Konrad Dietrich, i grandi navigatori (2018)
di Angelo Australi
Questo racconto è stato pubblicato una prima volta con le edizioni del Circolo letterario Semmelweis nel 1995, con una prefazione di Giorgio van Straten, e una seconda volta nel 2018 con nota di Francesco Luti. La tiratura del CLS, ormai da tempo esaurita, era di 500 copie numerate, mentre nel 2018 è uscito in forma quasi di libro d’artista con appena 64 copie. Durante questi anni si è fatto tanti amici, ma ogni volta che lo rileggo sento il bisogno di condividerlo ancora con nuovi lettori. So che non è possibile, ma vorrei che fossero milioni, miliardi … questi lettori.
Non era normale vedere una donna venirci incontro camminando come i gamberi, cioè volgendoci la schiena e guardando all’ingresso del cimitero come fosse lo schermo di un cinema. Scoccate le cinque di pomeriggio il buio si creava fitto, nonostante a pochi metri da noi vi fosse un lampione che illuminava la strada. Fui colto di sorpresa da quell’immagine, stavo parlando con Salamandra dei grandi navigatori che in altri tempi avevano scoperto nuovi continenti. La discussione era vivace, non per niente facevano l’album delle figurine di Cristoforo Colombo. Sul muro in pietra dei sottili fili di ghiaccio scendevano dal muschio e dalle piante secche dei capperi che sfioravano il marciapiedi. Mancavano solo pochi giorni al Natale e la disinvoltura di Salamandra a stare in quel corto giubbotto mi lasciava costernato. Perché sentivo freddo al mattino, per andare a scuola, avevo indossato i pantaloni sopra il pigiama, fatto colazione appoggiato alla stufa a cherosene che avevamo in cucina, con l’odore di combustibile che confondeva la testa nel profumo del latte e dei biscotti.
Malgrado il freddo pungente la donna non cambiava atteggiamento, e Salamandra nel cercare di farmi coraggio disse che era una disgraziata che ha smarrito la memoria.
– Vuoi dirmi una pazza?
– Non sono sicuro al cento per cento, forse ha un attacco di disperazione perché le è morto il marito.
Dietro il viale con la ghiaia l’ombra dei cipressi creava uno spessore di oscurità già consistente e quei lumi delle tombe apparivano come le luci di un paese di collina osservato nella notte da una certa distanza, ordinate in uno strano reticolato di linee in stretto rapporto con il buio che ne uniformava i bagliori. Si stava tornando dall’officina di un meccanico amico di suo padre, dove Salamandra chiedeva in prestito gli arnesi per smontare e rimontare un vecchio motorino senza mai sentirsi soddisfatto dei risultati.
Sotto il cappotto logoro, che scendeva sulle caviglie come la tonaca dei preti, la donna aveva due spalle secche e rientrate. Incrociò le mani dietro la schiena, oscillando rigidamente alle vibrazioni che il corpo subiva dai passi. Su questa scena mi ero bloccato, non trovavo in nessun modo la forza di reagire. A parte il sorriso ironico di Salamandra, dal contatto sulla spalla sentivo che la mano gli tremava a cento all’ora. Lo guardai serio per fargli capire che non credevo al suo coraggio.
– È una morta resuscitata, Salamandra! Il suo cappotto sembra ripescato da una fogna, neppure in Biafra sono così alla disperazione.
– Secondo mio padre i morti fanno un capitolo chiuso; tanti disgraziati vanno in pezzi dallo sconforto che provano, mentre i morti hanno smesso di mangiare, di bere e di piangere. .
– Non può trattarsi solo di una scalognata, … cammina all’indietro, … sul viale del cimitero.
– Invece credici, … si tratta semplicemente di una tipa stramba.
– Da dov’è entrata allora, che il cancello è chiuso!
– Non avrà sentito la campana che suona il becchino.
– Sicché è rimasta chiusa dentro il cimitero? Ti sembra ragionevole quello che stai dicendo, Salamandra?
– Chissà quante volte è capitato che qualcuno non ha sentito l’avviso di chiusura!
– Per me invece è resuscitata dalla tomba! Altrimenti perché non accenna a chiamarci, non chiede aiuto? Si sta solo avvicinando, e cammina all’indietro in un luogo davvero poco rassicurante.
– Sarà muta, vedrai.
Per Salamandra erano le solite fantasie che raccontavo per fargli paura, quindi non avrebbe più favorito quel macabro gioco.
Gli ribadii con forza quello di cui ero fermamente convinto, che essendo morta da pochi giorni, ancora non si rassegnava a lasciare il nostro mondo.
– Ho come il presentimento voglia dirci qualcosa.
– Porca miseria, Spartaco! … Smetti d’immaginare quello che non c’è.
Niente case in quel tratto, l’unico legame tra il Borgo dove abitavo e il paese era dato dai muri in pietra, costeggiavano la via pieni di ragnatele prigioniere del gelo, sfilando senza mai interrompersi verso l’incrocio che poi dal corso portava alla piazza circondata dai portici, dove al centro c’era una grande statua raffigurante la patria, dedicata ai caduti della Grande Guerra. Provai a pizzicarmi più parti del corpo, così avrei scoperto se quella donna era uno dei tanti scherzi che ci destina l’immaginazione.
Trascorsero un po’ di minuti, con noi lì, che immobili e allibiti sentivamo di subire un incantesimo che toglieva ogni energia. Poi la strada si animò con gli operai usciti dalle fabbriche. Macchine, motorini, gente in bicicletta e a piedi, suoni di risate, voci che si sovrapponevano sui commenti di calcio, visto era un lunedì. La donna, come se finora si fosse servita della retromarcia, invertì il passo e scomparve nel buio, oltre i cipressi del vialetto. Subito pensai che fosse sbucata dal nulla con tanta leggerezza per lanciare un messaggio o, peggio ancora, per portarci via, ma poi l’improvviso movimento di gente l’ha costretta a svanire come risucchiata da un impianto di aspirazione; se aveva un messaggio per noi, purtroppo sarebbe tornata a farsi viva. Un fatto più o meno analogo ricorreva a volte nei racconti leggendari di mio nonno Rutilio, allora informai Salamandra che ci saremmo sentiti più tranquilli se sull’accaduto si ascoltava anche una sua interpretazione. Forse avevamo preso un abbaglio, anche se in effetti non si può dire che il sole ci avesse riscaldato la testa, riguardo al regno dei morti era giusto togliersi subito ogni dubbio. Meglio non prenderla troppo alla leggera con questi segnali provenienti dall’aldilà. Per questo il nonno sembrava la persona adatta, era vecchio e da quanto parlava della sua morte vicina, doveva starci in una certa confidenza.
Ci buttammo in una corsa pazza, e raggiunte alcune persone ci sentimmo al sicuro da ulteriori sorprese. Nella corsa parlavo dell’enciclopedia a fascicoli di mio nonno, che spesso mi prestava per fare le ricerche di scuola: lì forse avremmo trovato le spiegazioni al nostro caso. Salamandra pensò che gli proponessi una gara e si impegnò a darmi un vergognoso distacco. Alzai la voce perché mi capisse, ma i dolori alla milza mi costrinsero a desistere.
Vidi che mi aspettava addossato alla porta di casa mia, così mi fermai a riprender fiato. Quando lo raggiunsi ebbe la faccia tosta di chiamarmi lumacone, io per dispetto gli sputai sulle scarpe. Se il nonno non fosse sceso in quel preciso momento, ci saremmo senz’altro picchiati. Non era la prima volta, e potevamo stare anche dei giorni senza rivolgerci la parola.
Il nonno si appoggiò al muro, dedicandosi a osservare il passare della gente, con il solito cappello in testa sembrava prepararsi a distribuire saluti e sorrisi, e magari intavolare una discussione con qualcuno che non aveva fretta di rientrare a casa.
Lo aggredii esponendo il fatto che ci era capitato tra capo e collo, ma lui si strofinò il naso e disse che avevo una bella faccia tosta a riferirgli come vere certe fantasie. Mi sforzai di essere convincente, infine gli ricordai quella storia alla quale lui spesso si riferiva, in cui avevo sempre creduto. Se la sua era vera, perché non poteva esserlo anche la nostra?
Aspettavo un’impippiata di certezze e lui prima di rispondere staccò la sintonia per alcuni secondi.
Voci ovattate giungevano dai fondi dove ancora i cestai protraevano l’orario di lavoro con l’ausilio della luce elettrica, mentre io guardavo fisso il nonno, convinto che avesse una formula per i dubbi sul mistero della vita e della morte la strana figura di donna poteva avermi lasciato. All’improvviso sorrise e mi arruffò i capelli, allora la tensione si sciolse e presi a tartassarlo di domande senza però offendere la sua pazienza. Ci disse che in fatto di apparizioni ai suoi tempi poteva compilarci un’enciclopedia, ma la donna da me descritta camminava all’indietro e non rientrava in nessuna categoria, era quindi una spudorata menzogna, non esisteva un nesso tra le vecchie storie e questo mio racconto.
– Non è possibile nonno, che almeno una volta ci sia qualche variante nel desiderio dei morti di tornare sulla terra?
– Quando appaiono ai vivi chiedono una preghiera o ti danno dei numeri da giocare al lotto. Ti mandano dei segnali.
– Allora può esserci qualcosa anche in quel camminare all’indietro.
– Non so proprio che segnale può starci in questo suo modo di apparire.
– Stava dentro il viale d’entrata al cimitero, con il cancello chiuso.
– Per me è solo un abbaglio.
Intuì che questa verità lasciava la bocca amara e si allontanò in modo precipitoso. Lo rincorsi per lanciargli dietro altre domande, ma lui non sentì o fece finta.
* * *
Dopo che il nonno si era allontanato sedemmo sconsolati sulla soglia di casa mia. È vero, ogni tanto ci guardavamo intorno nel timore di ritrovarci davanti le spalle scheletriche di quella donna, ma eravamo più tranquilli e la discussione scivolò senza intoppi.
– I pazzi forse lo sanno di preciso.
Salamandra parlò tra i rumori di un motorino che aveva la marmitta sfondata, ma lo capii ugualmente.
– Perché Salamandra dici codesto?
– Loro stanno sempre soli, dai grandi navigatori a spasso che sono. La morte è che si sta soli.
Gli risposi deciso che questa conclusione non mi piaceva. Salamandra chiese di dargliene un’altra, se l’avesse trovata di suo gusto era pronto a farla sua. Giurò. E quindi mi fece capire che sotto giuramento non potevamo più scherzare a inventarci delle ipotesi pur di avere ragione. Ora si faceva sul serio, e questo era uno dei nostri giochi di sincerità. Rimasi muto. Nella mente mi maturavano varie ipotesi, ero convinto che fossero giuste almeno quanto la sua, ma non riuscivo ad esprimergli chiaramente ciò che stavo provando.
Nonostante la mia ostinazione, lui cercò di spiegare perché una tale solitudine fosse così brutta.
– Si può essere dei grandi navigatori scemi, ma si è sempre soli. Non hai mai letto che le stelle sono a una lontananza che non ci si può neppure immaginare? Per raggiungere il nostro sole non basterebbe tutto il tempo che l’uomo ha vissuto dall’epoca degli etruschi fino ad oggi, e sei comunque fregato perché ti arrostisce appena hai percorso un decimo della distanza. E le stelle sono tante e tante, non c’è solo lui. Pensa, bisognerebbe fare un salto che sconquassa il tempo, per toccare sul serio il cielo buio e senza nuvole dell’universo, e allora questa situazione in genere può pensarla solo un pazzo. Capisci? … Un tipo tutto immaginativo. Ma i grandi navigatori secondo me ci sono di due razze: una è quella dei pazzi, i Cristoforo Colombo l’altra. E gente come Cristoforo Colombo, tu lo sai meglio di me che doveva valutare ogni secondo il rischio di lasciarci la buccia, viaggiando e viaggiando negli oceani senza confini conosciuti, perché alla fin fine era solo una sua convinzione che la terra fosse tonda, e che a forza di girare si raggiunge il luogo che ci siamo proposti. Si è soli, ma è un’altra cosa rispetto ai pazzi. All’età di mio padre vorrei tanto essere un grande navigatore, per scoprire a modo mio che la terra è tonda.
Così si esprimeva Salamandra, uno degli amici di cui mi fidavo ciecamente, mentre senza più timori e amarezze aspettavo l’ora di cena con la preoccupazione di veder spuntare all’improvviso quella strana donna che camminava all’indietro come i gamberi. Non capivo molto le sue idee, ma quell’entusiasmo nel parlare sembrava musica. E comunque nella vita giunge sempre un momento che le storie sentite dire le abbracci in pieno come esperienze che hai vissuto, magari per caso. A volte passa del tempo in cui queste frasi, queste parole, risuonando in una testa vuota o distratta, galleggiano nell’oblio, ma poi esplodono con chiarezza in tutta la loro forza. Salamandra morì a vent’anni. Fu investito da un camion mentre con la moto azzardava un sorpasso in curva. Quella moto con la quale trovò la morte, lui stesso ne aveva truccato il motore perché fosse più veloce. Dopo le medie era diventato un ragazzo per certi versi intrattabile, lo incontravo la sera al bar ancora con la tuta da meccanico, gli offrivo il caffè, ma non parlavamo più di cose importanti che ci avrebbero fatto crescere. Di meccanici in gamba come lui al paese non se ne sono più avuti. Nessuno è bravo come Salamandra, si dice tra quelli della mia generazione, perché a lui i motori parlavano.
Lo stesso anno dell’incontro con la pazza o con la donna morto, come tutt’ora preferisco chiamarla, ci fu l’esame di terza media e Salamandra venne rimandato a matematica e francese. Lo vidi piangere davanti ai professori che lo avevano interrogato agli orali, mentre supplicava di essere promosso a giugno. – Non continuerò gli studi – disse tra le altre cose, – ho già il lavoro assicurato presso l’officina di un meccanico.
Figline Valdarno, marzo 2023
Come tutti i racconti di Angelo Australi, anche questo è una costellazione di simboli, in tal caso mitici: la donna gambero, il Salamandra, il cimitero-porta, il nonno-Tiresia, ecc… All’inizio i simboli sembrano distanti, slegati, poi si uniscono pian piano lungo la storia in costellazione; e acquistano la loro configurazione e il loro senso. Forse, qui, tutto converge proprio nel destino tremendo del Salamandra, Achille di provincia. Tutto ciò fra i rumori, gli odori, i colori, appunto, della provincia toscana, filigrana inconfondibile del narrare di Australi. Provincia mitica.
un racconto straordinario, mi ha emozionato moltissimo riuscendo a disseppellire nei miei ricordi sepolti quello stupore intatto davanti a eventi prodigiosi, ai confini tra la vita e la morte, come l’ entusiasmo di grandi navigatori della conoscenza che nell’infanzia o adolescenza si manifesta(va) in dismisura…Forse oggi molto meno con le distrazioni elettroniche che confondono cervelli e cuori dei giovani…
La distinzione dell’amico di Spartaco, Salamandra, tra navigatori pazzi e calcolatori mi ha molto colpito, chiaro che lui sentiva di rientrare nella prima categoria…A volte adulti poeti riescono a mantenere viva la dimensione assoluta dell’immaginazione, che non è astratta, mi sento di ricordare l’Ulisse dantesco del folle volo e L’Infinito di Giacomo Leopardi…Infatti questo racconto è scritto in una prosa poetica, che sa curare ogni dettaglio concreto dell’ambiente dei due grandi amici, nella provincia, quella di tutti, che a volte non sa dare valore a grandi bambini pensatori che crescono nell’ombra, eppure li nutre proprio proprio nella solitudine dei loro vissuti…E’ anche un grande omaggio all’amicizia…Un racconto chedavvero dovrebbe raggiungere milioni, miliardi di lettori, come le stelle…Grazie Angelo
Cari Annamaria e Daniele,
per ringraziarvi rispondo con questa breve nota di Ottavio Cecchi del 1996: … Devo dire subito e senza giri di parole che il racconto mi è piaciuto molto perché sfugge all’uggioso realismo e affronta un certo “fantastico”, come posso dire, venato di “nero”.
In breve, il soprannaturale irrompe nella legalità quotidiana come allucinazione e come presentimento.
Affascinante scritto senza coerenza e senza capo né coda, eppure si arriva fino in fondo in un baleno. (in)Consistenza della letteratura. Quasi un film: in cui appaiono scene irrelate focalizzate per un istante senza tempo. Il protagonista inquietante è forse il nonno, che emerge a un tratto e presto scompare. Spartaco, poi, è l’addetto alla proiezione, con la pellicola che gira, e gira.
Complimenti!
Vero, “Quasi un film” dove si condensa il poche pagine il destino di Salamandra, personaggio come sempre inventato, ma che raccoglie alcuni spunti dal reale.
Grazie Cristiana della lettura.