di Ennio Abate
Si sedette. Quando distese le gambe, s’accorse che erano flosce. Sprofondò nella sedia traballando. Il tavolo davanti a lui gli parve subito gigantesco, un bianco lenzuolo da ospedale. Ora a scatti ora frusciando anche il traffico sulla vicina tangenziale era penetrato nel battito sordo del suo petto.
In fondo al tavolo – una mosca impaurita – lo studente da interrogare. Trafficava con le mani. Tutto il corpo, specie le braccine tremavano. E gli occhi inquieti, scatenati in movimenti incontrollati – cosa vedevano? ma guardavano davvero? – , si paralizzarono aspettando la frusta della voce del commissario.
Nel porre la prima domanda, invece, il commissario d’italiano aveva cercato di addolcirla la voce, di eliminare ogni tono grave. Abbassò diverse volte lo sguardo. Finse pure di cercare un foglio fra le carte e i libri. E parlottò benevolmente con la collega che gli sedeva accanto. Sperava di mostrare così la sua disponibilità. Non voleva apparire severo.
La mosca, laggiù, pareva catturata dalla stessa paura che il commissario a stento mascherava. Che pena. Anni di studi. Eppure la paura veniva fuori. Inaspettata. E cancellava il lavoro fatto in precedenza per evitarla. Il commissario aveva costruito un muro là dove credeva che dovesse apparire. Ma la paura spuntava da un altro angolo. Studiare, aveva studiato. Aveva arrancato volenteroso su e giù, ad est e ad ovest. Su tutti gli argomenti. Su tutti quei tesori di letteratura, filosofia e scienze. I mille colori delle opere d’arte. Il sangue delle lotte sociali e politiche. Di vari paesi lontani e vicini. Erano come dietro un vetro opaco ora. Impenetrabili e indecifrabili ora. Ma la paura rendeva tutto uniforme e informe. Egli ripeteva un inizio di discorso. Stentava a continuare. Arrancava su quel vetro. Zampettava su quel punto. Eppure s’era appassionato. Aveva provato confidenza e piacere a studiarseli quei libri.
Il commissario, fatta la domanda, stava immaginando il percorso da seguire per dare una buona risposta. La sua mente esplorò un’immagine artistica del secolo in questione, incontrò i corpi carbonizzati dopo quella battaglia, si appartò un attimo per seguire i languori degli amanti. Di fronte al mutismo paralizzato dello studente, però, quella varietà di tempi e spazi, di uomini e cose, di armonie e scontri, d’inerzia e velocità, presto svanì anche per lui. Il commissario, senza capire come, s’appiattì. Il corpo gli si irrigidì. Il respiro cominciò a mancargli. Le immagini prima vive e varie si confusero. Sobbalzò, gelando. Dov’era?
La collega continuava a sorridergli accanto. Anzi intervenne con un piccolo suggerimento. Mostrava competenza e lucidità. L’altro commissario, quello delle materie scientifiche, per alleggerire la tensione, indicò bonario alcuni errori – incredibili! – fatti dagli studenti durante la prova scritta.
Nessun dubbio. Stava qui. Al di qua del vetro. Nel mondo dove c’erano temporali ed estati luminose, rumori e odori ben distinguibili, respiri, desideri ammessi e tensioni sotterranee, ma afferrabili. Eppure il gelo lo riprese. I suoi nervi si tesero. Aspettò un loro scatto incontrollabile. Mentre i colleghi continuavano a vantare la severità dell’esame di maturità d’una volta, imparagonabile con l’attuale, che era una burletta.
Il commissario d’italiano si appiccicò dall’altra parte. Sullo stesso vetro opaco dove lo studente si dibatteva. La mosca angosciata giù in fondo al tavolo era lui. Si rivide in un mattino d’estate di tanti decenni fa. Era stato il primo ad essere interrogato in italiano all’esame di maturità. Nessuno dei suoi compagni di classe era ancora arrivato. L’aula era vuota ma l’esame era iniziato all’ora fissata. Si era seduto sulla sedia, traballando. Di fronte a lui, separato dal tavolo, un commissario d’italiano. Sguardo freddo. Un tono militare e tagliente nella voce. Gli aveva fatto leggere i primi versi de I sepolcri. Studiati, studiatissimi. S’era ammutolito. Non ricordava più nulla. I pensieri si erano disfatti nel battito affannoso del cuore.
un bel racconto kafkiano con la mosca professore e la mosca studente a confronto che si ritrovano nella stessa sutuazione di panico ad agitare invano le alucce sul vetro: “Sprofondo’ nella sedia traballando…Tutto il corpo, specie le braccine tremavano…”
Il vetro un materiale micidiale, ti lascia vedere l’obiettivo anelato e nello stesso tempo ti respinge piu’ di un solido muro, un supplizio di Tantalo. Cosi’ si dibattono, senza trovare via d’uscita: insicurezza, negazione di sè, un sentimento di fallimento fatale ed anche una forma di ribellione…Si cade nella trappola del silenzio impotente…a volte a reagire è anche peggio. Il prof poi rivive nel ricordo una situazione analoga, ma rovesciata…C’è, tra le componenti, anche il rifiuto del momento dell’esame, in effetti profondamente lo contestiamo: il merito, e oggi se ne parla, è qualcosa che spesso sfugge alle rigide, o interessate, tabelle di valutazione…