensioni, alla ricerca di Marx da un lato e dei surrealisti dall’altro, togliendoci i paraocchi che come in troppi altri casi ci avevano forzato addosso.
Poco so di Fachinelli, al di là di un incontro per fini pratici nel ’68, e non so quanto sia vero che, come dice Majorino, ci fossero elementi precursori nella loro rivista. Ma tuttavia la storia del 68 attende ancora di essere veramente scritta, nella moltitudine di influenze ed esiti, nelle correnti e nei gorghi del suo procedere. Troppo siamo stati penalizzati dalla vigliaccheria dei pennivendoli prezzolati occupati a denigrarlo (qualcuno anche gratis-peggio per lui) per aver potuto rifletterci seriamente, nè hanno aiutato storielle e memoriali di personaggi immersi nel gorgo ma incapaci di vedere le correnti.
Ancora stiamo a credere alle bufale degli anni di piombo e dei calabresi assassinati da lc come effetto del 68 senza che alcuno si alzi a smentire e gli di dia voce. E intanto Basaglia, medicina democratica, le ronde di quartiere, la libertà dei rapporti sono spariti e i travet han ripreso i loro seggiolini.
È tardi forse, ma ben vengano le nuove comprensioni.
A proposito di odio per il ’68….
SEGNALAZIONE
l’odio per il ’68.
Era una gara a chi sapeva sputare meglio sul maggio ’68. E proprio in funzione di quest’odio essi hanno costruito il loro “soggetto d’enunciazione”: “Proprio perché abbiamo fatto il ’68 (?), possiamo dirvi che era una grossa sciocchezza, che non rifaremo più”. Il rancore verso il ’68: solo questo hanno da vendere. In questo senso, qualunque sia la loro posizione rispetto alle elezioni, essi si inscrivono perfettamente nella griglia elettorale. E con un simile punto di partenza tutto tramonta, marxismo, maoismo, socialismo, ecc.; ma non perché le lotte reali potrebbero aver fatto sorgere
nuovi problemi, nuovi nemici e nuovi strumenti, bensì perché è “la rivoluzione” ad essere dichiarata impossibile, in ogni tempo e in ogni luogo. Proprio per questo tutti i concetti che cominciavano a funzionare in modo molto differenziato (i poteri, le resistenze, i desideri, persino la “plebe”), divengono nuovamente globali, granitici nell’unità senza senso del potere, della legge, dello Stato ecc. Anche il Soggetto pensante torna sulla scena, poiché per i nuovi filosofi l’unica rivoluzione
possibile è l’atto puro del pensatore che la pensa impossibile.
Ciò che mi disgusta è molto semplice: i nuovi filosofi danno corpo ad una vera e propria martirologia: il Gulag e le vittime della storia. Vivono di cadaveri. Hanno scoperto, insomma, la funzione-testimoni, che fa tutt’uno con quella di autore o di pensatore. Il fatto è che non ci sarebbero mai state vittime se queste avessero pensato o parlato come loro. In tutt’altro modo hanno dovuto pensare e vivere le vittime per fornire materia prima a chi piange, riflette e dà lezioni in loro nome. Chi rischia la vita è proprio in termini di vita che generalmente pensa, e non di morte, amarezza e carezzevole vanità. Chi resiste è innanzi tutto un “vivente”. Nessuno mai è stato
imprigionato per la propria impotenza e il proprio pessimismo. Dal punto di vista dei nuovi filosofi, ci sono state vittime perché ad esse era sfuggito ciò che invece loro hanno capito. Se facessi parte di un’associazione, sporgerei querela contro i nuovi filosofi, perché disprezzano un po’ troppo gli abitanti del Gulag
(da Gilles Deleuze, Contro i “nuovi filosofi”, in MILLEPIANI n° 32 – DISSENSO – Per un’ecologia materialista, Eterotopia, Milano, 2007
http://effimera.org/wp-content/uploads/2016/07/Gilles-Deleuze_MILLEPIANI32.pdf)
Un’altra mia lettura in ritardo. E’ un fondamentale e nitido ritratto della figura di Michele Ranchetti. E aggiunge ulteriori approfondimenti sui punti che ho sfiorato riassumendo ” Lo spettro della psicanalisi”…
SEGNALAZIONE
“un outsider che interviene, non fa testo, e poi se ne va…”: Michele Ranchetti (1925-2008)
di Paola Di Cori
http://win.ospiteingrato.org/Interventi_Interviste/Ranchetti.html
Quando la via mistica
pare deterministica…
Non gli restava, allora, che la via della mistica, dell’estasi, dell’abolizione dell’io, per accogliere “l’ospite interno”, l’intruso, per ritrovare infine se stesso fuori di sé, nel mondo. (F. Ferrari)
SEGNALAZIONE/ SU ELVIO FACHINELLI
https://antinomie.it/index.php/2022/09/05/estasi-e-psicanalisi-su-elvio-fachinelli/