Narratorio
di Ennio Abate
In una notte piovosa. C’era uno omino con una testa grossa che, mentre correva, perdeva pezzi del suo corpo.
Perse dapprima un piede. Poi la mano, mentre il fascio di luce di un lampione (che subito dopo si spense) gliela illuminò, squarciandola).
Biancore tremendo. Si sentì l’inizio di una musica: un andante disperato. Un cane latrò. La musica si arrestò.
L’ombra dell’uomo che correva – aveva perduto ormai tutto il petto, cuore compreso – schizzò davanti a lui.
Fermati, ti prego! – gli disse – Non sei più quello di una volta.
Fatti in là, maledetta – sibilò l’omino – Non mi hai voluto coprire quando avevo freddo. Adesso vattene!
Passavano alcuni giovani. Uscivano da un cinema discutendo della trama del film appena visto. Esprimevano impressioni bambinesche e se le ributtavano addosso l’un con l’altro. Ad alta voce. L’omino voleva intervenire. Aveva visto anche lui quel film.
Ormai, però, aveva perso quasi tutti i suoi pezzi. La sua testa tonda stava finendo di rotolare verso un muro in fondo alla strada. Il suo occhio, prima che la testa si fermasse dolcemente sul ciglio del marciapiedi tra mozziconi di sigarette e cartacce colorate, staccandosi saltellò oltre sull’asfalto come una biglia .
Ennio, il disfacimento…
La fine
Oggi più che mai
Solo l’ombra ci rende concreti, il corpomateria non ci è trasparente. Il biancore tremendo (che subito dopo si spense) ci priva della dimensione vivente.
un ometto tra il buffo e il tragico che, nella corsa, perde pezzi come un burattino non ben assemblato…La pioggia sembra assumere luci e suoni di una vera tempesta: lampi di un “biancore tremendo” e tuoni sinistri, simili a musica disperante e latrati…Prima di disfarsi del tutto l’omino riesce a litigare anche con la sua ombra. Solo un occhio-biglia dalla visione piuttosto inquietante, a 360 gradi, svicola e sembra salvarsi…
Parliamo spesso di io e di noi da raggiungere, ma quanto è separato anche l’io?