– Oggi è il 25 aprile. Vieni alla manifestazione per la Liberazione?
– No.
– E per quali ragioni?
– Leggi queste pagine dello storico Claudio Pavone e capirai.
– Grazie. Le leggerò.
Scusa questa mia intromissione polemica. Uno storico come te dovrebbe distinguere tra trattazione dei temi da parte degli storici e i cliché propagandistici dell’ uso pubblico della storia. In questo caso non lo fai. Anzi confondi le acque. Avresti fatto meglio a confrontarti con le tesi che Claudio Pavone svolse in «Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza» e magari a mettere in discussione – argomentando – la sua distinzione all’interno della Resistenza delle tre guerre (patriottica, civile, di classe). Invece, taci sulla guerra di classe e ridicolizzi – banalizzandole – quella patriottica e quella civile.
E così la geopolitica (o forse sarebbe meglio dire l’ideologia della geopolitica, che rende eterni e insuperabili i rapporti di forza tra dominatori e dominati) ti aiuta a sbarazzarti della concretezza della Resistenza (italiana e europea) che Pavone, invece, ebbe il merito di mettere in primo piano nel suo libro offrendo una ricchezza di dati per me sbalorditiva. Mi pare che tu riduca la storia quasi solo all’aspetto militare, abbandonandoti al fascino discreto per le « titaniche macchine militari di cui disponevano Berlino e Washington», e confermando così la tesi – questa sì classica – della Destra: «Chi ha sgomberato la penisola dai crucchi sono stati 200’000 yankee in possesso di armamenti ed equipaggiamenti che non ci si poteva nemmeno sognare, forti di linee rifornimenti letteralmente illimitate : liberavano un territorio in vista di una sua inclusione nel proprio ordine geopolitico atlantico in qualità di grande e irrinunciabile satellite mediterraneo» .
Quanta astrattezza scolastica poi nella tua definizione di guerra civile! Scrivi: «l’espressione “guerra civile” sta ad indicare un conflitto INTERNO ad uno stato sovrano, nel corso del quale due fazioni armate, LIBERE ed indipendenti (pur occasionalmente appoggiate da qualche potenza straniera) si scontrano sinché non ne emerge un vincitore». Che è un modo per ribadire, senza dirlo esplicitamente, che la storia la fanno esclusivamente i dominatori: «Codeste forze straniere per i PROPRI interessi (gli uni far sopravvivere il proprio reich creando uno sbarramento sull’Appennino, gli altri guadagnarsi un super satellite nel cuore del Mediterraneo) combattono senza esclusione di colpi, avvalendosi della popolazione autoctona, estremamente utile per la conoscenza del territorio nonché potenzialmente coscrivibile come truppe di supporto». Dimentichi che quella guerra civile di cui parlò Claudio Pavone, è qualcosa di inedito e sfugge alla tua (astratta) « definizione di “guerra civile” in senso proprio»:
(Leggi almeno le pagg. 221-225 del suo libro, che non riesco a copiare ora).
Ridurre poi – nientemeno! – il partigiano combattente a «colui che supporta, [che] rende una grande servigio al proprio condottiero, il che però non fa di lui a sua volta un “condottiero” (!) : piuttosto ne fa un ottimo SCUDIERO» significa cancellare quanto fosse contradditorio il rapporto partigiani-alleati:«Dagli Alleati, dunque, non si poteva prescindere, ma occorreva mantenere di fronte a essi autonomia e dignità, differenziandosi anche in questo dall’atteggiamento dei fascisti verso i tedeschi» ( Pavone, pag. 193). E, soprattutto, la consapevolezza – magari minoritaria ma non per questo da trascurare – dei rischi del “doppio legame” con gli Alleati: «Compare […] in qualche scritto lungimirante, una preoccupazione più profonda, anche se frenata dall’entusiasmo per l’alleanza tra le grandi potenze che stava prostrando il nazifascismo: la preoccupazione che l’Europa e il mondo di domani sarebbero stati governati da un direttorio di vincitori. Era il vecchio tema, caro a Rosselli, dell’autonomia internazinale dell’antifascismo, che qui cantava il suo nobile e preoccupato canto del cigno.
Emilio Lussu aveva fin dal giugno 1943 ritenuto “ben difficile che l’occupazione angloamericana del suolo nazionale po[tesse] permettere una libera azione politica”; e, dando una delle poche prove di prove di previsione realistica dell’assetto postbellico, aveva aggiunto: “Il peso che le grandi nazioni vittoriose eserciteranno sull’Europa continentale sarà per se stesso immenso in ogni campo: dipende da noi non contribuire a renderlo eccessivo”. Gli italiani, infatti, avrebbero avuto soltanto una “libertà di secondo grado, sorvegliata e misurata”» ( Pavone, pag. 205).
Alla fine mi vien da dire: Sì, i partigiani sono stati (e noi che abbiamo imparato da loro siamo ancora) servi (non scudieri soddisfatti!9, ma, come diceva Franco Fortini, «scegliersi una morale di subordinato, di servo[…] con quel tanto di equivoco e magari di ripugnante come l’invidia, il rancore, l’intenzione di dominare umiliandosi) che ogni morale di servo comporta […] è, da noi, meno immaginaria di una da signore; almeno per chi viva alla periferia dell’Impero». E – aggiungeva – soprattutto «di un servo non ci si può mai fidare; e questa è grande superiorità, la cui rinuncia non consiglio a nessuno».(F. Fortini, Avere ragione, pagg. 102-103 in Insistenze , Garzanti, Milano 1985). Ed io, ancora oggi, mi sento di aggiungere che, avendo chiara la propria condizione e non identificandosi immaginariamente coi dominatori (coi signori), si salva sempre la possibilità di partecipare nella storia alla scommessa che fecero quelli della Comune di Parigi, della rivoluzione del 17 in Russia, del ’68-69. Finirà ancora male? Ma vale la pena provarci, no?
Per quanto la nostra storia nel dopoguerra sia stata condizionata dal trattato di Yalta e dalla spartizione dell’Europa (e non solo) in zone di influenza, la memoria profonda della resistenza ha continuato a operare nelle generazioni successive, nelle lotte sindacali e politiche, nella libertà innestata nella coscienza di ognuno, che si manifestava nella ricca vita democratica come anche nei terribili confronti che hanno segnato quegli anni.
Stamane ho sentito che non so che storico o politico americano o inglese disse che il martello delle truppe alleate aveva l’incudine dei combattenti della resistenza.
Certo, il martello picchia, ma l’incudine, appunto, resiste.
E resiste ancora.
Buon 25 aprile a tutti. Con la lettera di oggi sul Corriere Giorgia Meloni si è dimostrata più intelligente di molti suoi colleghi di partito, proponendo una versione revisionata della Resistenza e anche della storia repubblicana, in cui ci sarebbe un MSI impegnato a traghettare milioni di italiani verso la democrazia. Infine i valori della Resistenza si realizzano, secondo la Presidente del consiglio, difendendo la democrazia a Kiev e dunque tramite la guerra. In decenni passati un simile discorso avrebbe portato all’isolamento politico dell’esponente che lo avesse fatto, oggi non è più così e non per il contesto italiano ma per quello europeo. Molto opportunamente dal suo punto di vista, infatti, Meloni cita la mozione del parlamento europeo del 2019, voluta da popolari tedeschi e reazionari polacchi, in cui si equiparano nazismo e comunismo e si stabilisce l’origine della seconda guerra mondiale nel patto Ribbentropp Molotov e dentro questo paesaggio ovviamente si colloca perfettamente l’operazione di Meloni, che sfiora ma non ha il coraggio di seguire l’indicazione di Fini di riconoscere l’antifascismo quale matrice della democrazia italiana. Soprattutto non bisogna illudersi, quella mozione e questa lettera tratteggiano bene il clima che è dominante in Europa e lo sarà dopo la guerra: un clima di revisionismo generalizzato in cui vivranno un revival idee, magari in una versione rimasterizzata postmodernamente, che credevamo essere del tutto passate.
Credo che oggi ognuno dei miei amici su FB abbia festeggiato una cosa diversa.
Alcuni hanno festeggiato la liberazione del fascismo, altri da tutte le dittature, altri la democrazia e le promesse della Costituzione repubblicana, altri più che la liberazione hanno festeggiato le libertà, altri ancora i diritti, ma tra questi alcuni i diritti civili e altri i diritti sociali, altri ancora la limitazione del potere dello Stato, altri invece delle tutele statali, alcuni hanno collegato questo giorno alla solidarietà all’ucraina, altri invece all’idea di pace. Alcuni hanno attirato l’attenzione sul fatto che fascismo e comunismo sono indistinguibili, altri invece che dell’antifascismo fa parte come componente fondamentale il comunismo.
Basta scorrere FB, avendo amici appartenenti ad aree diverse, e si trova di tutto.
Questo riguardo alla parte più ideologizzata. Per la grandissima parte del paese è stato solo un giorno di vacanza, e l’unica cosa per cui essere grati è questa.
Può essere brutto, ma bisogna essere seri, per amore del paese, per non sprofondarlo in una retorica vuota, bisogna iniziare a guardare in faccia la realtà.
Per reiniziare bisogna avere il coraggio di guardare il nulla che ci sta di fronte, il nulla che abita il reale oggi.
Bisogna avere il coraggio di dire che oggi si è festeggiato un equivoco.
È doloroso dirlo, ma qui siamo.
L’equivoco è forse solo un rilancio: le diverse intenzioni e idee nel celebrare la festa rendono reale il conflitto, un conflitto molteplice tra interessi e coperture, tra disinteresse e profittare, tra leggerezza e intenzioni. Se appena appena la vita politica fosse un poco più vivace (ma forse ormai siamo presi in un loop, in un circolo vizioso) si potrebbe anche dire: è la democrazia, bellezza!
nonostante tutto sfilare oggi a Milano in centomila dava una bella impressione;
e forse ci parla, sottovoce, del filo lungo che va dalla Resistenza al ’68 e continua oggi.
Senza con questo sottovalutare i problemi posti da Pavone e da Lanza, sui quali per ora farei solo due osservazioni, entrambe suscitate dal libretto sul GAP di Genova, ‘La sega di Hitler’: la prima che la Resistenza con l’eredità antifascista ha pochi rapporti diretti, e deve la sua possibilità-sia militare sia civile e politica- all’intervento militare degli alleati; non direttamente ma quale condizione di fondo. Cosicchè la fusione con l’antifascismo storico avviene solo nella fase conclusiva della guerra. Con tutti i livelli di mediazione ed estraniazione che questo comporta.
La seconda che la guerra è civile solo in alcune occasioni: c’è un contrasto stridente tra i GAP che combattono in città e si appropriano a poco a poco del territorio e le brigate che stanno in montagna e si ritirano e riavanzano seguendo l’onda dei rastrellamenti periodici tedeschi. In altre città la situazione è più complessa (le fabbriche di Torino più che di Milano) ma questo ci dice che parlare della Resistenza in termini generali è operazione spesso indebita.
Aggiungerei che l’antifascismo di cui si parla oggi poco c’entra colle opinioni dei vincitori, che ideologicamente erano assai più vicini agli sconfitti (v. le trattative con Ribbentrop del Duca di Windsor, gli affari costanti dei fratelli Dulles e di P. Bush con industriali e gerarchi tedeschi, e in generale l’afflato antioperaio e anticomunista che li accomunava); e quindi, al di là di Yalta, chi avesse voluto doveva fare i conti con un ambiente assai ostile che lasciava intravvedere gli esiti prossimi di conservazione nella polizia, esercito, burocrazia di tutti i vecchi gerarchi e manovali fascisti. C’era all’inizio una breve finestra di opportunità di epurazione ma Togliatti l’ha lasciata passare..e poi è stato tardi.
“la guerra è civile solo in alcune occasioni” (Di Marco)
Pavone riconosce in partenza che la definizione di guerra civile è “controversa”.
Alla questione è dedicato l’intero capitolo 5 del suo libro (pagg. 221-312).
Rimanderei a quello chi volesse approfondirne i contorni.
In Italia siamo prigionieri da decenni della retorica per cui dovremmo essere grati agli USA per aver sconfitto il nostro governo dittatoriale ottanta anni fa, come se i soldati USA fossero venuto a farsi ammazzare per i nostri begli occhi e non difendere il loro Paese. E dovremmo dimostrare la nostra gratitudine accettando di buon grado di fare gli áscari degli Statunitensi così come gli Eritrei erano áscari nostri. Un po’ la logica di Faccetta Nera con noi nella parte della bella Abissina, insomma. Così non solo accettiamo di buon grado le servitù militari USA, le 170 basi USA fra grandi e piccole, le tresche di Stay Behind, le bustarelle di Antelope Cobbler, le 70 bombe H sul nostro territorio (che diventerebbe campo di battaglia in caso di guerra, a salvaguardia del territorio metropolitano degli USA), l’impunità degli USA quando fanno fuori servitori dello Stato italiano come Calipari o civili italiani come al Cermis, i danni alle aziende italiane che non possono vendere nulla a paesi cui gli USA decidono di applicare sanzioni, la subordinazione delle nostre truppe a comandanti USA in terra straniera che manco ci informano delle loro decisioni (come per i cambi della guardia a Kabul e per la condotta da seguire in Somalia con Restore Hope)…ma dobbiamo pure rovinare i nostri stessi interessi nazionali quando fa comodo agli USA (come con i bombardamenti su Gheddafi, le sanzioni all’Iran, queste sanzioni cretine alla Russia con tanto di medaglietta e pacca sulla spalla data in premio ai nostri scodinzolanti governanti e adesso persino la Cavour nel mar Cinese Meridionale, col governo che sta per abolire gli accordi commerciali della Via della Seta per compiacere Washington. L’unico momento che ricordo in tutti questi anni in cui sembrava che in Italia avessimo un poco di più la briglia sciolta e’ stato dopo la batosta che gli USA hanno preso in Vietnam. Si capirà bene perché – al di la’ del doveroso rispetto per tutti i defunti – non mi sdilinquisco particolarmente dalla commozione a vedere i cimiteri di guerra USA. Anche a me piacciono i film di guerra USA: sono appassionato di cinema. Ma la storia non è Hollywood.
La storia va raccontata tutta. Mussolini dichiarò guerra agli USA (!) 4 giorni dopo Pearl Harbour. Fino a quel giorno i rapporto Roma-Washington erano talmente buoni che le navi fasciste che portavano in Africa le truppe che invasero l’Etiopia andavano con la nafta della Standard Oil, che gli USA non applicarono a Mussolini le sanzioni volute dalla Società delle Nazioni e che il gerarca Balbo fece addirittura la trasvolata atlantica accolto in USA come un eroe (Balbo è l’unico fascista ad avere ancora oggi una strada intitolata a suo nome in USA). I soldati USA invasero coraggiosamente e legittimamente l’Italia in difesa del loro Paese aggredito (stupidamente , va da sé, e giusto per compiacere Berlino) da Mussolini. Ancora oggi in USA quell’invasione si chiama ‘battle of Italy’, non ‘liberation war’: gli USA non ci hanno liberato da Mussolini per i nostri begli occhi, e coi fascisti sono andati sempre d’accordo allora e in seguito (in Spagna, Grecia, Portogallo, Cile…). Chiarito questo, mi pare che possiamo e dobbiamo festeggiare il 25 aprile senza per questo sentirci eternamente debitori. Sbaglio?
“nonostante tutto sfilare a Milano in centomila dava una bella impressione; e forse ci parla, sottovoce, del filo lungo che va dalla Resistenza al ’68 e continua oggi.”( Paolo Di Marco)…immagino di si’. Aggiungerei in quel filo rosso che lega il passato al presente l’esperienza dell’Antifascismo durante il ventennio, che consolido’ una consapevolezza profonda di ragioni poi raccolte dalla Resistenza…
Mi va di immaginare anche come i partigiani si siano ritrovati infine, sebbene con prospettive diverse, come illustra Claudio Pavone, in un unico intento…come mi sembra dire questa poesia di un partigiano:
DICEVA
Diceva sempre
al mondo siamo soli.
Diceva sempre:
gli altri dove sono?
Io, con chi cammino?
Naufrago un giorno
su un’isola deserta
quel giorno seppe
gli altri dove sono!…
“nonostante tutto sfilare a Milano in centomila dava una bella impressione; e forse ci parla, sottovoce, del filo lungo che va dalla Resistenza al ’68 e continua oggi.”( Paolo Di Marco)
…Ennio, non mi illudo piu’ di quel tanto, so quanto, nel frattempo (dalla Resistenza), le cose si siano enormemente incattivite, l’umanità, suo grado suo malgrado, asservita ai poteri forti: un capitalismo dominante arroccato intorno ad assi di potere con i suoi bracci destro e sinistro, interscambiabili: quello armato in spaventoso crescendo di potenza e di guerre e quello virtuale tecnologico che colonializza i nostri cervelli, condizionando aspirazioni, impulsi e volontà…
Eppure penso che proprio in queste situazioni apparentemente e, se vuoi, anche razionalmente, senza ritorno, alcuni spiragli di buona volontà non contaminati si fanno strada, brecce nei muri piu’ invalicabili…Tocca a noi darne un senso, nonostante…
Centomila nello stesso corteo per ricordare un momento storico di Liberazione ma anche per dare voce al desiderio di Liberazione da diverse forme di schiavitu’ in questo oggi servile e confuso, puo’ lasciare un segno, un messaggio in bottiglia da decriptare per le generazioni future…un filo rosso nel tempo da disseppellire da generazioni anche lontane…
SEGNALAZIONE
MIA REPLICA AI DUE PEZZI DELL’ARTICOLO DI Daniele Lanza SULLA SUA PAGINA FB
(https://www.facebook.com/daniele.conti.5203/posts/pfbid02jsrTpwTXHysLn3ur9e6Z7Ba2hRnyyGmeDeGYnMEeCRzsN95YDMhc4DNhyMt3ENg3l
https://www.facebook.com/daniele.conti.5203/posts/pfbid02pDamC683BdWvzP3yNPnjJFz2H39nqqrCe1sURnXpBVogQi85J8JPvZhbn7R35pttl)
Scusa questa mia intromissione polemica. Uno storico come te dovrebbe distinguere tra trattazione dei temi da parte degli storici e i cliché propagandistici dell’ uso pubblico della storia. In questo caso non lo fai. Anzi confondi le acque. Avresti fatto meglio a confrontarti con le tesi che Claudio Pavone svolse in «Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità della Resistenza» e magari a mettere in discussione – argomentando – la sua distinzione all’interno della Resistenza delle tre guerre (patriottica, civile, di classe). Invece, taci sulla guerra di classe e ridicolizzi – banalizzandole – quella patriottica e quella civile.
E così la geopolitica (o forse sarebbe meglio dire l’ideologia della geopolitica, che rende eterni e insuperabili i rapporti di forza tra dominatori e dominati) ti aiuta a sbarazzarti della concretezza della Resistenza (italiana e europea) che Pavone, invece, ebbe il merito di mettere in primo piano nel suo libro offrendo una ricchezza di dati per me sbalorditiva. Mi pare che tu riduca la storia quasi solo all’aspetto militare, abbandonandoti al fascino discreto per le « titaniche macchine militari di cui disponevano Berlino e Washington», e confermando così la tesi – questa sì classica – della Destra: «Chi ha sgomberato la penisola dai crucchi sono stati 200’000 yankee in possesso di armamenti ed equipaggiamenti che non ci si poteva nemmeno sognare, forti di linee rifornimenti letteralmente illimitate : liberavano un territorio in vista di una sua inclusione nel proprio ordine geopolitico atlantico in qualità di grande e irrinunciabile satellite mediterraneo» .
Quanta astrattezza scolastica poi nella tua definizione di guerra civile! Scrivi: «l’espressione “guerra civile” sta ad indicare un conflitto INTERNO ad uno stato sovrano, nel corso del quale due fazioni armate, LIBERE ed indipendenti (pur occasionalmente appoggiate da qualche potenza straniera) si scontrano sinché non ne emerge un vincitore». Che è un modo per ribadire, senza dirlo esplicitamente, che la storia la fanno esclusivamente i dominatori: «Codeste forze straniere per i PROPRI interessi (gli uni far sopravvivere il proprio reich creando uno sbarramento sull’Appennino, gli altri guadagnarsi un super satellite nel cuore del Mediterraneo) combattono senza esclusione di colpi, avvalendosi della popolazione autoctona, estremamente utile per la conoscenza del territorio nonché potenzialmente coscrivibile come truppe di supporto». Dimentichi che quella guerra civile di cui parlò Claudio Pavone, è qualcosa di inedito e sfugge alla tua (astratta) « definizione di “guerra civile” in senso proprio»:
(Leggi almeno le pagg. 221-225 del suo libro, che non riesco a copiare ora).
Ridurre poi – nientemeno! – il partigiano combattente a «colui che supporta, [che] rende una grande servigio al proprio condottiero, il che però non fa di lui a sua volta un “condottiero” (!) : piuttosto ne fa un ottimo SCUDIERO» significa cancellare quanto fosse contradditorio il rapporto partigiani-alleati:«Dagli Alleati, dunque, non si poteva prescindere, ma occorreva mantenere di fronte a essi autonomia e dignità, differenziandosi anche in questo dall’atteggiamento dei fascisti verso i tedeschi» ( Pavone, pag. 193). E, soprattutto, la consapevolezza – magari minoritaria ma non per questo da trascurare – dei rischi del “doppio legame” con gli Alleati: «Compare […] in qualche scritto lungimirante, una preoccupazione più profonda, anche se frenata dall’entusiasmo per l’alleanza tra le grandi potenze che stava prostrando il nazifascismo: la preoccupazione che l’Europa e il mondo di domani sarebbero stati governati da un direttorio di vincitori. Era il vecchio tema, caro a Rosselli, dell’autonomia internazinale dell’antifascismo, che qui cantava il suo nobile e preoccupato canto del cigno.
Emilio Lussu aveva fin dal giugno 1943 ritenuto “ben difficile che l’occupazione angloamericana del suolo nazionale po[tesse] permettere una libera azione politica”; e, dando una delle poche prove di prove di previsione realistica dell’assetto postbellico, aveva aggiunto: “Il peso che le grandi nazioni vittoriose eserciteranno sull’Europa continentale sarà per se stesso immenso in ogni campo: dipende da noi non contribuire a renderlo eccessivo”. Gli italiani, infatti, avrebbero avuto soltanto una “libertà di secondo grado, sorvegliata e misurata”» ( Pavone, pag. 205).
Alla fine mi vien da dire: Sì, i partigiani sono stati (e noi che abbiamo imparato da loro siamo ancora) servi (non scudieri soddisfatti!9, ma, come diceva Franco Fortini, «scegliersi una morale di subordinato, di servo[…] con quel tanto di equivoco e magari di ripugnante come l’invidia, il rancore, l’intenzione di dominare umiliandosi) che ogni morale di servo comporta […] è, da noi, meno immaginaria di una da signore; almeno per chi viva alla periferia dell’Impero». E – aggiungeva – soprattutto «di un servo non ci si può mai fidare; e questa è grande superiorità, la cui rinuncia non consiglio a nessuno».(F. Fortini, Avere ragione, pagg. 102-103 in Insistenze , Garzanti, Milano 1985). Ed io, ancora oggi, mi sento di aggiungere che, avendo chiara la propria condizione e non identificandosi immaginariamente coi dominatori (coi signori), si salva sempre la possibilità di partecipare nella storia alla scommessa che fecero quelli della Comune di Parigi, della rivoluzione del 17 in Russia, del ’68-69. Finirà ancora male? Ma vale la pena provarci, no?
Per quanto la nostra storia nel dopoguerra sia stata condizionata dal trattato di Yalta e dalla spartizione dell’Europa (e non solo) in zone di influenza, la memoria profonda della resistenza ha continuato a operare nelle generazioni successive, nelle lotte sindacali e politiche, nella libertà innestata nella coscienza di ognuno, che si manifestava nella ricca vita democratica come anche nei terribili confronti che hanno segnato quegli anni.
Stamane ho sentito che non so che storico o politico americano o inglese disse che il martello delle truppe alleate aveva l’incudine dei combattenti della resistenza.
Certo, il martello picchia, ma l’incudine, appunto, resiste.
E resiste ancora.
SEGNALAZIONE
Dalla pagina FB di Giorgio Mascitelli
Buon 25 aprile a tutti. Con la lettera di oggi sul Corriere Giorgia Meloni si è dimostrata più intelligente di molti suoi colleghi di partito, proponendo una versione revisionata della Resistenza e anche della storia repubblicana, in cui ci sarebbe un MSI impegnato a traghettare milioni di italiani verso la democrazia. Infine i valori della Resistenza si realizzano, secondo la Presidente del consiglio, difendendo la democrazia a Kiev e dunque tramite la guerra. In decenni passati un simile discorso avrebbe portato all’isolamento politico dell’esponente che lo avesse fatto, oggi non è più così e non per il contesto italiano ma per quello europeo. Molto opportunamente dal suo punto di vista, infatti, Meloni cita la mozione del parlamento europeo del 2019, voluta da popolari tedeschi e reazionari polacchi, in cui si equiparano nazismo e comunismo e si stabilisce l’origine della seconda guerra mondiale nel patto Ribbentropp Molotov e dentro questo paesaggio ovviamente si colloca perfettamente l’operazione di Meloni, che sfiora ma non ha il coraggio di seguire l’indicazione di Fini di riconoscere l’antifascismo quale matrice della democrazia italiana. Soprattutto non bisogna illudersi, quella mozione e questa lettera tratteggiano bene il clima che è dominante in Europa e lo sarà dopo la guerra: un clima di revisionismo generalizzato in cui vivranno un revival idee, magari in una versione rimasterizzata postmodernamente, che credevamo essere del tutto passate.
SEGNALAZIONE
Dalla pagina FB di Vincenzo Costa
Credo che oggi ognuno dei miei amici su FB abbia festeggiato una cosa diversa.
Alcuni hanno festeggiato la liberazione del fascismo, altri da tutte le dittature, altri la democrazia e le promesse della Costituzione repubblicana, altri più che la liberazione hanno festeggiato le libertà, altri ancora i diritti, ma tra questi alcuni i diritti civili e altri i diritti sociali, altri ancora la limitazione del potere dello Stato, altri invece delle tutele statali, alcuni hanno collegato questo giorno alla solidarietà all’ucraina, altri invece all’idea di pace. Alcuni hanno attirato l’attenzione sul fatto che fascismo e comunismo sono indistinguibili, altri invece che dell’antifascismo fa parte come componente fondamentale il comunismo.
Basta scorrere FB, avendo amici appartenenti ad aree diverse, e si trova di tutto.
Questo riguardo alla parte più ideologizzata. Per la grandissima parte del paese è stato solo un giorno di vacanza, e l’unica cosa per cui essere grati è questa.
Può essere brutto, ma bisogna essere seri, per amore del paese, per non sprofondarlo in una retorica vuota, bisogna iniziare a guardare in faccia la realtà.
Per reiniziare bisogna avere il coraggio di guardare il nulla che ci sta di fronte, il nulla che abita il reale oggi.
Bisogna avere il coraggio di dire che oggi si è festeggiato un equivoco.
È doloroso dirlo, ma qui siamo.
L’equivoco è forse solo un rilancio: le diverse intenzioni e idee nel celebrare la festa rendono reale il conflitto, un conflitto molteplice tra interessi e coperture, tra disinteresse e profittare, tra leggerezza e intenzioni. Se appena appena la vita politica fosse un poco più vivace (ma forse ormai siamo presi in un loop, in un circolo vizioso) si potrebbe anche dire: è la democrazia, bellezza!
nonostante tutto sfilare oggi a Milano in centomila dava una bella impressione;
e forse ci parla, sottovoce, del filo lungo che va dalla Resistenza al ’68 e continua oggi.
Senza con questo sottovalutare i problemi posti da Pavone e da Lanza, sui quali per ora farei solo due osservazioni, entrambe suscitate dal libretto sul GAP di Genova, ‘La sega di Hitler’: la prima che la Resistenza con l’eredità antifascista ha pochi rapporti diretti, e deve la sua possibilità-sia militare sia civile e politica- all’intervento militare degli alleati; non direttamente ma quale condizione di fondo. Cosicchè la fusione con l’antifascismo storico avviene solo nella fase conclusiva della guerra. Con tutti i livelli di mediazione ed estraniazione che questo comporta.
La seconda che la guerra è civile solo in alcune occasioni: c’è un contrasto stridente tra i GAP che combattono in città e si appropriano a poco a poco del territorio e le brigate che stanno in montagna e si ritirano e riavanzano seguendo l’onda dei rastrellamenti periodici tedeschi. In altre città la situazione è più complessa (le fabbriche di Torino più che di Milano) ma questo ci dice che parlare della Resistenza in termini generali è operazione spesso indebita.
Aggiungerei che l’antifascismo di cui si parla oggi poco c’entra colle opinioni dei vincitori, che ideologicamente erano assai più vicini agli sconfitti (v. le trattative con Ribbentrop del Duca di Windsor, gli affari costanti dei fratelli Dulles e di P. Bush con industriali e gerarchi tedeschi, e in generale l’afflato antioperaio e anticomunista che li accomunava); e quindi, al di là di Yalta, chi avesse voluto doveva fare i conti con un ambiente assai ostile che lasciava intravvedere gli esiti prossimi di conservazione nella polizia, esercito, burocrazia di tutti i vecchi gerarchi e manovali fascisti. C’era all’inizio una breve finestra di opportunità di epurazione ma Togliatti l’ha lasciata passare..e poi è stato tardi.
“la guerra è civile solo in alcune occasioni” (Di Marco)
Pavone riconosce in partenza che la definizione di guerra civile è “controversa”.
Alla questione è dedicato l’intero capitolo 5 del suo libro (pagg. 221-312).
Rimanderei a quello chi volesse approfondirne i contorni.
SEGNALAZIONE
Commento su FB di Andrea Di Vita
In Italia siamo prigionieri da decenni della retorica per cui dovremmo essere grati agli USA per aver sconfitto il nostro governo dittatoriale ottanta anni fa, come se i soldati USA fossero venuto a farsi ammazzare per i nostri begli occhi e non difendere il loro Paese. E dovremmo dimostrare la nostra gratitudine accettando di buon grado di fare gli áscari degli Statunitensi così come gli Eritrei erano áscari nostri. Un po’ la logica di Faccetta Nera con noi nella parte della bella Abissina, insomma. Così non solo accettiamo di buon grado le servitù militari USA, le 170 basi USA fra grandi e piccole, le tresche di Stay Behind, le bustarelle di Antelope Cobbler, le 70 bombe H sul nostro territorio (che diventerebbe campo di battaglia in caso di guerra, a salvaguardia del territorio metropolitano degli USA), l’impunità degli USA quando fanno fuori servitori dello Stato italiano come Calipari o civili italiani come al Cermis, i danni alle aziende italiane che non possono vendere nulla a paesi cui gli USA decidono di applicare sanzioni, la subordinazione delle nostre truppe a comandanti USA in terra straniera che manco ci informano delle loro decisioni (come per i cambi della guardia a Kabul e per la condotta da seguire in Somalia con Restore Hope)…ma dobbiamo pure rovinare i nostri stessi interessi nazionali quando fa comodo agli USA (come con i bombardamenti su Gheddafi, le sanzioni all’Iran, queste sanzioni cretine alla Russia con tanto di medaglietta e pacca sulla spalla data in premio ai nostri scodinzolanti governanti e adesso persino la Cavour nel mar Cinese Meridionale, col governo che sta per abolire gli accordi commerciali della Via della Seta per compiacere Washington. L’unico momento che ricordo in tutti questi anni in cui sembrava che in Italia avessimo un poco di più la briglia sciolta e’ stato dopo la batosta che gli USA hanno preso in Vietnam. Si capirà bene perché – al di la’ del doveroso rispetto per tutti i defunti – non mi sdilinquisco particolarmente dalla commozione a vedere i cimiteri di guerra USA. Anche a me piacciono i film di guerra USA: sono appassionato di cinema. Ma la storia non è Hollywood.
La storia va raccontata tutta. Mussolini dichiarò guerra agli USA (!) 4 giorni dopo Pearl Harbour. Fino a quel giorno i rapporto Roma-Washington erano talmente buoni che le navi fasciste che portavano in Africa le truppe che invasero l’Etiopia andavano con la nafta della Standard Oil, che gli USA non applicarono a Mussolini le sanzioni volute dalla Società delle Nazioni e che il gerarca Balbo fece addirittura la trasvolata atlantica accolto in USA come un eroe (Balbo è l’unico fascista ad avere ancora oggi una strada intitolata a suo nome in USA). I soldati USA invasero coraggiosamente e legittimamente l’Italia in difesa del loro Paese aggredito (stupidamente , va da sé, e giusto per compiacere Berlino) da Mussolini. Ancora oggi in USA quell’invasione si chiama ‘battle of Italy’, non ‘liberation war’: gli USA non ci hanno liberato da Mussolini per i nostri begli occhi, e coi fascisti sono andati sempre d’accordo allora e in seguito (in Spagna, Grecia, Portogallo, Cile…). Chiarito questo, mi pare che possiamo e dobbiamo festeggiare il 25 aprile senza per questo sentirci eternamente debitori. Sbaglio?
“nonostante tutto sfilare a Milano in centomila dava una bella impressione; e forse ci parla, sottovoce, del filo lungo che va dalla Resistenza al ’68 e continua oggi.”( Paolo Di Marco)…immagino di si’. Aggiungerei in quel filo rosso che lega il passato al presente l’esperienza dell’Antifascismo durante il ventennio, che consolido’ una consapevolezza profonda di ragioni poi raccolte dalla Resistenza…
Mi va di immaginare anche come i partigiani si siano ritrovati infine, sebbene con prospettive diverse, come illustra Claudio Pavone, in un unico intento…come mi sembra dire questa poesia di un partigiano:
DICEVA
Diceva sempre
al mondo siamo soli.
Diceva sempre:
gli altri dove sono?
Io, con chi cammino?
Naufrago un giorno
su un’isola deserta
quel giorno seppe
gli altri dove sono!…
Renato Giorgi
@ Annamaria e Paolo
“nonostante tutto sfilare a Milano in centomila dava una bella impressione; e forse ci parla, sottovoce, del filo lungo che va dalla Resistenza al ’68 e continua oggi.”( Paolo Di Marco)
Temo che vi illudiate a vedere questa continuità.
…Ennio, non mi illudo piu’ di quel tanto, so quanto, nel frattempo (dalla Resistenza), le cose si siano enormemente incattivite, l’umanità, suo grado suo malgrado, asservita ai poteri forti: un capitalismo dominante arroccato intorno ad assi di potere con i suoi bracci destro e sinistro, interscambiabili: quello armato in spaventoso crescendo di potenza e di guerre e quello virtuale tecnologico che colonializza i nostri cervelli, condizionando aspirazioni, impulsi e volontà…
Eppure penso che proprio in queste situazioni apparentemente e, se vuoi, anche razionalmente, senza ritorno, alcuni spiragli di buona volontà non contaminati si fanno strada, brecce nei muri piu’ invalicabili…Tocca a noi darne un senso, nonostante…
Centomila nello stesso corteo per ricordare un momento storico di Liberazione ma anche per dare voce al desiderio di Liberazione da diverse forme di schiavitu’ in questo oggi servile e confuso, puo’ lasciare un segno, un messaggio in bottiglia da decriptare per le generazioni future…un filo rosso nel tempo da disseppellire da generazioni anche lontane…